È appena apparso in
libreria il volume che presenta gli atti dei seminari
organizzati dal Centro Studi Libertari – da anni
impegnato nell’opera di raccolta, catalogazione,
conservazione di documenti relativi alla storia
dell’anarchismo – sull’utilizzo degli archivi di stato e
delle fonti orali nella stesura delle biografie di
militanti anarchici. Gli incontri hanno coinciso con
l’inizio dei lavori per il Dizionario biografico
degli anarchici italiani, nell’ambito delle
università di Trieste, Milano, Teramo e Messina.
Le due aree tematiche del libro, curato da Lorenzo
Pezzica, forniscono utili spunti di riflessione su
strategie e metodologie di ricerca che consentono non
solo di ottenere un allargamento quantitativo del
patrimonio di dati biografici da un composito materiale
documentario – in cui le testimonianze e la
memorialistica dei protagonisti occupano un posto di
primo piano –, ma anche di apportare nuovi elementi di
valutazione storiografica.
Nella prima parte dell’opera, dedicata alle fonti di
polizia e di sicurezza (Note introduttive di
Giampietro N. Berti; Sull’uso (critico) delle fonti
di polizia di Mimmo Franzinelli; Il trattamento
delle fonti provenienti dai servizi di informazione e
sicurezza di Aldo Giannuli), viene sottolineata
l’incidenza del controllo statale, culturale e politico,
sulla conservazione e sulla trasmissione della memoria
nazionale. Gli informatori e relatori ufficiali
testimoniano un’innegabile abilità nel seguire e
delineare con una certa precisione atteggiamenti
ribellistici a carattere soprattutto individualistico,
nell’indicare nomi di delatori o infiltrati della
polizia, nel dare informazioni su corrispondenti di
personaggi importanti all’interno dell’ambiente
anarchico, scontri fra gruppi, fonti di finanziamento,
forme di lotta. Tuttavia, non sono, nella maggior parte
dei casi, in grado di fornire percezioni delle ragioni
profonde di quanto riferiscono, a causa dei pregiudizi
ideologici di cui sono impregnati. Infatti, “la pura
registrazione dei fatti (anche se opera di
professionisti) dice comunque poco rispetto
all’effettiva trama di azione e d’intenti che animava
veramente i protagonisti” (Berti, p. 16).
A tutto ciò va aggiunto che gli informatori tendono
spesso a seguire false piste, ovvero a tacere su fatti
di una certa importanza, rischiando così di orientare
gli studiosi verso direzioni di ricerca senza sbocco.
Molte volte, la mancanza di rigore, di uniformità, nei
criteri di distribuzione e inventariazione delle carte
d’archivio, l’intrico delle stratificazioni, delle
risistemazioni, i compositi modi di strutturazione e
trasmissione costringono i ricercatori ad un arduo
lavoro empirico, a misurarsi con materiale
cronologicamente mal disposto o dal contenuto non in
sintonia con il contesto in cui si trova inserito. In
particolare, quando la ricerca si colloca in epoca
fascista, accade che documenti relativi a questo periodo
siano di difficile consultazione, come per quanto
concerne una parte del Fondo sul confino politico, o
addirittura inaccessibili, come nel caso dell’Archivio
Storico dell’Arma dei Carabinieri (Franzinelli).
Complicazioni ancora maggiori intervengono quando si
devono consultare gli archivi dei servizi di
informazione e di sicurezza, che pure possiedono un
notevole interesse documentario su temi quali la
sovversione, il terrorismo, lo stragismo. I legami con i
governi in carica, l’essere di fatto totalmente
svincolati dai controlli della magistratura inducono non
solo a frequenti insubordinazioni nei confronti
dell’autorità politica, ma anche ad una presunzione di
immunità, che si traduce a livello documentario in
silenzi, omissioni, notizie false mescolate a notizie
vere, ecc. Le lacune, i vuoti cronologici fanno
ragionevolmente supporre che l’eliminazione di
routine del materiale di questi archivi non venga
compiuta conformemente alla normativa che presiede alla
distruzione delle carte d’archivio. Di qui, la
necessità, da parte dei ricercatori, di particolari
cautele nell’autenticare il materiale, nel verificarne
la coerenza amministrativa, nel compiere un’analisi del
linguaggio, delle note in margine, ecc. (Giannuli).
Le relazioni che vertono sulla produzione e uso delle
fonti orali (Note metodologiche sull’uso delle fonti
orali di Claudio Venza; Potere, oralità e
scrittura. Divagazioni sopra un’intervista di Piero
Brunello; Breve elogio della storia orale e militante
di Cesare Bermani) mettono in evidenza come queste
testimonianze debbano sempre essere valutate tenendo
conto delle particolarità dei meccanismi psichici della
comunicazione orale, delle forme e dei mutamenti della
memoria culturale.
Le analisi dei racconti e interviste di anarchici
mostrano le difficoltà nel distinguere gli elementi che
concernono l’individualità del militante da quelli che
sono espressioni di una cultura collettiva; nel cogliere
dalle singole storie dati informativi su ambiti più
ampi. Inoltre, chi trascrive vicende riferite oralmente
è inevitabilmente coinvolto nella loro rappresentazione,
sia a livello simpatetico sia a livello immaginario. In
effetti, la rielaborazione delle narrazioni comporta una
lettura critica che non è esente da interventi
personali. Pertanto, per comprendere a fondo i
meccanismi di produzione di senso propri del linguaggio
degli intervistati, appare indispensabile un attento
esame dei meccanismi che alimentano i discorsi
dell’intervistatore. “Se una buona storiografia deve
cercare rapporti con la memoria”, anche “una buona
memoria deve avere rapporti con la storiografia. Memorie
e storiografie rappresentano punti di vista diversi sul
passato”, che devono integrarsi vicendevolmente (Bermani,
p. 120).
Ne discende l’esigenza di un’adeguata preparazione dello
studioso sulla storia delle sensibilità, della capacità
di considerare gli atteggiamenti e i comportamenti
riferiti dagli intervistati, o trascritti nei loro
racconti, come un aspetto del complesso sistema di
scambi culturali esistenti in un determinato ambiente
sociale. Con ciò si fa riferimento anche a quei fenomeni
di circolazione culturale tra gruppi, attraverso cui si
costruiscono e si modificano i modelli dell’azione
anarchica; ai modi di integrazione o di esclusione
nell’ambito delle associazioni anarchiche. Lo studio
delle forme in cui si articola o si trasmette nel tempo
la memoria degli anarchici comporta un esame dei
mutamenti dei modi di vedere il passato, in relazione al
mutamento delle forme di esistenza individuali, di
gruppo, di habitat geografico, ai processi dello
sviluppo demografico, economico, culturale, linguistico,
ecc. (Brunello).
Questo carattere in un certo senso sempre in fieri
della storia orale, che fa della dimensione del valore
della persona il polo di riferimento essenziale, viene
visto particolarmente congeniale ad una prospettiva
storiografica di tipo libertario volta a cogliere i modi
in cui le istanze individuali si integrano con le
istanze collettive, salvaguardandoli da interpretazioni
standardizzate o in qualche modo precostituite. Esso
sollecita gli studiosi a tentare di riprodurre il
dinamismo della storia, in cui si intrecciano fatti
particolari ed eventi di carattere generale – penso, per
fare solo un esempio, al progressivo ampliarsi della
problematica concettuale ed operativa avviato
dall’intervista a Umberto Tommasini (Venza). Si può
anche aggiungere che “forse la storia orale, con la sua
molteplicità di riferimenti metodologici e con la sua
disorganizzazione intrinseca, è facilmente correlabile
con una ricostruzione storica del movimento [anarchico]”
(Venza, p. 81).
Per la ricchezza degli spunti e delle osservazioni,
l’interesse dei percorsi metodologici proposti, tesi ad
evitare arbitrarietà e semplificazioni del giudizio
storico, il libro costituisce uno strumento prezioso per
la ricerca e la pratica biografica.
Eva Civolani |
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