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Frank Zappa

di Marco Pandin

Sembra che la copertina del numero 206 di «A rivista anarchica» non sia proprio passata inosservata: sopra, riconoscibilissima nonostante l’elaborazione grafica di Fabio Santin, c’era la faccia di Frank Zappa (era una vecchia foto da Chunga’s revenge, scelta proprio «alla faccia» della malattia che lo ha distrutto fisicamente, come impietosamente documentato dai ritratti recenti sull’album postumo The yellow shark). È un fatto più unico che raro che «A rivista anarchica» utilizzi delle immagini di «personaggi pubblici » per le  proprie copertine. La redazione adduce delle motivazioni etiche oneste e più che comprensibili (che, resti tra noi, personalmente solo in parte condivido) e la mia proposta (...ma forse di più hanno fatto le mie «fastidiose» insistenze!) non ha mancato di suscitare vive discussioni e persino qualche preoccupazione. Beh, insomma, ridimensioniamo: non che questo avvenimento abbia scatenato chissà quali dibattiti all’interno del movimento anarchico. Qualche perplessità, quella sì, qualche dubbio. Tra l’altro non sono ancora venuto a sapere di  proteste o altre prese di posizione clamorose: il tutto, più giustamente forse, si riduce al fatto insolito che c’è la faccia di un musicista sulla copertina di un giornale anarchico. La storia è semplice e si spiega in due righe: Zappa era morto da poco e pensavo che sarebbe stata una bella cosa offrire la copertina di «A rivista anarchica » per ricordarlo invece che una rubrica/coccodrillo. In quarta di copertina, poi, (e su richiesta della redazione) ho scritto qualche commento evitando per quanto è possibile di scrivere un necrologio. Piuttosto ho cercato di spiegare, con parole mie (e mettendoci dentro qualche riferimento a testi, titoli di canzoni e copertine di dischi), il perché questa mancanza è dolorosa per me, un anarchico trentasettenne che dell’arte di questo musicista strampalato ed iconoclasta si è nutrito fin da ragazzino. Ho scritto che secondo me questa non è una perdita da poco: con Zappa se n’è andata una grossa fetta della nostra cultura. E con la parola «nostra » intendo proprio un qualche cosa che sento non appartenere solo a me stesso, un qualche cosa che condivido e di cui mi sento parte: un’intera generazione, una fetta sociale internazionale. Per quasi trent’anni, zio Frank (mai relazione di parentela potrebbe essere più appropriata) si è offerto di accompagnarci al suo lunapark effervescente: un'enorme giostra luminosa che non s’è mai accesa delle luci della cultura ufficiale. Col pretesto degli spartiti  e delle scorribande musicali del suo gruppo, Zappa ci ha insegnato quella che era la sua idea della libertà, un sogno composito e mutevole che bisogna realizzare a tutti i costi. Un sogno fatto di tentazioni, esagerazioni, risate e sberleffi, gesti sporcaccioni e parolacce buffe, ma soprattutto di un amore sconfinato per i grandi spazi della creatività, della saggezza, della trasgressione. Offrendoci caramelle fatte di allucinazioni e presagi spesso sinistri (nel concept-album Joe’s garage del 1979 si ipotizza una società futuribile in cui l’espressione musicale è vietata dal potere centrale, e una opportuna nota suggerisce che una situazione simile già esiste al giorno d’oggi... in Iran!), zio Frank ci ha insegnato un sacco di cose utili alla sopravvivenza, sia culturale  che fisica. Ci ha insegnato che non bisogna sprecare la nostra testa e invece si deve usarla e intervenire nella vita, che l’educazione è un’arma a doppio taglio, ci ha mostrato la vera faccia del perbenismo, ha fatto nomi e cognomi dei poliziotti della censura, ci ha svelato i trucchi dei predicatori e mostrato le mutandine sporche delle casalinghe annoiate... Zio Frank ci ha tenuti sulle ginocchia allegramente, facendoci divertire e riflettere. Per noi, ha inventato una galleria di personaggi incredibili, proprio come lui. Lo ha fatto apposta, per insegnarci a pensare, a crescere.Un bestiario che prende vita in quei quintali di ore di registrazione fatte nei luoghi di mezzo mondo, che sono, alla fine, la sua migliore autobiografia ed eredità. Un enorme album di fotografie sonore, nel garage di Joe o in compagnia di principesse ebree, King Kong, esseri-pesce, esquimesi o aspirapolvere zingari, con lui in primo piano (...in prima linea, sempre!), la chitarra stretta in pugno carica di micidiali pallottole sovversive. In primo piano a ghignare, dietro alla barbetta e ai baffi, divenuti il suo simbolo/sinonimo, quasi il marchio di fabbrica riconosciuto universalmente della trasgressione sonora intelligente. I baffi di Zappa come quelli di Groucho Marx, o quelli scarabocchiati sulla Gioconda dalla mano bestemmiatrice di Marcel Duchamp. Uno zio dalla voce scomoda, antipatica, così corrosiva da risultare pericolosa anche se restava zitta: bloccato in Sudafrica, l’album Jazz from hell del 1986 venne messo al bando dalle associazioni fondamentaliste americane e marchiato con un adesivo «contiene testi espliciti»... sebbene si trattasse di un’opera completamente strumentale! Chiamato a discolparsi ufficialmente al Congresso dalle accuse cucitegli addosso dalla potente associazione perbenista PMRC, replicò con ironia a chi lo accusava di travestire da canzoni della pornografia: «Le vostre richieste [di censura] possono essere paragonate alla cura della forfora mediante decapitazione. (...) Affermare che la musica rock è la causa del comportamento antisociale non è assolutamente confermato dalla scienza. Hitler ha ammazzato più persone di qualsiasi altro al mondo, eppure adorava Wagner...». Uno zio scomodo e attaccabrighe, che non aveva rispetto di niente (tantomeno delle ferree regole del pentagramma, da lui più volte sovvertite e massacrate) e di nessuno. «Qual è la parte più sporca del vostro corpo?» - aveva osato chiedere, tanti anni fa, alla Moral Majority - «Per alcuni di voi è il naso, per altri le dita dei piedi, ma io penso sia la vostra mente!». Zappa un anarchico? Lui avrebbe comunque rifiutato anche quest’etichetta (l’unica definizione che diede di se stesso è lunga due parole: «American composer»): recalcitrante all’identificazione ideologica, violentemente allergico all’omologazione politica, non si è mai messo al servizio di nessuno, tantomeno ha composto le sue musiche all’ombra di alcuna bandiera. La sua ispirazione ha il colore e il nome della libertà.

Un assaggio di Frank Zappa È cosa davvero difficile operare una «scelta ragionata» tra le centinaia di testi scritti da Frank Zappa, e proporre su queste pagine delle parole «in linea» con lo spirito libero   dell’autore. Si spazia in un arco di tempo di quasi trent’anni e in un catalogo di una sessantina di opere discografiche, ognuna così particolarmente ricca di riferimenti storici e culturali da rappresentare «un volume» di un’ipotetica enciclopedia storico-sociale dell’alternativa americana. Mi sono soffermato  su qualche ritaglio da un album delle Mothers of Invention pubblicato nel 1968, We’re only in it for the money, un’opera estremamente polemica contro tutte le espressioni della cultura pop del periodo (il rock politicamente impegnato innanzi tutto, visto che il titolo è Siamo qui solo per i soldi). Il sarcasmo di Zappa si scatena violento già dalla copertina (una parodia oscena del contemporaneo Sgt. Pepper dei Beatles) e affronta un caleidoscopio di situazioni: la cultura della droga e dei drop-outs, gli hippies di San Francisco sempre sballati sulla scia dei gruppi rock, lo stato di polizia in California, la liberazione sessuale, il conflitto generazionale, l’utopia di un futuro di libertà sconfinata... sempre e violentemente con i piedi per terra, gli occhi bene aperti su un sogno americano fatto di consumismo e plastica, il cui suono era quello dei colpi d’arma da fuoco sparati dalla polizia e dall’esercito contro i dimostrantiall’università. Mom & dad . Mamma, mamma! Qualcuno ha detto che davano fastidio, e i poliziotti hanno sparato a dei ragazzi. Avevano un aspetto troppo strano, una lezione gli stava bene.  Voi restate sempre chiusi in casa a bere. Avete mai, per un minuto, mostrato un’emozione vera, fra creme per il viso e lozione dopobarba? Avete mai detto ai vostri ragazzi che siete contenti che ragionino con la propria testa? Avete mai detto loro che gli volevate bene? Vi hanno mai visto quando bevete? Vi siete mai chiesti perché vostra figlia è così triste? È così pesante essere costretti ad amare una mamma e un papà di plastica. Mamma, mamma! La tua bambina oggi è stata ammazzata nel parco,  uccisa dalla polizia mentre se ne stava tranquilla in compagnia a degli strani amici suoi. Hanno ammazzato anche lei.What’s the ugliest part of your body? I vostri figli sono povere vittime sfortunate di un sistema su cui non hanno alcun controllo. La rovina della vostra ignoranza, della disperazione grigia della vostra vita orribile. La rovina della vostra ignoranza, che priva i giovani della verità che meritano. Mother people Noi siamo gente diversa, siamo gente diversa, e anche voi siete gente diversa. Abbiamo trovato un modo per comunicare con voi. Pensate che io sia pazzo, che io sia malato? Credete che vada in giro la notte e dorma in un cabina telefonica? Lasciatemi un minuto e  vi spiegherò il mio pensiero, datemi un minuto e vi racconterò chi sono. Fareste bene a convincervi che sono un’altra persona. Trovate che i miei pantaloni sian troppoattillati, pensate che io sia un tipo strano? Pensate che io vi voglia bene, che sia cieco e stupido? Pensate che la notte io sogni di stringervi accanto a me?