CARLO CATTANEO

 

A cura di G. Tortora



 
TESTI COMPLETI:
PSICOLOGIA DELLE MENTI ASSOCIATE
NOTIZIE NATURALI E CIVILI SU LA LOMBARDIA


 

BIOGRAFIA

 

CATTANEONacque il 15 giugno 1801 in Milano e morì il 6 febbraio 1869 in Castagnola, presso Lugano. Studioso di problemi economici, sociali, discepolo di Gian Domenico Romagnosi, ispirò la sua attività al proposito di promuovere gradualmente, attraverso il progresso scientifico, l'evoluzione politica dell'Italia. Così egli si adoperò assiduamente per realizzare un miglioramento delle condizioni economiche e sociali del Lombardo-Veneto al fine di assicurarne l'autonomia in seno all'Impero asburgico. Un analogo processo di sviluppo politico nelle altre parti d'Italia avrebbe dovuto condurre, infine, alla formazione di una federazione italiana indipendente. Di formazione e di cultura positivista, nutrì un'assoluta fiducia nel progresso tecnico-scientifico come mezzo di elevazione materiale e morale dei popoli. Lasciò numerosi scritti, spesso frammentari. Le opere più famose sono Notizie naturali e civili su la Lombardia (1844) e Dell'insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra (1849). La vicenda pubblica di Cattaneo comincia nel 1820 quando fu nominato professore di grammatica latina e poi di umanità nel ginnasio comunale Santa Marta. Seguiva ogni tanto la scuola privata di Gian Domenico Romagnosi e si laureò in diritto presso l'Università di Pavia nel 1824. Nel 1835 lasciò l'insegnamento (e si sposò); da quel momento svolse l'attività di scrittore, occupandosi di ferrovie, di bonifiche, di dazi, di commerci, di agricoltura, di finanze, di opere pubbliche, di beneficenza, di questioni penitenziarie, di geografia, ecc., insinuando tra questi argomenti anche qualcuno di quelli che "hanno viscere", com'egli diceva, di letteratura ed arte, di linguistica e di storia, di filosofia. Richiesto nel 1837 dal governo britannico, scrisse sulla politica inglese in India e sui sistemi di irrigazione applicabili all'Irlanda. La sua attività di pubblicista cominciò ben presto a procurargli dei problemi con il governo austriaco di Milano. Lui che s'era tenuto estraneo a sette e congiure e che aveva cercato con la sua opera di accrescere il prestigio e il decoro e di elevare nell'animo dei cittadini la coscienza dei loro diritti, si trovò, in breve, a causa della sua idea di conquista graduale di riforme politiche e civili che ridessero al Lombardo-Veneto l'indipendenza, ad essere bersaglio della diffidenza dell'Austria. In verità Cattaneo, oltre ad aver serratamente criticato il programma di Gioberti, non fu contrario a lasciare l'Austria nel Lombardo-Veneto, a patto che concedesse riforme liberali. L'obbiettivo principale del suo programma - che precisò meglio solo dopo il 1848 - era la fondazione di tante repubbliche da unire in una Federazione. Non era favorevole, a differenza di Mazzini, ad una Repubblica unitaria; temeva che l'accentramento avrebbe sacrificato l'autonomia dei Comuni, delle regioni e delle zone più povere, soprattutto il Mezzogiorno. Il raggiungimento di una vera libertà e di una reale indipendenza era possibile, secondo lo storico ed economista milanese, solo attraverso l'educazione delle masse lavoratrici e l'eliminazione delle grandi ingiustizie sociali, delle troppo marcate differenze tra ricchi e poveri. Al problema politico Cattaneo abbinava cioè anche la questione sociale.
Il dibattito si allargava coinvolgendo nuovi gruppi, più vasti settori di opinione pubblica: solo nel 1848, tuttavia, fu possibile fare il primo decisivo passo avanti sulla via dell'unità e dell'indipendenza. Le Cinque Giornate trovarono in lui un leader naturale: nei tre giorni dal 19 al 21, Cattaneo fu Capo del Consiglio di guerra, non mercanteggiando con nessuno ma teso solamente alla vittoria. Il suo motto era "A guerra vinta". Prevalsi però gli avversari politici, angosciato per gli eventi, lasciò Milano nell'agosto di quell'anno e si recò a Parigi.
Nel 1859, pur lieto della guerra, non volle, tenacemente fermo nelle sue idee federali, partecipare al nuovo ordine economico delle cose e tornò a Milano il 25 agosto esclusivamente per parlare di filosofia. Sul finire di quell'anno fece risorgere il Politecnico, un importante strumento utilizzato come "difensore" d'ogni progresso materiale e morale del paese; lo lascerà nel 1864.
Nel 1860 fu a Napoli con Garibaldi, ma se ne allontanò quando vide la impossibilità di imporre la soluzione federalista. Eletto più volte deputato, non andò in Parlamento per non prestare giuramento alla corona. Eletto deputato a Sarnico, Cremona, e nel V collegio di Milano, optò per questo ma non entrò mai in Parlamento, non volendo prestare giuramento contro la sua fede repubblicana. Abbandonò anche, nel 1865, con atto di fiera onestà, la cattedra di filosofia al liceo di Lugano, unica sua risorsa economica. Nel marzo del 1867 fu rieletto deputato a Massafra e al I collegio di Milano: optò per la città natale, fu più volte al Parlamento di Firenze, ma non seppe mai piegarsi ad un giuramento formale.
 
IL PENSIERO

Carlo Cattaneo (1801-1869), milanese, presente nel movimento risorgimentale col suo programma democratico repubblicano e federalista, fondatore e direttore del "Politecnico", fu autore di alcuni scritti filosofici di notevole interesse, tra i quali ricordiamo Considerazioni sul principio della filosofia (1844) e Psicologia delle menti associate (1859-1866).

Quest'ultima opera era del tutto nuova e originale nel contesto storico-culturale italiano, in quanto prima teorizzazione di una psicologia sociale che, a suo avviso, poteva spiegare il passato - illuminando come i rapporti tra le menti degli uomini avevano prodotto quel progressivo incivilimento che contrassegna lo sviluppo storico - e poteva costituire uno strumento scientifico per la futura organizzazione delle società umane.

Studioso attento di molte scienze (ad esempio di quella economica, di quella storica, di quella giuridica); fu - contro l'arroganza di una filosofia, quella spiritualistica, che si alimenta di problemi praticamente insolubili, che procede con scorrette dimostrazioni, e soprattutto è grande "sprezzatrice delle scienze" - un difensore accanito del metodo e dei risultati scientifici, invitando inequivocabilmente i giovani, in pieno clima di restaurazione spiritualistica, a dedicarsi ai "faticosi studi positivi", in quanto - affermava - solo "le discipline sperimentali" costituiscono "la potenza e la gloria delle moderne nazioni".

È convinzione generale, dice Cattaneo, che il progresso storico è determinato dal progresso della conoscenza dell'uomo, che l'incivilimento è prodotto dal pensiero umano. Ma quando s'indaga sul pensiero, sull'attività della mente, si cade comunemente nei discorsi astratti sulla Coscienza, sull'Io, sulle facoltà dello Spirito.

Se s'inverte il procedimento di studio, cioè se si abbandona il passaggio dal pensiero ai suoi prodotti, e si muove dai prodotti a ciò che ne è l'origine, allora si scoprono cose interessanti. Ad esempio il ruolo dell'istinto nella generazione delle idee.

Vi sono entro di noi certe forze alle quali noi non abbiamo assegnato parte veruna nell'origine delle nostre idee, e le quali anzi si considerano come estranie all'intelletto; e tuttavia se scrutiamo i fatti, troviamo essere state coefficienti potentissimi d'ogni nostro lavoro scientifico.
Considerate l'istinto. L'istinto è la facultà di compiere certi atti senza previa cognizione. L'istinto è l'azione senza l'idea. È una facultà che perciò appunto può dirsi estranea all'intelletto. Eppure molti delli istinti nostri non possono dirsi superflui ed indifferenti alla complessiva elaborazione del nostro sapere.
(Psicologia delle menti associate)

Allora, la scienza non è il frutto anche dell'istinto sociale, con cui un uomo si lega all'altro, anche ad un altro vissuto in tempi passati?

All'elaborazione della scienza non basterebbero, dunque, tutte le facultà dell'intelletto, se l'uomo non fosse già per istinto di natura un essere socievole. Ecco, dunque, l'istinto entrare nell'opera scientifica come un necessario coefficiente. E v'entrano altri istinti. V'entra quel bisogno di comunicare altrui i propri sentimenti e pensieri... Quindi lo spontaneo sforzo d'imparar la parola e di formarla: lavoro che noi andiamo proseguendo coll'imporre un nuovo vocabolo ad ogni nuova scoperta.
V'entra quello dell'imitazione... che è di supremo momento, non solo alla formazione della parola, ma in tutte le arti. E questo medesimo istinto imitativo, combinato ad altri, ci spiega il fatto della tradizione domestica e della tradizione scientifica, onde proviene l'associazione delli avi ai posteri, dei maestri alli allievi, e la perpetua successione nell'immortale opera del sapere. E vi sono altri istinti che possono svolgersi solamente in seno alla società. E son quelli che la scôla scozzese chiama istinti morali e che altre scôle preferiscono chiamare piuttosto col nome di sentimenti. Tale è la credulità, l'adesione all'amicizia e all'autorità, l'amor della lode, il terror dell'infamia.
(Psicologia delle menti associate)

Dunque, se ad esempio c'è stato un progresso nella considerazione dell'acqua da Talete a Lavoisier, è perché nei ventiquattro secoli trascorsi il lavoro di analisi degli antichi Greci è passato agli Arabi e da questi ai moderni, che, piú attrezzati sul piano dell'indagine analitica, hanno scoperto una verità di livello piú profondo.

La scoperta dei componenti dell'acqua era un ultimo gradino in una lunga scala dei pensieri, a edificar la quale avevano collaborato molte generazioni. Essa non era l'opera delle facultà solitarie di un uomo, bensí quella delle facultà associate di piú individui e di piú nazioni.
(Psicologia delle menti associate)

Pertanto lo studio dell'uomo, del pensiero dell'uomo, come quello della civiltà, dev'essere concepito come studio delle analisi delle menti associate.

Per analisi delle menti associate, intendo dire quelle grandi analisi le quali si vennero continuando per collaborazione, talora mutuamente ignote, di piú pensatori in diversi luoghi e tempi e modi, e con diversi fini e diverse condizioni e preparazioni.
(Psicologia delle menti associate)

Si consideri quest'esempio. L'uomo comune, come l'uomo primitivo, contempla la luna e ne segue le variazioni nel tempo. Ma quando la si osserva col telescopio, si compie un atto di analisi, cioè "un atto con cui la mente distingue le parti di un tutto". Ma - è qui il punto -

l'occhio non poteva trovarsi armato (del telescopio) e guidato, se non in virtú di una lenta preparazione della vita sociale. Quell'atto è l'ultima risultanza del lavoro delli avi e dei posteri: essa è l'opera di piú generazioni associate.
(Psicologia delle menti associate)

Tuttavia capita che in uno stesso tempo una nazione vede analiticamente piú cose, un'altra compie meno progressi, o addirittura conserva un modo primitivo di vedere. Ciò avviene proprio perché la conoscenza analitica è sempre un prodotto sociale. Là dove la società è meno progredita, anche l'analisi, che come funzione primitiva è propria e tutta intera di ogni individuo, in quanto modo d'osservazione scientifica è meno progredita, e dà risultati meno perfetti e meno compiuti che altrove. Infatti son le condizioni sociali che sollecitano oppure inibiscono l'attenzione analitica su certi fenomeni.

Il livello culturale di una nazione non dipende tanto dalla qualità delle scoperte, quanto dalla qualità e quantità delle ricerche. E queste, in certe società, non sono "libere", come non lo erano in certe antiche nazioni, in cui "molte cose erano inaccessibili, molte parvero funeste ed empie".

Questo discorso sulle componenti sociali che determinano la ricerca scientifica apre poi un'altra serie di problemi su cui indagare. Infatti, posto che "l'atto piú sociale delli uomini è il pensiero", poiché congiunge "sovente in un'idea molte genti fra loro ignote e molte generazioni", bisognerebbe studiare "come e donde in seno a quell'istintiva e spontanea associazione delle menti possa l'analisi attingere una piú eccelsa iniziativa" e "come ora espanda, ora costringa, la sua libera attività".

Ma soprattutto,

dacché questa facultà deve considerarsi come essenziale all'intelletto, giova studiare come, ciò non ostante, la libera analisi non abbia potuto attuarsi in tutto il genere umano. Giova studiare come, presso molti popoli, le forze analitiche, dopo una rapida emancipazione, abbiano potuto ricadere in lunga servitú; come nessuna nazione abbia saputo finora serbare continuamente vivo e libero il corso dei suoi pensieri; come molte nazioni siano spante, quasi meteore, senza lasciare eredità di un'idea; come ogni società, senza avvedersi, prefigga a se stessa i limiti della sua sfera d'analisi; come noi medesimi, che qui ci aduniamo in nome della scienza viva, non tutti ancora possiamo, sciolti da ogni precedente nostro od altrui, stendere egualmente la mano a tutti i rami dell'arbore scientifico. La libera analisi è uno dei piú grandi interessi morali e materiali del genere umano. La filosofia deve proporsi uno studio fondamentale: l'analisi della libera analisi.
(Psicologia delle menti associate)

Si consideri dunque "l'analisi per sé, com'essa proceda tanto nell'individuo quanto nelle menti associate". Essa è un andare in profondità, un cogliere evidenze piú nascoste; ma non separandole dal tutto; anzi queste conoscenze piú profonde servono per chiarire il tutto.

Andare in profondità significa pure riuscire a scoprire la legge che unifica fatti apparentemente sconnessi e incomponibili, come appare manifesto

quando l'analisi ha quella veste astratta e universale che le danno le formule algebriche. Poiché quella veste commune rende comparabili fra loro anche concetti che a prima vista potevano apparir privi d'ogni intima relazione. E cosí nella confusione del superficiale e del vario, la mente può discernere l'identico, il costante, l'essenziale, il certo.
(Psicologia delle menti associate)

Analisi significa insomma superare l'incanto dell'evidenza immediata, "procedere dalle cose piú ovvie ed evidenti alle piú astruse"; significa cioè scoprire, dietro e al di là di ciò che ci è immediatamente noto, qualcosa d'ignoto.

Il suo metodo specifico è quello dell'astrazione. Il che significa anche che "ogni piú sottile astrazione è sempre opera d'analisi".

Sicché, in sintesi:

Un'analisi può dirsi intera, quando con certa equabile profondità si estende a tutto un certo campo di osservazione; cioè a un dato essere o fenomeno, o complesso di esseri o fenomeni, e a tutte le loro parti, qualità e relazioni, entro quella misura e secondo quel fine che l'osservatore si prefigge.
(Psicologia delle menti associate)

Ma qui è il problema, per cui è insufficiente il discorso dell'analisi "in sé". Su quale base l'osservatore stabilisce la misura, il limite, l'oggetto dell'analisi? È egli libero, incondizionato, nel determinare queste cose? No. Egli è limitato e guidato dalle condizioni naturali e da quelle sociali, come l'esame delle condizioni umane primitive dimostra.

Cosí è. Alle evoluzioni della potenza analitica hanno parte la natura e la società. E come sono esse le cause che la destano, cosí sono parimenti le cause che possono renderla perpetuamente inerte.
(Psicologia delle menti associate)

La natura anzitutto:

La natura aveva già stabilito fra una gente e l'altra una disparità di condizioni, secondo la disparità delle cose utili o nocive e dei luoghi e dei climi. Le singole genti nelle loro singole patrie non potevano avvedersi se non di ciò che ella vi avesse posto. La presenza di certi frutti ovviamente alimentari e di certi animali o piú mansueti o piú feroci, il complesso d'una terra o d'un clima, d'una flora e d'una fauna, dettavano adunque agli aborigeni una serie di atti di attenzione coordinata alla serie delle piú immediate necessità; e tanto quivi inevitabile quanto impossibile altrove. E cosí gli aborigeni dovevano costituire nelle singole regioni native le singole parti d'una superficiale analisi dispersa a frammenti su tutta la terra abitata. La rimanente natura giacque inosservata e indistinta. Era pel genere umano come s'ella non fosse.
(Psicologia delle menti associate)

Quindi la società.

Quanto alla società, comunque isolata e misera, questi singoli frammenti d'osservazione dovevano nel suo seno sopravvivere all'individuo. Ciò che l'infante, per necessità di convivenza e per cieca imitazione apprendeva, doveva apparire come l'ordine necessario, ed unico possibile della vita. Cosí nasceva la tradizione, involontaria, spontanea, irriflessiva ma imperiosa già fin da allora com'essa è tuttavia per noi L'analisi non era libera. Ogni individuo non era piú costretto a cominciare da sé tutta la serie di quelle scoperte. Ma ogni mente entrava nella carriera del pensiero già impronta del pensiero altrui. L'analisi, nata serva della natura, crebbe serva della società
(Psicologia delle menti associate)

E sempre natura e società condizionano l'analisi, anche quando un individuo, un "genio", spesso "per caso", scopre un'"idea madre" che diventa l'origine di una nuova scienza, e l'analisi diventa "libera", va "oltre la tradizione e contro la tradizione", come nel caso di colui che cadendo in un fiume, si salvò appoggiandosi per istinto ad un tronco galleggiante e percepí l'idea madre dell'arte nautica, "vedendo nelle cose ciò che li altri non videro". Cosí il genio individuale e il caso spiegano "come le nazioni abbiano potuto raggiungere un'idea forse piú astrusa, senza averne potuto percepire un'altra forse piú ovvia", e come l'analisi in certe nazioni si diversifichi per qualità e risultati da quella di altre nazioni; ma sempre nel contesto dei condizionamenti specifici di natura e società di un certo popolo. Il pensiero dunque dev'essere studiato come fenomeno sociale. Assurdo è parlare, come fa Cartesio, di un puro e nudo spirito, fuori della tradizione e della società. Locke "dimostrò come la riflessione ne' suoi piú alti sforzi ricevesse sussidio dal linguaggio. Or voi mi concederete, signori, che il linguaggio è la società". "Ma la società coopera al pensiero dell'individuo in molti altri modi oltre il linguaggio". Ad esempio: il pensiero s'alimenta col rapporto dialettico di opposizione degli spiriti che solo gli uomini viventi in relazione sociale possono realizzare. Tutte le piú alte prove della scienza e della virtú si svolgono negli accordi e disaccordi degli uomini posti fra loro in intima relazione. Ciò hanno mostrato Vico ed Hegel. È nelle famiglie, nelle classi, nei popoli che si attua quella "antitesi delle menti associate" che è "quell'atto col quale uno o piú individui, nello sforzarsi a negare un'idea, vengono a percepire una nuova idea, ovvero quell'atto col quale uno o piú individui, nel percepire una nuova idea, vengono, anche inconsciamente, a negare un'altra idea". È nel rapporto sociale che nascono quelle passioni che originano i ragionamenti ("Nei conflitti della vita, il ragionamento è l'arte reciproca di tutte le passioni"); è in questo rapporto che i "ragionatori", "al cospetto della passione", diventano "combattenti" in una lotta che "trascina ambe parti nel vortice della verità", in una lotta che non è altro che un processo comune di analisi, un'"analisi delle menti associate".

Ma tale dialettica delle menti deve esser tenuta sempre viva anche nei confronti del pensiero degli uomini del passato; bisogna verificarsi con essi perché solo cosí si evita la "chiusura nel proprio sistema", e si genera il processo di arricchimento della verità. L'uomo, infatti, tende al "sistema" per necessità, cioè "perché vive in presenza di un unico universo, per la limitata natura del suo intelletto, e per l'unità della sua coscienza, e per l'identità delli universali, e per complessivo effetto di tutte le operazioni riflessive". Ma non deve assolutizzare il suo sistema, come non deve assolutizzare quello ricevuto dagli antenati: "miseri i figli che temono d'essere migliori dei loro padri; le dottrine piú audaci sono ridutte dal tempo ad aride regole, a formule viete, a consuetudini stupide e servili". "I sistemi - dice Cattaneo - devono tenersi sempre aperti, un sistema compiuto e chiuso diviene sepolcro dell'intelligenza e della virtú che lo ha tessuto". Bisogna dunque "agitare e rinnovare i sistemi", "scuotere ogni giogo d'autorità", "seguendo risolutamente e impavidamente l'unico lume dell'esperienza e della ragione". Solo cosí si attua il progresso della civiltà: "Il progresso, nella proporzione medesima con cui fornisce nuove idee, fornisce anche nuova occupazione all'intelletto, tiene in esercizio forzoso le nostre facultà morali e le spinge a continuo perfezionamento".