Voci di compagni. Schede di Questura. Considerazioni sull’uso delle fonti orali e delle fonti di polizia per la storia dell’anarchismo C. Bermani, G. N. Berti, P. Brunello, M. Franzinelli, A. Giannuli, L. Pezzica, C. Venza, Quaderni del Centro Studi Libertari Archivio Pinelli, Elèuthera, Milano 2002, pp. 122

 

 

 

 

 

È appena apparso in libreria il volume che presenta gli atti dei seminari organizzati dal Centro Studi Libertari – da anni impegnato nell’opera di raccolta, catalogazione, conservazione di documenti relativi alla storia dell’anarchismo – sull’utilizzo degli archivi di stato e delle fonti orali nella stesura delle biografie di militanti anarchici. Gli incontri hanno coinciso con l’inizio dei lavori per il Dizionario biografico degli anarchici italiani, nell’ambito delle università di Trieste, Milano, Teramo e Messina.
Le due aree tematiche del libro, curato da Lorenzo Pezzica, forniscono utili spunti di riflessione su strategie e metodologie di ricerca che consentono non solo di ottenere un allargamento quantitativo del patrimonio di dati biografici da un composito materiale documentario – in cui le testimonianze e la memorialistica dei protagonisti occupano un posto di primo piano –, ma anche di apportare nuovi elementi di valutazione storiografica.
Nella prima parte dell’opera, dedicata alle fonti di polizia e di sicurezza (Note introduttive di Giampietro N. Berti; Sull’uso (critico) delle fonti di polizia di Mimmo Franzinelli; Il trattamento delle fonti provenienti dai servizi di informazione e sicurezza di Aldo Giannuli), viene sottolineata l’incidenza del controllo statale, culturale e politico, sulla conservazione e sulla trasmissione della memoria nazionale. Gli informatori e relatori ufficiali testimoniano un’innegabile abilità nel seguire e delineare con una certa precisione atteggiamenti ribellistici a carattere soprattutto individualistico, nell’indicare nomi di delatori o infiltrati della polizia, nel dare informazioni su corrispondenti di personaggi importanti all’interno dell’ambiente anarchico, scontri fra gruppi, fonti di finanziamento, forme di lotta. Tuttavia, non sono, nella maggior parte dei casi, in grado di fornire percezioni delle ragioni profonde di quanto riferiscono, a causa dei pregiudizi ideologici di cui sono impregnati. Infatti, “la pura registrazione dei fatti (anche se opera di professionisti) dice comunque poco rispetto all’effettiva trama di azione e d’intenti che animava veramente i protagonisti” (Berti, p. 16).
A tutto ciò va aggiunto che gli informatori tendono spesso a seguire false piste, ovvero a tacere su fatti di una certa importanza, rischiando così di orientare gli studiosi verso direzioni di ricerca senza sbocco. Molte volte, la mancanza di rigore, di uniformità, nei criteri di distribuzione e inventariazione delle carte d’archivio, l’intrico delle stratificazioni, delle risistemazioni, i compositi modi di strutturazione e trasmissione costringono i ricercatori ad un arduo lavoro empirico, a misurarsi con materiale cronologicamente mal disposto o dal contenuto non in sintonia con il contesto in cui si trova inserito. In particolare, quando la ricerca si colloca in epoca fascista, accade che documenti relativi a questo periodo siano di difficile consultazione, come per quanto concerne una parte del Fondo sul confino politico, o addirittura inaccessibili, come nel caso dell’Archivio Storico dell’Arma dei Carabinieri (Franzinelli).
Complicazioni ancora maggiori intervengono quando si devono consultare gli archivi dei servizi di informazione e di sicurezza, che pure possiedono un notevole interesse documentario su temi quali la sovversione, il terrorismo, lo stragismo. I legami con i governi in carica, l’essere di fatto totalmente svincolati dai controlli della magistratura inducono non solo a frequenti insubordinazioni nei confronti dell’autorità politica, ma anche ad una presunzione di immunità, che si traduce a livello documentario in silenzi, omissioni, notizie false mescolate a notizie vere, ecc. Le lacune, i vuoti cronologici fanno ragionevolmente supporre che l’eliminazione di routine del materiale di questi archivi non venga compiuta conformemente alla normativa che presiede alla distruzione delle carte d’archivio. Di qui, la necessità, da parte dei ricercatori, di particolari cautele nell’autenticare il materiale, nel verificarne la coerenza amministrativa, nel compiere un’analisi del linguaggio, delle note in margine, ecc. (Giannuli).
Le relazioni che vertono sulla produzione e uso delle fonti orali (Note metodologiche sull’uso delle fonti orali di Claudio Venza; Potere, oralità e scrittura. Divagazioni sopra un’intervista di Piero Brunello; Breve elogio della storia orale e militante di Cesare Bermani) mettono in evidenza come queste testimonianze debbano sempre essere valutate tenendo conto delle particolarità dei meccanismi psichici della comunicazione orale, delle forme e dei mutamenti della memoria culturale.
Le analisi dei racconti e interviste di anarchici mostrano le difficoltà nel distinguere gli elementi che concernono l’individualità del militante da quelli che sono espressioni di una cultura collettiva; nel cogliere dalle singole storie dati informativi su ambiti più ampi. Inoltre, chi trascrive vicende riferite oralmente è inevitabilmente coinvolto nella loro rappresentazione, sia a livello simpatetico sia a livello immaginario. In effetti, la rielaborazione delle narrazioni comporta una lettura critica che non è esente da interventi personali. Pertanto, per comprendere a fondo i meccanismi di produzione di senso propri del linguaggio degli intervistati, appare indispensabile un attento esame dei meccanismi che alimentano i discorsi dell’intervistatore. “Se una buona storiografia deve cercare rapporti con la memoria”, anche “una buona memoria deve avere rapporti con la storiografia. Memorie e storiografie rappresentano punti di vista diversi sul passato”, che devono integrarsi vicendevolmente (Bermani, p. 120).
Ne discende l’esigenza di un’adeguata preparazione dello studioso sulla storia delle sensibilità, della capacità di considerare gli atteggiamenti e i comportamenti riferiti dagli intervistati, o trascritti nei loro racconti, come un aspetto del complesso sistema di scambi culturali esistenti in un determinato ambiente sociale. Con ciò si fa riferimento anche a quei fenomeni di circolazione culturale tra gruppi, attraverso cui si costruiscono e si modificano i modelli dell’azione anarchica; ai modi di integrazione o di esclusione nell’ambito delle associazioni anarchiche. Lo studio delle forme in cui si articola o si trasmette nel tempo la memoria degli anarchici comporta un esame dei mutamenti dei modi di vedere il passato, in relazione al mutamento delle forme di esistenza individuali, di gruppo, di habitat geografico, ai processi dello sviluppo demografico, economico, culturale, linguistico, ecc. (Brunello).
Questo carattere in un certo senso sempre in fieri della storia orale, che fa della dimensione del valore della persona il polo di riferimento essenziale, viene visto particolarmente congeniale ad una prospettiva storiografica di tipo libertario volta a cogliere i modi in cui le istanze individuali si integrano con le istanze collettive, salvaguardandoli da interpretazioni standardizzate o in qualche modo precostituite. Esso sollecita gli studiosi a tentare di riprodurre il dinamismo della storia, in cui si intrecciano fatti particolari ed eventi di carattere generale – penso, per fare solo un esempio, al progressivo ampliarsi della problematica concettuale ed operativa avviato dall’intervista a Umberto Tommasini (Venza). Si può anche aggiungere che “forse la storia orale, con la sua molteplicità di riferimenti metodologici e con la sua disorganizzazione intrinseca, è facilmente correlabile con una ricostruzione storica del movimento [anarchico]” (Venza, p. 81).
Per la ricchezza degli spunti e delle osservazioni, l’interesse dei percorsi metodologici proposti, tesi ad evitare arbitrarietà e semplificazioni del giudizio storico, il libro costituisce uno strumento prezioso per la ricerca e la pratica biografica.

 Eva Civolani