Stephen Pearl Andrews
Nato nel 1812 a Templeton, nel Massachusetts,
Andrews fu un uomo straordinariamente dotato e competente in diversi
campi.
Scrisse di problemi legali, di linguistica,
filosofia, religione, economia, ecc..
Attirato dagli esperimenti fourieristici in
america, Andrews studiò in maniera approfondita la dottrina del grande
socialista francese.
Nel corso di questi studi la sua attenzione si
indirizzò per la prima volta verso la questione sociale.
Nel 1850, Andrews incontrò per la prima volta
Josiah Warren e nel corso di una lunga conversazione venne conquistato dalle sue
idee libertarie;
“Nel 1833, Warren fondava a Cincinnati un
settimanale di quattro pagine, ‘the peaceful revolutionist’ ( il rivoluzionario
pacifico ), che scriveva, componeva e stampava da sè con un torchio di sua
invenzione.Il foglio ebbe vita breve, ma fu il primo giornale anarchico mai
apparso dovunque.L’anarchismo in America non è dunque un prodotto straniero, ma
un idea che in questo paese s’era già guadagnato seguaci ed interpreti prima che
Proudhon pubblicasse, nel 1840, la sua opera che cos’è la
proprietà.”
Da allora in poi fu infaticabilmente attivo in
questo movimento e si sforzò di esprimere il pensiero di Warren in una filosofia
sociale complessiva, ampliata dalla sua ricchezza conoscitiva.
Ciò che più attraeva Andrews nella dottrina
di Warren era l’idea della sovranità dell’individuo, che per lui rappresentava
l’ultimo anello di una lunga catena di pensiero, che aveva avuto inizio con il
protestantesimo e che attraverso le dottrine della democrazia politica e del
socialismo portava alla completa libertà del genere umano.
Nel 1851 , Andews tenne una serie di conferenze
sociologiche a New York, stampate poco dopo con il titolo di “the costitution of
government in the sovereignty of the individual ( la costituzione del governo
nella sovranità dell’individuo ) e cost the limit of price ( il costo limite del
prezzo ), che successivamente vennero pubblicate insieme in the science of
society ( la scienza della società ).
Come Warren, Andrews vedeva nella
svariata molteplicità dell’esistente la legge essenziale della natura, che si
manifesta tanto nei piccoli quanto nei più grandi fenomeni della
vita.
Ogni governo, nel senso moderno del termine, è
fondamentalmente una negazione di questa grande legge, perché cerca di
perpetuare quanto è in perenne movimento.
Con la pretesa di mantenere l’equilibrio della
società, lo stato distrugge continuamente questo equilibrio interno delle
relazioni sociali, provocando così le guerre ed uno stato d’agitazione
perpetua.
Ne deriva un eterno scontento che cresce nella
misura in cui il popolo si rende conto degli inevitabili risultati della
protezione statale, ed il logico risultato è l’insanabile conflitto tra reazione
e rivoluzione.
Il desiderio conscio od inconscio dell’uomo di
vivere la propria vita lo spingerà sempre a resistere alle pressioni che gli
vengono imposte dall’esterno ed a rompere i ceppi con cui si vuole intralciare
il suo naturale sviluppo.
E’ questa la ragione per qui nessuna forma statale
può durare indefinitivamente e per cui vanno fatte concessioni sempre maggiori
alle necessità degli uomini.
La sovranità della personalità umana è quindi il
miglior fondamento per una società basata sulla giustizia.
Non si raggiunge la libertà sottomettendo tutti
agli stessi obblighi, ma assicurando ad ognuno la possibilità di conseguire la
felicità e l’appagamento a modo proprio.
Non l’uguaglianza degli uomini ma l’uguaglianza
delle condizioni sociali nelle quali vivono crea la vera unità
morale.
Tutti i principi etici religiosi, tutti i diritti
che la costituzione dello stato garantisce ai cittadini perdono il loro
significato fintantoché gli uomini sono costretti a vivere in una condizione che
attribuisce ad alcuni la prerogativa di determinare il destino di
altri.
In una tale condizione, la migliore concezione
etica si trasforma nel suo contrario.
Nei confronti del proprio padrone, anche se viene
trattato bene, lo schiavo prova poca o nulla gratitudine perché conosce la
fondamentale ingiustizia che presiede al reciproco rapporto.
Si rende conto che il suo padrone gli deve più di
quanto paternalisticamente gli concede.
Il problema non è, quindi, di modificare
l’individualità dell’uomo, ma di creare delle condizioni sociali che pongano su
una base corretta le relazioni tra gli uomini, economiche e non, e che
consentano ad ognuno di organizzare la propria vita in ogni
dettaglio.
Solo se consideriamo l’economia politica come parte
di una più complessiva filosofia sociale, che includa al suo interno non solo le
condizioni della produzione, ma anche un’equa distribuzione dei prodotti del
lavoro, essa potrà acquistare il suo reale significato, giacchè etica ed
economia devono procedere di pari passo.
Un ordine economico che non si basi su dei principi
etici può solo a detrimento dell’umanità.
L’essenza della giustizia consiste nel fatto che un
uomo non possa, sotto alcun pretesto, ricavare dal lavoro di un altro uomo più
di quanto non dia in cambio con il proprio lavoro.
Ne deriva che ogni uomo ha diritto a tutto il
frutto del proprio lavoro e che il prezzo di ogni bene prodotto non va fissato
in base al cosiddetto valore, ma in base al costo necessario
produrlo.
Secondo Andrews, come anche secondo Warren, la
causa specifica dell’ingiustizia economica non si basa sull’esistenza del
sistema salariale, ma sull’ingiusto compenso del lavoratore.
Se il lavoratore ottenesse una paga giusta per il
tempo e le difficoltà connesse al frutto del suo lavoro e se non fosse costretto
a rinunziare, a favore di un altro, ad una
porzione di questo frutto della propria fatica, la relazione sarebbe in questo
caso corretta, sempre che ad ognuno si offrano le stesse condizioni per
l’esercizio della propria attività economica.
Non è il salario in se stesso che determina
l’ingiustizia, ma l’ingiusto compenso ricevuto dal produttore, che lo priva di
una parte del prodotto del suo lavoro.
Va, tuttavia ricordato che Andrews non considerava
il diritto del lavoratore all’intero prodotto del suo lavoro come l’ultima
parola del progresso sociale.
A questo riguardo, rimase sempre un filosofo
evoluzionista che credeva realmente nella continua trasformazione delle
istituzioni sociali verso forme più alte.
Benjamin Tucker e molte altre persone della sua
tendenza fecero del diritto all’intero prodotto del proprio lavoro la pietra
angolare dell’anarchismo, negando ad ogni movimento libertario che deviasse da
questo principio il diritto a tale nome.
Andrews, da parte sua, non assunse mai un
atteggiamento simile, dimostrando ancora una volta la sua totale tolleranza e la
sua apertura mentale.
Non rifiutò il comunismo, in quanto forma
socio-economica, in lina di principio, ma fu contrario ai metodi di molto
comunisti della sua epoca, che credevano di poter raggiungere il proprio
obbiettivo tutto d’un colpo, mentre, a suo avviso, era possibile
solo un processo molto graduale.
Era convinto che un comunismo pratico e moderato si
sarebbe sviluppato non appena l’uomo avesse modificato il suo atteggiamento
rigido nei confronti della proprietà ed una spinta in tale senso sarebbe stata
certamente determinata dal progresso della scienza e della tecnica.
(...)
FONTE: RUDOLF ROCKER
- I PIONERI DELLA LIBERTA’ ED.
ANTISTATO