Il discorso dell'utopia dell'anarchia deve ripartire da
zero: azzerare la memoria storicamente borghese della genealogia del
concetto di utopia è operazione preliminare e imprescindibile per me
anarchico della fine del XX secolo. Preliminare perché sgombra il campo da
luoghi comuni, da intenzionalità politiche perverse e tacite, da false
radicalità del taglio dell'utopia sulla cancrena del dominio;
imprescindibile perché la dimensione borghese del concetto è inaccettabile
all'interno di una cassetta d'attrezzi anarchici per lo scardinamento del
reale sulla via dell'affermazione della libertà delle molteplicità
differenziate delle vite dei soggetti sociali.
Tralasciando quelle definizioni superate e poco esaurienti ma pur sempre
pesanti e presenti in una ideale bilancia dell'immaginario collettivo dei
movimenti sociali, quali utopia come impossibilità assoluta, pia speranza,
che nascondono una funzione di becero supporto all'esistente cristallizzato,
il concetto più sottile e più produttivo che si delinea è dell'ordine della
strategia: utopia diventa un movimento in divenire all'interno di una
progettualità in tensione, secondo la direzione futuro-presente; diventa
altresì un modulo di lettura di un movimento reale in atto, un parametro
informativo di una data strategia, non sempre visibile ma riconducibile a un
piano strategico che informa, per l'appunto, una dimensione reale
territorializzata nello spazio e nel tempo.
Prendendo spunto dalla ricerca politica "Sorvegliare e punire" di Foucault
che presenta una strategia del dominio, una strategia articolata,
intenzionata alla massima razionalizzazione del controllo sui corpi e sulle
menti, un modello di una progettualità politica in atto, credo di poter
schizzare il mio abbozzo "energetico" di utopia dell'anarchia; ma il limite
più grosso consiste nel pericolo di formalizzazione del concetto, che
diventerebbe una forma indifferente al contenuto, in grado di rappresentare
le più differenti strategie. La percezione di questo rischio, che
vanificherebbe la potenza attuale dell'utopia dell'anarchia, motiva pertanto
i tagli che opererò sul tipo concettuale di Foucault; spero che queste fughe
tangenziali mi sottraggano dal pericolo avvertito e mi aiutino a prospettare
alcune mie idee maturate nella mia militanza - che brutta parola! - teorica
e pratica - un po' di autoesaltazione non fa male, in tempi di cosiddetto
riflusso... - (idee queste che più che concernere i contenuti anarchici
dell'utopia o la sua articolazione strategica nelle lotte, investono l'anarchicità
dell'utopia nel suo posizionarsi esplosivo).
La potenza dell'utopia anarchica consiste nell'inattualità
della sua presenza discreta, sotterranea.
Con potenza, intendo incentrare il mio discorso sull'utopia
strappandola dagli armadi ammuffiti della storia (e dei suoi
sacerdoti-teologi-adepti), che col sorriso ironico e beffardo del realista
condannando l'utopia all'esilio dal presente, condanna l'istanza di
trasformazione qualitativa della vita.
Io credo invece che si debba riaffermare la potenza dell'utopia anarchica:
rivendicarne la potenza significa darle una veste dinamica di forza
propulsiva, soggettiva e collettiva, verso il cambiamento, diventando essa
stessa soggetto di trasformazione, modello progettuale verso cui tendere.
Questa volontà di potenza è quell'istanza rivoluzionaria di cui ciascun
compagno è portatore unico, irrappresentabile: quel desiderio di anarchia
che investe intensivamente ogni millimetro del nostro corpo e ogni
milligrammo delle nostre energie fisiche e psichiche.
Questa dislocazione è fondamentale perché rifiuta di spostare
indefinitamente nel tempo la carica di progettualità concreta di cui è
dotata e che sa articolare efficacemente nella realtà sociale attraverso la
lotta simultanea a tutti i livelli.
L'utopia non è, a mio avviso, la realtà del domani pre-figurata in un
modello, narrativo o scientifico, parametro di legittimazione di un
movimento reale da indirizzare verso il modello dato. Ricadremo nell'errore
- funzionale al dominio borghese, e oggi, tecnologico di Stato e Capitale -
di ricacciarla nel futuro dando ad essa solo una dinamica di mera influenza
esterna sull'azione del presente. Diverrebbe cioè un modulo di
legittimazione astratto, rigido di fronte alla complessità e alla
raffinatezza del dominio, cui verrebbe ad assoggettarsi nella pretesa
autoritaria di affidare al modello pre-figurato la costruzione - e la
contemporanea distruzione - di un mondo e di uno stile di vita che
appartiene soltanto ai soggetti che vivono, nell'arco della vita
individuale, e non generazionale, quel movimento di radicale
trasformazione soffertitrice dell'esistente.
La rivoluzione, e con essa l'utopia, diverrebbe modello di una strategia del
cambiamento messianico, con uno spostamento inaccettabile al futuro del
momento rivoluzionario concreto per il quale noi viviamo l'oggi.
È questo il significato della sua presenza: il rifiuto della
tridimensionarietà della sua contemporaneità. Occorre riportare l'utopia
sull'unico terreno che permette un vissuto del cambiamento contemporaneo al
vivere stesso, e quel terreno è il presente.
La strategia del dominio di tridimensionamento del tempo in passato,
presente e futuro non è senza senso. Innanzitutto viene creata una linearità
storica che passa attraverso dei tagli sulla vita realmente vissuta dei
soggetti preferendo agli eventi quotidiani i grandi eventi che esaltano le
forze e gli interessi, il cui potere d'indirizzo curva il mondo secondo una
direzione voluta.
Ma affiancare al presente la memoria storica e l'angoscia del futuro ha la
funzione specifica di sottrarre il presente a un vivere senza senso e senza
ipoteche per frantumarlo nella quotidianità consumistica. Il presente è
ipotecato da una memoria che lo ricatta mentre il futuro lo angoscia e lo
costringe a dimensionarsi attrezzandosi a stadio transitivo per la
conservazione del senso funzionale alla produzione di strategie di
asservimento dei corpi e delle menti.
Sottrarre l'utopia a ciò significa concentrarla sul presente ove essa
dispiega una forza propulsiva di cambiamento non rinviata al domani, ma
calata nell'oggi. Ma se il presente è il tempo e il luogo dell'utopia va
vigorosamente affermata la sua u-topia, la sua inattualità nel
tempo e nello spazio del reale esistente.
Nel termine inattuale è racchiusa tutta la negazione radicale, che
l'utopia porta in sé, dell'esistente: una negazione che rigetta gli aspetti
macro- e micro- della realtà data, e che si esplicita in ogni sua
determinazione. La sua inattualità la garantisce da perversi compromessi con
la realtà, dalla seduzione della sua realizzazione im-mediata attraverso il
riformismo annichilente; l'utopia trae forza da questa sua inattualità
poiché ne innesca una strategia che la porta non a verificarsi
nell'esistente, ma ad allargare il solco da esso, verificando la frattura,
il salto nel presente.
Ma l'utopia non è pura alterità, assolutamente estranea, di là da venire; è
questo lo spazio e il tempo dell'utopia borghese, eterno principio
edonistico irrealizzabile allorché viene in contatto nella sua articolazione
vanificante con il reale imbevuto di corrosivo acido muriatico.
No, l'utopia dell'anarchia è presente, è inattuale, e la sua volontà di
potenza sovvertitrice, la garantisce sia dal diventare corpo pieno
dogmatico, suscettibile di integrazione o auto/dissolvimento, sia dal
diventare pura alterità, riflesso speculare in negativo del reale del quale
condividerebbe unicamente la mortificazione dei corpi e delle menti.
L'utopia dell'anarchia non è un dogma semplicemente perché non è un modello
oggettivo; essa è unica, appartenente non a una soggettività, ma al soggetto
irripetibile, non a un soggetto ideale, secondo l'umanesimo, ma al soggetto
concretamente vivente, nelle sue sfaccettature, ambiguità, disperazioni,
lotte, desideri, amori: i soggetti nelle molteplicità differenziate dei loro
volti - alla maniera surrealista e cubista. I soggetti calati nel movimento
oggettivo di cui partecipano la potenza dell'oggettività, ad essi estranea e
mortifera, ma pur sempre, nell'assoggettamento, soggetti della vita, in
tensione di mobilità fluidica delle loro energie intellettuali e fisiche che
non si lasciano ingabbiare e irretire nelle maglie di una metaforica
ragnatela tessuta dagli stessi soggetti assoggettati.
Ma l'utopia dell'anarchia non è Alterità assoluta non solo perché è centrata
nel presente nel quale si muove con tensione scardinante, ma anche perché
l'imprescindibile carica negativa che emette deve essere declinata, nella
sua articolazione strategicamente rivoluzionaria e utopica con l'esistente,
con la carica di materiale positività affermativa che emettono i suoi
contenuti sostanziali.
La negazione è necessaria, immancabile perché nel rifiuto dell'esistente,
nell'inattualità è racchiusa tutta la lotta dell'utopia contro il reale in
favore del possibile, dei possibili che ciascuno sperimenta in piena libertà
di movimento e di pensiero socialmente caratterizzati, di
ciò-che-non-è-ancora in cui è respinto sia l'idealismo messianico che relega
la donna (perché si usa al maschile "uomo" per indicare la generalità
dell'umanità?...) a presenza passiva d'attesa, sia il determinismo
meccanicista che la consola del dolore, dei dispiaceri e della morte attuali
per la resurrezione della carne nel "comunismo? socialismo? regno di Dio?
libertà?) di domani.
Ma questa carica negativa d'utopia deve trovare in sé la potenza della sua
affermazione della vita libera - e non solo liberata -, del possibile, del
molteplice a-centrato e locale - e non de-centrato o, meglio,
de-centralizzato.
Qui mi affaccio sulla materiale sostanzialità dell'utopia anarchica, e il
discorso si complica irrimediabilmente per la capacità del dominio di
reificare, proprio anche attraverso lo scritto o la parola, un'energia di
libertà - e non solo di liberazione - che è irriducibile nella sua
estraneità al dominio ma che per affermarsi come tale deve sapersi
articolare strategicamente con il reale senza perdere la sua positività e
senza perdere o diluire la sua negatività.
Il punto indica due strade da percorrere, una sul significato dell'utopia
anarchica, e l'altra sulle strategie di lotta. Sarà occasione di prossimi
scritti e azioni, miei o di altri non ha importanza.
Fissare per iscritto un'energia mobile unica è controsenso; il guaio è che è
possibile, al prezzo di snaturarla (brutta parola: qual è la vera natura? e
la via della metafisica è di nuovo aperta...); il guaio è che il silenzio
doveroso e carico non è comunicativo: per trasmettere occorre parlare o
scrivere, tranne in casi eccezionali ma quotidiani, in cui il silenzio di
due amanti è più espressivo e completo di mille parole d'amore.
Dire che l'utopia dell'anarchia rivendica una cultura della gestualità, del
corpo, della mente, è vero ma banalizza una carica di affermazione della
libertà dei corpi e delle menti dei soggetti concreti.
Libertà: mai parola fu tanto ambigua (come retorica non c'è male, eh?...),
non solo per l'uso terroristico che se ne è fatto e se ne fa tuttora, ma per
l'indeterminabilità che la segna. Coniugare utopia, anarchia e libertà -
coniugare nella prassi e non certo a parole - è il grande capitolo che il
movimento anarchico deve scrivere nel futuro, un futuro che è oggi 27.7.1981
a partire dalla riflessione critica e autocritica della sua razionalità
teorica, dal grado di attenzione critico e autocritico dei suoi militanti,
dal grado di elasticità della sua tensione tra negatività e positività, tra
rifiuto e affermazione, tra utopia dell'anarchia e... utopia dell'anarchia