Un convegno
Su Francesco S. Merlino La figura e il pensiero
di Francesco Saverio Merlino sono una presenza sicuramente
scomoda non solo per l'anarchismo nel quale egli si riconobbe
per molti anni e che anche formalmente abbandonò in seguito alla
famosa polemica che lo contrappose all'amico di sempre
Malatesta-, ma anche per il socialismo come tale, che
soprattutto oggi, miseramente crollata l'Unione Sovietica e
tramontato il marxismo che l'aveva determinata e animata, si
trova a dover fare i conti con un mondo percorso da radicali
trasformazioni senza un pensiero veramente in grado di fungere
da griglia analitica e da riferimento propositivo.
La "scomodità" di Merlino per anarchismo e socialismo è poi resa
ancor più marcata da due questioni, fra loro diverse ma di fatto
convergenti. La prima è che egli, dopo l'abbandono
dell'anarchismo e a parte una breve adesione al Partito
Socialista, rimase sempre un "senza partito" e fino ai suoi
ultimi anni si definì "socialista libertario", una definizione
che, vista la sua indubbia consapevolezza linguistico-teorica,
lascia pochi dubbi sul senso che attribuiva alle sue
elaborazioni e proposte e alle critiche che svolgeva
all'anarchismo, al marxismo e alle democrazie liberali.
La seconda è che la relativa "riscoperta" di Merlino, cui da
qualche anno si assiste, si è intrecciata spesso a motivazioni e
preoccupazioni di carattere politico contingente, la qual cosa
ha reso ancor più problematica una valutazione veramente
distaccata del suo pensiero, indubbiamente variegato e percorso
da molteplici influenze e preoccupazioni. Fra gli studi
storico-analitici più seri ed obbiettivi, a Merlino dedicati, il
più importante è sicuramente Francesco Saverio Merlino.
Dall'anarchismo socialista al socialismo liberale di
Giampietro Berti (edito da Franco Angeli nel 1993), che proprio
nelle speculazioni del Merlino post-anarchico vede il vero
inizio e la teorizzazione più approfondita del socialismo
liberale, ma non sono mancati né studiosi che hanno inteso fare
del pensatore napoletano il teorizzatore di una forma radicale
della democrazia, né quelli che, come Gianpiero Landi e Massimo
La Torre, vedono nelle riflessioni merliniane ben più
dell'abbozzo di un "anarchismo possibile" che, senza rinunciare
alla volontà trasformatrice dell'anarchismo "classico",
abbandoni tuttavia le fumisterie teoriche, i tremendismi
linguistici e soprattutto l'"incapacità" teorico-politica che lo
hanno sempre contraddistinto e sempre più lo determinano.
Queste le coordinate che hanno orientato, come ha sottolineato
Gianpiero Landi nel discorso di apertura, il convegno La fine
del socialismo? Francesco Saverio Merlino e l'anarchia
possibile, organizzato dall'associazione Arti e pensieri
e tenutosi a Imola il 1° luglio con la partecipazione di un
nutrito nucleo di studiosi di diversissimo orientamento e di un
pubblico sempre attento.
Lo scopo che il convegno si prefiggeva, come sempre Landi ha
chiarito, stava soprattutto nel tentativo di capire cosa oggi
significhi proprio quel "socialismo libertario" che Merlino
poneva come suo riferimento e dove esso possa collocarsi oggi,
in una "geografia" politica ed ideale in cui alla fine del
marxismo ha corrisposto solo il trionfo planetario del
capitalismo, non certo una rinascita dei socialismi non marxisti
o dell'anarchismo "classico", il quale, anzi, ancora una volta
ha messo in luce come sia oggi incapace di proporre pratiche e
teorie in grado di essere alternativa realmente praticabile alle
trasformazioni in atto.
Su questo terreno, però, almeno per chi scrive, il convegno ha
dato qualche motivo di insoddisfazione, soprattutto perché sono
stati pochi i momenti in cui i nodi problematici forti, che
legano le riflessioni merliniane alle questioni del presente,
sono stati riconosciuti come tali e posti al centro della
riflessione. A determinare tale riuscita non pienamente
soddisfacente hanno sicuramente concorso sia il fatto che il
convegno è stato concentrato in un solo giorno -non per volontà
degli organizzatori, ma per necessità economiche e di
disponibilità di molti dei relatori, fra i quali sono tuttavia
mancati Luciano Pellicani e Nicola Tranfaglia- sia la
diversissima impostazione "disciplinare" delle molte, forse
troppe, relazioni presentate (quasi tutte, comunque, rivelatisi
interessanti), che non hanno portato, né probabilmente avrebbero
potuto, ad una tematizzazione convergente. A rafforzare tale
impressione ha poi sicuramente contribuito anche il fatto che
relazioni e comunicazioni dal taglio soprattutto storico siano
state inframmezzate a relazioni e comunicazioni più
dichiaratamente teoriche, così spezzando il "filo" della
riflessione che si poteva/voleva costruire.
Le relazioni eminentemente incentrate sulla ricostruzione
storico-culturale sono state quelle di Emilio Papa -che ha
parlato di Merlino avvocato dei "malfattori", come la stampa
borghese di fine Ottocento chiamava spesso anarchici e
rivoluzionari-, di Enrico Voccia -che ha messo in luce
l'importanza dell'ambiente culturale dell'illuminismo
napoletano, pieno dei fermenti suscitati dalla fallita
rivoluzione repubblicana del 1799, in cui Merlino maturò-, di
Natale Musarra -che ha illustrato la particolare attenzione
sempre riservata da Merlino alla "questione meridionale"-, e di
Gianpiero Landi, che con la sua relazione ha soprattutto reso un
omaggio ad Aldo Venturini, curatore-divulgatore dell'opera
merliniana, senza il quale Merlino sarebbe forse caduto nel
dimenticatoio, alla cui memoria il convegno era dedicato. Queste
relazioni, che certo hanno chiarito aspetti del pensiero e della
figura di Merlino, ben pochi elementi hanno però portato, almeno
dal giudizio che si è potuto trarre dall'ascolto, alle questioni
"calde" annunciate da Landi nella sua introduzione. Cosa che non
è accaduta neanche con le relazioni di Paolo Favilli, che,
uscendo un po' dal "tema", ha soprattutto dissertato sull'uso
storiografico-politico di concetti quali "ortodossia" e
"revisionismo" riferiti al marxismo, e di Bruno Bongiovanni ,
che, sostanzialmente, ha messo in discussione l'idea stessa che
potesse esistere, almeno a fine Ottocento, un "marxismo"
strutturato come tale di cui celebrare la "crisi", come Merlino
fece.
A toccare temi più direttamente politico-teorici sono invece
state sia le relazioni di Giampietro "Nico" Berti, di Massimo La
Torre, di Raimondo Cubeddu, che le comunicazioni di Pietro Adamo
e di Nadia Urbinati. L'interesse dell'intervento di Adamo, che
ha parlato della polemica che contrappose Merlino all'anarchico
statunitense Benjamin Tucker, risiede nell'aver reso evidenti le
differenze, per non dire le inconciliabilità, esistenti fra
l'anarchismo di matrice anglosassone e quello di matrice
europeo-continentale. La polemica fra Tucker e Merlino, infatti,
mette tutt'ora in luce come l'anarchismo statunitense abbia in
realtà ben poco in comune, al di là di una serie di avversari
contingenti, con la tradizione anarchica "continentale".
Infatti, mentre il primo è del tutto derivato dall'ethos
determinato dalle infinite derive della riforma protestante e
politicamente si incentra su una concezione
individualistico-atomistica della libertà, sull'accettazione
tout-court della logica del mercato e sulla convinzione che
una società libera ed egualitaria possa reggersi e costruirsi
soprattutto attorno all'interesse individuale, il secondo da
sempre mette in luce come l'"individuo" non sia pensabile se non
come contraltare della "società", la quale, a sua volta,
abbisogna, per potersi reggere con modalità il più possibile
egualitarie e libertarie, di un senso "forte" che ne costituisca
contemporaneamente presupposto e compito.
Diverso l'interesse della comunicazione di Urbinati, per la
quale non pochi sarebbero i punti di contatto fra il pensiero di
un campione del liberalismo come John Stuart Mill e quello di un
socialista come Merlino. Urbinati è partita dalla definizione di
Merlino e di Mill come "pensatori che scardinano le frontiere"
per giungere a mostrare come tanto in Mill come in Merlino il
motivo fondamentale sia quello della democrazia, intesa
non solo come sistema politico rappresentativo, ma soprattutto
come "senso" generale, un "senso" che permetterebbe la libertà e
la crescita del singolo individuo e contemporaneamente,
combattendo i monopoli economici e di potere, la cooperazione
sociale.
Con un intervento brioso e intrigante, ricchissimo di
riferimenti storico-filosofici e di spunti polemici, Berti ha
invece difeso la sua convinzione che Merlino, dopo l'abbandono
dell'anarchismo, sia approdato al socialismo liberale, che
secondo Berti è caratterizzato proprio da alcuni degli elementi
che fondano la concezione del Merlino post-anarchico: il venir
meno della visione del socialismo come di un totalmente altro
che nulla ha da spartire con la società esistente,
sostituita da una visione del socialismo come "essenza", basata
sulla libertà e sull'eguaglianza, da cui derivano infinite
"forme", parte delle quali già praticabili, o ottenibili, nella
società capitalistica; il riconoscimento che la diversità umana
non solo non è in alcun modo conciliabile/riducibile, se non a
costo del totalitarismo, ma non è neppure leggibile come
equivalenza, come accade in Bakunin, cosicché essa può solo
essere governata e armonizzata attraverso i criteri
etico-giuridici della giustizia distributiva ("ad ognuno secondo
i suoi bisogni") e retributiva ("ad ognuno secondo il suo
lavoro"); il ritenere il socialismo una questione
sostanzialmente etica che deve fare contemporaneamente i conti,
conciliandole, con l'ineludibile limitatezza delle risorse e con
l'illimitatezza dei bisogni/desideri.
Berti, in modo volutamente provocatorio, ha posto questi
problemi all'attenzione dei presenti sottolineando come essi
siano, una volta abbandonate le visioni
rivoluzionario-palingenetiche, i problemi con cui ogni
prospettiva socialista deve confrontarsi e da cui non può che
essere determinata.
Quel che Massimo La Torre ha proposto, con una relazione
pienissima di riferimenti culturali e filosofici e oltremodo
stimolante, è stata una "storia alternativa" dell' anarchia, di
cui Merlino sarebbe stato punto terminale profondamente
autoconsapevole. La Torre, con non poca vis polemica, ha cercato
infatti di mostrare come, a fianco dell'anarchismo di matrice
bakuniniana e kropotkiniana -articolato attorno a motivi, fra
loro spesso contradditori, di tipo millenaristico, romantico,
aristocratico ma anche populistico, positivistico,
meccanicistico-, ne sia sempre esistito un altro non solo meno
confuso e contradditorio, ma soprattutto chiaramente radicato
nella tradizione democratico-illuministica, di cui proprio
Merlino rappresenterebbe l'esito maturo e in grado di rispondere
alle sfide dei nostri tempi.
Sempre secondo il parere di La Torre, fra i tanti meriti di tale
anarchismo ci sarebbe quello di non aver evitato, come invece ha
fatto l'anarchismo "classico" bakunin-kropotkiniano, il problema
della politica, quindi anche il problema della rappresentanza e
del diritto. Anzi, proprio alla politica, intesa come ambito
della discussione e della decisione razionale attorno
all'infinito porsi e provvisoriamente strutturarsi del problema
del come gli esseri umani stanno insieme, tale anarchismo
attribuirebbe il ruolo centrale nella ricerca della maggior
uguaglianza e libertà possibile in ogni concreta situazione,
così articolando quella che La Torre, citando Merlino, ha
chiamato l'"anarchia possibile".
Di ampio respiro teorico, come detto, anche la relazione di
Raimondo Cubeddu, il cui sfondo ricostruttivo-speculativo è
stato quello delle teorie economico-politiche. Cubeddu ha
infatti sottolineato come uno degli aspetti più interessanti di
Merlino sia stato il suo tentativo di fondare il socialismo su
basi economico-politiche altre da quelle determinate dal
pensiero economico "classico", fondato sul valore-lavoro inteso
come fatto oggettivo, da cui derivano tanto il marxismo che il
liberismo del laissez-faire (che a loro volta portano o
al totalitarismo comunista o alla dittatura di fatto del
capitalismo). Fu proprio partendo dal rifiuto delle teorie
economiche "classiche" che Merlino riprese alcune delle teorie
della scuola marginalista austriaca, ed in particolare la
convinzione che il valore di un bene sia determinato da una
molteplicità di fattori -di cui il valore-lavoro è, in sé, parte
significativa ma non determinante- mutevoli e imprevedibili.
Secondo Cubeddu, a questo insieme di considerazioni sarebbe
dovuto sia l'abbandono merliniano della "soluzione
collettivistica", intesa come unica prospettiva veramente
socialista, che la sua accettazione del mercato come sistema di
regolamentazione dei rapporti economici.
Certo, ha sottolineato Cubeddu, l'idea di socialismo che Merlino
sempre nutrì rimane profondamente etica, quindi lontana dai
teorici dell'individualismo economico-metodologico (come De
Molinari o Spencer), ma è proprio qui che, sempre secondo
Cubeddu, sta anche la contradditorietà di Merlino. Per Cubeddu,
infatti, quel che Merlino non ha capito è che proprio perché ciò
che ha "valore" è diverso per ogni individuo, e ogni individuo
muta tale attribuzione di valore nel tempo, il socialismo come
tale (anche nella versione liberal-socialista) o è impossibile o
non può che sfociare in forme dittatoriali. Da qui Cubeddu è
partito per sostenere come solo le prospettive cosiddette "anarco-capitaliste"
di stampo giusnaturalistico, ben rappresentate da un teorico
come Murray Rothbard, siano le più adeguate per cercare di
avvicinarsi, se non ad una società giusta, almeno ad una società
il più possibile priva di coercizione.
Il dibattito, purtroppo necessariamente concentrato in tempi
molto ristretti, si è incentrato soprattutto sui temi agitati da
La Torre, Berti e Cubeddu. Fra i vari interventi va ricordato
soprattutto quello di Luciano Lanza il quale, riferendosi
soprattutto alle relazioni di Berti e La Torre, ma anche
anticipando parte di quanto sarebbe poi stato detto da Cubeddu e
Urbinati, ha contestato che Merlino possa essere visto come un
superamento, ocome un problema, della teoria anarchica. Secondo
Lanza, infatti, l'utilizzo merliniano del marginalismo economico
e la sua accettazione del mercato in funzione antimonopolistica,
così come il suo rifarsi alle teorie democratiche in chiave
anti-totalitaria, non riescono a superare le intuizioni, le
critiche, le proposte presenti, anche se spesso non chiaramente,
nelle teorie anarchiche. Tutto questo, ha concluso Lanza, non
significa che l'anarchismo non debba essere ripensato, visto che
il mondo attuale è sempre più diverso da quello in cui
l'anarchismo si è definito, semplicemente significa che in
questa opera Merlino è di scarsissima utilità.
Detto tutto questo, quale bilancio si può sommariamente trarre
da questo convegno? Indubbiamente esso, così come il recente
convegno veneziano su anarchismo ed ebraismo, ha avuto il merito
- non così frequente di questi tempi, soprattutto in ambito
libertario - di tentare una riflessione profonda e "senza rete"
attorno a nodi problematici decisivi sia per l'anarchismo
propriamente detto, sia per un socialismo che voglia essere
veramente tale, che per un libertarismo che (sia esso "anarchia
possibile" o altro) non accetti di essere ricondotto né ad un
liberismo più o meno selvaggio, né alla pura difesa/allargamento
delle libertà civili e politiche esistenti.
Proprio i nodi tematici emersi hanno infatti messo in luce,
direttamente o "in negativo", come sia ancora in grandissima
parte da pensare un pensiero libertario che riesca a fuoriuscire
dal rivoluzionarismo di matrice ottocentesca (da tempo morto
anche nella sua versione anarchica, anche se non sono pochi
coloro che ancora sembrano non essersene accorti), facendo
contemporaneamente e positivamente fronte, senza tuttavia
diventarne succube o strumento, alle questioni politiche,
istituzionali, sociali e culturali su cui la tarda modernità in
cui viviamo è incentrata o attorno a cui "gira". Quel che questo
convegno su Merlino ha ancora una volta posto come ineludibile,
insomma, è la necessità di un pensiero libertario che sappia
essere pienamente "politica" senza per questo cessare di essere
"utopia".
Franco Melandri |