Per difendere l'ordine esistente, basta talvolta sostenere che ogni
tentativo di allontanarsene porterebbe alla tirannia e al caos. La storia è
ricca di esempi che dimostrano il contrario, rivelando il carattere eterno
della rivolta, dell'aspirazione alla democrazia e alla solidarietà. Per
alcuni mesi, durante la guerra civile spagnola, alcune regioni del paese
difesero così un sistema di governo senza precedenti, che rimetteva in
discussione il potere dei possidenti, dei notabili e dei burocrati. Storici
e cineasti ci ricordano questa parentesi volta all'utopia.
di FRÉDÉRIC GOLDBRONN e FRANK MINTZ*
Nel momento in cui gli apostoli del Santo Profitto si
profumano volentieri di un alone di «Anarchiste»
(1), è
difficile immaginare la portata della rivoluzione libertaria condotta dai
lavoratori spagnoli nel 1936, nelle zone in cui sbarrarono il passo al
pronunciamiento dei generali contro la Repubblica.
«Noi anarchici non abbiamo fatto la guerra per il
piacere di difendere la repubblica borghese (...) No, se abbiamo preso le
armi, è stato per attuare la rivoluzione sociale
(2)»,
ricorda un ex miliziano della Colonna di Ferro
(3).
La collettivizzazione di ampi settori dell'industria, dei servizi e
dell'agricoltura ha costituito in effetti uno dei tratti salienti di questa
rivoluzione: una scelta radicata nella forte politicizzazione della classe
operaia, organizzata principalmente in seno alla Confederazione Nazionale
del Lavoro (Cnt, anarco-sindacalista) e in misura minore nell'Unione
Generale dei Lavoratori (Ugt, socialista).
In una Spagna che contava allora ventiquattro milioni di abitanti, il
sindacato anarchico aveva oltre un milione di iscritti, e - fatto unico
nella storia del sindacalismo - un solo funzionario a tempo pieno
remunerato. Alcuni mesi prima del colpo di stato militare del 18 luglio
1936, il Congresso di Saragozza della Cnt (maggio 1936) aveva adottato una
mozione che non lasciava dubbi sulla sua concezione dell'azione sindacale:
«Una volta conclusa la fase violenta della rivoluzione, si dichiarerà
l'abolizione della proprietà privata, dello Stato, del principio d'autorità
e di conseguenza delle classi che dividono gli uomini in sfruttatori e
sfruttati, oppressori e oppressi. Una volta socializzata la ricchezza, le
organizzazioni dei produttori, finalmente libere, si faranno carico
dell'amministrazione diretta della produzione e dei consumi
(4)».
Questo programma fu avviato dagli stessi lavoratori, senza attendere nessun
tipo di comando da parte dei loro «capi». La cronologia degli avvenimenti in
Catalogna ne offre un buon esempio. A Barcellona, il 18 luglio 1936 i
comitati direttivi della Cnt avevano lanciato l'appello allo sciopero
generale, ma senza impartire consegne per la collettivizzazione. Ma fin dal
21 luglio, i ferrovieri catalani collettivizzarono le ferrovie. Il 25 fu la
volta dei trasporti urbani - tram, metro e autobus - il 26 dell'elettricità
e il 27 delle agenzie marittime. L'industria metallurgica fu immediatamente
riconvertita alla fabbricazione di veicoli blindati e di granate per le
milizie che partivano per combattere sul fronte dell'Aragona. In breve, in
pochi giorni, il 70% delle imprese industriali e commerciali erano divenute
proprietà dei lavoratori, in questa Catalogna che concentrava da sola due
terzi delle industrie del paese
(5).
«Qualcosa per cui lottare» Nel suo celebre Omaggio alla Catalogna, George
Orwell ha descritto quest'euforia rivoluzionaria: «Barcellona offriva uno
spettacolo straordinario, al di là di ogni aspettativa. Per la prima volta
nella mia vita mi trovavo in una città dove la classe operaia aveva preso il
sopravvento. Quasi tutti gli edifici di una certa importanza erano nelle
mani dei lavoratori, e su tutti sventolavano bandiere rosse, o quelle rosse
e nere degli anarchici (...) In tutti i negozi, in tutti i bar c'erano
scritte che ne annunciavano la collettivizzazione.
Persino le cassette dei lustrascarpe erano state collettivizzate e
verniciate di rosso e nero! (...) Tutto ciò era strano, emozionante, anche
se per me rimaneva in buona parte incomprensibile, e in un certo senso anzi
non mi piaceva. Ma era espressione di una realtà che mi apparve
immediatamente come qualcosa per cui valeva la pena di lottare
(6)».
Molti stranieri hanno avvertito questo «formidabile potere d'attrazione
della rivoluzione». In Spanish Cockpit
(7),
Franz Borkenau parla di un giovane imprenditore americano che la rivoluzione
aveva praticamente rovinato e che pure si era schierato con gli anarchici,
dei quali ammirava il disprezzo per il denaro. E aveva rifiutato di partire,
perché «amava questa terra, amava questo popolo e non gli importava di aver
perduto i suoi beni, se il vecchio ordine delle cose sarebbe crollato per
lasciar sorgere una società umana più elevata, più nobile e felice».
Il movimento delle collettivizzazioni doveva coinvolgere complessivamente
tra un milione e mezzo e due milioni e mezzo di lavoratori
(8). È
difficile stabilire un dato preciso, poiché non esistono statistiche
globali, e molti archivi sono stati distrutti. Ci si può comunque basare su
cifre frammentarie pubblicate dalla stampa, in particolare sindacale, e su
numerose testimonianze di attori e osservatori del conflitto.
Nelle imprese collettivizzate veniva insediato un comitato composto da
membri eletti dai sindacati, che si sostituiva al direttore. Quest'ultimo
poteva continuare a lavorare nell'impresa, ma con lo stesso salario degli
altri dipendenti. L'attività di alcuni settori, come quello del legname, fu
unificata e riorganizzata, dalla produzione alla distribuzione, sotto
l'egida del sindacato. Nella maggior parte delle imprese con capitali esteri
(come i telefoni e alcuni grossi stabilimenti metallurgici, tessili o
agro-alimentari) il proprietario americano, britannico, francese, tedesco o
belga rimaneva ufficialmente al suo posto - per riguardo alle democrazie
occidentali - ma un comitato operaio prendeva in mano la gestione. Le banche
non furono collettivizzate, ma dovettero cedere gran parte della loro
autonomia di gestione al governo, che disponeva così di un importante mezzo
di pressione sulle collettività in difficoltà di tesoreria.
L'organizzazione dei settori socializzati ricalcava quella dei sindacati: un
comitato di fabbrica eletto dall'assemblea del lavoratori; un comitato
locale, composto dai delegati dei comitati di fabbrica della rispettiva
località; comitati di zona, comitati regionali e comitato nazionale. In caso
di contenzioso su scala locale decideva l'assemblea plenaria dei lavoratori;
se il conflitto sorgeva a un livello più elevato, il compito di dirimerlo
spettava alle assemblee dei delegati o al congresso. Ma per il suo
ascendente e la sua stessa presenza, la Cnt deteneva di fatto il potere in
Catalogna. Il funzionamento delle collettività appariva dunque molto
eterogeneo.
Nelle ferrovie catalane ad esempio, dove i dipendenti ricevevano in generale
una remunerazione annua di 5.000 pesetas, si decise di concedere al
personale tecnico, il cui lavoro si poteva considerare meno interessante, un
supplemento di 2.000 pesetas l'anno. A Lerida, nel 1938, il salario unico
era la regola nel settore edile, mentre a Barcellona un ingegnere continuava
a guadagnare dieci volte più di un manovale. Nel settore tessile, uno dei
più importanti della Catalogna, fu introdotta la settimana di 48 ore;
vennero inoltre ridotti i divari salariali tra tecnici e operai, e si abolì
il cottimo per le operaie; ma nella maggior parte dei casi la differenza
retributiva tra uomini e donne non fu messa in discussione.
Col passare dei mesi la situazione si andò degradando, nonostante gli sforzi
delle collettività per modernizzare la produzione. Nel campo economico come
negli altri, la guerra divorava la rivoluzione.
Mancavano le materie prime, gli sbocchi commerciali si restringevano sempre
più con l'avanzata territoriale dei militari insorti. Tutti gli sforzi si
concentravano sulle industrie militari, e la produzione subì un tracollo
negli altri settori, con le conseguenti ondate di disoccupazione tecnica,
penuria di beni di consumo, mancanza di valuta estera e un'inflazione
galoppante. Ma questa situazione non colpiva allo stesso modo tutte le
collettività.
Alla fine del dicembre 1936, in una dichiarazione dal tono indignato, il
sindacato del settore del legname chiedeva «una cassa comune e unica per
tutte le industrie, per arrivare a una ripartizione equa.
Non possiamo accettare che vi siano collettività povere e altre ricche
(9)». Da
un articolo del febbraio 1938 si ricava un quadro preciso di queste
disparità: «Le imprese collettivizzate pagano 120 o al massimo 140 pesetas
la settimana; in quelle rurali la media è di 70; mentre gli operai delle
industrie di guerra percepiscono 200 pesetas la settimana o anche di più
(10)».
Queste disuguaglianze dovevano persino indurre alcuni rivoluzionari a
parlare del pericolo di un «neo-capitalismo operaio
(11)».
Nell'ottobre del 1936 la Generalitat (il governo catalano) ratificò per
decreto l'esistenza delle collettività e tentò di pianificarne l'attività.
Fu decisa la nomina di «controllori» governativi delle imprese
collettivizzate. L'indebolimento politico degli anarchici portò ben presto
al ristabilimento del controllo dello stato sull'economia.
Senza che «nessun partito, nessuna organizzazione» avesse impartito una
consegna in questo senso
(12),
si costituirono anche collettività agrarie. Furono collettivizzati
soprattutto i latifondi, i cui proprietari erano fuggiti nella zona
franchista, o erano stati sommariamente giustiziati. Nell'Aragona, dove fin
dal luglio 1936 i miliziani della colonna Durruti
(13)
avevano dato impulso al movimento, furono coinvolti quasi tutti i villaggi:
la federazione delle collettività arrivò a comprendere mezzo milione circa
di contadini.
Sulla piazza del villaggio furono raccolti e bruciati gli atti di proprietà
fondiaria. I contadini consegnavano alla collettività tutto ciò che
possedevano: terre, attrezzi, animali da tiro ecc. In alcuni villaggi il
denaro fu abolito e sostituito da tagliandi. Non si trattava però di una
vera moneta, dato che con quei buoni non si potevano acquistare mezzi di
produzione ma solo beni di consumo, peraltro in quantità limitata. Il denaro
accantonato dal comitato fu utilizzato per acquistare all'estero i prodotti
mancanti che non potevano essere ottenuti con gli scambi.
Dopo una visita alla collettività di Alcora, grosso borgo di 5000 abitanti,
lo storico tedesco Kaminski, molto vicino agli anarchici, annota: «Detestano
il denaro; vogliono bandirlo con la forza e con l'anatema; [il sistema che
hanno adottato è] un ripiego, valido fintanto che il resto del mondo non
avrà seguito l'esempio di Alcora».
La denuncia di «terrore anarchico» da parte dei comunisti era
ingiustificata.
L'adesione alle collettività, considerata come un mezzo per battere il
nemico, era volontaria. Chi preferiva la formula dell'azienda familiare
poteva continuare a lavorare la propria terra, ma non sfruttare il lavoro
altrui né beneficiare dei servizi collettivi. Vi sono stati anche molti casi
di coesistenza tra le due forme di produzione, ad esempio in Catalogna,
peraltro non senza conflitti. La messa in comune delle terre serviva oltre
tutto ad evitarne il frazionamento e a favorire la modernizzazione delle
colture.
Gli operai agricoli, che pochi anni prima avevano distrutto le macchine per
protestare contro la disoccupazione e la riduzione dei salari, le usavano
volentieri per alleggerire la loro fatica. Si era sviluppato l'uso dei
fertilizzanti e l'avicoltura. Furono migliorati i sistemi di irrigazione e
le vie di comunicazione, e promosse aziende pilota.
Sotto l'egida dei sindacati, nella regione di Valencia si riorganizzò la
commercializzazione delle arance, la cui esportazione costituiva
un'apprezzabile fonte di valuta. Le chiese che non erano state date alle
fiamme furono adibite a usi civili: magazzini, sale di riunione, teatri,
ospedali
(14).
E poiché, secondo il credo anarchico, l'educazione e la cultura erano le
basi dell'emancipazione, sorsero scuole, biblioteche e club culturali anche
nei più remoti villaggi.
L'assemblea generale dei contadini eleggeva un comitato d'amministrazione, i
cui membri non ricevevano alcun vantaggio materiale. Il lavoro si svolgeva
in gruppi, senza capi, dato che questa funzione era stata soppressa. I
consigli municipali si confondevano spesso con i comitati, che costituivano
di fatto gli organi del potere locale. Generalmente la remunerazione si
percepiva come salario familiare, e nelle zone in cui il denaro era stato
abolito veniva erogata sotto forma di buoni.
Ad esempio ad Asco, in Catalogna, i membri dei collettivi ricevevano una
tessera di famiglia sul cui retro figurava un calendario per segnare via via
le date di acquisto dei viveri, che potevano essere ritirati solo una volta
al giorno nei diversi centri di approvvigionamento.
Queste tessere erano di diversi colori, per permettere anche a chi non
sapeva leggere di distinguerle facilmente. La collettività provvedeva a
remunerare insegnanti, ingegneri e medici, che curavano gratuitamente i
pazienti
(15).
Questi metodi di funzionamento non erano esenti da pesantezze e
contraddizioni.
Kaminski riferisce il caso di un giovane di Arcola, che per andare a trovare
la fidanzata nel villaggio vicino doveva chiedere al sindacato il permesso
di scambiare i suoi buoni con il denaro per pagare l'autobus.
Gli anarchici avevano una concezione ascetica della nuova società, che per
molti versi coincideva con quella puritana e maschilista della vecchia
Spagna. Da qui il paradosso del salario familiare, che costringeva «l'essere
più oppresso della Spagna, la donna, a dipendere completamente dall'uomo
(16)».
Le collettività si scontrarono non solo con le forze politiche ostili alla
rivoluzione, ma anche con quelle interne allo schieramento repubblicano.
Il partito comunista di Spagna (Pce), che nel 1936 era debole ma si era
rafforzato grazie all'aiuto sovietico, stringeva alleanze con la piccola e
media borghesia contro il fascismo, secondo la strategia raccomandata da
Mosca. Nel Levante, il ministro comunista dell'agricoltura Vicente Uribe non
esitò ad affidare la commercializzazione delle arance a un organismo rivale
del comitato sindacale, che prima della guerra era stato legato alla destra
cattolica regionalista e conservatrice.
Dopo gli scontri sanguinosi scatenati a Barcellona, nel maggio 1937, dai
comunisti e dal governo catalano, nel tentativo di impossessarsi delle
posizioni strategiche occupate dagli anarchici e dal partito operaio di
unificazione marxista (Poum, semi- trotzkista), il governo centrale annullò
il decreto sulle collettivizzazioni dell'ottobre 1936, e prese direttamente
in mano la difesa e la polizia in Catalogna.
Nell'agosto 1937, le miniere e le industrie metallurgiche passarono sotto il
controllo esclusivo dello stato. Contemporaneamente le truppe comuniste,
guidate dal generale Lister, tentarono di smantellare con il terrore le
collettività dell'Aragona. Alcune di esse, pur assediate da ogni parte,
riuscirono tuttavia a sopravvivere fino all'arrivo delle truppe franchiste.
Al momento dell'ingresso dei ministri anarchici nel governo repubblicano,
Kaminski si interrogava sul rischio che «gli ideali vengano eternamente
traditi dalla vita». Ma la vittoria del generale Franco mise bruscamente
fine a questi interrogativi. Drappeggiata di rosso e nero, la Spagna
libertaria è entrata nella storia, scampata alle delusioni di questo secolo.
Un giorno un popolo senza dio né padroni accese fuochi di gioia con i
biglietti di banca. In quest'epoca in cui il denaro è re, ci sarebbe di che
riscaldarci in molti.
Note:
* Rispettivamente regista e storico, autore de L'autogestion dans l'Espagne
révolutionnaire, La Découverte, Parigi, 1976.
(1) «Anarchiste» è l'ultima creazione di un celebre profumiere parigino.
(2) Patricio Martinez Armero, citato da Abel Paz, La Colonne de Fer,
Editions Libertad-Cnt-rp, Parigi, 1997.
(3) Questa milizia anarchica, celebre per le gesta compiute dai detenuti
che aveva liberato, ha combattuto in particolare sul fronte di Teruel.
(4) Mozioni del Congresso di Saragozza della Cnt, maggio 1936
(opuscolo),
(5) Carlos Semprun Maura, Rivoluzione e controrivoluzione in Catalogna,
Editioni Antistato, 1976.
(6) George Orwell, Omaggio alla Catalogna, Il Saggiatore, 1964.
(7) Franz Borkenau, Spanish Cockpit, Editions Champ libre, Parigi, 1979.
(8) Si veda Frank Mintz, Autogestion et anarcho-syndicalisme, Editions
Cnt, Parigi, 1999.
(9) Carlos Semprun Maura, op. cit.
(10) Articolo di Augustin Souchy in Solidaridad Obrera (giornale della
Cnt), febbraio 1938.
(11) Gaston Leval, Espagne libertaire, Editions du Cercle ed Editions de
la Tête de feuille, Parigi, 1971.
(12) Abad de Santillan, Por que perdimos la guerra, Iman, Buenos Aires,
1940.
(13) Nel 1936, al momento del colpo di stato franchista, Buenaventura
Durruti (nato nel 1896, dirigente dell'Ugt e quindi della Cnt) assume il
comando di una milizia che gioca un ruolo importante nei combattimenti a
Barcellona, poi nell'Aragona e infine sul fronte di Madrid. Qui, il 20
novembre, Durruti viene ferito mortalmente, in circostanze controverse.
(14) Secondo lo storico Burnett Bolloten «migliaia di persone
appartenenti al clero e alle classi possidenti furono massacrate», più
spesso in rappresaglia ai massacri franchisti (in La Rèvolution espagnole,
Edizioni Ruedo Iberico, Parigi, 1977).
(15) H. E. Kaminski, Quelli di Barcellona, Il Saggiatore, 1966.
(16) Ibid.
(Traduzione di P.M.)
Cineprese
sulle barricate
di Carlos Pardo*
da Le Monde Diplomatique - dicembre 2000
Nel 1995, l'uscita del film di Ken Loach Terra e libertà
(1)
precede in Francia i grandi scioperi di dicembre che mobiliteranno centinaia
di migliaia di oppositori contro il piano Juppé. Questo film, il cui
protagonista è un britannico che si arruola volontario tra le fila del
Partito operaio di unificazione marxista (Poum, leninista, anti-stalinista e
semi-trotzkista) per combattere il fascismo durante la guerra di Spagna,
diventerà, nel contesto di ribellione che regnava alla fine del 1995, il
vessillo della memoria libertaria per numerosi spettatori che hanno
dimenticato le differenze tra il Poum e la Fai (Federazione anarchica
iberica). Da allora, se prendiamo in considerazione il numero dei dibattiti
e delle pubblicazioni, un vento anarchico continua a soffiare. Più di
sessant'anni dopo l'inizio della rivoluzione spagnola, l'attualità
audiovisiva permette di riflettere su questa pagina mal conosciuta del
movimento operaio.
Per esempio, il regista Jean Louis Comolli ritorna sulla figura del famoso
anarchico spagnolo Buenaventura Durruti (1896-1936). Nel suo film
(2) si
interroga sulla rappresentazione fisica di un uomo, diventato leggeda già da
vivo, e morto a trentanove anni sul fronte di Madrid.
«Come coniugare questo lavoro impegnato con le necessità materiali di vita
di un attore?» si interroga un attore a cui è stato appena proposto di
girare uno spot pubblicitario. Abel Paz, biografo di Durruti
(3) e
consigliere storico del film, caustico, avverte la troupe: «l'attore che
farà la parte di Durruti è fregato. Prima di tutto, deve avere un volto poco
conosciuto. In secondo luogo, una volta recitata la parte di Durruti
l'attore non avrà che una prospettiva: il suicidio... Perché non avrà mai
più l'occasione di impersonare un personaggio così forte».
Buenaventura Durruti simboleggia ancora la lotta radicale per la libertà. Ma
l'immagine di quest'uomo, che ha trascorso i tre quarti delle sua esistenza
dietro le sbarre o in clandestinità, è stata deformata dai suoi nemici,
comunisti e franchisti. Il ribelle castigliano, contrario al concetto di
rivoluzionario di professione, si è adoperato per sfuggire al «culto della
personalità». Per questo motivo, Jean Louis Comolli avrebbe potuto mantenere
il titolo previsto all'inizio del progetto di film: Nosotros (Noi): l'esperieza
libertaria del 1936 non si riduceva a un solo uomo.
L'autogestione delle terre e delle fabbriche, dopo due sanguinosi fallimenti
nel 1932, è stata effettiva dal marzo 1936, cioè quattro mesi prima del
sollevamento militare franchista. In un discoso rimasto celebre, Ascaso,
compagno di Durruti, ha riassunto nei seguenti termini la simbiosi tra le
idee e la loro realizzazione pratica attraverso l'azione diretta che
costituiva il punto di forza degli anarchici spagnoli: «le più belle teorie
hanno valore soltanto se sono radicate nelle esperienze pratiche della vita
(...) Il nostro popolo è l'azione in marcia incessante. Camminando supera se
stesso. Non trattenetelo, neppure per insegnargli le teorie più belle»
(4).
Jean Louis Comolli, gli attori di Els Joglars e lo sceneggiatore, pur
sforzadosi di essere pedagoghi e ricorrendo a volte ad immagini d'archivio,
si scontrano nondimeno con i limiti della fiction, che non può ricostruire,
attraverso un film di durata standard, la complessità delle idee e degli
eventi storici.
Come capire la debolezza della Confederazione nazionale del lavoro (Cnt),
l'organizzazione anarco-sndacalista, malgrado i suoi 1.200.000 iscritti,
senza ripensare alle terribili repressioni che i governi di ogni colore le
avevano inflitto dalla fine degli anni '10? Come evocare, attraverso una
fiction, le divisioni in seno alla Cnt, che hanno portato i dirigenti, dopo
l'inizio della guerra e contro il parere di Durruti, a scegliere di
collaborare con una Repubblica socialista che aveva quasi altrettanta paura
del popolo in armi che di una vittoria dei franchisti? Come spiegare la
volontà degli stati democratici europei, e in particolare la Francia del
Fronte popolare, di non intervenire nel conflitto spagnolo, mentre Hitler e
Mussolini spalleggiavano il generale Franco dal luglio 1936? Come
rappresentare l'infiltrazione degli agenti stalinisti della Gpu all'interno
del governo repubblicano e la volontà dello «zio baffone», come veniva
chiamato Stalin in Spagna, di soffocare una rivoluzione che si stava facendo
senza il suo accordo? Malgrado questi limiti «naturali», il film resta
comunque stimolante, spesso divertente, e rianima la riflessione sulla
rivoluzione e la sua realizzazione. Attraverso alcune conversazioni
scambiate tra attori del film di Comolli, apparentemente improvvisate, viene
schizzato un panorama della politica e dell'attuale crisi di mobilitazione.
Attraverso alcune domande, la pertinenza delle idee anarchiche sembra
tornare a galla.
Diego, di Frédéric Goldbronn, realizzato con mezzi minimi, rende omaggio a
Diego Camacho che, con lo pseudonimo di Abel Paz, è uno dei maggiori
conoscitori della rivoluzione anarchica
(5).
Diego/Abel, nato nel 1921, figlio di una straccivendola «rivoluzionaria
nell'anima», rievoca la sua adolescenza barcellonese ai tempi
dell'effervescenza operaia del 1936. Quando scoppia la rivoluzione, Diego è
apprendista in fabbrica e già iscritto alla Cnt. «Una nuova società era in
marcia. Gli operai cessavano di essere schiavi e diventavano uomini liberi»,
afferma di fronte ad alcune fotografie dell'epoca. Sono ritratti dei
miliziani entusiasti e fiduciosi nell'avvenire, sicuri di stare scrivendo
una delle più belle pagine della storia del proletariato. Collettivizzazione
dei trasporti, delle fabbriche e degli alberghi, chiese incendiate, prigioni
aperte e demolite... «Eravamo artefici del nostro tempo, cosa che sembra
incomprensibile a chi non l'ha vissuto. In seguito ci è stato imposto un
altro tempo, ma io vivo ancora in quello che avevamo creato. Non ho mai più
ritrovato l'intensità del 19 luglio 1936...».
Le collettività rivoluzionarie hanno coinvolto numerosi settori industriali
(si veda l'articolo qui sopra) tra cui - caso unico, per quanto ne sappiamo
- quello dell'industria cinematografica. I sindacati dello spettacolo di
Barcellona, prima città conquistata dai rivoluzionari, seguendo il precetto
adottato al congresso della Cnt di Saragozza nel maggio 1936, si sono
impossessati della produzione degli spettacoli musicali, teatrali e
cinematografici fin dal 23 luglio.
Aboliamo la matematica! La guerra civile spagnola è il primo grande
conflitto dopo l'arrivo del cinema sonoro (1929); il cinema sarà quindi
utilizzato come strumento di propaganda politica
(6).
Poiché le infrastrutture di produzione si trovavano soprattutto a Barcellona
e a Madrid, città che rimarranno nel campo anti-franchista praticamente fino
alla fine della guerra nel 1939, nel campo repubblicano verranno girati
circa 200 film di propaganda e documentari, a fronte di una cinquantina di
titoli prodotti dai nazionalisti
(7). Tra
agosto 1936 e giugno 1937, 84 film vengono realizzati dagli
anarco-sindacalisti, la maggior parte a Barcellona.
L'avventura si complica dal maggio 1937 con la confisca della rivoluzione
spagnola da parte dei comunisti. Richard Prost, che continua il suo lavoro
di ricerca sulla memoria anarchica, ha ritrovato le tracce di alcune
fiction. Non essendo riuscito a convincere un distributore a far uscire
questi film in sala, ha deciso di diffonderli in videocassetta
(8).
Realizzate a volte nell'emergenza, queste fiction non sono tutte di buona
qualità. Una delle più curiose è senza dubbio ÁNosotros somos asi! (Noi
siamo così!), un'improbabile commedia musicale che ha come principali
protagonisti dei bambini. Il tentativo di colpo di stato militare avrebbe
avuto luogo durante la ripresa del film, realizzato da Valentin R.Gonzalez
nel 1936: tutta la troupe si sarebbe precipitata nelle strade di Barcellona
per filmare gli avvenimenti.
Alcune immagini di barricate, che interrompono la storia, sembrano
confermare quest'ipotesi. In una trentina di minuti il film illustra le
principali idee della Cnt: accesso per tutti alla scuola e alla cultura,
eguaglianza tra i sessi, borghesia cieca, classe operaia generosa.
Ricorderemo soprattutto la folle speranza condivisa da tutti i bambini, vero
elemento comico del film: la rivoluzione deve sopprimere l'insegnamento
della matematica! Guardando volentieri al cinema sovietico dell'epoca e
anticipando il neo-realismo italiano, Aurora de esperanza (Aurora di
speranza) di Antonio Sau (1937) rispecchia la situazione dei lavoratori
colpiti dalla crisi sociale. Al ritorno dalle sue prime vacanze, Juan trova
la sua fabbrica chiusa. L'umiliazione è al colmo quando la moglie trova un
posto in un grande magazzino, permettendo così alla famiglia di non essere
gettata sul lastrico. Ma Juan esplode quando scopre la natura di questo
lavoro: modella vivente per biancheria di lusso...
Decide allora di rimandare la famiglia al paese di origine, per metterla al
sicuro, bussa a tutte le porte in cerca di un lavoro, passa dal ricovero
notturno alla mensa popolare e alla fine si mette alla testa di una marcia
della fame verso la capitale. All'alba, le centinaia di manifestanti
incrociano i miliziani e si uniscono a loro nella lotta per la libertà...
Note:
(1) Il titolo del film fa riferimento ad un giornale anarchico degli
anni '30 che aveva ispirato il nome di una delle colonne libertarie durante
la guerra civile spagnola.
(2) Co-prodotto dall'unità per i documentari della Sept/Arte, Durruti,
di Jean Louis Comolli, sarà diffuso dalla rete Arte e distribuito nelle sale
cinematografiche nel 2001.
(3) Abel Paz, Durruti e la rivoluzione spagnola, Bfs.
(4) Nuestro anarquismo, pubblicato dalla Fai (Federazione anarchica
iberica) nel 1937 e ripreso da Abel Paz, op. cit.
(5) A Montpellier è stato aperto tre anni fa un Centro Ascaso-Durruti (Cad),
per far conoscere le idee libertarie, grazie al dono da parte di Abel Paz
della sua biblioteca personale, ricca di opere legate alla rivoluzione del
1936. Obbligato a lasciare i locali occupati finora, il Cad lancia una
sottoscrizione pubblica per comprarne uno nuovo: CAD, souscription achat,
CCP 4 911 50 E MON, Tel./fax: 04.67.58.83.03.
Il film Diego è edito in video dalle Editions Reflex, 21 ter, rue Voltaire,
75011 Parigi.
(6) Cfr. Emilio Sanz de Soto, «Les écrivains et la guerre d'Espagne», Le
Monde Diplomatique, aprile 1997.
(7) I rari film di fiction nazionalisti sono stati girati negli studios
dell'Ufa a Berlino. L'aiuto dato dal Terzo Reich a Franco non si limitava ai
nuovi tipi di armamento...
(8) Dobbiamo in particolare a Richard Prost Un autre futur, un
documentario sulla memoria anarco-sindacalista spagnola. Per gli altri
video, tra cui Nuestro culpable (Il nostro colpevole) di Fernando Mignoni
(1937) e Barrios bajos (Bassi-fondi) di Pedro Puche, rivolgersi ai Films du
Village, 24-26 rue des Prairies, 75020 Parigi. Tel.: 00331.44.
62.88.77.
(Traduzione di A.M.M.)