Bolscevismo ed Anarchismo

di

Rudolf Rocker

 

 

 

 

INTRODUZIONE (*)[1]

 

 

“La teoria è per sua natura intransigente e la sua purezza, la sua etica, la sua incontaminazione e la sua forza sono determinate e garantite da questa intransigenza. Per questo motivo ogni ibrido ideologico è immorale, quindi impensabi­le.     Nella pratica è altrettanto pericoloso, ma qualche volta può essere necessario, costruttivo, specialmente quando persegue un obiettivo limi­tato, momentaneo e facile da definire”.

                                                                                                Michele Bakunin (1870)

 

 

All’indomani del suo ritorno dalla Svizzera, il 4 aprile 1917, Lenin espose il suo programma in occasione di una riunione comune del partito operaio socialdemocratico di Russia (menscevico e bolscevico) tenuta a Pietrogrado. La sostanza di questo programma era: nessun sostegno alla Repubblica del febbraio 1917 e sua sostituzione con una Repubblica operaia e contadina; abolizione dell’esercito ed armamento generale del popolo.

Egli dichiarava quanto segue: “Ciò che vi è di originale nella situazione attuale in Russia, è il passaggio dalla prima tappa della rivoluzione, che ha dato il potere alla borghe­sia a causa del grado insufficiente di coscienza e di orga­nizzazione del proletariato, alla sua seconda tappa, che deve dare il potere al proletariato e agli strati poveri dei contadini (...)

Questa situazione originale esige che noi sappiamo adat­tarci alle condizioni speciali del lavoro del partito in seno alla innumerevole massa proletaria che sta per svegliarsi alla vita politica.

Nessun sostegno al governo provvisorio; dimostrare il carattere completamente menzognero di tutte le sue pro­messe (...). Smascherarlo, invece di “esigere” (...) che que­sto governo, governo di capitalisti, cessi di essere imperia-lista (...). Spiegare alle masse che i Soviet dei deputati ope­rai sono la sola forma possibile di governo rivoluzionario (...). Finché saremo in minoranza, ci dedicheremo a critica­re ed a spiegare gli errori commessi, affermando la necessi­tà del passaggio di tutto il potere ai Soviet dei deputati operai (...).

Non una repubblica parlamentare ritornare ad essa dopo i Soviet dei deputati operai sarebbe un passo indie­tro ma una repubblica dei Soviet di deputati operai, salariati agricoli e contadini di tutto il paese, dalla base alla sommItt7

Soppressione della polizia, dell‘esercito e del corpo dei funzionari.

Il trattamento dei funzionari, eletti e revocabili in ogni momento, non deve superare il salario medio di un buon operaio (...).

Confisca di tutte le terre nel paese e loro messa a dispo­sizione dei Soviet locali di deputati dei salariati agricoli e dei contadini. Formazione di Soviet dei deputati dei conta­dini poveri (...).

Il nostro compito immediato non è quello di “introdur­re” il socialismo, ma unicamente di passare subito al con­trollo della produzione sociale e della ripartizione dei pro­dotti per mezzo dei Soviet dei deputati operai”

Questo discorso, pubblicato e commentato da Lenin il 7 aprile nella “Pravda” e conosciuto in seguito sotto il nome di Tesi d’Aprile, fece una impressione sconcertante sul suo uditorio  sui menscevichi non mèno che sui partigiani dello stesso Lenin. Un vecchio socialdemocratico, J.

P.Goldenberg, già membro della frazione bolscevica, ri­fiutò l’argomentazione di Lenin giudicandola completa­mente irreale e contraria alle opinioni sostenute fino a quel giorno dai marxisti russi per quanto riguardava lo sviluppo del socialismo in Russia. Goldenberg dichiarava: “Lenin pone la sua candidatura per un trono in Europa, vuoto da trenta anni (sic): il trono di Bakunin. Nei termini nuovi di Lenin si percepisce un’altra epoca, le verità superate del­l‘anarchismo primitivo oggi abbandonato” [2].

In seguito, questo tema doveva essere ripreso con nu­merose varianti nel corso della lotta dei socialdemocratici contro i bolscevichi, ed il sociologo tedesco Heinrich Cunow poteva scrivere: “La teoria del bolscevismo o più esattamente quella del leninismo non è altro che una ricaduta nel bakuninismo” [3]. In effetti, se si consi­dera la teoria e la pratica del leninismo come derivante dal bakuninismo, si può allora fare appello all’autorità di Marx per dimostrare che Lenin si riferiva a torto alla sua dottrina e che Marx aveva, avant lettre, condannato il leninismo e nello stesso tempo il bakuninismo.

In questo senso, due scritti marxisti bene conosciuti sono stati pubblicati di nuovo: l’opuscolo dell’Alleanza del 1873 ed il libello di Engels Die Bakunisten an der Arbeit del 1874 [4]. Il primo opuscolo, pubblicato all’epo­ca in tedesco sotto il titolo sensazionale di Ein Compiott gegen die Internationale Arbeiter-Assoziation, fu ristampato nel 1920 sotto il titolo non meno sensazionale di Karl Marx o Bakunin? Democrazia o dittatura? Un pam­phlet contro i precursori del bolscevismo [5]. Nell’intro­duzione, l’editore e storico socialdemocratico Wilhelm Blos scrive che si scopre facilmente in questo documento sia tutto il bolscevismo contemporaneo sia lo stile di Marx (benché questo scritto anti-bakuninista sia stato redatto quasi interamente da Engels e da Lafargue). La ristampa dell’opuscolo di Engels — raccolta di articoli apparsi nel “Volksstaat” del 1873 — fu raccomandata da Karl Kautsky in ragione della sua notevole intuizione circa il futuro del bolscevismo.

Oggi queste citazioni possono sembrare bizzarre. Nondi­meno noi esamineremo in questa relazione i rapporti tra bolscevismo ed anarchismo e vedremo ciò che valgono queste citazioni tanto in teoria quanto in pratica.

Per bolscevismo noi intendiamo la teoria marxista nella sua interpretazione e nel suo sviluppo leninisti e l’azione che ne è risultata. Nel contesto di questa relazione ci at­terremo alla storia della teoria e della pratica del bolscevi­smo leninista degli anni 1917-1924.

Dopo la formazione, nel 1903, delle frazioni menscevica e bolscevica in seno al partito operaio socialdemocratico di Russia, sorsero, nel 1912, due partiti distinti, che peral­tro restarono entrambi affiliai alla Seconda Internaziona­le. Malgrado l’opposizione manifestata all’inizio del 1917 dalla maggior parte dei seguaci di Lenin l’ex frazione bol­scevica non tardò a diventare il vero partito di Lenin, e al   VII    Congresso del partito operaio socialdemocratico di Russia (bolscevico) tenuto nel marzo 1918, quest’ultimo prese il nome di partito comunista.

La teoria di Lenin fu in parte determinata dagli avveni­menti storici dal febbraio all’ottobre e non si può sepa­rarla dalla sua tattica dell’epoca il cui scopo finale era la presa del potere. D’altra parte, conviene ricordare che quindici anni prima, nel suo opuscolo Che fare? Dedicato alle questioni scottanti del movimento socialdemocratico in Russia, Lenin aveva formulato già delle concezioni poco conformi, mi pare, a quelle di Marx sul carattere del partito rivoluzionario e sui rapporti con le masse. In que­sto scritto del 1902, Lenin sosteneva che lo sviluppo spon­taneo del movimento  operaio finiva col subordinarlo alla ideologia borghese, e che gli operai non potevano pervenire alla coscienza socialdemocratica che dopo molto tempo e solo se essa proveniva loro dal di fuori “La Storia di tutti i

)Paesi attesta che, con la sua sola forza, la classe operaia non può che arrivare alla coscienza tradeunionista (..)“. Questo perché il compito della socialdemocrazia è di com­battere la spontaneità e l’economismo. “La coscienza politica di classe può essere portata all’operaio solo dall‘ester­no, cioè dall’esterno della lotta economica, dall’esterno della sfera dei rapporti tra operai e padroni

Fin dal 1902 Lenin insisteva sulla creazione di un partito d’avanguardia: “Noi dobbiamo assumerci il compito di organizzare una ampia lotta politica sotto la direzione del nostro partito (...). Noi dobbiamo trasformare i militanti socialdemocratici in capi politici che sappiano dirigere tutte le manifestazioni di questa lotta dai molteplici aspet­ti, che sappiano, al momento utile, dettare un programma di azione positiva agli studenti in effervescenza, agli zemsky scontenti, ai settori indignati, agli insegnanti danneggiati nei loro interessi, etc. Questa organizzazione di rivolu­zionari dovrà comprendere prima di tutto e soprattutto degli uomini la cui professione è l’azione rivoluzionaria; essa non deve essere molto estesa, ma invece deve essere la più clandestina possibile. Fin da questo momento, ve­niva creato il partito clandestino dei rivoluzionari professio­nali con lo scopo di dirigere il proletariato e di conquistare il potere politico in suo nome”[6].

Non è il caso di approfondire fino a quale punto questa teoria e questa azione del partito concordano con la con­cezione del processo dialettico che, nelle teorie di Marx, conduce alla dittatura del proletariato; del resto, in Marx, il ruolo del “partito” in questo sviluppo resta assai vago. Ci sembra che questa teoria di Lenin è più vicina alla con­cezione del blanquista russo Tkachev, le cui concezioni furono criticate all’epoca da Friedrich Engels (che lo rite­neva peraltro completamente a torto un bakuninista).

Gli stessi bolscevichi, del resto, non hanno mai conte­stato che si dovevano piuttosto paragonare ai blanquisti anziché ai bakuninisti, i quali ultimi, come ha affermato

Trotsky, non comprendevano l’importanza del potere poli­tico rivoluzionario [7]. Come lui, il comunista francese Marcel Cachin ha scritto che la teoria dell’insurrezione e della dittatura sono state improntate alle concezioni blan­quiste e giacobine [8]. In ogni modo, è evidente che ciò non ha nulla a vedere col bakuninismo e non si può vera­mente considerare ‘il leninismo come una sintesi del mar­xismo e del bakuninismo, come fanno talvolta alcuni rivo­luzionari. La differenza tra i fini anarchici e quelli bolsce­vici non era solamente evidente fin dall’inizio, ma era anche chiaramente sottolineata da Lenin.

Nel suo discorso del maggio 1917 sulla questione agraria, Lenin dichiarava: “Se sentiamo delle voci elevarsi contro i bolscevichi, se vediamo i grandi capitalisti attaccarli, af­fermando che noi siamo degli anarchici, noi respingiamo queste affermazioni con la più grande energia e conside­riamo questi attacchi come scientemente menzogneri e calunniosi. Si definiscono  anarchici coloro che negano la necessità del potere, dello Stato; ora, noi diciamo che que­sto potere e assolutamente indispensabile non solamente alla Russia, in questo momento, ma ancora ad ogni paese che passerà direttamente al socialismo. E’ assolutamente necessario il potere più solido” [9].

Per farsi una idea delle vere concezioni di Lenin, è ne­cessario studiare i suoi discorsi e i suoi scritti dei mesi che precedettero la rivoluzione di Ottobre, discorsi e scritti che, a loro volta, influirono sugli avvenimenti. Tutti questi documenti riguardano la tattica del partito rispetto ai Soviet, allo Stato borghese ed alla dittatura del proletariato.

5e Lenin ha scritto Lo stato e la Rivoluzione prima del­la rivoluzione di Ottobre e lo ha pubblicato nel novembre 1917, ciò fece non solamente per portare un contributo storico all’‘interpretazione della dottrina marxista dello Stato, ma certamente anche per dare un fondamento teo­rico alla sua tattica. In Stato’ e Rivoluzione, Lenin pretende di avere ripreso la “vera” dottrina di Marx sullo Stato “falsificata e dimenticata” dagli opportunisti e dai riformatori:

In primo luogo la teoria del “deperimento” dello Stato, in secondo luogo, il periodo di transizione tra la società Ca­pitalista e la società socialista. Secondo Lenin, Marx pen­sava che non è lo Stato borghese che deve realizzare la socializzazione dei mezzi di produzione, ma lo Stato “pro­letario” che nasce dopo la distruzione dello Stato borghe­se e la istituzione della dittatura del proletariato. Questa interpretazione, Lenin l’attinse principalmente nella Guerra Civile in Francia, — l’indirizzo del “Consiglio Generale” della Prima Internazionale sulla Comune di Parigi — scrit­ta da Marx nel maggio 1871.

L’interpretazione che Lenin dà della Guerra Civile do­veva quindi servire a provare che l’insegnamento “auten­tico” di Marx consiste in questo: 1) - Lo Stato borghese deve essere abolito: 2) - Bisogna creare un nuovo apparato di Stato centralizzato; questo Stato proletario deperisce e scompare . Tali sono le fasi principali del ruolo dello Stato nell’interpretazione leninista del marxismo, ed i tre elementi essenziali della dottrina statalista del marxismo leninista.

Questa interpretazione della Guerra Civile non soltanto è strana, ma, stante alla teoria di Lenin, ogni suo riferimen­to alla detta opera è impossibile ed inadeguato, e ciò per ciascuno dei tre elementi della sua dottrina statalista Che la teoria dello Stato di Lenin sia o non sia un insegnamento marxista che egli stesso ha ricreato, non si vede come la Guerra Civile potrebbe essere utilizzata a questo fine; essa resta un corpo estraneo nella dottrina leninista dello Stato “proletario”, allo stesso modo come resta un corpo estra­neo nel “socialismo scientifico” di Marx e di Engels. Que­sto fatto non potrebbe essere infirmato da un gioco di prestidigitazione che non ha nulla di serio.

Citiamo ancora la testimonianza di un marxista che non era un “social-sciovinista”; voglio parlare di Franz Mehring, il quale, a proposito della Guerra Civile, così scriveva:

“Malgrado lo spirito che animava queste affermazioni nei particolari, esse erano in qualche modo in contraddizione con le concezioni che Marx ed Engels difendevano da un quarto di secolo e che essi stessi avevano già formulato nel Manifesto Comunista. Secondo queste concezioni, la dissoluzione dell’organizzazione politica, designata col no­me di Stato, era certamente una delle conseguenze ultime della futura rivoluzione proletaria, ma questa dissoluzione doveva essere progressiva (...). Marx ed Engels sostenevano nello stesso tempo che per raggiungere il tale o il talaltro obiettivo più importante ancora della rivoluzione sociale a venire, la classe operaia doveva dapprima impadronirsi della potenza organizzata dello Stato (...). Questa idea espressa nel Manifesto Comunista non corrisponde agli elogi che l’indirizzo del Consiglio Generale faceva della Comune di Parigi che aveva cominciato col calpestare lo Stato parassita” [10].

Questa critica del biografo di Marx dimostra una volta di più che non è possibile riallacciare queste affermazioni antistatalistiche di Marx e di Engels a proposito della Co­mune di Parigi con i loro altri scritti che parlano di un deperimento dello Stato.

E’ una ironia della storia che nel momento stesso in cui la lotta delle due tendenze, quella autoritaria e quella an­tiautoritaria, giungeva al suo apogeo in seno alla Prima In­ternazionale, Marx, sotto l’effetto della formidabile im­pressione prodotta da] sollevamento rivoluzionario del proletariato parigino, abbia ripreso per conto suo le idee di questa rivoluzione, diametralmente opposte a quelle che egli aveva sempre difeso, in modo che si potrebbe quasi ritenerle come una difesa della tendenza “antiautoritaria” che, nell’Internazionale, egli combatteva ferocemente nella persona di Bakunin. E’ certo che il brillantissimo Indirizzo del Consiglio Generale a proposito della Comune non si inserisce nel contesto del “socialismo scientifico”, in quanto sistema. La Guerra Civile è sostanzialmente non marxista. La Comune di Parigi non aveva niente in comune col socialismo di Stato di Marx; essa era invece ben più conforme alle idee di Proudhon e alle teorie federalistiche di Bakunin. Il principio essenziale della Comune era —-e Marx stesso lo ammette — che il centralismo politico dello Stato doveva essere rimpiazzato dall’autogoverno dei produttori, dalla federazione delle comuni autonome alle quali sarebbe affidata l’iniziativa fino ad allora devolu­ta allo Stato. La Guerra Civile è in contraddizione assoluta con gli altri scritti di Marx nei quali si parla del “deperi­mento dello Stato”. La Comune di Parigi non ha accen­trato i mezzi di produzione nelle mani dello Stato. L’obiet­tivo della Comune di Parigi, “questa negazione ormai sto­rica dello Stato” — come scrisse Bakunin — non fu quello di lasciare lo Stato “deperire”, ma di abolirlo immediata­mente. L’abolizione dello Stato non era più il risultato finale e ineluttabile di un processo storico dialettico, di una fase superiore della società, essa stessa determinata da una forma di produzione superiore. La Comune dì Parigi soppresse lo Stato senza realizzare una sola delle condizioni definite anteriormente da Marx come preludio alla sua soppressione. La disfatta inflitta allo Stato bor­ghese dalla Comune di Parigi non era diretta ad installare un altro Stato al suo posto. Il suo scopo non era quello di fondare una nuova macchina statale, ma di sostituire 16 Stato con una organizzazione della società su basi eco­nomiche e federalistiche.

L’abolizione dello Stato consisteva precisamente in que­sta sostituzione. Questo non era solamente uno scopo, ma anche un mezzo. E ciò perché non si trattò mai, per quanto concerne la Comune, della necessità di un “appa­rato oppressivo”specialmente concepito per la lotta contro la borghesia. L’annientamento del potere della borghesia tendeva a strappare ad essa tutte le leve essenziali del potere e, di conseguenza, ad annientare il suo apparato di Stato politico, militare, giuridico e burocratico. Peraltro, la difesa della nuova società esigeva che tutte le misure fossero prese per rendere impossibile la costituzione di un nuovo apparato di Stato burocratico, di un nuovo “appa­rato oppressivo”. Engels lo aveva compreso benissimo, quando nella sua Prefazione alla Guerra Civile scriveva che la Comune aveva fin dal primo momento preso coscien­za del fatto che essa non poteva sostenersi col vecchio apparato di Stato e che essa doveva adottare immediata­mente due misure se non voleva perdere il potere: abolire l’antico apparato oppressivo utilizzato fino ad allora con­tro la Comune; assicurarsi della lealtà dei suoi stessi de­putati e funzionari dichiarandoli revocabili ad ogni istante [11]. Lenin vuole la distruzione dello Stato borghese; per la Comune, si tratta dell’annientamento dello Stato bor­ghese.

La dottrina secondo la quale il socialismo deve essere realizzato per mezzo di una statalizzazione dei mezzi di produzione, essa stessa subordinata alla conquista del po­tere politico, è marxista — e non bakuninista —. Questa conquista del potere politico, deve farsi annientando o non il “vecchio” apparato dello Stato? Questa dominazione po­litica deve essere stabilita nel quadro del governo demo­cratico dello Stato borghese o deve semplicemente risul­tare dalla funzione di uno Stato “proletario”? Deve esse­re conquistata per via parlamentare o per via insurreziona­le con metodi “blanquisti”? Se queste domande sono im­portanti per rilevare la correlazione tra il marxismo ed il leninismo, per interpretare e “ricostituire” la dottrina di Marx, per definire la filiazione tra la socialdemocrazia e il bolscevismo, esse però sono senza interesse per stabilire il rapporto fra bakuninismo (l’anarchismo ed il sindacalismo) e il marxismo giacché la concezione che lega tra loro tutte quelle teorie, è la necessità di uno strumento statale, della conquista del potere politico come conditio sine qua non della realizzazione del socialismo. Ed è appunto questa concezione del ruolo dello Stato che costituisce la diffe­renza fondamentale tra il marxismo ed il “bakuninismo” E’ su questo punto che si separano, molto prima dell’appa­rizione del bolscevismo, le due vie divergenti che portano alla realizzazione del socialismo. E’ questo il punto di par­tenza di tutte le discordanze tra le due tendenze nella teo­ria e nell’azione. E’ questa la linea di demarcazione tra il socialismo autoritario e il socialismo libertario, ed anche tra i movimenti che si ispirano all’uno e all’altro.

Il leninismo concorda, è vero, col marxismo ortodossoe ciò in assoluta contraddizione col revisionismo — nel­l’affermare che lo Stato “deperisce” quando ha socializza­to la produzione, giacché, anche per Lenin, il socialismo è una società senza classi. E lo Stato essendo l’espressione di una società di classi, esso deve sparire con l’abolizione di quelle. “Il proletariato ha bisogno di uno Stato solo per un certo periodo di tempo. Noi non siamo affatto in disaccordo con gli anarchici riguardo all’abolizione dello Stato, come fine” [12].

Ma perché sia possibile questa società senza Stato, bi­sogna innanzitutto creare un nuovo Stato affinché i mezzi della potenza statale possano essere utilizzati contro gli sfruttatori. Per raggiungere l’abolizione delle classi, la classe “oppressa” deve esercitare una “dittatura provvi­soria”. (Il proletariato ha bisogno dello Stato — tutti gli opportunisti, i socialsciovinisti ed i Kautskisti lo ripetono assicurando che tale è la dottrina di Marx, ma essi “dimen­ticano” d’aggiungere, in primo luogo, che, secondo Marx, al proletariato occorre solo uno Stato in via d’estinzione, cioè costituito in tal modo che cominci immediatamente ad estinguersi e non possa non estinguersi. In secondo luo­go, che i lavoratori hanno bisogno di uno “Stato” che sia “il proletariato organizzato in classe dominante” [13] ».

L’obiettivo dei bolscevichi è sempre stato quello di con­quistare il potere politico di Stato. E’ verosimile che Lenin abbia voluto sottolineare gli “obiettivi ultimi” degli anar­chici per riguardo a quanti tra questi ultimi avevano svolto un ruolo importante ed attivo nella rivoluzione. E’ certo che l’affermazione che si trattava solo di un periodo tran­sitorio ha indotto qualche anarchico (conquistato dalla di­chiarazione secondo la quale questo stato del periodo tran­sitorio era destinato a “deperire”) a cooperare con i bol­scevichi. Molti di essi si adattarono anche alla famosa “dittatura del proletariato”, poiché si trattava apparente­mente di un periodo di transizione che “nell’interesse della rivoluzione”, non poteva essere evitato. Non si voleva o non si poteva comprendere che l’idea, secondo la quale la dittatura era uno stadio transitorio inevitabile e necessario, era quella che dissimulava il più grande pericolo.

Se la pratica revisionista, riformista della socialdemocra­zia, l’ha indotta ad abbandonare, anche in teoria, l’aboli­zione dello Stato ed a considerare la società senza Stato —cioè, secondo Marx, la società socialista — come un’utopia astratta, la pratica bolscevica prova quanto ad essa che lo Stato bolscevico e proletario ha tanta poca tendenza a deperire quanto lo Stato democratico socialdemocratico. Cinquanta anni di “periodo transitorio” sono largamente sufficienti per dimostrare che la dittatura significa la morte della rivoluzione. Questi cinquanta anni hanno conferma­to le parole di Bakunin: quando, in nome della rivoluzione, si vuole creare uno Stato, fosse pure uno Stato provvisorio, si produce la reazione. La creazione di uno “Stato prole­tario” ha provato, inoltre, che è impossibile anche distrug­gere “l’antico apparato di Stato”, poiché si è allora co­stretti a recuperare od a restaurare gli elementi essenziali dell’antico Stato.

Parallelamente alla falsa interpretazione leninista della Guerra Civile in Francia, l’atteggiamento verso i Soviet restava ambiguo in tutti gli scritti di Lenin del 1917. L’essenziale si trova in queste righe tratte dalle Lettere da lontano: “Gli operai hanno compreso, grazie al loro istinto di classe, che in periodo di rivoluzione occorre loro

un ‘or­ganizzazione del tutto differente, diversa da un ‘organizza­zione ordinaria; essi si sono impegnati a giusta ragione nella via indicata dall’esperienza della nostra rivoluzione del 1905 e dalla Comune di Parigi del 1871. Essi hanno creato il Soviet dei deputati operai (...). Noi abbiamo bi­sogno di un potere rivoluzionario, noi abbiamo bisogno (per un certo periodo di transizione) di uno Stato. E’ ciò che ci distingue dagli anarchici. La differenza tra marxisti rivoluzionari ed anarchici (...) poggia precisamente sulla questione del potere, dello Stato: noi siamo per l’utilizza­zione rivoluzionaria di forme rivoluzionarie dello Stato nella lotta per il socialismo, gli anarchici sono contro” [14].

Volendo, si troverebbero parole simili in tutti gli scritti di Lenin in questo periodo [15]. Fin dall’inizio la sua tatti­ca era rivolta verso la conquista del potere. Quando il mi­nistro menscevico Tseretelli, nel primo Congresso sovietico panrusso (cominciato a giugno), dichiarò che non c’era alcun partito politico in Russia che dicesse: Dateci il po­tere, sparite, noi prendiamo il vostro posto, Lenin l’inter­ruppe dicendo: “Si, uno”.

Questo scopo determinava anche la sua tattica riguardo ai Soviet. Certamente, Lenin dichiarava che i bolscevichi non erano dei blanquisti, né dei partigiani della presa del potere da parte di una minoranza, e che il suo partito non avrebbe preso il potere fin tanto che i Soviet non l’avrebbe­ro conquistato; ma questo voleva dire: finché i bolscevichi non avranno una influenza preponderante nei Soviet. Per Lenin e per il suo partito la parola d’ordine: “tutto il pote­re ai Soviet” non ha altro senso che: “tutto il potere al partito”. In luglio, i Soviet erano in maggioranza tra le mani dei socialisti rivoluzionari e dei menscevichi; e quando dalla rivolta di luglio venne fuori una situazione rivoluzio­naria, che aggravava anche le contraddizioni scaturenti dal­la “dualità del potere”, Lenin si pronunziò per l’abbandono dello slogan “tutto il potere ai Soviet” perché questo cor­rispondeva ad una situazione in cui il trasferimento del pacifico potere ai Soviet era divenuto possibile.

E’ Leone Trotsky che ha meglio definita la dottrina bolscevica, dicendo: “Tuttavia, il partito non poteva con le proprie mani impadronirsi del potere, indipendentemen­te dal Soviet e dietro le sue spalle. Sarebbe stato un errore le cui conseguenze si sarebbero manifestate anche nella condotta degli operai ed avrebbero potuto divenire estre­mamente spiacevoli da parte della guarnigione. I soldati conoscevano il Soviet dei Deputati, conoscevano la loro sezione. Essi non conoscevano il partito se non attraverso il Soviet. E se l’insurrezione fosse avvenuta dietro le spalle del Soviet, senza legame con esso, senza essere coperta dalla sua autorità, senza affermarsi, chiaramente e netta­mente, agli occhi di tutti, come lo sbocco della lotta per il potere dei Soviet, ciò avrebbe potuto causare un pericoloso disordine nella guarnigione” [16].

E’ evidente che fin dall’inizio, Lenin ha ben giudicato la situazione in Russia e compreso che la rivoluzione non era finita in febbraio e che la rivoluzione sociale era inesorabilmente in marcia. Egli ne traeva le sue conclusioni, cioè che il suo partito doveva sfruttare lo sviluppo rivolu­zionario per conquistare il potere politico. E’ a giusto tito­lo che Lenin rilevava: “Questo paese di operai e di conta­dini indigenti era mille volte più a sinistra dei Tchernov e dei Tseretellj e cento volte più a sinistra di noi altri bolsce­vichi” [17]; e che Trostky scriveva che se la tattica di Lenin non fosse

stata adottata dal partito,la rivoluzione sarebbe passata al di sopra della sua testa. Queste dichiarazioni dei due principali capi bolscevichi danno la chiave che ci per­mette di comprendere il rapporto tra il Partito e la rivolu­zione, con la quale il Partito tiene ad identificarsi, ma di cui in definitiva esso si impadronirà: il 24 ottobre fu un colpo di Stato in un processo rivoluzionario, cominciato in febbraio e proseguito dopo l’ottobre.

Le persecuzioni dirette contro gli anarchici russi fin dal 1918, la liquidazione della makhnovjcina, l’annientamento della Comune libera di Kronstadt da parte del potere bol­scevico, sono avvenimenti troppo conosciuti per parlarne in questa sede.

Benché in generale gli anarchici, d’accordo con i bol­scevichi, si schierassero contro il governo provvisorio e con­tro la guerra e benché facessero della propaganda in favore dei Soviet, la loro attività più importante venne spiegata nei Comitati di fabbrica. Questo fu appunto il caso, dopo il ritorno in massa a Pietrogrado degli anarchici emigra­ti, il cui primo grande gruppo arrivò dalla Francia, da Lon­dra, dagli Stati Uniti, ai primi di giugno. Tra loro, molti anarchici sindacalisti avevano militato nell’Industrial Work­ers of the World (L W. W.), l’organizzazione sindacalista rivoluzionaria americana.

Sul piano agrario, la vera posizione dei contadini non era rispecchiata dal partito socialista rivoluzionario, ma dalle organizzazioni economiche dei contadini; ed i senti­menti del proletariato trovavano una migliore espressione nei comitati di fabbrica anziché nei Soviet dominati dai socialisti rivoluzionari e dai menscevichi. I comitati di fab­brica, creati a Pietrogrado ed a Mosca sin dai primi giorni della rivoluzione, non tardarono a fare la loro apparizione

in provincia. Poiché i comitati venivano eletti da tutti gli operai di una fabbrica, i partiti politici non avevano per conseguenza nessuna influenza sui voti. Fin dall’inizio, questi Soviet di fabbrica si rivelarono più radicali dei So­viet dei Deputati operai e soldati. Il padronato ed il go­verno furono costretti a riconoscere i comitati di fabbrica come degli organismi che rappresentavano gli operai. A Pietrogrado, la giornata di otto ore fu oggetto di un accor­do, mentre a Mosca gli operai l’avevano già introdotta d’autorità. Il 30 maggio, una prima conferenza dei comi­tati di fabbrica tenuta a Pietrogrado creò una associazione di tutti i comitati e un consiglio generale. Le risoluzioni appoggiate dai comitati, cioè il “controllo della produzio­ne” e la “divisione dei beni”, esprimevano l’influenza sempre più grande degli operai sulle fabbriche.

La parola d’ordine, un po’ vaga è vero, del controllo operaio tende a far passare interamente le officine e le fab­briche nelle mani delle organizzazioni operaie; ma, dopo la presa del potere da parte dei bolscevichi e l’istituzione del loro controllo sui sindacati, i consigli operai furono liquidati e fece la sua apparizione un capitalismo di Stato.

Dunque, non furono i consigli che presero il potere ma il partito. Lo Stato controllerà ormai la vita economica. Allo stesso modo della parola d’ordine tutto il potere ai Soviet, lo slogan popolare del controllo operaio prese un significato particolare nel vocabolario bolscevico. Come disse Lenin, per controllo operaio i bolscevichi intendevano il controllo di Stato: “Quando noi diciamo “controllo operaio poiché questa parola d’ordine è sempre accom­pagnata da quella della dittatura del proletariato, che la segue sempre, spieghiamo con ciò di quale Stato si tratta. Lo Stato è l’organo di dominazione di una classe. Di quale classe? (...). Se è la dominazione del proletariato, si tratta dello Stato proletario, cioè della dittatura de/proletariato, ed allora il controllo operaio può divenire la verifica nazio­nale, generale, universale, più minuziosa e più scrupolosa della produzione e della ripartizione dei prodotti. Questa verifica potrà essere fatta dalle istituzioni già create da capitalismo. Poiché, oltre alle istituzioni “oppressive” come l’esercito permanente,

la polizia ed funzionari, vi nello Stato moderno un apparato strettamente legato alle banche ed ai sindacati, e che compie un enorme lavoro per il controllo e la verifica, questo apparato non dovrà essere distrutto, ma bisogna soltanto strapparlo ai capitalisti. “Le grandi banche costituiscono l’apparato dello Stato di cui noi abbiamo bisogno per realizzare il socialismo e che no:togliamo immediatamente al capitalismo; il nostro solo Compito e allora di togliere da questo eccellente apparato di Stato ciò che ne fa un mostro capitalista, di rinforzano ancora, di renderlo più democratico, più universale. La quantità si cambierà in qualità. Una banca di Stato, unica e vasta tra le più vaste, che avrebbe delle succursali in ogni cantone, vicino ad ogni fabbrica, ecco già i nove decimi dell’apparato socialista. Ecco la contabilità su scala nazio­nale, il controllo su scala nazionale della produzione e della ripartizione dei prodotti, qualcosa, potremmo dire, come l’ossatura della società socialista. Di questo apparato “di Stato” (...) possiamo impadronircene e “farlo funzionare” con un solo colpo, con un solo decreto (...). Non è nella confisca dei beni dei capitalisti che sarà in effetti il “nodo” della questione, ma sarà precisamente nel controllo nazio­nale, esercitato dagli operai sui capitalisti e sui loro even­tuali sostenitori” [18].

In un opuscolo di quel periodo (settembre 1917) La catastrofe imminente e i mezzi per scongiurarla, Lenin sviluppava il programma economico che intendeva realiz­zare, proponendo delle misure da prendere immediata­mente le quali tendevano a preparare un socialismo di Stato dittatoriale o semplicemente un capitalismo di Stato. Queste principali misure erano le seguenti:

1)        - La nazionalizzazione delle banche, cioè la fusione di tutte le banche in una Banca di Stato,poiché e solamente  lo Stato che potrà esercitare il controllo delle banche (centro nevralgico, organo essenziale della circolazione del capitale) e, per mezzo di essa, di tutta la vita economica, della produzione e della ripartizione dei prodotti più im­portanti. Così lo Stato potrà controllare le operazioni monetarie, regolare la vita economica e ricevere milioni e miliardi per le imprese dello Stato.

2)        - La nazionalizzazione delle banche comporta neces­sariamente la nazionalizzazione dei sindacati. Regolare la vita economica vuoI dire nazionalizzare le banche ed  indicati, Le banche ed i grandi settori del commercio e del­l’industria sono intimamente legati. E’ dunque impossibile nazionalizzare le banche senza creare un monopolio di Stato per i sindacati industriali e commerciali (zucchero, carbone. metalli. nafta, etc.), senza nazionalizzare questi sindacati, I grandi sindacati sono stati già associati dallo sviluppo del capitalismo.

 

3)        - Il cartello obbligatorio, cioè l’associazione obbli­gatoria in unioni, particolarmente industriali, è quasi intro­dotta in Germania. Si tratta di una accelerazione da parte dello Stato dello sviluppo capitalista, che porta a volte alla lotta delle classi. “L’unificazione obbligatoria” è la tappa preparatoria necessaria in vista del controllo della vita po­polare e di tutto il suo risparmio. “La cartellizzazione ob­bligatoria, cioè l’associazione obbligatoria in unioni poste sotto il controllo dello Stato, ecco ciò che il capitalismo ha preparato (...). ecco ciò che potranno perfettamente realizzare in Russia i Soviet e la dittatura del proletariato. ecco ciò che ci darà un “apparato di Stato” nello stesso tempo universale, completamente moderno e senza buro­crazia” [19].

 

 

4)        - L’unificazione obbligatoria della popolazione in so­cietà di consumo sotto il controllo dello stato.

Tutte queste misure che cosa hanno a vedere con il so­cialismo? Lenin risponde! Queste misure applicate in uno Stato borghese generano il capitalismo monopolistico di Stato. In Germania, esse hanno condotto al capitalismo monopolistico dello Stato militarista, prigione militare per

gli operai, difesa armata per i profitti capitalistici. Ma applicate dallo Stato rivoluzionario, cioè da uno Stato che ha abolito tutti i privilegi, il risultato di queste misure è del tutto diverso: “Voi vedrete che in uno Stato veramente democratico e rivoluzionario il capitalismo monopolistico di Stato significa inevitabilmente, infallibilmente un passo o dei passi in avanti verso il socialismo! E ciò perché se una grande impresa capitalistica diviene monopolio, è perché essa serve per il popolo intero. Se essa è divenuta mo­nopolio di Stato, e perché lo Stato dirige ogni impresa. Nell’‘interesse dì chi? O nell’‘interesse dei grandi proprietari fondiari e capitalisti (...) oppure nell’interesse della demo­crazia rivoluzionaria; allora è né più né meno che un passo verso il socialismo” [20]. Perché il socialismo non è altro che la prossima tappa che succederà al capitalismo mono­polistico di Stato. Oppure: perché il socialismo non è nient‘altro che un monopolio capitalistico di Stato, intro­dotto per il bene di tutto il popolo.

Ma non è “la classe operaia, cioè la maggioranza della popolazione” che monopolizza i mezzi di produzione; se­condo la teoria leninista, è “l’avanguardia” della classe ope­raia, e, altrimenti detto sotto il velame di questa termino­logia, il partito bolscevico che esercita la dittatura. I mezzi di produzione appartengono dunque a questo partito che solo domina lo Stato e che, attraverso la mediazione della burocrazia, si serve di questa dominazione nell’interesse esclusivo del partito. Ecco perché fin dal 1925, il comuni­sta Max Eastman poteva scrivere che il controllo integrale delle ricchezze e della produzione industriale d’un sesto della terra era tra le mani di circa 18.000 funzionari del partito comunista russo [21].

I fatti provano che si è formata una nuova classe domi­nante che fa proprio ciò che costituisce l’essenza della do­minazione di classe, cioè lo sfruttamento della classe do­minante, sfruttamento che trova la sua espressione nella oppressione politica sulla quale è poggiato il nuovo Stato, lo Stato) dei funzionari, lo Stato dei burocrati. E così come tutti i mezzi furono buoni per il partito bolscevico per conquistare il potere, tutti i mezzi saranno parimenti buoni per conservarlo. La dittatura statale del partito bolscevico ha provato l’esattezza delle parole di Bakunin secondo le quali lo Stato da sempre parte della eredità della classe privilegiata, in fin dei conti, della burocrazia; ed un potere dittatoriale che succede alla rivoluzione, genererà fatal­mente un nuovo Stato ed una nuova classe, che ricomincerà a sfruttare il popolo.

Gli scritti di Bakunin debbono leggersi oggi come un commento critico-storico della Rivoluzione russa e delle sue conseguenze. E’ sufficiente citare uno di questi brani profetici, peraltro pubblicato nel famoso opuscolo della Alleanza, destinata a provare il rifiuto del marxismo bol­scevico da parte dell’anarchismo: “Non bisogna stupirsi se i Giacobini ed i Blanquisti che sono divenuti socialisti più per necessità che per convinzione, e per i quali il sociali­smo è un mezzo, non lo scopo della Rivoluzione, poiché essi vogliono la dittatura, cioè la centralizzazione dello Stato e che lo Stato li porterà per una necessità logica ed inevitabile alla ricostituzione della proprietà -—- è molto na­turale, dician2o, che non volendo fare una rivoluzione ra­dicale contro le

 

cose, essi sognano una rivoluzione sangui­naria contro gli uomini. — Ma questa rivoluzione sangui­naria fondata sulla ricostruzione di uno Stato rivoluzionario potentemente centralizzato avrà per risultato inevita­bile la dittatura militare per (uso di un nuovo padrone. il trionfo dei Giacobini o dei Blanquisti sarebbe la morte della rivoluzione.

Noi siamo i nemici naturali di questi rivoluzionari — fu­turi dittatori, regolamentatori e tutori della rivoluzione i quali, prima ancora che gli Stati monarchici, aristocratici e borghesi attuali siano distrutti, sognano già la creazione di Stati rivoluzionari nuovi, altrettanto centralizzatori e più dispotici degli Stati che esistono oggi (...). — Ancor prima che un buono e salutare disordine si sia prodotto a causa della rivoluzione, si sogna già la fine e la mordac­chia a mezzo dell’azione di una autorità qualunque che avrà solo il nome di rivoluzione, ma che, in effetti, non sarà nient’altro che una nuova reazione poiché essa sarà una nuova condanna delle masse popolari, governate da decreti, all’obbedienza, alla immobilità, alla morte, cioè alla schiavitù ed allo sfruttamento da una nuova aristo­crazia quasi rivoluzionaria” 1. ‘Atliancc de la déruoeratie socialiste cI l’Associa tion in/cina­1w no/e dc.s Travoi//curs. 1873, pp. 128-129.

[22] L’alliance de la démocratie socialiste eI l’Association internationale desTravailleurs. 1873, pp. 128-129.

 

La smentita della paternità bakuniniana del bolscevismo non poteva essere né più categorica né più precisa.

ARTHUR LEHNING

NOTE

 

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Capitolo 1:

IL PROBLEMA RUSSO

 

 

 

La Russia è da tempo in uno stato di crisi, le cui conse­guenze avranno nel futuro un significato molto più impor­tante di quanto lo ebbero gli avvenimenti che sconvolsero il paese durante la rivoluzione.

I compromessi economici del governo Russo con il capi­talismo straniero, la rivolta di Kronstadt, la guerra aperta agli anarchici ed ai sindacalisti dichiarata da Lenin durante il X Congresso del Partito Comunista Russo, la persecuzio­ne dei socialisti di tutte le tendenze che non fossero bol­sceviche, la crisi interna dello stesso partito comunista che già aveva dato luogo a certe differenze tra il governo so­vietico e la Terza Internazionale, sono sintomi estrema­mente significativi, e quindi non va ignorata la loro incidenza nel movimento operaio dei diversi paesi. Ci occu­peremo quindi di questo problema, consci delle difficoltà che incontreremo non trattandosi di dare soltanto inter­pretazioni critiche a divergenze ideologiche, ma di problemi storici universali la cui soluzione in un modo od in un altro avrà una incidenza enorme nella futura evoluzione di quella che è chiamata “la società civilizzata”.

 

 

Proprio per questo motivo cercherò, come storico e socialista rivoluzionario, di analizzare le cause più profonde degli avvenimenti nella maniera più obiettiva possibile.

La diatriba attuale, pro o contro Mosca, che si ha allo interno del movimento operaio internazionale non tende a far luce sulla situazione, bensì ad accrescere la confusio­ne. Odio cieco, insulti personali si hanno al posto di ai~gQ­mentazioni concrete. Né si cerca di interpretare l’impor­tanza singolare che questa lotta ha per l’avvenire del mo­vimento operaio. In una certa misura ne sono colpevoli gli stessi dirigenti bolscevichi e le organizzazioni comuniste nei paesi che sono sotto questa influenza.

Mi sembra ci sia la tendenza a lasciarsi trasportare troppo dalle passioni politiche, usando machiavellicamente tutti i metodi pur di raggiungere un determinato scopo. E’ suffi­ciente dare un’occhiata alla stampa comunista, soprattutto qui in Germania, per accertarsi che la nostra opinione è del tutto esatta. Tutto quello che non si accorda perfetta­mente con le idee ed i metodi dei dirigenti russi o tedeschi è definito “controrivoluzionario” e coloro che muovono delle critiche sono definiti “traditori del movimento opera­io”. La tattica dei bolscevichi ha per obiettivo l’avvelena­mento morale dell’opinione pubblica.

E’ caratteristico che questi stessi signori che chiamano “piccolo borghese” ogni tendenza che non si accordi con la loro,si valgono essi in ogni momento delle stesse armi borghesi, perseguitando sistematicamente i loro oppo­sitori politici, seppur rivoluzionari e comunisti. Quando Robespierre si risolse a mandare alla ghigliottina gli Heber­tisti, questi furono prima accusati dalla stampa giacobina

di essere agenti pagati dal primo ministro inglese Pitt. E questo stesso gioco si è andato ripetendo nel trascorso della storia moderna.

Lo abbiamo sperimentato durante l’ultima guerra: quan­do uno protestava in Inghilterra o in Francia contro i massacri poteva essere certo che la stampa patriottica lo denunciava come spia del Kaiser ed in Germania, conse­guentemente, come agente inglese. Questo metodo indegno che fino ad ora è stato il privilegio triste del basso giorna­lismo della stampa borghese è divenuto oggi l’arma della stampa comunista. Gli anarchici ed i sindacalisti sono con­trorivoluzionari. Coloro che non ci credono sono logica­mente essi stessi dei controrivoluzionari.

E’ chiaro che questi argomenti non serviranno a delu­cidare il problema così come pure gli argomenti addotti dalla lega antibolscevica, che vuole convincerci che ogni bolscevico è un assassino ed un criminale con istinti sadici. Cercherò dunque di sviscerare i motivi profondi del fal­limento della rivoluzione russa, senza lasciarmi andare ai miei istinti passionali, né dominare dallo spirito di parte.

La rivoluzione del 1917 fu il segnale di riscossa di quella gran parte dell’umanità che usciva dal caos della guerra mondiale. Gli uomini cominciavano a respirare. I lavoratori sentivano che il momento della rivoluzione era vicino. Come la lotta dei coloni americani per l’indipen­denza dall’Inghilterra aveva avuto un’enorme influenza sulla evoluzione della rivoluzione francese, la rivoluzione russa influiva sui moti rivoluzionari in Germania ed in Austria e favoriva la caduta degli Asburgo e degli Hohen­zollern. La rivoluzione russa fu dunque salutata con enor­me entusiasmo, non solo dai proletari ma anche da tutti coloro che vedevano in essa l’inizio di una nuova era in tutta l’Europa, e quando i bolscevichi furono al potere dopo la liquidazione del governo di Kerensky, nacque nella classe lavoratrice di tutto il mondo il desiderio di liberarsi dal giogo del salario.

Nei paesi latini, dove la tradizione del vecchio movi­mento bakuninista era ancora latente nelle masse, moltis­simi lavoratori salutarono il bolscevismo scambiandolo come una nuova fase del vecchio bakuninismo. Questa visione del bolscevismo fu condivisa anche da alcuni nostri compagni anarchici della Russia e di altri paesi.

 

Uomini come Kropotkine, Domela Nieuwenhuis, Bertone, Seba­stien Faure, Malatesta, che all’inizio erano contrari al bolscevismo, non esitarono a schierarsi con la Russia e a difenderla dagli attacchi controrivoluzionari, non perché essi fossero d’accordo con i metodi e le idee bolsceviche, ma perché erano anarchici e rivoluzionari. E fu proprio la stampa anarchica e sindacalista che non dichiarò criticamente divergenze fondamentali con i bolscevichi, temendo forse di servIre la causa controrivoluzionaria. Certe linee di tendenza governo bolscevico, che a no­stro giudizio avrebbero potuto essere un pericolo per la rivoluzione non furono criticate dalla nostra stampa per la semplice ragione che non ci sembrava il momento adatto per considerazioni critiche.

Noi comprendevamo quale peso e quali enormi diffi­coltà la Russia si trovava ad affrontare, ed eravamo con­vinti che la Russia doveva vincere in ogni maniera, che era più facile criticare che agire e che perciò era meglio rimandare le polemiche di fondo ad altre occasioni. Fu il nostro senso di responsabilità ad impedirci di fare criti­che alla Russia che stava portando avanti la sua lotta rivo­luzionaria. Ma ora i bolscevichi giungono a sospettare ed a tacciare col titolo di controrivoluzionari tutti coloro che non condividono le loro idee ed i loro metodi. Oggi non possiamo più tacere.

I 21 punti di Lenin ed il tentativo della Terza Interna­zionale di imporre le sue idee e metodi a tutto il movimen­to operaio internazionale, la guerra aperta dichiarata da Lenin agli anarchici nel X Congresso del partito comunista e la persecuzione dei nostri compagni in Russia sono fatti troppo importanti. Oggi dobbiamo prendere una posizione:dobbiamo opporci al socialismo di stato

 

 

                                                      Capitolo 2:

IN CAMMINO VERSO DESTRA

 

 

 

Coloro che speravano che il governo russo, che a causa della guerra era costretto ad adottare certe risoluzioni pur non reputandole giuste in molti casi, avrebbe agito diversa­mente una volta terminata la guerra, sono stati disillusi. In Russia impera oggi una spaventosa reazione che soppri­me ogni segno di libertà e di indipendenza.

Che differenza tra ieri ed oggi! La maggior parte di ce-loro che prima ritornavano dalla Russia e con i quali aveva­mo l’occasione di parlare, non trovavano parole per rife­rire tutto ciò che avevano visto. Tutto pareva loro perfet­to, eccellente e se qualcosa non appariva loro come l’a­vrebbero desiderato, lo attribuivano alle circostanze che si stavano attraversando. Colui che avanzava dei dubbi era considerato un traditore della rivoluzione. In verità, il 90%, di coloro che andavano a Mosca non potevano rendersi conto della vera situazione della Russia.

Stavano alloggiati all’albergo Lux o in altri alberghi al­trettanto comodi, serviti da un esercito di fedelissimi al governo principalmente agenti della Ceka, pronti ad illu­strare agli ospiti che in genere non conoscevano la lingua. le delizie del paradiso comunista. Scortati da loro,gli ospiti visitavano teatri, fabbriche, scuole, ecc.; facevano gite in comodi autobus o in treni veloci. I delegati perciò vedeva­no il lato migliore dello Stato comunista e non si rende­vano conto di trovarsi sopra un abisso. Non riuscivano a sapere altro della realtà russa, non sapevano di essere in­gannati.

Ma ora le cose vanno mutando. Comincia a svanire l’u­briacatura. Ho incontrato persone che al momento di an­dare in Russia erano fanatici sostenitori dei

 

 

 

bolscevichi e che al ritorno erano disillusi, senza speranza alcuna, sen­za fede. Non sono state le circostanze economiche disa­strose quelle che hanno fatto cambiare

l’opinione a questa gente, mal’atmosfera soffocante del dispotismo insopportabile che copre come una nube la Russia intera.

È stata la repressione brutale di ogni forma di libero pensiero, la non accettazione di determinate garanzie per la difesa della libertà personale, l’aver spogliato la classe lavoratrice di ogni diritto che le permetta di dire la pro­pria opinione, come la libertà di riunione, di sciopero, ecc, lo sviluppo di un sistema di spionaggio e di polizia peggiore di quello zarista, la corruzione dei “signori” commissari e burocrati, che ha aperto gli occhi a coloro che erano prima letteralmente ipnotizzati dal socialismo di stato. Uomini che non molto tempo prima tacciavano con l’ap­pellativo di controrivoluzionario chiunque osava criticare i metodi dei dittatori di Mosca, sono oggi in lotta aperta con loro.

Un esempio sorprendente si ha nel Partito Comunista Operaio della Germania (K.A.P.D.). Questi eroi di stoppa, dai cervelli microscopici e dalle   bocche grandi che hanno cercato fino ad ora di guadagnarsi le simpatie della Terza Internazionale e, cosa più importante, gli aiuti finanziari di Mosca, oggi lanciano i loro strali avvelenati contro la Russia e contro i bolscevichi.

Lenin non desidera la rivoluzione”, “La Terza Inter­nazionale è il peggior imbroglio”, “Trotzky, Zinoviev e Radeck sono imbroglioni politici”, “Il governo sovietico borghese difende gli interessi del capitalismo”. Questo è quello che oggi scrive l’organo centrale del K.A.D.P.

Questi sono fatti inevitabili, perché un partito che com­pra i partiti stranieri con forti somme di denaro non può in alcun modo contare su veri amici e veri compagni; al contrario: questa politica crea solo un pantano di corruzio­ne che metterà in pericolo la sua stessa esistenza. Quello che vediamo oggi in Russia è il disastro di un sistema, la bancarotta del socialismo statale nella sua forma più ripu­gnante. Quando lo stesso Lenin dichiara che il 50% dei commissari non sono competenti per i posti che occupano,la sua non è che una forma di criticismo democratico. Le­nin si rende conto che gli intenti del suo partito si sono risolti in un terribile fiasco; ma sa anche che non può tornare indietro. Perciò chiama in suo aiuto il capitalismo internazionale; egli non ha altre soluzioni.

E’ ridicolo pensare che Lenin si moderò e che questo suo mutamento di opinione è la causa della sua attuale politica di compromessi. Il fatto che il governo Russo in-tavoli relazioni con i capitalisti stranieri non avviene per­ché Lenin è diventato più moderato, ma perché una ferrea necessità lo obbliga a questo passo; non è che l’ultimo ricorso: approfitta così come chi affoga cerca di aggrappar­si ad una pagliuzza. Le famose parole di Lenin: “Siamo disposti a realizzare qualsiasi compromesso sul piano eco­nomico ma non ne faremo alcuno su quello politico”, sono chiare e non si prestano ad equivoci.

L’attuale situazione spiega pure le persecuzioni contro gli anarchici, sindacalisti e socialisti di altre tendenze che avvengono in Russia. Sono gli unici che si oppongono al cammino verso la destra e perciò la ragion di stato vuole che siano liquidati. Si impedisce la stampa di sinistra e la divulgazione di materiale anarchico.

In Russia si ripete la parabola storica che si ebbe in Francia nel marzo del 1794. Quando Robespierre e i Gia­cobini si incamminarono a destra soffocarono l’opposizio­ne della sinistra. Mandarono gli Héhertisti e gli Ar­rabbiati alla ghigliottina, così come oggi in Russia si im­prigionano e si assassinano i veri difensori del sistema so­vietico: gli anarchici, i sindacalisti e i massimalisti.

 

 

La politica di Robespierre portò la Francia al 9 Termidoro e alla dittatura di Napoleone. Dove condurrà la poli­tica di Lenin in Russia?

Capitolo 3:

 

                                          

                                                    CAPITOLO 3

UN ERRORE STORICO

 

 

 

Dunque le circostanze che si ebbero durante la rivolu­zione russa favorirono i bolscevichi nel predominio del campo socialista; la situazione pericolosa in cui si venne a trovare la Repubblica Sovietica, durante le prime fasi del regime bolscevico, quando le bande controrivoluzionarie le si lanciarono contro con l’aiuto della reazione straniera, fecero sì che la gente, fiduciosa nella rivoluzione e nel nuovo regime, prendesse come cosa naturale ogni atteggia­mento dispotico del governo russo, persino l’oppressione brutale verso ogni critica. Con la scusa della gravità del momento storico si arrivava a giustificare tutte le ingiusti­zie anche sul piano morale.

Grave fu il riflesso che si ebbe nelle persone, che venne­ro mano a mano a perdere la loro capacità di giudizio in­dividuale e analitico e quindi la visione completa della realtà. Una supposizione momentanea diveniva un princi­pio ferreo, una necessità fatale. Ecco perché, anche fra i nostri compagni vi furono coloro che difesero il modo di agire dei bolscevichi pensando che fosse dettato da necessi­tà ineluttabili.

I nostri compagni si lasciarono ipnotizzare da questa idea fin quando la reazione bolscevica abbattendosi anche su di loro non li costrinse a cambiare parere. La mancanza di obiettività critica e un fideismo cieco facevano accettare le notizie di atrocità come necessarie per la rivoluzione. E non impressionavano neppure le violazioni più brutali dei più elementari diritti umani, e neppure il fatto che la re­pressione fosse talvolta rivolta contro onesti rivoluzionari. Si diceva: “C”e volete, le rivoluzioni non si fanno con i guanti bianchi! Il governo russo è obbligato ad agire in questo modo in un momento in cui la reazione interna­zionale si allea contro la Russia”. Portavano l’esempio della Rivoluzione francese per dimostrare che tutte le grandi lotte sociali sono legate a fatti come quelli che sta vivendo la Russia attuale.

L’esperienza storica ci dimostra tutto il contrario. La dittatura di Robespierre e la persecuzione di ogni vera tendenza rivoluzionaria cominciò quando la Rivoluzione si avviava verso la sua fine e quando lo Stato centralizzato si andava sostituendo al governo rivoluzionario. Ma c’è da aggiungere che la Francia rivoluzionaria, nei periodi più critici, non soppresse la stampa rivoluzionaria di diverse tendenze. Dal momento critico in cui gli eserciti stranieri entrarono in Francia e in cui si levò la controrivoluzione nella Vandea e in altri punti del paese, non si soppresse la libertà di opinione e di stampa come accade in Russia in questi anni. I giacobini avevano l’intenzione di unificare tutte le forze della rivoluzione in favore del governo, ma i loro intenti non ottennero esito alcuno mentre la rivolu­zione seguiva il suo corso.

Persino uomini ultrarivoluzionari come Jacques Roux, Varlet, Dolivier, Charlier odiati da Robespierre poterono realizzare la loro propaganda orale e scritta. Non si pensi che la propaganda fosse all’acqua di rose. Basta dare un’occhiata alla stampa dell’epoca della Rivoluzione per sin­cerarsi del contrario. La libertà di critica era di assoluta necessità per il popolo, per il proseguimento della Rivoluzione e se questa poté vincere e liberare la Francia e tutta l’Europa dalla tirannia della Monarchia assoluta e dal giogo feudale, fu perché tutte le forze rivoluzionarie seppero di­fendere la loro autonomia e non si sottomisero ad alcuna dittatura di governo. Le sezioni

 

 

rivoluzionarie di Parigi e della Francia tutta, dove si riunivano gli elementi rivolu­ziOnari che furono il centro propulsore del movimento po­polare, erario un mezzo sicuro contro il potere centrale. Più tardi, quando gli elementi rivoluzionari più attivi

di­minuirono considerevolmente, il governo dei giacobini in­corporò le sezioni nella macchina statale ed iniziò la deca­denza della rivoluzione.

Il trionfo di Robespierre fu al tempo stesso il trionfo della controrivoluzione. Il 24 marzo ed il 9 Termidoro fu­rono i simboli della reazione trionfante. Se dunque ci viene ricordata la rivoluzione francese per giustificare la tattica dei bolscevichi, vuol dire che si ignorano i fattori storici, poiché la storia ci dà un esempio assai preciso.

In tutti i momenti decisivi della Rivoluzione Francese era il popolo che prendeva l’iniziativa. Ed è in questa atti­vità creativa del popolo che sta il segreto della Rivoluzione. Fu proprio perché le forze rivoluzionarie poterono svilup­parsi liberamente, che la rivoluzione poté farla finita con il sistema feudale. Ed è proprio perché il governo bolsce­vico paralizzò ogni attività rivoluzionaria col terrore bruta­le e con lo strangolamento sistematico di ogni iniziativa veramente rivoluzionaria che oggi si vede obbligato a ritor­nare al capitalismo, dopo aver convinto i suoi sostenitori della impossibilità di realizzare l’obiettivo iniziale.

I soviet in Russia avrebbero potuto avere lo stesso ruolo delle “sezioni” della Rivoluzione Francese; ma poiché il potere centralizzato dello Stato sovietico tolse loro ogni indipendenza, essi esistono oggi solo di nome, e sono com­posti soltanto da organi designati dallo Stato e non hanno altra funzione che servirlo. I bolscevichi non sono mai stati sostenitori del sistema dei soviet.

Lo stesso Lenin spiegava nel 1905 al presidente dei So­viet di Pietrogrado che il suo partito non poteva avere re­lazioni con il sistema dei Soviet, che a suo giudizio era un’istituzione vecchia. Ma le prime fasi della Rivoluzione Russa si svilupparono sui Soviet e quando i bolscevichi giunsero al potere si videro obbligati a doverne accettare l’eredità. La loro attività fu rivolta a cercare i mezzi idonei per togliere il potere ai Soviet e a sottometterli al potere centrale. L’aver raggiunto lo scopo è, a mio avviso, aver tradito la Rivoluzione.

In questo consiste la tragedia della rivoluzione russa.

Con l’opera sistematica di sottomettere tutte le istitu­zioni sociali al volere di un governo centrale onnipresente si è giunti alla incongruente situazione del predominio sociale di una classe di impiegati e subalterni: è stato que­sto il colpo mortale alla Rivoluzione Russa.

Il fatto che ora Lenin dichiari che bisogna indirizzare il socialismo verso il capitalismo di Stato, non getta che confusione e lui ben lo sa. Perciò egli deve convincere i la­voratori che la politica del governo sovietico è la migliore che ci sia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                             Capitolo 4:

L’ATTIVITA’ “CONTRORIVOLUZIONARIA”

DEGLI ANARCHICI

 

 

Nell’ultima sessione del Congresso dell’Internazionale accadde un fatto caratteristico. Buckarin, che si trovava al congresso come semplice ascoltatore, d’improvviso prese la parola attaccando acerbamente gli anarchici e lasciando stupefatti i delegati stranieri che non si seppero spiegare la causa di questo sproloquio ostile. Quando i delegati stranieri erano giunti a Mosca, avevano mandato una dele­gazione a Lenin per chiedere la libertà per gli anarchici ed anarcosindacalisti che si trovavano in prigione. Fu loro promesso che sarebbe stato fatto tutto il possibile a con­dizione che essi non facessero parola del loro passo nelle sessioni del Congresso. La commissione stette ai patti e durante il periodo di tempo che durò il Congresso non si parlò di prigionieri politici.

E’ facile dunque immaginare lo stupore dei membri del Congresso, quando Buckarin mise sul tappeto la discussio­ne di questo argomento. Ma maggiore fu la sorpresa quando si alzò a parlare Sirolle, il delegato francese e Losovsky gli negò la parola. Il fatto che il presidente non desse la parola ad un delegato, mentre lasciasse parlare uno spetta­tore e per giunta su di un argomento che non figurava nell’ordine del giorno, sollevò un grande tumulto. Il Con­gresso terminò in un caos generale. Per evitare lo scandalo, il presidente si vide costretto a dare la parola a Sirolle. L’intenzione di Buckarin era chiara. Voleva prendere il Congresso di sorpresa perché esso non molestasse più il governo con petizioni richiedenti la libertà dei prigionieri politici. Ma i delegati stranieri seppero capire il trucco e pertanto non si produsse l’effetto che Buckarin desiderava. Questi intendeva dimostrare che gli anarchici russi non era­no come quelli degli altri paesi, e che il governo era co­stretto a difendersi da questi. Gli anarchici prigionieri erano per Buckarin dei delinquenti comuni, simpatizzanti del ‘bandito” Mackhno, controrivoluzionari dichiarati. La maggior parte degli anarchici detenuti però non erano soltanto mackhnovisti, ma anarchici perseguiti solo per le oro idee.

Se studiamo il ruolo degli anarchici nella rivoluzione Russa, ci rendiamo conto che le accuse dei bolscevichi era­io prive di fondamento, erano solo calunnie con un chiaro me politico. Quando si iniziò la rivoluzione gli anarchici esercitarono un ruolo molto importante e formarono parte degli elementi più attivi del movimento rivoluzionario. possedevano molti giornali e la loro propaganda era pene-rata profondamente nella massa. A Kronstadt, Odessa, Ekatherinburg e tantissime città importanti la massa era con loro. Gli anarchici erano stati i primi ad opporsi al governo di Kerensky. Accadeva quando Lenin ed i bolsce­vichi erano a favore della Assemblea Costituente. Il loro slogan era “tutto il potere ai Soviet! “, quando i bolscevi­chi neppure sapevano quale atteggiamento prendere sull’argomento. Quando iniziò la lotta aperta contro Kerensky, gli anarchici furono i primi ad imbracciare il fucile. Prima .del sollevamento di Pietrogrado e di Mosca, furono i lavoratori di Ekatherinburg a levarsi in rivolta.

Fu l’anarchico Anatol Grigorivich Zelesnikov che, davanti ai marinai di Kronstadt, entrò nel parlamento e ne espulse i deputati. Zelesnikov, per la cui testa Denikin offriva 40.000 rubli, cadde nella lotta contro le guardie bianche nel governatorato di Ekatherinoslav nel giugno 1919.

E’ un fatto storico irrefutabile che senza la collaborazione degli anarchici e delle altre tendenze di sinistra i bol­scevichi non avrebbero potuto raggiungere il potere.

 

 

Un compagno russo descrisse fedelmente gli avvenimenti di quel tempo nel giornale “Les temps nouveaux” di Parigi. trascriviamo un estratto di questa interessante descrizione:

Lenin si apprestò a fare un decreto (il primo) in cui di­~iiarava che il suo partito si decideva ad assumere il nome i “Partito Comunista”. Il decreto in questione fu pubbli­cato dalle “Isvestia che allo stesso tempo rendeva pubbli­ca la notizia che il governo risolveva di realizzare il comuni­smo in tutta la Russia. La federazione anarchica di Pietro­grado lo interrogò su che cosa intendesse per “comunismo” e come pensasse di realizzarlo. Se tenesse conto del comu­nismo anarchico o se si trattasse di un comunismo diverso, scoperto dai bolscevichi, con il proposito di attrarre nel proprio partito i contadini e gli operai. La risposta di Le­nin fu che egli pensava veramente al comunismo libertario, però che questo non si poteva realizzare in una sola volta, ma a gradi. Perciò si appellava agli anarchici perché lo aiutassero a raggiungere lo scopo. Gli anarchici furono ingenui e lo aiutarono.

Questo accadeva quando i bolscevichi non si sentivano ancora abbastanza sicuri, quando erano circondati dapper­tutto da nemici e i controrivoluzionari di ogni paese si preparavano all’attacco. A Pietrogrado soprattutto i rea­zionari non dormivano. Tentavano di provocare disordini di massa. Fu un ‘epoca molto critica per i bolscevichi. Solo gli anarchici erano per loro un buon appoggio. Nel dicem­bre 191 7, tutta Pietrogrado era occupata dagli eserciti dei soldati che ritornavano dal fronte e da elementi sospetti. Queste bande erano armate e si lanciavano al saccheggio dei magazzini e dei depositi della città.

I bolscevichi mandarono le guardie rosse perché avessero ragione di questi delinquenti, ma con l’aria che tirava non c ‘era da essere sicuri neppure delle guardie rosse. Manda­rono anche i marinai, ma anche di loro c ‘era da fidarsi poco. I marinai fecero alcuni tentativi deboli in verità per contenere i massacri, però all’ultimo si unirono alle file dei pogromisti saccheggiando tutta la città. In questa si­tuazione furono gli anarchici gli unici ad essere capaci di affrontare la lotta contro i pogromisti e ad acquietare i disordini.

Calmato il pericolo furono i bolscevichi a guardare stor­to gli anarchici. Vedevano in loro nemici pericolosi, più pericolosi dei controrivoluzionari perché gli anarchici guadagnavano giorno per giorno le simpatie dei contadini e degli operai ed organizzavano unioni industriali e comuni agricole ovunque, secondo i loro principi. Ma il governo non si azzardava a procedere contro di loro: la sua posi­zione non era ancora ben salda.

Dopo l’armistizio con i tedeschi, la miseria del popolo era paurosa. I rispetta bili commissari del popolo non tro­vavano di meglio che fare un decreto nuovo ogni giorno; gli anarchici, così come altri rivoluzionari sinceri, ricono­scendo che questa politica del governo avrebbe condotto infallibilmente ad una catastrofe, non potevano rimanere indifferenti davanti a tali fatti. Insieme ai socialisti rivo­luzionari crearono cucine popolari e case per i poveri ed i miserabili. Nello stesso tempo tentarono di organizzare i lavoratori della città e della campagna per l’amministra­zione (iella produzione e fondai-ano comuni agricole a carattere comunista. Il conte von Mirbach, ambasciatore tedesco a Mosca, fece capire a Lenin che uno stato che si rispetti non deve tollerare assolutamente gente come gli anarchici. Per Lenin fu un buon pretesto per dettare un ordine di occupazione di tutti i circoli anarchici.

La notte del 14 maggio del 1918 le case dove gli anar­chici si riunivano furono circondate di cannoni e mitra­gliatrici. Durante la notte le bombardarono ed il frastuono delle bombe era tanto spaventoso che la popolazione credete che un esercito nemico stesse prendendo Mosca. Il giorno seguente si vide uno spettacolo

 

 

terribile. Le case erano squarciate, i morti ovunque. Dappertutto pezzi di carne umana, teste spiccate dal busto, braccia, intestini. Il sangue scorreva per le strade. Il capo del massacro, Bela Kun, che in seguito sarà dittatore in Ungheria, era il “vin­citore”..

La protesta della popolazione fu enorme tanto che Trotzky e Lenin si videro obbligati a giustificarsi davanti alla popolazione. Dichiararono che era loro scopo non per­seguire tutti gli anarchici, ma solo coloro che non volesse­ro sottomettersi alla dittatura. Per tranquillizzare I ‘opinio-ne pubblica la Ceca mise in libertà alcuni anarchici. Ma allo stesso tempo si cominciò a perseguire le organizzazio­ni anarchiche, confiscandone le biblioteche e bruciando la letteratura che vi trovavano, parecchi gruppi anarchici ven­nero sterminati. Oggi moltissimi compagni si consumano in carcere e gli altri sono divisi, sparsi in tutto il mondo co­me ai tempi dello zarismo”.

La veridicità di queste affermazioni è stata confermata da diversi compagni russi. Inoltre è interessante leggere le conclusioni del congresso Pan-Russo degli anarco-sindaca­listi, per valutare meglio i fatti. Queste sono le conclusioni:

 

1°        Lottiamo contro il potere statale e capitalista e aspiriamo ad unificare i soviet autonomi, le unioni delle organizzazioni indipendenti dei contadini e degli operai in una forma federativa per la produzione comune.

2° - Raccomandiamo ai lavoratori di formare soviet li­beri e di combattere allo stesso tempo i consigli dei com­missari del popolo, dato che queste istituzioni avranno una pessima influenza sulla classe lavoratrice.

- Pretendiamo lo scioglimento dell’esercito militariz­zato e l’armamento dei contadini e degli operai. E’ nostra intenzione chiarire bene che per gli sfruttati non ha alcun valore il concetto di “patria socialista”, essendo patria per loro il mondo intero.

- ProseguiremO in questa lotta con tutti i mezzi, contro i cecoslovacchi controrivoluzionari e contro ogni tentativo imperialistico, ma non vogliamo dimenticare nep­pure il partito bolscevico che sta diventando oggi contro­rivoluzionario.

- Vogliamo che le organizzazioni operaie e contadine prendano possesso di tutti i mezzi utili alla vita quotidiana.

Esigiamo che non siano più mandati reparti armati contro i contadini perché questo volgerà i contadini contro gli operai, e si incrinerà la solidarietà tra contadini e operai facilitando la controrivoluzione

E’ chiaro che le conclusioni che avete appena letto non

avevano un contenuto controrivoluzionario Anzi i nostri compagni facevano un’analisi della situazione e prevedeva­no, in un certo senso, ciò che sarebbe avvenuto poi. Gli anarchici russi furono sempre i primi a levarsi contro i veri controrivoluzionari dando sangue per la causa del popolo. E’ un’infamia, una diffamazione astiosa commessa dallo stato “socialista” a fini politici. Quando i bolscevichi eb­bero bisogno degli anarchici, allora non si accorsero che essi erano “controrivoluzionari” Ma anzi furono proprio loro a lodarne il coraggio e a portarli d’esempio ai loro stessi compagni. Alcuni dirigenti bolscevichi che oggi rico­prono un ruolo importante nel mondo comunista, poco prima del sollevamento dell’ottobre del 1917, cercarono con tutti i mezzi di impedirlo. Lo stesso Lenin scrisse con­tro Zinoviev e Kamenev accusandoli di essere codardo e senza carattere, e di “aver dimenticato i concetti essenziali del bolscevismo e dell’internazionalismo proletario e rivo­luzionario”. Ma Zinoviev e Kamenev si pentirono e furono di nuovo accettati nella comunità dei “santi”.

 

 

Per questi signori sono controrivoluzionari solo coloro che non vogliono ballare al suono del loro flauto.

La commedia sarebbe grottesca se purtroppo non avesse assunto toni spaventosamente tragici. Senza volere mi è venuto alla mente un aneddoto storico: il famoso prefetto delle barricate del 1848, Cosidiere, dava di Bakunin questo giudizio: “E’ un uomo meraviglioso il primo giorno della rivoluzione, ma il giorno dopo bisognerebbe fucilano

La politica che hanno impiegato i bolscevichi nei nostri confronti è esattamente la stessa. Il primo giorno lodano, ma il secondo gridano di fucilarci. E’ sempre stata questa la tattica dei politici giunti al potere, in tutte le epoche ed in tutti i paesi. I bolscevichi non sono un’eccezione alla regola.

                                                                    

 

 

 

 

 

                                                               Capitolo 5:

NESTOR MACKHNO E I BOLSCEVICHI

 

 

 

E’ necessario che mi soffermi a parlare di Mackhno e del suo ruolo rivoluzionario, dato che la stampa bolscevica lo ha attaccato così violentemente. Oggi i bolscevichi usano contro di lui la stessa tattica che hanno usato per combat­tere gli anarchici in generale: lo elogiano e lo condannano a seconda della necessità del momento. Ci furono periodi in cui la stampa bolscevica attaccò Mackhno come il peg­giore controrivoluzionario, cooperatore di Denikin e di Wrangel ed altri in cui la stessa stampa lo presentò come un buon rivoluzionario e membro della Repubblica Sovie­tica.

Un compagno di Mosca mi ha spedito il seguente abboz­zo biografico sul celebre capo ucraino delle bande: “Nestor Mackhno è un contadino giovane di trentun anni. A par­tire daI 1917 prese parte attiva al movimento rivoluziona­rio facendo parte di un gruppo di anarchici terroristi. Nel governatorato di Ekatherinoslav uccise un poliziotto e fu condannato a morte, per la sua giovane età la pena fu com­mutata nei lavori forzati a vita. Fu liberato nel 1917 dalla Rivoluzione e tornò a prendere parte nell’organizzazione contadina. Ai primi del 1918 iniziò la reazione in Ucraina. Gli austriaci ed i tedeschi sconvolsero il paese, intere legio­ni di operai e contadini furono fucilati. Mackhno insieme con altri sei compagni formarono un distaccamento armato e combatterono contro le forze di polizia capeggiate dal cosacco Skoropadsky uscendone vittoriosi. Questa azione valse loro una grande rinomanza ed il piccolo gruppo arri­vo a contare venti persone.

Una volta liberata l’Ucraina dai soldati stranieri e dalle bande armate del capo cosacco, Mackhno volse la lotta contro Petliura. Prima della fine dell’anno egli comandava un intero esercito di mackhnovisti. Una volta sconfitto Petliura i bolscevichi occuparono l’Ucraina. Essendo Makhno un anarchico, egli non poteva trovarsi in accordo con i bolscevichi, nonostante che questi intendessero comprarlo in tutti i modi. Arrivarono a proporgli la nomina di comandante superiore di tutte le ripartizioni di guerra in Ucraina a condizione che si ponesse sotto gli ordini d Trotzky.

 

 

 

Mackhno rifiutò l’offerta poiché non intendeva collaborare con coloro che avevano per fine unico la conquista del potere. Iniziò in seguito un’agitazione in tutto il paese i presto giunse a fronteggiare il potente esercito di Denikin. I bolscevichi dichiararono che non potevano riconoscere un esercito costituito da volontari, ma non sentendosi sicuri per intraprendere un’azione contro Mackhno trovarono il modo di eliminarlo indirettamente, negando gli armi e munizioni. Trotzky dichiarò che avrebbe mandato approvvigionamenti se egli si fosse sottomesso al comando dell’esercito russo.

Mackhno era in una situazione critica. Aveva un esercito di 51.000 persone ma era sprovvisto di munizioni ed inoltre era minacciato da Denikin e dall’esercito rosso. Quando aveva combattuto contro Skoropadsky e Petliura i rossi lo avevano lasciato solo; ma allora l’esercito bolsce­vico era male organizzato e debole. Però allora almeno i bolscevichi avevano mandato ai mackhnovisti armi e muni­zioni necessarie, perché egli agiva anche nel loro interesse, mentre ora gli negavano qualsiasi soccorso militare fintantoché non si fosse piegato agli ordini di Trotzky. Questi credeva così di piegare l’Ucraina, ma vedendo che non ot­teneva nulla risolse di finirla con lui, costasse quel che co­stasse. In una assemblea in Karkov, il 29 aprile, dichiarò che Mackhno era un semplice avventuriero e che era prefe­ribile che l’Ucraina cadesse nelle mani dei “bianchi” che rimanere nelle mani degli anarchici, perché una volta che Denikin fosse divenuto il padrone del paese, sarebbero stati i contadini stessi a chiedere l’aiuto dei bolscevichi. Così Mackhno fu lasciato senza munizioni, e l’esercito rosso non intervenne, e Denikin attaccò i mackhnovisti. Anche i rossi dovettero retrocedere, ma intanto avevano ottenuto il loro scopo: annientare i mackhnovisti. La scon­fitta fu disastrosa e Mackhno riuscì a stento a fuggire con i pochi che gli rimanevano.

Nello stesso tempo la stampa bolscevica dichiarava che Mackhno era un traditore e lo incolpava anche della riti­rata dei rossi. Poco dopo questi fatti i bolscevichi trovaro­no il fratello di Mackhno in un ospedale e, scambiandolo per il capo ucraino lo fucilarono. A causa della sconfitta di Mackhno, i soldati di Denikin inseguirono nell’avanzata i soldati rossi attraversando vittoriosi la frontiera russa. In questa situazione critica, Mackhno riuscì ad organizza­re i suoi partigiani ed ad attaccare le retrovie dell’esercito di Denikin, si impossessò delle munizioni di Denikin faci­litando così l’offensiva dei bolscevichi. Dopo un tale atto la stampa bolscevica tornò a riconoscere in Mackhno un rivoluzionario e il governo ritirò l’ordine di fucilarlo.

Una volta sconfitto Denikin, Trotzky tornò ad esigere che i mackhnovisti entrassero nel suo esercito e al loro rifiuto, Mackhno fu di nuovo considerato un traditore e denigrato dal governo. Da allora iniziò la lotta disperata tra Mackhno ed i bolscevichi, ma non si giunse ad una soluzione definitiva che più tardi, quando a causa degli attacchi di Wrangel alla Russia sovietica, le relazioni tra il governo bolscevico ed i mackhnovisti cambiarono.

Queste notizie del comando di Mosca mi sono state confermate totalmente da nuove informazioni da fonti di­rette. Sono in possesso di un manoscritto di 112 pagine su questo argomento, che mi è stato dato da alcuni com­pagni russi. Ai primi del 1920 Mackhno si vide obbligato a dover lottare nello stesso tempo contro i bolscevichi e contro Wrangel. La situazione si fece così critica che i bolscevichi furono costretti a chiedere l’aiuto di Mackhno. L’esercito rosso era stato duramente provato dalla guerra contro la Polonia e non poteva fronteggiare Wrangel. Sul­l’orlo della catastrofe il governo rosso si risolse ad un patto

con il “bandito” Machkno, che ora la stampa chiamava socio del “barone bianco”, cioè di Wrangel.

Il 16 di ottobre si firmò tra Mackhno ed i bolscevichi il seguente patto:

Trattato tra la repubblica Ucraina dei Soviet e l’esercito rivoluzionario Mackhnovista, per la collaborazione provvi­soria delle operazioni militari.

1°        L’esercito rivoluzionario dei Mackhnovisti si fonde con i soldati dell’esercito repubblicano, rimanendo intero l’esercito mackhnovista e riconoscendo soltanto il sovra­comando dell’esercito rosso.

2°        L’esercito rivoluzionario dei Mackhnovisti che si trova nel territorio dei Soviet non può accettare nelle sue file unità dell’esercito rosso o disertori.

3°        La fusione dell’esercito rosso con quello rivoluzio­nario si fa allo scopo di distruggere il nemico comune, l’esercito bianco. I Mackhnovisti sono concordi con il ri­chiamo fatto alla popolazione dal comando dell’esercito rosso affinché cessi ogni azione di resistenza contro di esso.

- Le famiglie dei soldati dell’esercito rivoluzionario Mackhnovista che abitano nel territorio della repubblica dei Soviet usufruiranno degli stessi diritti dei soldati rossi e percepiranno dal governo Ucraino i benefici accordati.

Tra la repubblica Ucraina del Soviet e l’esercito Mackh­novista, si stipula il seguente patto per ciò che riguarda le questioni politiche:

1°        Tutti i rivoluzionari Mackhnovisti ed anarchici che sono incarcerati nella repubblica dei Soviet, che non abbia­no lottato in armi contro il regime bolscevico, saranno liberati ed in seguito cesserà ogni persecuzione.

2° - Libertà di propaganda orale e scritta per tutti gli anarchici. Sarà permessa solo la censura militare. Il gover­no dei Soviet riconosce gli anarchici come reali rivoluzio­nari ed è disposto a fornire il materiale necessario alle loro pubblicazioni, sulla base di accordi generali, vigenti per ta­li pubblicazioni.

- J Mackhnovisti e gli anarchici possono partecipare liberamente alle elezioni per i Soviet, ed hanno il diritto di essere membri degli stessi. Potranno partecipare al pros­simo quinto congresso dei Soviet di Ucraina nel dicembre

1920.

Letto ed approvato dai rappresentanti dei partiti, nella conferenza del 16 ottobre 1920 I Firmato Bela Kun-Popof.

Sulla base del citato documento gli anarchici lottarono alla pari dell’esercito rosso contro Wrangel. Seguì il suc­cesso più completo: nella terza settimana di novembre il “Barone bianco” era completamente sconfitto ed i resti del suo esercito fuggivano verso il sud inseguiti dall’eser­cito rosso. Ma che successe poi? Subito dopo la ritirata di Wrangel il governo dei Soviet ruppe il trattato con Mackhno e l’esercito rosso attaccò repentinamente i suoi alleati uccidendone moltissimi. Mackhno riuscì a fuggire e la stampa bolscevica lo chiamò di nuovo traditore e ban­dito, inoltre tutti gli anarchici scarcerati in seguito al trat­tato furono arrestati di nuovo insieme agli altri.

Queste sono le fasi distinte che il movimento mackhno­vista ha dovuto passare: dalle prove citate si può vedere chiaramente che Mackhno in nessun modo è un traditore e controrivoluzionario e che ogni notizia che i bolscevichi hanno propagato contro di lui è falsa e calunniosa. Il vero tradito è stato proprio Mackhno, ed il tradimento non è stato ordito solo ai suoi danni ma a quelli della rivoluzio­ne, sia quando nel 1919 lo lasciarono solo contro Denikin, sia quando il governo rosso ruppe il trattato.

Il governo dei soviet qualificò Mackhno come controri­voluzionario davanti al mondo intero, dopo che con il trattato aveva riconosciuto che il suo movimento era rivo­luzionario. Dichiara che Mackhno era un bandito, ma come è possibile che abbia poco prima stipulato un con­tratto ufficiale firmato da uno dei suoi più eminenti col­laboratori?

E se Mackhno fosse stato veramente un bandito, come si qualificano coloro che stipulano un patto con un indivi­duo del genere? Che non si dica che il governo era in una situazione disperata e che si vide obbligato a questo passo. Neppure questo motivo potrebbe giustificare una tale azio­ne. Il governo rosso era nella stessa situazione quando fu attaccato da Denikin e abbandonò Mackhno ed i suoi guerriglieri in una situazione disperata, sapendo che la sconfitta di Mackhno era pericolosa anche per l’esercito rosso.

Poi si volle sacrificare Mackhno perché lo voleva Trotzky, perché lo voleva la ragion di stato. Gli uomini di Mosca sanno bene che Mackhno non è un bandito, sanno che lotta per una causa che non si adatta alla loro linea politica. Sanno che l’uomo che salvò due volte la Russia dalla cata­strofe non può essere un controrivoluzionario.

Lo sapevano bene i capi bolscevichi, ma sapevano anche che bisognava eliminarlo come un bandito, dato che non credeva nella bibbia bolscevica. E con lui bisognava elimi­nare i rivoluzionari di diverse tendenze e gli anarchici.

Le affermazioni dei bolscevichi sono false e coloro che le sostengono lo sanno bene, ma che importa? La menzo­gna è sempre stata un fattore decisivo in ogni opera diplo­matica e di essa si avvalgono i difensori della “diplomazia proletaria”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                   Capitolo 6:

LA RIVOLTA Dl KRONSTADT

 

 

 

La stessa “diplomazia proletaria”, riuscì a trasformare la rivolta di Kronstadt in una congiura di “bianchi” prepa­rata da elementi stranieri. Questa tergiversazione abile e astuta fu propagandata da tutta la stampa comunista. Vo­lendo fare oggi un’analisi delle cause interne che causarono la rivolta di Kronstadt, dobbiamo convenire che i marinai erano controrivoluzionari così come lo erano gli anarchici e i seguaci di Mackhno. Un giornale di chiara tendenza bolscevica come il “Novi Put” di Riga, ebbe l’imprudenza di dire tutta la verità sull’insurrezione e sul carattere del movimento; pare che la redazione non avesse ricevuto a

tempo le informazioni ufficiali.       

Nel numero del 19 marzo leggiamo infatti: “i marinai di Kronstadt sono in maggioranza anarchici. Sono alla sini­stra dei comunisti, non alla destra. I loro ultimi notiziari radio ripetono costantemente: Viva il potere dei soviet! Vi­va la convenzione nazionale! Perché si sono ribellati con­tro il governo dei soviet? Perché non è sufficientemente sovietico. Essi scrissero sulla loro bandiera il motto semi-anarchico-semi-comunista che i bolscevichi adottarono tre anni fa, dopo la rivoluzione di ottobre. Nella loro lotta contro il governo sovietico i ribelli esprimono ripetuta­mente il loro odio verso i borghesi e verso tutto ciò che è politica. Sostengono che la repubblica sovietica si è im­borghesita e che Zinoviev si è guastato. Dobbiamo aspettar­ci una rivolta estremista e non una sollevazione di destra.” Questa cronaca di “Novi Put” è stata confermata fino ad oggi in ogni senso; tutti i documenti ed i proclami dei ri­belli di Kronstadt lo testimoniano.

I marinai di Kronstadt sono sempre stati energici e di­sposti al sacrificio nel movimento rivoluzionario russo; ebbero un ruolo importante nel 1905. Quando scoppiò la rivoluzione del 1917 essi furono di nuovo primi nella lotta, dimostrando tutto il loro coraggio. Sotto il governo di Ke­rensky proclamarono la comune di Kronstadt e si oppose­ro energicamente all’assemblea costituente, nella quale ve­devano un pericolo per la rivoluzione. Quando più tardi iniziò la rivoluzione ottobrista che diede il potere ai bol­scevichi, furono ancora una volta alla testa del movimento rivoluzionario. Il loro motto era: “tutto il potere ai soviet!” Nella lotta sanguinosa con Yudenich, i marinai di Kron­stadt furono una muraglia di ferro contro cui si dovettero battere tutti i reazionari. L’influenza delle idee anarchiche fu la causa della loro accanita difesa della propria autono­mia, quando il governo di Mosca inizia a coartare sempre più i diritti dei soviet. Tutti i tentativi che Trotzky fece per piegare i marinai non ottennero esito alcuno.

Nel febbraio del 1921 scoppiarono grossi tumulti tra i lavoratori di Pietrogrado, causati dai nuovi ordinamenti per la razione dei viveri. Gli operai scesero in sciopero. Molti di loro furono arrestati. La situazione era grave. I marinai di Kronstadt inviarono una delegazione a Pietrogrado con il compito di studiare la situazione sul luogo e per vedere se fosse possibile unirsi ai lavoratori in un’azio­ne comune. Il primo di marzo del 1921 si tenne a Kron­stadt un’assemblea dei lavoratori di tutte le linee fluviali, durante la quale la delegazione presentò le informazioni che aveva raccolto a Pietrogrado. Risultato dell’assemblea fu la seguente risoluzione:

1) Considerando che oggi i soviet esistenti non interpre­tano l’anelito degli operai e dei contadini, esigiamo che ven­gano indette nuove elezioni per i soviet, con voto segreto, e che tutti i contadini ed operai possano fare propaganda in libertà per le elezioni.

2) Libertà di riunione per i sindacati industriali e per le organizzazioni dei contadini.

3) Libertà di parola e di stampa per i contadini e gli operai, per gli anarchici e i socialisti rivoluzionari di sinistra

4) Convocazione di un’assemblea imparziale degli operai,

soldati rossi e marinai di Kronstadt, Pietrogrado e della circoscrizione di Pietrogrado prima del 10 marzo 1921.

5)        Liberazione dei prigionieri politici di tutti i partiti socialisti, contadini, operai, soldati rossi e marinai arrestati per via delle rivolte dei contadini e degli operai.

6)        Nomina di una commissione speciale per controllare i processi dei prigionieri nelle carceri e nei campi di con­centramento.

7)        Soppressione di tutte le ripartizioni politiche speciali, perché nessun partito goda privilegi speciali per la sua pro­paganda e sia convenzionato dallo Stato. (Si riferisce a quelle organizzazioni, in tutte le istituzioni civili e militari della Russia, delle quali possono far parte membri dei partito comunista).

8)        Soppressione del controllore nelle stazioni ferroviarie. (Si riferisce alle guardie militari nelle stazioni per proibire il trasporto dì viveri che lo Stato né compra né vende).

9)        Razione uguale per tutti gli operai, ad eccezione di coloro che sono occupati in industrie malsane.

10)      Soppressione di tutte le ripartizioni comuniste in tutte le corporazioni militari e delle guardie comuniste nelle fabbriche.

11)      Che tutti i cittadini abbiano il diritto di disporre dei loro prodotti e possano autogestire la fabbrica senza che occupino salariati.

12)      Ci appelliamo ad ogni corporazione militare ed ai compagni delle scuole militari perché aderiscano al nostro movimento.

13)      Chiediamo a tutti di dare la più ampia diffusione alla nostra risoluzione.

14)      Libertà di lavoro e di domicilio, per tutto il tempo che non si impieghino salariati.

Questa risoluzione fu letta in un’assemblea dei lavora­tori di Kronstadt alla presenza di sedicimila persone e fu approvata all’unanimità.

Il due marzo si riunirono i delegati delle corporazioni militari e delle officine e dei laboratori, in totale circa 300 persone. Si nominò un comitato rivoluzionario provviso­rio che doveva preparare le elezioni per i soviet. Il comita­to pubblicò un bollettino, “l’Isvestia”, che informava sul corso del movimento. Il compagno russo Isdinie, pubblicò in Les Temps Nouveaux” di Parigi parecchi resoconti trat­ti dalle “Isvestia” che accreditano il carattere e lo spirito di questo movimento tante volte vilipeso e sospettato. In un articolo dal titolo “Perché lottiamo” si legge: “La pazien­za degli operai è finita. In tutto il paese si notano i primi sintomi dell’opposizione ad un sistema dì violenza e op­pressione. Gli operai si dichiarano in sciopero, ma i bol­scevichi si valgono di tutti i mezzi per soffocare la Terza Rivoluzione al suo inizio. Però questa è iniziata nonostan­te tutto, essendo gli stessi operai ari averla dichiarata... Qui a Kronstadt sono state collocate le basi della terza ri­voluzione, che aprirà la strada verso il socialismo. Che la nostra rivoluzione convinca gli operai tutti dell’Oriente e dell’Occidente che tutto ciò che è accaduto in Russia nul­la ha a che fare con il socialismo.

 

 

 

Gli operai e i contadini vanno avanti. Si allontanano dalla convenzione nazionale con il regime borghese; come pure dalla dittatura dei partito comunista (0fl la sua ‘com­missione straordinaria” eri il suo capitalismo di Stato che strangola il popolo lavoratore con la frusta del boia. L’at­tuale rivoluzione permette agli operai di eleggere libera­mente i suoi Sovìet, senza temere la pressione di alcun partito, e farà il possibile perché i sindacati, adesso completamente burocratizzati si riorganizzano in associazioni libere manuali ed intellettuali.

In un altro articolo “Le tappe della rivoluzione’, ap­parso il 12 marzo si legge: “Il partito comunista detiene il potere pubblico, lasciando da parte gli operai ed i con­tadini nel cui nonne opera. Si è stabilito un nuovo feudalesimo in nome del comunismo Del contadino si è tatto un semplice schiavo e degli opera i, schiavi sa/aria/i nelle fabbriche sta/ali. Gli operai intellettuali sono stati degnatati al completo....É giunta l'ora di farla finita con la commissariocrazia Kronstadt non dorme. Nel marzo e nell’ottobre del 1917 si è trovata al fronte ed oggi è an­cora lei che spiega la bandiera della terza rivoluzione: la rivoluzione proletaria.

E’ finita la burocrazia. L ‘assemblea costituente appartie­ne al passato. Ora deve cadere la commissariocrazia. E’ giunta l’ora per il vero potere del proletariato, per il po­tere dei soviet! “.

Ed in un appello “agli operai, soldati rossi e marinai” che apparve nel numero del 13 marzo, rifiutano energi­camente l’accusa del governo che il movimento di Kron­stadt sia diretto da generali bianchi e reazionari. Scrivono:

“Il 2 marzo ci siamo sollevati a Kronstadt contro il giogo dei comunisti e spieghiamo la bandiera rossa della terza rivoluzione dei proletari. Soldati rossi, marinai, ope­rai! Kronstadt rivoluzionaria è insorta! Denunciamo che vi si inganna, che non vi si dice la verità di ciò che accade. Non vi si dice che siamo pronti a dare in olocausto la nostra vita per l’emancipazione degli operai e dei conta­dini. Vi vogliono persuadere che il comitato rivoluzionario provvisorio e sottoposto ai generali bianchi ed ai pope. Vogliamo finirla con le calunnie! VI diciamo i nomi dei membri del nostro comitato. Patricencko, impiegato nelle officine delle linee marittime; Jacobenko, telefonista della sezione telefonica di Kronstadt; Osokobenko, macchinista nelle linee marittime ‘‘Sebastopoli Perepelkin, elettricista nella Sebastopoli’’; Archipov, primo macchinista; Petru­chew, primo elettricista nella “pertopavlovsk “; Kupolv, medico; Verchinin, marinaio della ‘‘Sebastopoli ‘‘; Tukin. operaio elettricista; Romenko, riparatore navale; Oreschin, ispettore nella terza scuola del lavoro: Pabloww, operaio; Baikow, amministratore; Walk, direttore di una segheria; Kilgast, saldatore”.

Impressiona profondamente l’appello ai lavoratori del mondo intero”, nel numero del 13 marzo. che dice:

‘‘Sono dodici giorni che un pugno di uomini, operai. soldati rossi e marinai, separati dal mondo intero,sopportano gli attacchi selvaggi dei boia comunisti. Siamo fermi perché ci proponiamo di liberare il popolo dal giogo che il fanatismo di un partito ha imposto. Moriremo gridando:

Viva i soviet liberamente eletti! Che lo sappia il proletariato del mondo intero. Compagni, abbiamo bisogno del vostro aiuto morale! Protestate contro gli atti liberticidi degli autocrati comunisti”

Quest’ultima domanda dei ribelli di Kronstadt, quando essi avevano già la morte davanti agli occhi, non trovò ripercussione alcuna. Nessuno comprese l’importanza della causa per la quale lottarono e misero a repentaglio le loro vite. Non si seppe neppure che furono assassinati a migliaia, così come lo erano stati i comunardi di Parigi quando le bandiere mercenarie di Gallifet li incitavano al­la morte. Ma gli uomini e le donne della Comune di Pa­rigi trovarono la comprensione del proletariato

mondiale, invece coloro che tinsero del loro sangue le strade di Kron­stadt. furono tacciati da traditori e controrivoluzionari della classe, e furono condannati senza che si conoscessero i motivi per i quali lottarono e il loro ultimo appello pas­sò inosservata.

Eppure il motto che gli operai ribelli avevano sulla loro bandiera era il grido di lotta dei bolscevichi quando in ottobre prepararono la rivolta che spazzò Kerensky. Chi avrebbe pensato che pochi anni dopo la “dittatura del proletariato” avrebbe inviato i suoi soldati rossi contro i difensori delle stesse idee che i dittatori di oggi avevano fatte proprie quando decisero di dare l’assalto al potere politico! Uno degli argomenti più importanti (‘antro l’in­surrezione di Kronstadt fu che la stampa controrivoluzionaria degli altri paesi espresse la propria simpatia verso gli insorti. Nell’articolo apparso il 20 aprile nella “Revue Hébdomadaire de la Presse Russe”, Radek volle dimostra­re il carattere controrivoluzionario della rivolta di Kron­stadt, valendosi soprattutto di questo argomento. I lettori della stampa comunista sono in genere molto modesti e seguono le direttive di ciò che si dà loro da leggere sempre che venga da Mosca.

Pertanto lo scritto di Radek apparve su tutta la stampa comunista internazionale. A nessuno saltò in mente di ve­rificare il contenuto. C’era la firma di Radek e questo bastava. Gli argomenti di Radek sono dunque calunniosi e ridicoli. I ribelli di Kronstadt rifiutarono sempre con di­sprezzo ogni aiuto da parte dei controrivoluzionari.

Quando giunse a Parigi la notizia del sollevamento di Kronstadt, i capitalisti russi offrirono ai ribelli 500.000 franchi. Ma gli insorti rifiutarono energicamente questa offerta. E quando alcuni ufficiali controrivoluzionari a Parigi mandarono un radiogramma ai ribelli offrendo i lo­ro servigi, essi rifiutarono con disprezzo. Agiscono così dei controrivoluzionari? Mi pare di no, e gli uomini di Stato di Mosca sono i primi a saperlo.

 

Capitolo 7:

ORIGINI E SIGNIFICATO

DELL’IDEA DEI SOVIET

 

 

Se gettassimo la colpa di ciò che sta succedendo in Rus­sia solo su alcuni personaggi di rilievo faremmo un grave errore. Essi sono responsabili solo in quanto dirigenti di una determinata tendenza ideologica. Ma le cause di questi fatti tragici sono più profonde: affondano le radici in un sistema che inevitabilmente avrebbe portato ad una tale situazione. Questo finora non è stato capito ed il motivo di fondo è che non sono stati analizzati e compresi i due concetti antitetici di organizzazione dei soviet (consigli operai) e di “dittatura del proletariato”. Anzi si è arrivati addirittura ad identificarli.

La verità è che l’unione di queste due forze organizza­tive (soviet, dittatura del proletariato) è impossibile. La dittatura è la contraddizione diretta dell’organizzazione sovietica e quando si è preteso con la forza di legare le due tendenze si è ottenuto come risultato un prodotto ibrido sul tipo della commissariocrazia bolscevica nella Russia attuale, che ha soffocato la rivoluzione.

L’idea dei “soviet” non ammette la dittatura del pro­letariato. Nell’organizzazione sovietista vale la volontà del­la base, l’energia creatrice del popolo, al contrario nella dittatura regge la violenza del vertice, la sottomissione cieca al modello di un dittatore. Le due forme non posso­no coesistere: in Russia trionfò la dittatura perciò non potevano esservi i soviet. Ciò che oggi esiste non è che una grottesca caricatura dell’idea sovietica. L’idea dei so­viet è nel suo più profondo significato l’idea stessa della rivoluzione sociale, l’idea della dittatura è di pura origine borghese e non tiene relazione alcuna con il socialismo.

L’idea dei soviet non è nuova né c’è giunta con la rivo­luzione russa. Cominciò a svilupparsi

 

 

all’interno della fra­zione più avanzata del movimento operaio europeo, quan­do la classe

proletaria organizzata, lasciato da parte il radi­calismo borghese, imboccava la strada della rivoluzione sociale. Questo accadeva all’epoca in cui l’associazione in­ternazionale dei lavoratori cercava di unire i proletari di tutti i paesi in una grande unione il cui fine era arrivare alla liberazione dal giogo del salario. Nonostante l’Inter­nazionale avesse un marcato carattere di unione interna­zionale di uffici e organizzazione dell’industria, i suoi sta­tuti erano sufficientemente ampi perché venissero accetta­ti da tutte le tendenze socialiste di allora, sempre che fos­sero d’accordo con le finalità dell’Associazione.

E’ logico supporre che nei primi tempi la linea ideale del­la grande unificazione proletaria non aveva la chiarezza pro­grammatica che ebbe poi nei congressi di Losanna (1867) e Ginevra (1868). Ma a misura che l’internazionale anda­va maturando interiormente e cresceva come organismo di lotta, le dottrine dei suoi aderenti andavano delinean­dosi con rapidità. L’attività pratica e la lotta contro il ca­pitale ed il lavoro condusse da soli gli operai ad un’inter­pretazione più profonda dei problemi sociali con il pro­posito di trovare i mezzi per risolverli.

A Basilea nel 1869, l’evoluzione dell’Associazione ope­raia aveva raggiunto maturità completa. Fatta eccezione per la questione della terra, sopra la quale si riaffermò la risoluzione anteriore, il Congresso si dedicò al problema industriale. Nella relazione che presentarono il belga Hins ed il francese Pindy, si esprimeva per la prima volta, da un nuovo punto di vista, i principi ed il significato delle organizzazioni industriali, anche se nei loro discorsi si ri­trovavano analogie con le idee di Owen, quando questi aveva fondato la “Grand Consolidated Trade Union”.

Il congresso di Basilea dichiarò chiaramente che il Tra­deunionismo o sindacalismo non e unicamente un’organiz­zazione di resistenza comune e temporanea la cui ragione di esistere si spieghi solo dentro la società capitalistica, dovendo operare nel suo seno. Al contrario, da principio fu modificato il concetto della tendenza socialista statale

che cerca di circoscrivere l’azione degli organismi operai industriali alle rivendicazioni economiche ed al migliora­mento delle condizioni di lavoro, esaurendo in questo tut­ta l’azione. Nella relazione di Hins si dichiarava che l’or­ganizzazione per la lotta economica dei lavoratori doveva essere considerata come una finalità della futura società socialista e che compito dell’Internazionale era istruire l’organizzazione operaia per questa missione storica.

Il congresso di Basilea approvò la seguente risoluzione:

.•J/ congresso dichiara che tutti i lavoratori debbono teii­tare di fondare società di azione nelle diverse industrie. Man mano che vadano formandosi tali associazioni si po­tranno fondare unioni nazionali dell’industria. Questa cor­porazione dovrò riunire tutti gli elementi che abbiano una qualche relazione con l’industria e giungere ad un accordo comune rispetto alle disposizioni necessarie perché la fe­derazione dei produttori liberi possa rimpiazzare l’attuale sistema del salario. Il congresso autorizza il consiglio ge­nera le a facilitare le relazioni delle organizzazioni dei di­versi paesi’’.

Commentando la precedente risoluzione che la commis­sione presentò al congresso, Hins dichiarò che a questa doppia forma di organizzazione, cioè quella delle società locali e delle unioni generali dell’industria, avrebbe dovuto sostituirsi in seguito l’amministrazione politica delle comu­ni e la rappresentazione generale del lavoro in senso regio­nale, nazionale ed internazionale. “I consigli delle organiz­zazioni del lavoro occuperanno il posto degli attuali gover­ni. Queste rappresentazioni porranno fine una volta per tutte ai vecchi sistemi politici del passato”.

L’idea nuova fruttifera, nasceva dal convincimento che ogni nuova forma di organizzazione societaria deve portare ad una nuova forma di organizzazione politica e può giun­gere a realizzarsi soltanto in questa nuova forma politica e che pertanto il socialismo necessita anche di una forma nuova e diversa in cui possa trovare la sua espressione va­lida di inserimento nella realtà. Gli uomini della vecchia

internazIonale erano convinti che la forma dei soviet fosse la forma politica più adeguata ad una società socialista.

I lavoratori dei paesi latini, dove l’Internazionale trovò il suo massimo appoggio, svilupparono il movimento sulla base delle organizzazioni per la lotta economica e dei grup­pi socialisti di propaganda, seguendo l’esempio delle riso­luzioni adottate dal congresso di Basilea. Come si avvidero che lo Stato era unicamente il rappresentante e il protet­tore delle

 

 

classi privilegiate non aspirarono alla conquista del potere politico, ma al trionfo sopra lo

Stato, con lo scopo di abolire ogni forma di potere politico, poiché è soltanto l’espressione legale della tirannia e dello sfrutta­mento.

Perciò non cercarono più di imitare la borghesia for­mando un nuovo partito politico e cooperando alla for­mazione di una nuova casta di politici di professione. Al contrario videro la finalità delle loro lotte nella conquista delle fabbriche, delle industrie e dei campi e compresero che questa finalità era totalmente diversa da quella che perseguivano i politici della borghesia radicale, che guasta­no le loro energie nel potere statale. Compresero che con il monopolio della ricchezza sarebbe caduto anche il mo­nopolio del potere, che tutta la vita sociale futura avrebbe dovuto essere costruita su basi completamente nuove.

Partendo dal principio che lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo doveva cessare e che bisognava organizzarsi in modo nuovo, sostituirono alla politica autoritaria dei par­titi, la politica sindacale del lavoro. La frazione progressi­sta dell’Internazionale era convinta che la riorganizzazione della società doveva sorgere dal mondo industriale e agri­colo e che è in questo ambito che si debbono porre le basi del socialismo.

Da questo convincimento nacque l’idea dei consigli ope­rai (soviet). Questo pensiero fu analizzato e diffuso dalla stampa, dai libri e dai volantini dell’ala antiautoritaria dell’Internazionale riunita intorno a Bakunin. In modo partico­lare furono le stesse idee sviluppate nei congressi della Federazione del lavoro in Spagna, dove impegnarono le espressioni “giunte e consigli di lavoro”. I socialisti liber­tari dell’Internazionale videro chiaramente che il sociali­smo non poteva essere dettato dal governo, che doveva svilupparsi liberamente dal basso, dal seno delle masse e che era compito dei lavoratori stessi prendere la direzione della produzione e del consumo. Tale fu la politica che sostennero di fronte alle dottrine dei socialisti autoritari e dei parlamentari. La lotta sostenuta tra Bakunin e Karl Marx ed il Consiglio generale di Londra che terminò con la divisione dell’unione operaia, aveva la sua origine nelle contraddizioni tra federalismo e centralismo e le diverse interpretazioni del ruolo che lo Stato deve avere nel perio­do transitorio.

Non furono questioni personali quelle che condussero a questa lotta interna nonostante che Engels e Marx fa­cessero il possibile per spostare la faccenda sul piano per­sonale, divulgando sospetti e calunnie su Bakunin e i suoi seguaci. Si trattava invero di due diverse interpretazioni del socialismo e della scelta di due strade diverse verso il socialismo. Anche senza Marx e Bakunin il conflitto avreb­be avuto luogo ugualmente trattandosi del cozzo di due correnti ideologiche ben distinte.

Durante le persecuzioni scatenate contro il movimento operaio nei paesi latini che iniziarono in Francia con la caduta della Comune e si propagarono in Spagna negli anni seguenti, l’idea dei soviet dovette lottare contro enor­mi difficoltà poiché tutta la propaganda pubblica era per­seguitata, ed i lavoratori con i loro gruppi segreti dovevano concentrare tutte le loro forze nel combattere la reazione ed aiutarne le vittime colpite. Ma appena migliorò un poco la situazione e con l’evoluzione del sindacalismo rivolu­zionario si svegliò una nuova vita, soprattutto nell’epoca della grande attività dei sindacalisti francesi tra il 1900 e il 1907, l’idea dei soviet raggiunse una chiara interpretazio­ne. Basta solo gettare uno sguardo agli scritti di Pelloutier, Pouget, Grifueihes, Monatte, Ivetot e molti altri, per convincersi che né in Russia né in alcun altro paese l’idea dei soviet è nata, bensì essa è stata la realizzazione di ciò che il sindacalismo rivoluzionario aveva già stabilito venti o trenta anni prima. Nei circoli dei partiti operai socialisti non si volle saper nulla dell’idea dei soviet che considera­vano con disprezzo come una “utopia idealista”. I bol­scevichi non costituiscono un’eccezione a questa regola generale.

L’idea dei “soviet” è il risultato naturale del socialismo libertario. Cominciò a svilupparsi in seno al movimento operaio rivoluzionario e rappresenta il totale abbandono da parte dei veri socialisti dell’idea borghese di Stato. Del­la dittatura non si può dire la stessa cosa. La concezione dittatoriale non è nata nel mondo delle idee socialiste né è il risultato del movimento operaio: è al contrario, un’e­redità pericolosa che la borghesia lasciò al proletariato. E’ strettamente legata al desiderio di conquistare il potere politico, altra idea di origine borghese.

La dittatura è una forma di violenza dello Stato. Come coloro che sostengono la necessità di uno Stato, così i sostenitori della dittatura credono che solo dall’alto debbono essere

 

 

impartite le direttive per una buona organiz­zazione sociale. La dittatura, anche “socialista”, è un vero e proprio freno per la rivoluzione sociale, il cui elemento vitale consiste nella partecipazione costruttiva e nella ini­ziativa diretta delle masse.

La dittatura è la negazione che il popolo sia capace di autogovernarsi, è l’imposizione di una minoranza sulla mas­sa. I simpatizzanti della dittatura potranno essere animati dalle migliori intenzioni; ma la logica dei fatti li porterà a praticare forme di dispotismo. Acutamente scriveva Baku­nin: ‘la causa fondamentale che tutte le autorità statali rivoluzionarie del mondo intero abbiano fatto ben poco per dare impulso al cammino della rivoluzione è che hanno preteso sempre di dare il loro impulso con il potere e la lo­ro autorità personale. In conseguenza potevano scegliere tra due soluzioni. per prima, dovevano limitare l’azione ri­voluzionaria, perché perfino gli uomini di stato più intelli­genti, energici e sinceramente rivoluzionari non hanno concetto alcuno di tutte le questioni della vita. Pertanto una dittatura, sia di una sola persona come di un comitato rivoluzionario e necessariamente immiserita, così come le navi più gigantesche non possono misurare l’estensione né la profondità del mare, così i dittatori non possono misu­rare la profondità della vita nel popolo. Secondariamente, ogni azione che si pretende imporre al popolo per mezzo del potei-e ufficiale e legale, dall’alto, provocherà sempre nelle masse un sentimento di sollevazione e di opposizione”.

E’ significativo che Lenin ed i suoi seguaci, con il propo­sito di screditarle tra le masse, non si stancano di chiamare piccolo-borghesi tutte le tendenze socialiste che non convergano con la loro bibbia. Ma sono proprio loro ad aver assorbito l’ideologia piccolo-borghese. L’idea della dittatura l’hanno derivata dai piccolo-borghesi giacobini. E’ oppor­tuno ricordare che furono i giacobini che giudicarono criminali gli scioperi, esattamente come oggi in Russia, e che proibirono le organizzazioni industriali sotto minaccia di pena di morte. Saint-Just e Couthon furono i suoi portavoce e Robespierre, quantunque inizialmente reticen­te, l’esecutore. Persino Marat, nonostante comprendesse il pericolo della dittatura, simpatizzava molto con questa idea ed in conseguenza esigeva un dittatore con le catene ai piedi.

 

 

 

Capitolo 8:

DITTATURA E SOCIALISMO

 

 

 

La falsa interpretazione che gli storici borghesi e radicali danno della grande rivoluzione francese, attribuisce alla dittatura giacobina una fama immeritata che si andò ac­centuando dopo le esecuzioni capitali dei suoi famosissimi dirigenti. Gli uomini si sa hanno il culto dei martiri e questo culto li rende spesso incapaci di fare una critica imparziale.

Fu Louis Blanc colui che più di tutti contribui' alla esaltazione del giacobinismo. Le conquiste rivoluzionarie, come l’abolizione del sistema feudale e della monarchia assoluta, sono state attribuite dagli storici ai Giacobini ed alla convenzione rivoluzionaria, cosicché si andò formando, con il trascorrere del tempo, una falsa valutazione della rivoluzione francese. Oggi possiamo a ragione dire che la interpretazione tradizionale della rivoluzione francese è basata sulla completa ignoranza dei fatti storici e che i fatti importanti della rivoluzione furono prodotti unica­mente dall’azione dei proletari delle città e dei contadini, contro la stessa volontà dell’Assemblea Nazionale e della Convenzione.

I giacobini e la Convenzione avevano sempre combattuto ogni idea di cambiamento radicale, finché di fronte ai fatti dovettero forzatamente adeguarsi. L’abolizione del feuda­lesimo fu opera esclusiva delle rivolte dei contadini, che erano state boicottate dai partiti politici. Nell’anno 1792 l’Assemblea Nazionale confermò il sistema feudale e solo nel 1793, quando i contadini conquistarono i loro diritti per proprio conto, la Convenzione rivoluzionaria si decise a sancire l’abolizione dei diritti feudali.

Identico caso si ebbe con l’abolizione della monarchia assoluta. I primi leaders del movimento socialista popolare in Francia, pur uscendo dal circolo dei giacobini restarono

ancora sotto l’influenza della linea politica giacobina.

Quando Babeuf, Darthé, Buonarroti ed i loro amici orga­nizzarono la “Congiura degli eguali” avevano l’intenzione di trasformare la Francia per mezzo di una dittatura militare. Come comunisti riconoscevano che gli ideali della grande rivoluzione potevano realizzarsi unicamente con la soluzione del problema economico; ma credevano che questo proposito fosse raggiungibile solo usando la violenza ed il potere dello Stato.

Questa fiducia nel potere supremo dello Stato era pro­fondamente radicata nei giacobini. Babeuf e Darthé furono condotti alla ghigliottina. Buonarroti e altri furono esiliati, ma le loro idee continuarono a vivere nel popolo e trovaro­no albergo nelle società segrete dei babeuvisti, durante il regno di Luigi Filippo. Uomini come Barbés e Blanquì lottavano su questo stesso terreno e anelavano ad una dittatura del proletariato al fine di porre in pratica i loro principi comunisti e statali.

Fu da questi uomini che Marx ed Engels presero l’idea della “dittatura del proletariato” tale come l’espressero nei “Manifesto comunista”. Anche loro intesero sotto tale nome la fondazione di un governo centralizzato e forte, la cui missione sarebbe stata quella di rompere il potere della borghesia, per mezzo dileggi e preparare poi più tardi una nuova società fondata sul socialismo statale. Tutti questi uomini venivano al socialismo dalla democrazia bor­ghese ed erano imbevuti di idee giacobine. D’altra parte, il movimento socialista non era ancora completamente svi­luppato per continuare un proprio cammino e rimaneva ancora sotto l’influenza della tradizione borghese. Fatta eccezione per Proudhon e seguaci tutte le tendenze socia­liste degli anni 40 e 50 del secolo passato erano decise partigiane dell’idea dello Stato.

All’epoca della I Internazionale, con lo sviluppo del mo­vimento operaio, giunse il momento propizio perché i So­cialisti fossero capaci di scuotere via gli ultimi residui della tradizione borghese, che ancora conservavano, e perché po­tessero poggiare il loro intervento su basi socialiste e liberta­

ne. Così si sviluppò l’idea dei soviet come contrapposizione all’idea di Stato e di potere politico in ogni sua forma, e in contrasto con l’idea di “dittatura”, che vuole non solo man­tenere lo strumento di potere delle classi privilegiate, lo Sta­to, ma pretende anche di favorirne uno sviluppo prodigioso.

I pionieri del sistema sovietico compresero che lo Stato, la violenza organizzata delle classi dirigenti, non poteva trasformarsi in uno strumento di liberazione per tutti i lavoratori. Per questo sostennero che il primo compito della rivoluzione sociale era quello di distruggere il vecchio apparato del potere politico per impedire così ogni forma di sfruttamento.

Nel congresso dell’Aia, nel 1872, dove si ebbe la divisio­ne dell’Internazionale, il portavoce della minoranza, espres­se chiaramente il concetto che all’idea della conquista del potere si deve anteporre l’idea della distruzione di ogni potere politico. Non ci vengano a dire che “la dittatura del proletariato” è diversa da qualsiasi altra forma dittato­riale, trattandosi di dittatura di classe. Non è né può essere la dittatura di classe che la dittatura di un partito determi­nato che si arroga il diritto di parlare in nome di una classe, così come la borghesia giustifica i suoi atti dispotici in nome del popolo.

Sono sempre più pericolosi i partiti che scalano per la prima volta il potere, perché nei suoi capi è generalmente più sviluppata l’arroganza e la credenza di essere grandi, di quello che non sia per altri partiti abituati a governare.

La Russia è un eccellente esempio. Laggiù non si può ancora parlare della dittatura di un partito, ma di quella di un pugno di uomini sopra cui lo stesso partito non ha più influenza. L’immensa maggioranza del popolo russo è contro la dominazione dell’attuale oligarchia, che ha perdu­to da tempo tutte le simpatie del proletariato russo. Se i lavoratori russi avessero la possibilità di eleggere libera­mente i loro rappresentanti ai soviet, il dominio bolscevico cadrebbe come un castello di carte.

Non è la volontà di una classe quella che ha trovato

espressione nella dittatura del proletariato, ma solo il potere delle baionette, dell’esercito rosso. Sotto la “ditta­tura del proletariato” la Russia si è trasformata in un car­cere gigantesco; non si sono raggiunti i propositi fonda­mentali della rivoluzione; al contrario ci si è allontanati da essa proporzionalmente, a mano a mano che il potere della nuova autocrazia cresceva e che l’iniziativa rivolu­zionaria del popolo veniva soffocata. Oggi addirittura si sono abbandonati gli stessi propositi che si pretendeva rappresentare, ritornando al capitalismo. E’

 

 

vero che si cer­ca di coprire con gli imbrogli dialettici l’effetto di questa retrocessione, ma i

sofismi di Lenin e Radek non possono coprire la realtà. La famosa “dittatura del proletariato”, oltre ad avere cambiato il lavoratore russo in uno schiavo, ha gettato le basi per il nuovo dominio di una nuova bor­ghesia.

Capitolo 9:

LA VERA ESSENZA DELLO STATO

 

 

 

Alcuni mesi prima che scoppiasse la rivoluzione di Ot­tobre del 1917 Lenin scrive la sua opera “Stato e Rivolu­zione” che contiene una strana mescolanza di idee mar­xiste ed anarchiche. Lenin cerca di dimostrare che Marx ed Engels sostennero sempre l’idea che lo Stato sarebbe scomparso ma che, durante il “periodo rivoluzionario tran­sitorio”, cioè mentre la società andava cambiando il suo sistema sociale da capitalista a socialista, essa avrebbe do­vuto servirsi dell’apparato statale. L’opera contiene altresì duri attacchi a Kautsky, Plekanov e i cosiddetti “opportu­nisti” del socialismo marxista moderno; li accusa di aver falsificato intenzionalmente la bibbia dei due maestri non avendo chiarito ai lavoratori il ruolo che lo Stato avrà du­rante la dittatura del proletariato.

Non è ancora nostra intenzione verificare la veridicità delle asserzioni di Lenin. Alcuni dei suoi argomenti sono stati abbastanza arruffati e non sarebbe difficile scegliere dalle opere di Marx ed Engels altrettante citazioni che di­mostrano il contrario di ciò che Lenin vuole dimostrare. Ma non ha importanza soffermarsi tanto su ciò che hanno scritto Marx ed Engels; ciò che conta è sapere se la loro maniera di vedere fu realizzata o meno in pratica. Ogni altra questione ha lo stesso valore dei commentali scritti da abili teologi sulle interpretazioni della Bibbia.

Nella sopraccitata opera Lenin dichiara che la “diffe­renza tra i marxisti e gli anarchici consiste nel fatto che i primi hanno il proposito di abolire lo Stato; ma credono che questo si possa realizzare quando la rivoluzione socia­lista abbia soppresso le classi, come risultato del socialismo, mentre gli ultimi aspirano ad abolire lo Stato dall’oggi al domani senza affrontare il lavoro che tale abolizione ri­chiede”.

A causa di questa dichiarazione molti anarchici credet­tero di vedere in Lenin e nel suo partito dei compagni di lotta. Molti di loro furono disposti ad accettare la ditta­tura del proletariato credendo che si trattasse solo di un periodo transitorio inevitabile e che fosse imprescindibile per la rivoluzione. Non si volle o non si poté comprendere che il pericolo stava proprio nel concetto che la dittatura fosse una fase necessaria.

Si dovrebbe ragionare. Si dovrebbe ragionare con una logica non umana per considerare che lo Stato è indispen­sabile finché non saranno abolite le classi, come se lo Stato non fosse sempre il creatore di nuove classi, come se non fosse l’incarnazione viva delle differenze di classe nella società. Tutto il suo essere è l’eternizzazione dei contrasti di classe. La storia intera ci ha dimostrato sempre questa verità inequivocabile, che è ora confermata in Russia dal disgraziato esperimento dei bolscevichi.

Si dovrebbe essere ciechi a non riconoscere il valore dell’insegnamento che la rivoluzione russa ci ha dato. Sotto la “dittatura del proletariato” si è sviluppata in Russia una nuova classe, la “commissaniocrazia” che è oggi de­testata dalla massa come prima lo erano i rappresentanti dell’antico regime. E questa nuova classe conduce oggi la stessa vita parassitaria dei SUOi predecessori sotto il domi­nio degli zar. Ha monopolizzato l’economia e si è appro­priata di tutto, mentre il popolo è in miseria. Questa nuova classe si avvale degli stessi procedimenti tirannici del vec­chio regime. Esercita un potere dispotico sulla massa. Nel vocabolario popolare russo si e creato il termine “borghese sovietico”, piuttosto caratteristico per indicare lo stato at­tuale sotto l’impero di Lenin. E’ un’espressione usata in tutti i circoli operai e ci dimostra come il popolo senta il giogo di questa nuova classe dirigente. Dunque l’appa­rato del potere statale può solo creare nuovi privilegi e mantenere i vecchi.

Non può dunque convertirsi in strumento di liberazione del popolo. Kropotkin, nel suo libro “Lo Stato moderno”,

scriveva: “Sperare che un ‘istituzione che rappresenta una determinata forma storica di evoluzione serva come mezzo di distruzione dei privilegi che essa stessa sviluppo non si­gnifica altro che riconoscere la propria incapacità. Non si­gnifica altro che l’ignoranza di

 

 

una delle regole principali, cioè che le nuove funzioni esigono organi nuovi e sono queste

stesse funzioni che devono svilupparli. Vuol dire che si è pigri e timorosi per pensare alla nuova direzione a cui conduce I evoluzione moderna”.

Le parole di Kropotkin pongono l’attenzione su uno dei peggiori vizi spirituali di cui l’uomo moderno soffre. Le istituzioni occupano nella vita della società lo stesso luogo degli organi nel corpo animale. Sono gli organi di un corpo sociale. Gli organi non si sviluppano arbitraria­mente, ma per necessità determinate. L’occhio del pesce nel profondo del mare è diverso da quello di un animale terrestre, poiché esercita le sue funzioni in un luogo diverso.

Non avviene mai che un organo compia funzioni che non hanno relazione alcuna con l’ambiente. Così le istitu­zioni sociali si sviluppano sotto la spinta di particolari con­dizioni sociali. In questo modo si sviluppò lo stato moder­no. Nel vecchio ordinamento sociale si sviluppò il mono­polio e insieme a questo una forte divisione di classi diverse con interessi distinti. Le classi nascenti avevano bisogno di uno strumento per sostenere i loro privilegi sociali ed economici sopra la massa del popolo. Da questa forma nacque e si sviluppò io Stato moderno come organo della classe privilegiata per la schiavitù e lo sfruttamento delle masse.

Nell’impiantare in Russia la dittatura del proletariato, i bolscevichi diedero allo Stato) tale potere sui cittadini che nessuno Stato aveva avuto prima. Crearono la buro­crazia più forte che si sia mai visto prima. Le famose parole di Saint-Just che la missione del legislatore deve essere quella di paralizzare nell’individuo la coscienza privata e insegnargli a pensare nel senso della ragion di stato, non sono state realizzate in alcun altro posto meglio che in

Russia. Tutte le opinioni che non siano conformi a quelle dei dittatori non hanno possibilità di essere conosciute, essendo soppressa la libertà di stampa e di parola; la stam­pa dello Stato pubblica solo ciò che è conforme alla ragion di Stato.

Nella sua opera “Democrazia borghese e dittatura pro­letaria”, Lenin tenta di giustificare la soppressione della libertà di riunione in Russia, scrivendo che le rivoluzioni d’Inghilterra e Francia non permisero ai monarchici di riu­nirsi né di esprimere liberamente la loro opinione. Ma in Russia non sono soltanto perseguiti gli adepti del vecchio regime, ma anche tutte le tendenze rivoluzionarie che con­tribuirono a distruggere l’autocrazia e che in ogni momen­to della rivoluzione versarono il loro sangue e donarono la loro vita. Quando poi Lenin ci spiega che la libertà di stampa nei paesi cosiddetti “democratici” non è che un inganno, in quanto le migliori agenzie di stampa sono nelle mani dei capitalisti, dice la verità e tutti i socialisti lo sanno; ma tace stranamente quando parla della Russia, dove i giornali sono nelle mani dello Stato e per questo ogni opi­nione contraria al regime può essere repressa, sia che essa provenga dai reazionari che dai socialisti rivoluzionari.

Il fatto sta in questi termini. Durante la rivoluzione in­glese era repressa la stampa monarchica, ma nessuno tentò mai di strangolare le libere opinioni delle diverse tendenze rivoluzionarie, nonostante che la stampa rivoluzionaria non trattasse certamente il governo con i guanti bianchi. Perciò non hanno valore alcuno le parole di Lenin. Le sue parole non servono che a mascherare la realtà.

Qual’è stato il risultato di questa situazione? Hanno forse dato qualche risultato positivo queste limitazioni alla libertà personale? Hanno avvicinato di più la Russia al co­munismo? No, mille volte no!

Capitolo 10:

RIVOLUZIONE POPOLARE E DITTATURA DI PARTITO

 

 

 

E’ già stato detto molte volte che la guerra che insangui­nò la Russia per così lungo tempo, contribuì molto allo sviluppo della situazione politica in cui il paese si trova oggi. Pur tenendo presente questo fattore, cerchiamo di trovare le cause più profonde della situazione attuale. Se non fosse stato per la guerra i bolscevichi non avrebbero potuto esercitare la loro dittatura fino alle estreme conse­guenze che viviamo oggi. I bolscevichi, come tutti i socia­listi statalisti e giacobini, credono che ogni nuova forma sociale possa essere imposta al popolo dall’alto e, poiché non hanno fiducia nelle capacità costruttive delle masse, sono ostili ad ogni iniziativa che non porti lo “imprimatur” del loro partito.

 

 

Vedono perciò in malo modo tutte le associazioni ed istituzioni che nascono direttamente

dai contadini e dagli operai e cercano, con tutte le loro forze di limitare la indipendenza di tali organismi, tentando alla prima occa­sione di porli sotto il diretto controllo del partito. In questo modo hanno operato con i Soviet e con gli organi­smi industriali della Russia. Le associazioni cooperative dei contadini e degli operai sono state distrutte quasi al completo. Adesso cercano di costruirle di nuovo ma, si intende, sotto il controllo dello Stato. Questo esempio di sfiducia nelle proposte organizzative che vengono dal basso, spiega la loro fede fanatica nel potere dei decreti. Il decreto è il feticcio del bolscevico, è più importante del fatto rivoluzionario che solo sotto la spinta delle masse si può realizzare. Migliaia di decreti ed editti “rivoluzionari” han­no soffocata la rivoluzione russa. Anche se qualcuno sa che il 99% dei decreti ed editti si perde nei meandri della burocrazia, l’abbondanza dei foglietti di carta cresce ogni giorno per soffocare il popolo russo. Se fosse possibile liberare il mondo a furia di decreti, oggi la Russia sarebbe un nuovo paradiso terrestre.

A questo proposito mi piace ricordare le parole di Bakunin:

“Sono il peggiore nemico di tutte le rivoluzioni che si facciano per mezzo di decreti, che non sono altro che il risultato della applicazione pratica del concetto di “Stato rivoluzionario  cioè di una reazione coperta dalla masche­ra della rivoluzione. Davanti al metodo dei decreti rivolu­zionari, io pongo il metodo dei fatti rivoluzionari, che èi unico efficace, logico e reale. Il metodo autoritario, nel voler imporre dall’alto alle masse l’uguaglianza e la libertà, strangola la libertà e la uguaglianza. Il metodo anarchico dell’azione provoca fattori rivoluzionari e risveglia nelle masse una coscienza rivoluzionaria. Il metodo dello Stato rivoluzionario porta alla reazione, il secondo fa la rivolu­zione perché essa nasce direttamente dal popolo tutto”.

Bakunin non avrebbe mai pensato che la storia russa avrebbe confermato tragicamente le sue parole. Chi non ha fiducia nella capacità costruttiva del popolo crede nei decreti miracolosi. Ma chi crede nei decreti non capisce cosa significa libertà. Solo un uomo come Lenin che non è capace di concepire la forza creativa delle masse, può affermare che la libertà è un “concetto borghese”. La mania marxista di vedere tutte le rivoluzioni del passato come manifestazioni della borghesia, lo portò ad una tale interpretazione. Ma essa è sbagliata. Tanto nella rivoluzione inglese come nella francese si distinguono due correnti: la rivoluzione popolare ed il movimento rivoluzionario dei politici, ma queste due correnti si incontrano spesso e si uniscono nei grandi avvenimenti rivoluzionari, sebbene ognuna conservi le proprie finalità. Senza il movimento dei contadini e dei proletari della città, mai sarebbe stato abolito in Francia il feudalesimo e la monarchia assoluta.

Il proposito della borghesia era una monarchia costitu­zionale come in Inghilterra ed una riforma modesta del feudalesimo si sarebbe avuta con il dividere il potere tra loro borghesia ed aristocrazia. Le famose parole di Camillo Desmoulins: “prima del 1789 a Parigi non c’era che una dozzina di repubblicani”, ci dipinge bene la situazione. Furono le rivolte contadine ed operaie a dare impulso alla rivoluzione e furono represse aspramente dalla borghesia. Fu la rivoluzione popolare quella che pose fine al feudale­simo e distrusse la monarchia assoluta, nonostante che i politici tentassero in tutti i modi di conservarla.

Il fatto che abbia trionfato la borghesia accaparrandosi il potere, non significa che la rivoluzione avesse un caratte­re meramente politico. E’ sufficiente citare il movimento “enragès” e la cospirazione di Babeuf per rendersi conto che nel seno delle masse c’erano forze che operavano e che in nessun modo si potevano definire “politiche”. Sotto la spinta del popolo la borghesia si vede costretta ad andare avanti ed ad includere nei suoi codici certi diritti e libertà per la comunità che mai avrebbe dato spontaneamente. Sappiamo che poi i suoi rappresentanti tentavano ad ogni costo di restringere questi diritti interpretando a loro favo­re le leggi o mediante violazioni dirette.

Tutti conoscono le lotte dure che i lavoratori dovettero affrontare per conseguire il diritto di sciopero, di riunione, di organizzazione, ecc. che formano oggi la base di ogni movimento popolare. Ma questi diritti di cui godiamo oggi non debbono nessuna riconoscenza alla buona volontà borghese: sono il frutto di una lotta tenace, instancabile. Dire che questi diritti non sono che una idea “borghese” significa difendere il dispotismo dei tempi passati. Nessuno creda che ci inganniamo sul significato di questi diritti.

Sappiamo molto bene che perfino nei paesi “liberi” questi diritti hanno valore molto relativo, ma c’è il fatto che nei paesi capitalisti i lavoratori possono godere almeno

 

 

formalmente di questi diritti, mentre in Russia sotto la dittatura bolscevica, non è possibile. In ogni movimento rivoluzionario popolare si possono osservare due aspirazioni distinte nella azione della massa: la necessità di uguaglian­za sociale e il desiderio di libertà individuale.

Quindi pos­siamo affermare che la necessità di libertà fu sempre la forza d’impulso di ogni rivoluzione. Non furono soltanto questioni economiche quelle che sollevarono le moltitudini quanto anche il sentimento della propria dignità umana. Sarebbe sufficiente considerare le piccole lotte quotidiane dei nostri giorni per convincerci che molti scioperi si realiz­zano senza che ci sia un impulso dì rivendicazione econo­mica, spesso sono scioperi di solidarietà con un compagno, o contro un caporale troppo zelante.

Ignorare il desiderio di maggiore libertà individuale dell’uomo significa non comprendere l’efficacia di una delle forze più elementari dell’evoluzione della storia umana. La prova l’abbiamo avuta con i bolscevichi. Il fatto che il bolscevismo sia un acerrimo nemico di tutte le tendenze libertarie socialiste lo ha portato ad essere controrivoluzio­nano. Leggiamo le seguenti parole dì Bukarin per farci un ‘idea della ostilità bolscevica a1la Liberta:”la repressione proletaria, cominciando con le esecuzioni e concludendo con i lavori forzati, anche quando possa sembrare un paradosso, è il metodo per trasformare il materiale umano dell’epoca capitalista in umanità comunista’ Ci fa venire alla mente la tenebrosa figura di Torquemada, che accom­pagnava le sue vittime agli “auto da fè” con lacrime agli occhi e sosteneva che soltanto il rogo può convertire i ribelli in servi fedeli della chiesa. Il proposito di Torque­mada era il trionfo della Santa Chiesa, lo scopo di Bukarin è costruire l’umanità comunista, i metodi per raggiungere lo scopo hanno la stessa matrice ideologica. Le parole di Bukarin non hanno un significato meramente platonico, ma tragico.

Sotto il predominio bolscevico il lavoro è stato comple­tamente militarizzato e sottomesso ad una disciplina ferrea. A questo proposito scrive un operaio comunista nel nume­ro 13 del “Metalista”: “nelle fabbriche di Krostoma si ebbe una sottomissione completa dei lavoratori agli ordini del direttore. Tutti gli ordini del Comitato del Lavoro concor­dano con gli ordini di vertice della direzione. Chi rimane fuori dal lavoro senza autorizzazione della direzione, perde le razioni extra. Chi rifiuta il lavoro straordinario è punito allo stesso modo. Chi giunge tardi al lavoro è punito con la sottrazione di due settimane di salario”.

Il governo dei soviet promulgò una intera montagna di decreti per spiegare ai lavoratori che è indispensabile per gli interessi del Paese applicare alle fabbriche la stessa disciplina assoluta dell’esercito, ma i lavoratori non vollero accettare in nessun modo le condizioni. Nel 1920 iniziò un movimento di protesta con scioperi nella maggior parte dei centri industriali del paese, provocato dalla militariz­zazione del lavoro. Per rendersi conto della forza del movimento diamo un’occhiata alle statistiche del comitato centrale del Segretariato Operaio: 1) Ci furono scioperi nel 77” delle industrie medie e grandi; 2) scioperi al 90% nelle fabbriche nazionalizzate; 3) in alcune fabbriche ci furono 3, 4, scioperi durante tutto il tempo; 4) il numero maggiore di scioperi si ebbe a Pietrogrado, il minore a Kasan.

Un manifesto dei lavoratori di Pietrogrado che fu pub­blicato durante gli scioperi, poco prima della insurrezione di Kronstadt, riflette bene la disposizione degli scioperanti. Dice il manifesto: la nostra esistenza è come una condanna ai lavori forzati per tutta la vita, dato che bisogna obbedire agli “ordini”. Non siamo più liberi, siamo schiavi. In “Ispe­zione di contadini ed operai per la revisione dei carceri di Mosca”, apparso nel giugno del 1920, si legge: “Nel carcere di Butirka, a Mosca, ci sono 152 lavoratori che furono arrestati per aver partecipato ad uno sciopero il primo di marzo...”.

Tutti questi scioperi furono repressi brutalmente dal governo bolscevico. Molti lavoratori furono condannati a morte e fucilati. In ogni fabbrica ci sono state spie di partito per annusare l’aria che tira presso gli operai, chi osa dire una parola contraria è arrestato e rinchiuso in galera. Così terrorizzano la classe operaia e si strangola il libero pensiero. E questa vergognosa tirannia è il mezzo che occorre a Bukanin ed ai suoi compagni per trasformare il materiale umano dell’epoca capitalista in umanità co­munista”.

Questi metodi non ci convincono. Anzi provocano rea­zioni contrarie e la crudele esperienza ci ha dato ragione. Il metodo bolscevico, invece di condurre la Russia verso “l’umanità comunista”, ha compromesso il comunismo ed ha impossibilitato la sua

 

 

realizzazione, Invece dì creare la umanità comunista si è avviato al capitalismo. In queste condizioni non c’è speranza di poter trasformare il mate­riale umano dell’epoca capitalista in umanità comunista, come pretende Bukarin. “La dittatura del proletariato” creò un nuovo tipo di tiranno e convertì la Russia nei paese più schiavizzato del mondo e andò in rovina del tutto quando i suoi rappresentanti vollero riorganizzare la vita economica e sociale.

Non c’è dubbio che ogni intento di riorganizzare la vita economica avrebbe dovuto superare tutta una serie di ostacoli. Le terribili conseguenze di una guerra lunga ed orribile, la scarsità delle materie prime e del ferro, le cattive vie di comunicazione, e tanti altri fattori di cui i bolscevichi non furono certamente responsabili. S’intende che il tenta­tivo di ricostruzione della vita economica e sociale su basi nuove comporta un enorme impegno. Il rimprovero che tacciamo ai bolscevichi è che con i loro metodi violenti distrussero ogni possibilità veramente rivoluzionaria di costruire una nuova società, un uomo nuovo. Con la re­pressione di tutte le iniziative che partivano dal basso essi stessi distrussero la forza costruttiva della rivoluzione e dettero origine allo sviluppo abnorme della burocrazia, nelle cui sentine si spensero le ultime fiammate rivolu­zionarie,

Essendo seguaci fedeli di Marx, i bolscevichi tentarono di organizzare il lavoro in un grande quadro industriale e per questo ignorarono al completo le piccole industrie in cui videro solo un intoppo alla loro centralizzazione. Tutti sanno che le grandi imprese industriali prosperano solo se fanno conto su una buona amministrazione e su elementi di prima classe. Ma in Russia gli elementi adatti non abbondavano certamente. I bolscevichi allora, posero com­missari del partito, ignoranti e poco idonei, che controllassero i lavoratori ed i dirigenti e determinassero la loro attivata, In questo modo soffocarono ogni iniziativa privata, sotto-mettendo il lavoro ad un modello vecchio, ed il risultato fu rovinoso.

Quando le piccole e medie industrie andarono in rovina, le cooperative russe proposero al governo che le fabbriche fossero affidate al loro controllo. Un governo che dice di voler instaurare il comunismo dovrebbe accettare di buon grado questa proposta. Prima di tutto le cooperative aveva­no elementi organizzati ed esperti, ed in secondo luogo avrebbero potuto essere buoni intermediani tra la città e tutto il paese perché avevano molti iscritti nelle campagne Ma questo non era quello che il governo voleva. Un legame diretto tra l’operaio ed il contadino senza l’intervento del commissario sarebbe stato contrario alle leggi della buro­crazia. L’offerta fu rifiutata dal governo. Oggi pero si riaffidano le fabbriche ai padroni capitalisti per incremen­tare l’attività produttiva delle piccole industrie e favorire l’esportazione dei prodotti in tutto il paese. Ciò che fu negato alle cooperative è oggi affidato ai capitalisti, insieme ai loro primitivi diritti.

Questo esempio è tipico. Questo metodo fece perdere ai lavoratori ogni interesse verso il lavoro. L’aver condan­nato i lavoratori ai lavori forzati, l’averli sottomessi agli ordini dei “capataz” senza possibilità di opposizione, sof­focò in essi ogni senso di responsabilità, ogni aspirazione a interessi collettivi. Il lavoro forzato non sviluppa l’amore al lavoro. Solo lo sviluppo del senso di responsabilità, la libertà individuale, legano ognuno agli interessi della col­lettività. Il metodo geniale del “lavoro attraente” che sviluppò Fourier più di cento anni fa, non influì sui giaco­bini comunisti della Repubblica Russa dei Soviets.

Kropotkin scrive con ragione nella sua opera “Richiamo)

ai lavoratori dell’Europa occidentale”: “In Russia stiamo imparando come non deve essere imposto il comunismo, neppure ad una popolazione stanca dal vecchio regime che non oppone nessuna resistenza all’esperimento fatto dai nuovi governanti. L’idea dei soviets con facoltà di con trot­tare la vita politica ed economica del paese è grande, ma quando la vita economica e politica di un paese è governata dalla dittatura di un partito è evidente che i consigli operai e contadini perdono ogni significato. Sono ridotti al ruolo di “stati generali’ Un consiglio del lavoro cessa di essere un corpo consultivo libero ed efficace quando nel paese non esiste la libertà di stampa e questa è la situazione in cui ci dibattiamo da due anni a questa parte, col pretesto che si vive in stato di guerra. I consigli degli operai e dei contadini perdono ogni significato quando le elezioni non sono precedute da una campagna elettorale libera e quando le elezioni si effettuano sotto la pressione della dittatura di un partito. Come è naturale, la scusa corrente, la legge dittatoriale è presentata come una necessità per combattere l’antico regime. Ma una legge di questo tipo è una retro-cessione dal momento in cui la rivoluzione si dà il compito di ricostruire una nuova società su una nuova base econo­mica. Implica una condanna a morte per la nuova costru­zione.

 

 

 Oggi abbiamo chiaro che la “dittatura del proletariato” ha conseguito solo il fine di distruggere la rivoluzione socialista usando mezzi dispotici. Questo è il significato della politica bolscevica per la storia futura”.

Capitolo 11:

LA TERZA INTERNAZIONALE

COME STRUMENTO DEL GOVERNO RUSSO

 

 

Non siamo i soli a vedere in questo modo la situazione della Russia. Anche i capi dei partiti comunisti nei diversi paesi di Europa, che non si sono ancora convertiti del tutto alle tesi russe sanno quello che succede laggiù. Ma la mag­gior parte di loro non ha sufficiente forza morale per de­nunciare pubblicamente i fatti. tutti sanno che il partito socialista italiano fu il primo a convertirsi alle tesi di Mosca. L’Avanti, organo ufficiale del partito, glorificò Lenin con un entusiasmo quasi religioso, ed il partito socialista ita­liano si dichiarò in favore di Mosca.

Ma, dopo che alcune delegazioni di bolscevichi italiani ritornarono dalla Russia, velatamente cominciarono a cir­colare certe notizie, ed in alcuni di loro l’entusiasmo ini­ziale si affievolì enormemente. Avevano visto il paradiso comunista. Pubblicamente non lo fecero notare, anzi la loro stampa continuava a osannare la Russia, ma alcune notizie arrivarono anche alla stampa borghese, che ovvia­mente, non tacque. Da Mosca giunsero ordini agli italiani, perché questi purificassero le file del partito dagli elementi insicuri. L’epurazione diede origine alla divisione del par­tito. In questo periodo di lotta fra fratelli, Serrati, redat­tore capo dell’Avanti, una delle personalità principali della Terza Internazionale, diede a Lenin la seguente risposta:

“Non pretendo di discutere rispetto alla proposta di espel­lere da tutte le organizzazioni proletarie, politiche, indu­striali, cooperative, culturali tutti i vecchi capi per sosti­tuirli con comunisti. In Italia mancano gli uomini adatti. E’ possibile che alcuni di coloro, giunti da poco da noi e che si definiscono intransigenti comunisti, occupino il po­tere. Ma questo sarà un pericolo per il nostro, partito. Voi conoscete bene questo pericolo, perché è uno dei mali peggiori che debba sopportare la repubblica.

Dalla rivoluzione di Ottobre il partito russo ha acquista­to un numero di membri dieci volte maggiore di quello che aveva prima; ma non ha guadagnato granché con que­sto perché forte è la disciplina e dure le epurazioni perio­diche. Il merito della rivoluzione rimane a voi, ma i ‘tribuni della rivoluzione’ sono i responsabili di questi errori e di queste bassezze. Essi furono i responsabili di questa buro­crazia temeraria e futile, coloro che vollero crearsi nuovi privilegi nella repubblica sovietica, mentre la massa dei con­tadini e degli operai dovette sopp0rtare il peso enorme senza goderne i privilegi. Coloro che spargono il terrore tutto intorno, che mirano solo a interessi personali sono i rivoluzionari di ieri; sono quelli che hanno fatto della rivoluzione proletaria uno strumento per assicurarsi il po­tere. Noi diffidiamo di questi ‘rivoluzionari’ e ci pensere­mo bene prima di affidare loro la direzione del nostro par­tito

Le parole di Serrati ci fanno vedere che persino nei cir­coli comunisti non ci si ingannava sulla situazione russa. Era un crimine tacere i soprusi fatti alla classe operaia, ma, probabilmente, temevano di passare per controrivoluzionari se denunciavano la verità. Così si comprende perché Serrati sia stato scomunicato e tacciato da controrivolu­zionario. Si sa ormai che a Mosca lodi e censure sono re­golate dalle leggi della domanda e dell’offerta come nel commercio.

Basta ricordare l’affare Daumig in Germania. Lenin stes­so qualificò Daumig come “filisteo codardo” e “reaziona­rio”, ma quando questi si affiliò al partito comunista an­darono nel dimenticatoio i graziosi appellativi affibbiatigli, e Daumig arrivò ad essere membro del comitato centrale del partito. Con la fondazione della Terza Internazionale il governo sovietico creò un organo di propaganda in fa­vore della sua politica tra i lavoratori dei diversi paesi. In un primo momento non si sapevano con esattezza i fini e gli scopi di questa organizzazione

La fine della seconda Internazionale, allo scoppiare della guerra, e l’influenza che la rivoluzione russa aveva sulla classe operaia di tutto il mondo, fecero sentire a tutti il bisogno di una internazionale, specie in quei paesi che vi­vevano in una situazione rivoluzionaria. Per questo la fon­dazione della Terza Internazionale fu salutata dappertutto con una certa

 

 

simpatia.

Il  nostro caro amico Errico Malatesta prese una posi­zione ben precisa su “Umanità Nova”: “Che tipo di cor­porazione è la Terza Internazionale, da avere un aspetto cosi misterioso? Il suo prestigio è dovuto al fatto che l’ini­ziativa viene dalla Russia rivoluzionaria? Ma perché è cir­condata da una nuvola di mistero? Ha forse un programma così preciso che possa essere accettato da tutte le varie tendenze che vi hanno aderito? Il programma, formulato nel primo congresso, purè forse discusso? E in quale posi­zione si porre il congresso? Sara realmente disposto ad ammettere delegati di tutte le organizzazioni operaie e di tutti i partiti rivoluzionari, affinché siano garantiti a tutti uguali diritti? Saranno invitati anche gli anarchici a parte­cipare alle sue deliberazioni? Ma se la Terza Internazionale persegue solamente lo scopo di creare un ‘organizzazione partitica socialista, con l’intento di impossessarsi del pote­re politico ed instaurare una dittatura dei proletariato retta da uno stato autoritario ‘‘socialista"allora noi non abbiamo niente a che fare con loro.

Una vera Internazionale dovrebbe riunire nelle sue file tutti i lavoratori che perseguono gli interessi della loro classe, tutti i lavoratori che gemono sotto il giogo dei pa­droni e che vogliono liberarsene, tutti i lavoratori che vo­gliono lottare contro il capitalismo. In una Internazionale di questo tipo potrebbero unirsi anarchici, socialisti e sin­dacalisti, facendo in modo che nessuna tendenza debba rinunciare ai propri scopi ed ai propri metodi. Così, ognuno potrebbe trovare il campo per la sua propaganda ed allo stesso tempo organizzare una forza potente per dare impulso alla masse perché si preparino cui una lotta decisiva. Questo è il giorno che auspichiamo’.

Oggi ben conosciamo i propositi e le aspirazioni della Terza Internazionale, e possiamo constatare che Malatesta aveva visto giusto. I famosi 21 punti che il secondo congres­so della Terza Internazionale approvò, aprirono gli occhi a tutti coloro che avevano un po’ di spirito d’indipendenza. Il centralismo sviluppato fino al più alto grado è la nega­zione della nostra libertà, la soppressione di ogni iniziativa personale, ed è tanto più pericoloso in quanto tende a trasformare tutto il movimento operaio in un branco di pecore che ubbidiscono ciecamente agli ordini del padrone. Così come in Russia ogni iniziativa indipendente era stata strangolata, e ogni opposizione rivoluzionaria stroncata con la galera e la fucilazione, con la Terza Internazionale si cercò di porre il giogo a tutto il movimento operaio inter­nazionale. Se questo intento avesse trionfato, ogni vero movimento socialista sarebbe sparito dalla faccia della terra.

I 21 punti sono il codice della più schiava sottomissione, con i quali Mosca tentava di assoggettare tutto il movimen­to operaio internazionale. La cosa era pazzesca ma tuttavia si cercò, addirittura, di imporre i 21 punti nella pratica politica. E questo accadde nella rivolta di marzo in Ger­mania; questa sanguinosa tragedia fu il prezzo che i lavo­ratori pagarono per questa politica di assoggettamento.

Gli operai della Germania furono spinti in una rivolta che sarebbe fallita inevitabilmente, perché non vi erano in quel momento le condizioni per una sollevazione delle masse. Essa fu solo un prodotto della dittatura. Le dichia­razioni del dottor Levi e compagni contro la centrale del partito comunista e le polemiche che essa sollevò ci aiuta­no a capire qualcosa di questo oscuro affare. Oggi sappia­mo che quando Levi dichiarava: “la causa prima di questa agitazione non viene dai tedeschi” ma siccome Mosca era interessata a questo movimento, non c’è dubbio che pre­parò le cose per bene.

Il governo russo era in una situazione critica, i grandi scioperi di Pietrogrado e l’insurrezione di Kronstadt ave­vano creato in Russia la psicosi che il governo dei bolsce­vichi corresse seri pericoli. Occorreva pertanto instradare le masse verso altra via. Eccoci dunque alla rivolta della Germania. La stampa governativa russa pubblicò notizie deliranti di questa rivolta, si parlava di una nuova rivolu­zione, si diceva che la rivoluzione mondiale era vicina ed altre ridicolezze. Nello stesso tempo che si fucilavano gli anarchici di Kronstadt e si dava la caccia a tutti i veri ri­voluzionari in tutta la Russia, si soffiava sul fuoco affinché i lavoratori tedeschi si sollevassero e la loro rivolta servisse da paravento alla politica reazionaria di Mosca.

A questo scopo impiegarono i mezzi più vergognosi: i capi del Partito Comunista Tedesco ingannarono i lavora­tori e diedero loro un falso quadro della situazione. Rac­contavano che

Berlino era in fiamme, che i lavoratori del distretto della Ruhr erano in rivolta ed altre fandonie. La verità era che il 9O’~ dei lavoratori non ci pensava nemme­no, ma grazie a quelle menzogne, centinaia, tra gli operai che si sollevarono, furono incarcerati o assassinati.

 

 

Oggi i lacchè di Mosca devono stare zitti quando Lenin, Trotzky e Radek li trattano apertamente da utili idioti, per la cieca obbedienza agli ordini di Mosca. Questo è un esempio della politica machiavellica che Mosca pratica con abilità e successo.

 

 

Capitolo 12:

L’INFLUENZA DEL BOLSCEVISMO

SUL MOVIMENTO OPERAiO INTERNAZIONALE

 

 

 

Chi voglia rendersi conto della influenza negativa che il bolscevismo ebbe sui partiti comunisti di molti paesi, si legga la circolare che la centrale di Berlino del “partito comunista unito” inviò nel maggio deI 1921 a tutti i rami della sua organizzazione. In questa circolare sono poste in un certo rilievo tante cosiddette “note informative” e si legge anche che alcuni affiliati della organizzazione han­no il compito di spiare altri membri ed essere al corrente delle loro azioni ed opinioni.

Riporto alcuni brani: “Le note informative sono il frut­to di un’attenta indagine su vari fatti politici e militari; ogni compagno che vi si dedichi deve rendersi conto del valore rivoluzionario che nasce da questo lavoro, perché in caso di lotta aperta, si arriverebbe a sapere quanti si manterrebbero passivi e quanti ne prenderebbero parte, chi possiede armi, se ci sono depositi clandestini, se in case di controrivoluzionari si svolgono riunioni segrete, ecc. E’ importante coltivare amicizie nei confronti dei sol­dati, della polizia, dei lavoratori indifferenti ecc. Un mem­bro del Partito, nel suo campo di lavoro, deve sapere vita morte e miracoli dei suoi compagni e conoscere in conse­guenza l’atteggiamento che questi adotterebbero in caso di rivoluzione

Cosi viene dunque corrotta la tempra rivoluzionaria dei lavoratori, facendone delle spie. La vergognosa istituzione della Russia bolsevica, la  famosa CEKA. stende già la sua ombra sulla Germania. In tutte le frazioni del movimento operaio internazionale stiamo vivendo i risultati di questa politica di odio e di sfiducia. Non c’è stato alcun prece­dente periodo storico cosi agitato come ora. Mai, c’è stata tanta divisione nel movimento operaio, fino a quando una organizzazione socialista, con il suo organo la Terza Inter­nazionale, ha opposto tanti ostacoli alla unione operaia.

Nonostante questo mi pare ingiusto non riconoscere le buone intenzioni dei lavoratori iscritti al Partito Comunista. Essi sono onestamente convinti della correttezza e conve­nienza dei loro metodi, anche perché i dirigenti li imbotti­scono dell’idea che la loro tattica è la quintessenza della saggezza politica. Questo è il motivo per cui nei circoli comunisti si anela a creare il cosiddetto “fronte unico del proletariato”. Si sente la necessità di una unificazione e si crede di poterla realizzare nel miglior modo possibile per mezzo di una forma ferrea di organizzazione centralizzata. Perciò si vuole vedere nella Terza Internazionale la base di questa unificazione e si spera sempre che questa arrivi ad abbracciare tutto il movimento internazionale.

Se l’unificazione di un movimento non fosse altro che una fusione meccanica di forze, allora i famosi 21 punti del Secondo Congresso di Mosca sarebbero serviti a rea­lizzare questo sogno, perché la tendènza centralista supera ogni limite. La qualificazione meramente meccanica dei fatti è il segno caratteristico di ogni direzione ideologica organizzata militarmente, e dimostra lo stesso timore cieco nei confronti dei fattori vivi della storia, che fino ad ora fu il tratto caratteristico di tutte le dittature. Se il movi­mento socialista giungesse ad essere la vittima di questo metodo, significherebbe che ormai non nutre alcuna aspi­razione libertaria e veramente socialista, che ha cessato di essere rivoluzionario.

Si parla di unificazione del movimento operaio, ma tale unificazione è immaginata solo nei limiti ristretti di un partito con un preciso programma. Ma il socialismo che è l’anima del

movimento operaio, e che lo ispira con la forza vitale di un nuovo essere sociale, non è una strada con ferrei limiti, ma si trova in costante evoluzione e conduce all’incessante rinnovamento nella conoscenza e nella con­cezione dei diversi fatti della vita sociale. Se non

 

 

succedes­se ciò, si avrebbe solo un dogma morto, giacché nel mo­mento in cui giunge ad essere dimenticato il germe del suo vero essere, rovinerà come concezione mondiale e co­me movimento di massa. Per questo ciascuna delle sue di­verse tendenze ha la sua esistenza giustificata, perché cia­scuna di esse ci mostra aspetti e prospettive interamente nuove e fatti nuovi. A chi non è capace di concepire questa verità elementare, risulterà sempre un fatto puramente meccanico, che non può unire organicamente.

La vecchia Internazionale influì poderosamente sull’e­voluzione del movimento operaio europeo solo perché i suoi fondatori compresero il significato profondo di questo principio elementare, che fu per essi il punto essenziale per realizzare la organizzazione interna della unione ope­raia, poiché mentre l’Internazionale si mantenne dentro questo principio, si sviluppò vigorosamente vivificando con le sue idee creatrici tutto il movimento operaio. L’Inter­nazionale aveva un’idea fondamentale per associare tutte le tendenze tra le sue fila: la soppressione del salario da schiavo e la riorganizzazione della società sulla base del lavoro comune in tutte le sue forme. Annunciò ai lavo­ratori che l’emancipazione sociale poteva essere raggiunta dai lavoratori stessi e lasciava libere le associazioni di lotta­re con tutti i mezzi, che ritenevano validi, e di fare la pro­paganda come meglio credevano.

Nel momento in cui il Consiglio generale di Londra, completamente sotto l’influenza di Marx, realizzò l’intento di distruggere questo diritto elementare e di sopprimere l’autonomia delle sezioni e federazioni pretendendo di imporre la partecipazione alla attività parlamentare, ruppe l’unità della lega operaia dando origine ad una divisione gravissima, le cui tragiche conseguenze le viviamo oggi.

La vecchia Internazionale era una unione di organizza­zioni e gruppi socialisti. Il punto principale della sua orga­nizzazione consisteva nel fatto che i suoi membri apparte­nevano a diversi partiti politici, nella loro qualità di pro­duttori, minatori, marinai, contadini e tecnici. Fu una vera Internazionale, l’unica ad aver meritato questo nome. L’ala

radicale, il cui rappresentante più conosciuto fu Bakunin, non volle privare i lavoratori tedeschi del diritto di parte­cipare alla attività parlamentare, e quando la conferenza di Londra (1871) si oppose a questo diritto, si ebbe la fine della unione organica della classe lavoratrice, che ave­va trovato nella Internazionale la sua espressione più valida.

La cosiddetta Seconda Internazionale fu, sin dalle origi­ni, invece di una Internazionale proletaria, una Internazio­nale di partiti operai socialisti uniti sulla base comune della azione parlamentare. Con l’esclusione degli anarchici e di tutte quelle tendenze che rifiutavano come fine per realizzare il socialismo la conquista del potere politico, cesso di essere una lnternazionale operaia  socialista perché rappresentò solamente una determinata tendenza del mo­vimento operaio nel mondo delle idee socialiste.

Completamente identica è la posizione della Terza In­ternazionale, la cui attuazione pratica è stata finora irrile­vante, salvo che non si voglia prendere come risultato le continue divisioni che origina nel movimento operaio. Il piano originale dei suoi creatori, senza contare il ruolo che giocarono gli interessi statali dei bolscevichi, fu quello di dare origine ad una unione internazionale di tutti gli ele­menti estremisti del movimento operaio, in attesa della rivoluzione mondiale. Neppure in questo caso si può par­lare di una vera Internazionale operaia, né di una fusione di partiti operai, dato che in essa si unificarono solo una minoranza insignificante di partiti. Lo stesso Lenin d principio comprese la situazione e, nel vedere che la Terza Internazionale non aveva molta importanza, cercò di farne un’unione di sindacalisti sotto il controllo del partito co­munista russo. Ma questa soluzione non ha avuto successo anzi ha causato a Mosca diversi grattacapi.

E’ necessario ai fini di una crescita rivoluzionaria che le piccole minoranze abbiano il diritto di unirsi internazio­nalmente. Ma che realizzino la loro propaganda con onestà, che non si introducano nelle altre organizzazioni con il proposito di pregiudicarle o utilizzarle ai loro tini politici.

Questo nuovo gesuitismo è tanto pericoloso quanto quello della compagnia di Gesù che giustificava tutti i mezzi quando si trattava di raggiungere un fine determinato o quando cercava di salvare gli interessi della Chiesa.

L’origine dei “fini comunisti” in tutte le organizzazioni operaie che non siano di partito non è forse una nuova edizione degli stessi principi gesuiti nel movimento ope­raio? Qual’è il senso delle famose parole di Lenin: “l’estre­mismo malattia infantile del comunismo~’? Si deve saper resistere a tutto questo, prestarsi a tutti i sacrifici, impie­gare lo stratagemma, metodi illeciti, nascondere la verità solo per poter entrare nelle associazioni operaie e realizzare in

 

 

queste “l’opera comunista”?

Come si fa ad avere fiducia in questo genere di persone che agisce secondo tali principi e giustifica questa tattica in nome della ragione di partito? Non significa questo crea­re dei corruttori, degli impostori che vogliono rovinare il movimento operaio? Come si può collaborare con queste organizzazioni? Se si leggono attentamente le parole dì Lenin si comprende il segreto dell’arte di un governo i cui rappresentanti distruggono in modo vergognoso la ma­ckhnovicina, e si comprende anche il valore che hanno le notizie di fonte bolscevica.

Lo stesso sistema “gesuita” è anche praticato nel partito comunista per comprometterne i vari membri. Dalla Russia vengono inviati agenti con lo scopo di spiare nelle centrali dei partiti comunisti dei vari paesi ed inviare a Mosca le informazioni carpite. Così scrive Levi ex dittatore comu­nista tedesco nella sua opera “Unser Weg”: “L’osservazione ufficiale del compagno Radek scopre un’altra operazione ancora più vergognosa del sistema dei delegati, la relazione diretta tra i delegati e Mosca. In tutti i paesi in cui questi emissari operano avviene la stessa cosa. E’ un sistema di cospirazione dove i delegati non collaborano mai con le centrali di diversi paesi, ma alle loro spalle e talvolta con­tro. E’ un sistema che distrugge ogni fiducia in un lavoro comune tra la centrale ed i partiti che vi aderiscono. Perciò lavoriamo in una situazione disperata senza alcuna direzio­ne politica dal centro. L’unica attività che l’Esecutivo svi­luppa è lanciare proclami che arrivano troppo tardi e sen­tenze di condanna che arrivano troppo presto... L’Esecu­tivo opera come la polizia segreta e la sua influenza oltre­passa i limiti Russi. La situazione è impossibile. Le precise esigenze per trasformare questo stato di cose, il desiderio che mani incompetenti di delegati incompetenti non giun­gano ad intrappolare la direzione di vari paesi, la volontà di avere una direzione politica invece di una direzione di partito, non significa che si esiga l’autonomia~~.

Ora, quest’uomo, che aveva difeso con accanimento i famosi ventun punti, è stato scomunicato dalla centrale dì Mosca. Si aggiunga il fatto che la Terza Internazionale avendo l’aiuto finanziario del governo Russo, è in condi­zioni di fornire tantissimo materiale propagandistico e che questo, insieme col denaro, attrae moltissimo ogni ciarla­tano che dica di operare per il proletariato.

Capitolo 13:

LA CORRENTE CENTRALISTA

 

 

 

Il centralismo non solo non è stato capace di unificare il movimento operaio, sua grande aspirazione, ma neppure è stato capace di mantenere l’unità tra i partiti comunisti. Anzi, tanto più forti erano le tendenze centraliste tanto più si verificavano frazionismi nei partiti comunisti dei diversi paesi. L’esempio più significativo lo abbiamo in Germania.

Nonostante il fallimento del centralismo la linea del par­tito tende a rafforzarlo facendo appello alla disciplina. Leggiamo questo passo preso dal “Comunista” di Stoccar­da, una vera perla nel suo genere: “ogni membro del parti­to deve essere pronto a sacrificare anima e corpo se il par­tito lo comanda, non ha più volontà propria”. Anticamen­te si combatteva per la chiesa, teologi, protestanti e cattolici gareggiavano tra loro con giochi metafisici ed il popolo ascoltava le loro parole con rispettoso fervore. I pochi pensatori di valore erano calunniati e denigrati. Quando più tardi cominciò la lotta per dare allo Stato una forma migliore, i diversi partiti politici giocarono nell’ambito del potere statale lo stesso ruolo che ebbero le diverse scuole teologiche nella sfera del potere della chiesa, cercarono di superarsi per scoprire quale fosse la forma migliore di Sta­to. Purtroppo pochi sono stati coloro che hanno capito che il nocciolo della questione non è un tipo di Stato piut­tosto che un altro, non ha importanza il modo in cui siamo governati, ma il fatto che siamo governati.

Il centralismo è diventato un mito della nostra epoca, ci dicono che significa fusione delle

forze, concentrazione della volontà proletaria per un determinato fine, unità di azione, ma queste affermazioni non sono che menzogne poiché il centralismo non è stato unificazione di forze ma paralisi, è unità artificiale dall’alto verso il basso che tende a soffocare ogni iniziativa indipendente. Si com­prende ora come lo stato sovietico veda nel centralismi la forma più completa di organizzazione Lo Stato coni batte la iniziativa personale, per esso ogni cittadino non è altro che un pezzo di un meccanismo che ha una funzionE specifica nella

 

 

macchina statale. In poche parole per lo Stato la soppressione di ogni indipendenza individuale è questione vitale.

Ma per il movimento operaio rivoluzionario sono neces­sari, se si vuole raggiungere il proposito a cui si aspira, pensiero indipendente, osservazione critica dei fatti, istinto libertario ed azione. Per questo il centralismo è un fatto reazionario.

Per un movimento veramente libertario, il federalismo è l’unica forma di organizzazione possibile. Esso non signi­fica dispersione di forze ma unione delle forze, poiché questa unione è basata sull’azione dei diversi gruppi, e si fonda sulla indipendenza del pensiero e su l’azione. Non cerca di raggiungere il suo proposito dando soluzioni che un gruppo di eletti ha preparato per la massa, ma con la coordinazione volontaria e metodica di tutte le forze che aspirano allo stesso fine.

Il centralismo che in Russia ha trovato la sua espressione più alta nella dittatura del proletariato, soffocò la rivolu­zione, tornando al capitalismo. In Germania dove nel no­vembre del 1918 tutto il potere cadde nelle mani dei partiti socialisti, non si costruì la vita economica su fondamenti nuovi. In Russia si sotterrò la rivoluzione con la dittatura, in Germania con la- costituzione. In entrambi i paesi il socialismo peri per la politica di potere dei partiti socialisti. In Germania la politica di potere della socialdemocrazia moderata condusse alla dittatura di Noske; in Russia la politica di potere della socialdemocrazia estremista portò alla dittatura di Lenin e Trotzky.

Il risultato fu lo stesso in entrambi i casi: asservimento sanguinoso delle classi proletarie ed il trionfo della nuova reazione capitalista. L’era di Noske fu l’età delle leggi ec­cezionali del dispotismo socialista; l’era di Lenin è l’era del terrore del partito e della burocrazia, della repressione di ogni libertà e della violazione brutale di ogni dignità umana. Spero che i proletari capiscano che i partiti non sono capaci di riorganizzare la società su di una base socia­lista perché essi concentrano le proprie forze per la con­quista del potere politico cioè della dittatura dall’alto.

Svegliare e sviluppare le masse è la grande missione del socialismo ma questo è possibile solo nell’organizzazione economica delle classi lavoratrici che solo possono realiz­zare praticamente la società socialista. Perciò educhiamoci per questo compito, apprendiamo come mandare avanti una fabbrica, un’industria, una miniera per saperci regolare in una situazione rivoluzionaria. Questa è l’unica scuola per preparare gli uomini al socialismo. L’unione economica degli operai del braccio e della mente e non il partito sarà il ponte che ci porterà ad una società nuova.

Sappiamo che le rivoluzioni non sono pacifiche, le classi al potere non abdicheranno volontariamente i loro privi­legi: sarà compito dei lavoratori espropriare il capitale so­ciale e sopprimere l’apparato politico che fu sempre il mezzo violento per lo sfruttamento delle masse. Questo è il contenuto essenziale della rivoluzione sociale come noi la intendiamo.

I lavoratori si debbono liberare di ogni tradizione bor­ghese, dell’idea del potere politico che sia patrimonio di pochi poiché chi ha il potere sempre ne abusa. La libera­zione da ogni schiavitù sarà possibile solo quando sparisca l’apparato del potere politico poiché il monopolio del potere è pericoloso come quello della ricchezza. E’ tempo che i lavoratori comprendano che il cosiddetto interesse per la rivoluzione vuol dire talvolta interesse di un deter­minato partito o interesse di un pugno di politici affamati di potere.

Sovietismo e non bolscevismo. Libertà e non dittatura. Tutto il potere ai soviet. Queste sono le parole d’ordine della rivoluzione sociale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

INDICE

    
                            INTRODUZIONE

CAPITOLO 1:           IL PROBLEMA RUSSO

CAPITOLO 2:           IN CAMMINO VERSO DESTRA

CAPITOLO 3 :            UN ERRORE STORICO

CAPITOLO 4:          L’ATTIVITA’ “CONTRORIVOLUZIONARIA”

                                DEGLI ANARCHICI

CAPITOLO 5:          NESTOR MACKHNO E I BOLSCEVICHI

CAPITOLO 6 :         LA RIVOLTA DL KRONSTADT

CAPITOLO 7:          ORIGINI E SIGNIFICATO
                                               DELL’IDEA DEI SOVIET
            CAPITOLO 8:          DITTATURA E SOCIALISMO
            CAPITOLO 9:          LA VERA ESSENZA DELLO STATO
            CAPITOLO 10:        RIVOLUZIONE POPOLARE
                                               E DITTATURA DI PARTITO
            CAPITOLO 11:        LA TERZA INTERNAZIONALE COME
                                              STRUMENTO DEL GOVERNO RUSSO
            CAPITOLO 12:        L’INFLUENZA DEL BOLSCEVISMO SUL
                                              MOVIMENTO OPERAIO INTERNAZIONALE
            CAPITOLO 13:        LA CORRENTE CENTRALISTA


 

[1] (*)      E’ il testo della relazione, che il prof. A. Lehning ha tenuto a

Convegno di studi suIl’anarchismo, promosso dalla Fondazione “Lui

gi Einaudi” (Torino, 5-7 dic. 1969).

 

[2]           NIK. SUCHANOV, Zapiski o Revoljucii, Berlin-Petersburg-Mo. scou, 1922, t. III, p. 40.

 

[3]           H. CUNOW, Die Marxsche Geschich Is-, Geselschafts- und Staats• Auffùssung, Berlin, 1923, t. I, pag. 335.

 

[4]           Kommunistnus und Pakuninisnius! Die Bakunisten an der Arbeit di F. ENGELS, Hg. F. Diederich, Berlin, 1920.

 

[5]           Karl Marx oder Bakunin? Demokratie oder Di/da/ar? Eint

Kampsschrst gegen dcn Vorlduser des Bolschevismus. Zeitgemasst

Neuausgabe dei’ Berichte an die Sozialistische Internationale ubeì

Michael Bakunin von Karl Marx und Friedrich Engels, Hg. W,

BIos Stuttgart, 1920.

 

[6] V. LENINE, Qque faire? in “Oeuvres”, Paris-Moscou, 1965, t.V, pp. 353-544.

 

[7] L. TROTSKY, Terrorismus und Kommunisnws. Anii-Kautsky, Wien, 1920, pp. 18-19.

 

[8] “L’Humanité”, 30 maggio 1926.

 

[9] V.LENINE,Oeuvres,t.XXIV,

[10]          F. MEHRING, Karl Marx. Geschicbte seines Lebcns, Berlin, 1923, p. 460.

[11] K. MARX, Der Burgerkrieg in Frankreich, Berlin, 1919, p. 14.

 

[12] V. LENINE, L ‘Etat e//a révolu/ion, in “Oeuvres”, Paris-Moscou, 1957, t. XXV, p. 471.

 

[13] Ibidenz , pp. 4 35-436.

 

[14] V. LENINE, Oeuvres, cit., 1959, t. XXIII, pp. 352-353.

 

[15] Cfr. particolarmente: Letti-cs sur la tactique; Sur la duolitè du pouvoir; Les taches duu prolétariat dans no tre révolution; Les bolcheviks garderont-iis le pouuoir?

 

[16]         L. TROTSKY, Lénine, Paris, 1925, pp. 83-84.   

[17] Ibidem , p. 66.

[18]         V. LENINE, Oeuvres, cit., 1958, t. XXVI, pp. 100-103.

 

[19] lbideni, p. 103.

 

[20]          V. LENINE, Oeuvres, cit., 1961, t. XXV, pp. 388-389

[21] M. EASTMAN, Depuis lo morI de Léizine, 1925, p. 14

[22] 1. ‘Atliancc de la déruoeratie socialiste cI l’Associa tion in/cina­1w no/e dc.s Travoi//curs. 1873, pp. 128-129.