RIFLESSIONI SULLA VI DICHIARAZIONE DELLA SELVA LACANDONA E SULLA NUOVA
SINISTRA IN AMERICA LATINA
Il primo gennaio 1994 diventava operativo il NAFTA, l'accordo per il
libero commercio tra Stati Uniti, Canada e Messico e sempre agli inizi del
1994, rovinando la festa dei potenti, la dimenticata Selva Lacandona si
illuminava "del fuoco e della parola" dei ribelli Zapatisti. All'epoca il
mondo sembrava marciare spedito senza ostacoli ed opposizione alcuna verso
"la fine della Storia" via "globalizzazione" e neoliberismo, e cioè -nel
timore di dimenticare o di assumere erroneamente che questi termini siano
esaustivi- via l'attuale modello egemonico adottato dal sistema di
controllo dello Stato e del capitalismo transnazionale, vale a dire
l'attuale e prevalente modello di dominio e sfruttamento su vasta scala.
In un simile disperato contesto, la rottura provocata dallo Zapatismo
significò una forte ventata di aria fresca ed una conferma altisonante
-ovviamente già anticipata da numerosi ma meno eclatanti esempi di
resistenza in tutto il mondo- del fatto che la Storia continuava il suo
corso e che non c'era nulla che avesse fermato le lotte popolari. Lo
Zapatismo venne salutato alla grande fin dall'inizio dai gruppi più vari
della sinistra, come pure dal Movimento LIbertario Cubano che diede allora
il suo istantaneo sostegno ai progetti delle comunità nella Selva
Lacandona, come la scuola anti-autoritaria Primo Maggio o il camping di
solidarietà diretta Martiri di Chicago. Per noi, oggi come allora,
l'emergere e lo svilupparsi dell'EZLN e delle sue azioni ha dato un senso
e posto una nuova direzione all'interno dell'emergere e svilupparsi della
nuova sinistra rivoluzionaria in America Latina. La forma, il profilo e
gli orientamenti di questa costellazione di gruppi e di pratiche di
sinistra sono uno dei nostri compiti di fondo; perciò dobbiamo,
all'interno di questo modello di riferimento, assumere una nostra
posizione sul percorso che sta facendo l'EZLN e sulla sua recente VI
Dichiarazione dalla Selva Lacandona, come pure sulla sua articolazione e
sulle sue conseguenze. Faremo ciò, nella solidarietà e nel rispetto che il
movimento Zapatista si è guadagnato ed i cui meriti non è necessario ora
proclamare, ma anche senza omettere -cosa che sarebbe un'inconcepibile
dimostrazione di demagogia ed opportunismo- la critica che noi giudichiamo
applicabile nei confonti dei contributi al lento e laborioso processo di
consolidamento della nuova sinistra rivoluzionaria in America Latina.
Quale Sinistra? Dove la troviamo?
Dobbiamo inizialmente rispondere alla madre di tutte le domande: cos'è
questa nuova sinistra rivoluzionaria latinoamericana di cui stiamo
parlando? Non c'è alcun dubbio che sinistra significa non aver rinunciato
all'utopia, nei fatti come nelle parole, e che a dispetto di tutto, essa
trova alimento in un'utopia che potrebbe in generale essere definita come
una fitta rete di relazioni tra esseri umani liberi, uguali e mutualmente
solidali; un'utopia capace di identificare le sue lontane e venerande
origini e di richiamarsi ad esse per la loro piena e necessaria
attualizzazione. Una sinistra che alimenta non solo il suo pieno sviluppo
ma riempie il vuoto circostante e cresce all'interno di quello spazio
aperto, vasto e disperato, creato dall'eclatante fallimento del
"socialismo reale" e dall'immediata disillusione dell'anti-utopia
neoliberista. E' quella sinistra che ha imparato a riconoscere ed a
guardare con diffidenza a quella strada stretta e sterile lasciata dal
passaggio delle avanguardie guerrigliere poi fattesi partito esclusivo ed
escludente, al populismo civile o militare, al riformismo
socialdemocratico; è quella sinistra che non si sente rappresentata da
nessuna autorità e che osa anche discutere sul significato di
"rappresentanza", che cerca se stessa nell'urlo "que se ne vajan todos!" e
nelle promesse che sussurrano di "cambiare il mondo senza prendere il
potere"; una sinistra che dipende dall'autonomia non-negoziabile dei
movimenti sociali di base quale architrave per un nuovo mondo; una
sinistra che nell'autogestione e nell'azione diretta trova la sua
espressione più genuina. Una sinistra di cui l'EZLN vuole sicuramente far
parte e che, con aperta reciprocità, trova in esso una delle sue
manifestazioni più eclatanti.
Ora, nè questa nuova sinistra nè l'EZLN sono strutture finite che
rispondono ad un rigoroso ed esteso piano di costruzione, per cui bisogna
pensarli come lavori in corso, caratterizzati ora ed allora da dubbi
inevitabili ed innovazioni fondate sulla necessità di pratiche che siano
tenacemente antagoniste. Per esempio, l'EZLN ha senso se interpretato come
un movimento di guerriglia di transizione. Le sue origini sono più o meno
segnate dai parametri tipici della guerriglia latinoamericana degli anni
'60 e '70: "liberazione nazionale" come concezione di base, l'orgoglio di
sentirsi e di
auto-proclamarsi "esercito", la mistica dei "comandanti", certe
reminiscenze simboliche, etc, parametri non proprio vincenti e sui quali
l'EZLN non sembra aver ancora elaborato una critica in profondità. Le sue
azioni lo hanno portato ad adottare un profilo che non corrisponde più al
vecchio modello. Non solo perchè la "guerra di liberazione" nel suo
classico significato è durata appena 12 giorni, ma anche perchè già con la
IV Dichiarazione del 1° Gennaio 1996, l'EZLN ci dava la felice sorpresa di
un appello lanciato per costituirsi in "una forza politica che non fosse
un partito politico" indicando chiaramente che non aspirava a prendere il
potere. Traducendo a modo nostro: nè avanguardia tipo vecchia guerriglia
nè riformismo socialdemocratico. E nemmeno gli idoli di una salvezza
populista che non si sarebbero affatto sentiti a casa propria tra gli
anonimi eventi quotidiani della Selva Lacandona. Ma quello che all'inizio
ha permesso all'EZLN di acquisire grande rilievo è precisamente ciò che
desideriamo sottolineare come pietra miliare nella nuova sinistra
latinoamericana: l'autonomia dei movimenti sociali di base; un'autonomia
che, all'interno della sfera di azione dell'EZLN in Chiapas, è quella
delle comunità dei primi popoli.
Prospettive e retrospettive del movimento Zapatista
All'interno della complessa traiettoria dell'EZLN ci sono state allo
stesso tempo e fin dall'inizio luci ed ombre. Cercando di ampliare
legittimamente il suo ruolo e di progettare la sua lotta contro l'intero
stato del Messico, l'EZLN è stato gomito a gomito, oppure ha lanciato
un'occhiata ed ha strizzato l'occhio con una certa familiarità alle
istituzioni dominanti, mentre espandeva e consolidava la sua autonomia
regionale. Da un lato ciò ha prodotto solo riconoscimenti frutto di
mediazioni, patti stracciati, ritardi e fallimenti, dall'altro, in
contrasto, ha cementato la sua presa sulla sua immediata sfera di
influenza. E se da un lato vi è stata la formazione episodica di ampi
super-organismi politici che volontariamente o meno erano coinvolti nelle
dinamiche dello Stato o nel suo implicito campo di azione per finire poi
intrappolati in vincoli d'acciaio (la Convenzione Democratica Nazionale,
il Movimento di Liberazione Nazionale, il Comitato di Concordia e
Pacificazione, etc.), dall'altro ne è risultato facilitato, dall'agosto
2003, l'emergere di una partecipazione più vasta a favore delle comunità
zapatiste ed una possibile salutare ridefinizione dell'EZLN; il quale ora
punta -sebbene mai del tutto nè con convincente energia- ad agire più come
accompagnamento che come un primo violino tutt'altro che necessario.
Questa visione alternativa rispetto alla politica ed il più recento corso
di azione hanno permesso la formazione delle cinque regioni autonome in
Chiapas ed i (non ben) denominati consigli del buon governo; un
rimescolamento di ruoli ben lungi dall'essere risolto e che è strettamente
connesso con il dibattito e le questioni della nuova sinistra
rivoluzionaria in America Latina. Tra luci ed ombre, il nuovo EZLN ha reso
manifesta anche la fusione, senza un piano prestabilito, di vecchi e nuovi
elementi in grado di combinare -proprio come un movimento in transizione-
alcune delle pratiche del convenzionale esercito di guerriglia con
l'indispensabile osare delle organizzazioni di base mentre costruiscono la
loro propria autonomia. Questo gioco di luci ed ombre non poteva non avere
effetti sulla Sesta Dichiarazione e sull'"altra campagna" che abbiamo
urgenza di lanciare.
Per essere chiari e consequenziali: se c'è qualcosa nella Sesta
Dichiarazione della Selva Lacandona che l'EZLN ha spiegato chiaramente è
che si sentono ingannati e che i principali responsabili del fiasco sono i
partiti politici istituzionali e soprattutto i loro dirigenti. Le parole
usate dall'EZLN su questa faccenda non danno spazio ad alcuna esegesi
troppo complessa o inutilmente sinuosa: "i politici hanno chiaramente
dimostrato di non avere alcuna decenza e di essere solo una massa di
farabutti occupati a far più soldi possibile in quanto pessimi governanti.
Dobbiamo ricordare questo ora perchè vedrete che costoro dichiareranno di
voler riconoscere i diritti degli indigeni dicendo così una menzogna per
essere votati, ma essi hanno già avuto la loro occasione e non ci sarà una
seconda volta".
Opportunità ed omissioni che -deve essere detto con chiarezza- si
verificano nella storia di qualsiasi democrazia "rappresentativa" e vanno
a braccetto, ciascuna con le sue caratteristiche, in un ipotetico racconto
dell'infamia universale. Messa così, è corretto che l'EZLN voglia
chiamarsi fuori una volta per tutte da ogni aspettativa nei confronti del
sistema istituzionale dei partiti, che voglia tracciare una netta linea di
demarcazione in questa direzione e che voglia indirizzare il suo messaggio
in un'altra direzione:"un nuovo passo in avanti nella lotta indigena è
possibile solo se gli indigeni si uniscono agli operai, ai contadini, agli
studenti, agli insegnanti, agli impiegati..., cioè ai lavoratori delle
città e delle campagne". In altre parole, andare avanti ed ampliare lo
spettro del movimento di resistenza:"in questa globalizzazione della
ribellione ci stanno non solo i lavoratori delle città e delle campagne,
ma anche coloro che sono perseguitati e disprezzati proprio perchè non
permettono a loro stessi di essere dominati, sono le donne, i giovani, i
popoli indigeni, gli omosessuali, le lesbiche, i transessuali, i migranti
e molti altri gruppi che esistono in tutto il mondo e che non vediamo o
ascoltiamo finchè essi non si sollevano e fanno sentire alta la loro voce,
ed allora li vediamo, li ascoltiamo ed impariamo da loro". Una rete fatta
di oppressione, esclusione e sofferenza sembra stare alla base dei
proponimenti e delle aspirazioni dell'EZLN; e forse c'è tutta la Selva
Lacandona che pulsa dietro e sotto queste parole, parole che non perchè
siano deliberatemente semplici manchino di profondità e di significato.
E' possibile concordare su tutto in questo orizzonte immediato:
l'articolazione più o meno stabile di questi movimenti di resistenza
dietro un programma di sinistra di lotte e l'inizio collettivo di una
"campagna nazionale per costruire un altro modo di fare politica". Un
altro modo di fare politica: e cioè un modo totalmente diverso da quello
vergognoso e spregevole usato dai partiti politici, sempre presi dal ritmo
della spasmodica successione di promesse seducenti, delle amnesie
indescrivibili, della opportunistiche giustificazioni. Ecco qui, ad
esempio, un nuovo attacco zapatista:"E quei partiti elettorali non solo
non ci difendono, ma sono i primi al servizio degli stranieri e deli Stati
Uniti soprattutto, e sono quelli che ci ingannano, mostrandoci
un'alternativa mentre si vendono tutto ed intascano il denaro". Sono
questi giudizi incontestabili che nella Sesta Dichiarazione vengono
attribuiti in una certa misura anche al movimento sindacale burocratico e
disfattista. "E se i lavoratori dovessero giustamente chiedere la difesa
dei loro diritti, ebbene no, il sindacato gli direbbe che devono farsene
una ragione ed accettare un salario più basso oppure meno orario o meno
indennità, altrimenti l'azienda chiude e se ne va in un altro paese".
Occorre un modo diverso di fare politica, ancora non meglio specificato,
ma che deve sicuramente essere inteso come una scelta verso la democrazia
diretta in opposizione alla "rappresentanza" gerarchica e cristallizzata;
un'opzione per la partecipazione attiva del popolo con tutto il suo
potenziale in opposizione alla sistematica esclusione messa in atto dai
tecnocrati e dai "saputelli"; un'opzione per la sincerità, il dialogo tra
uguali e l'elaborazione condivisa di quei sogni comuni in totale
opposizione all'assurda ed insensibile fiera delle vanità in cui regnano
la dissimulazione e la menzogna. La Dichiarazione non ne parla, ma queste
cose vi sono implicite proprio perchè sembrano essere le basi del
percorso autentico che ha portato alla formazione ed allo sviluppo delle
comunità indigene zapatiste, diritti essenziali per la loro esistenza ed
il loro consolidamento.
Cambiamenti costituzionali: una strada senza uscita
E' un bene che nella Dichiarazione non ci siano nè abbondanza di
affermazioni nè programmi soffocanti a cui si chiede di aderire, dal
momento che la presenza di tali elementi sarebbe più un invito a
sottoscriverli che ad aprire un dialogo; e si considererebbero i movimenti
sociali di base messicani più come un pubblico passivo o come un vuoto
contenitore anzichè come una fabbrica di vita e di attività, capace di
produrre ed accendere le proprie parole d'ordine. Tuttavia vi è un unico
elemento programmatico che l'EZLN sembra assumere come un tacito ed
assiomatico punto di condivisione, un elemento che può essere fonte di
errori di analisi e di molteplici errori strategici: "una nuova
Costituzione". Si tratta di un modo ellittico per riferirsi alle basi
costituenti di una nuova società messicana che perciò include la
convizione che ciò richieda nè più nè meno una radicale sovversione dei
rapporti di potere? Oppure forse si tratta del tentativo di imbarcare i
movimenti sociali autonomi in una convenzionale riforma costituzionale le
cui transazioni e regole del gioco sono state precedentemente definite
secondo le norme vigenti e quindi, come tali, soggette prima di tutto a
quegli stessi rapporti di potere? Per ciò che appare, sembrerebbe che
l'EZLN nutra un'idea nostalgica della Costituzione Messicana che non ha
alle spalle un'analisi in profondità. Leggiamo:"la Costituzione è stata
cambiata e rimaneggiata. Non è più quella Carta che conteneva i diritti e
le libertà del popolo lavoratore, ma ora prevede diritti e libertà per i
neoliberisti perchè facciano grandi profitti. I magistrati stanno lì per
servire quei neoliberisti perchè questi legiferano in loro favore, e per
coloro che non sono ricchi c'è solo l'ingiustizia, la prigione o il
cimitero". Ma il Messico ha mai avuto una Costituzione che abbia
consacrato, senza se e senza ma, e nella loro massima espressione "le
libertà del popolo lavoratore"? Questo tipo di ragionamenti potrebbe
indurre a pensare forse che l'EZLN abbia ben capito le articolazioni di
potere che caratterizzano i partiti politici di stato, ma che non abbia
ancora colto ciò che caratterizza lo Stato in sè. Ad ogni modo, non vi è
alcun mistero in tutto ciò e si può concludere, parafrasando lo stesso
Marcos, ed in parole molto semplici, che i partiti sono quelli che sono
perchè lo Stato è quello che è.
Al di là di ogni discussione è chiaro che lo Stato è una specifica
struttura di dominazione, una forma gerarchica e codificata di rapporti di
potere ed un sistema concepito per perpetuare se stesso.Detto questo, la
corretta descrizione che l'EZLN fa del sistema partitico dello stato non
può essere fondata sulla malvagità e sul perverso e venale carattere dei
dirigenti di partito, ma trova una parte sostanziale del suo ragionamento
nel fatto la strategia di base e l'operato dei partiti sono indirizzati
alla conquista delle redini dello Stato. Ed è precisamente in virtù di
questo che tali partiti adottano una struttura che riproduce fedelmente lo
Stato nel modo di agire: ecco perchè essi si costituiscono come istanze di
controllo e di disciplina dei loro iscritti; ecco perchè essi
attribuiscono compiti diversi ai loro organi all'interno di una struttura
piramidale; ed ecco perchè essi credono che la loro sopravvivenza, al di
là di ogni considerazione di carattetere storico o sociale, dovrebbe
essere vista dai "loro elettori" -dai loro e dagli altri- come una
benedizione del cielo. Noi anarchici ne siamo convinti da oltre 130 anni e
la conseguente esperienza storica ha solo confermato le nostre intuizioni
originarie, senza che vi sia stata finora una sola eccezione che abbia
colpito il nostro sguardo ansioso e le nostre aspettative. Inoltre, se nel
passato si diceva "il potere corrompe", oggi possiamo dire che anche la
semplice aspirazione al potere corrompe, in anticipo ed in abbondanza.
In questo bisogna essere chiari e coerenti. Come fa l'EZLN a conciliare la
sua affermazione "combattiamo per essere liberi e non per avere un cambio
di padrone ogni 6 anni" col suo stesso parlare di "una nuova
Costituzione"? Si riesce a conciliare una Magna Carta fatta di transazioni
e di necessaria coerenza con l'attuale organizzazione statuale, secondo il
tradizionale senso dell'espressione, con la lotta per la libertà?
Sembrerebbe di no, e sembrerebbe pure che l'attuale orientamento vada in
senso contrario: la lotta per la libertà comincia con l'autonoma
formazione di movimenti sociali di base e si sviluppa con loro, mentre la
ricerca negoziale di una nuova Costituzione è condannata a impantanarsi
nel tortuoso labirinto dello Stato e dei suoi infiniti meccanismi. Tale
conclusione non ha bisogno di eruditi studi di politica comparata. Più che
sufficiente per l'esperienza dell'EZLN in simili questioni. Il rigetto
radicale e fondamentale del sistema partitico dello stato è un importante
passo concettuale che richiede solo un necessario complemento: il rifiuto
dell'angusta strada dello stato per consentire di aprire il percorso senza
catene e distrazioni lungo la fertile strada dell'autonomia. Questa
autonomia dei movimenti sociali, posta all'interno del modello di azione
nel territorio che essi stessi decoideranno di darsi, è la condizione
libertaria per eccellenza: un'autonomia che richiede emancipazione dal
potere onniscente, esterno e superno, per far sì che ogni collettivo
disegni, con il più ampio margine possibile di libertà, le sue proprie
relazioni di vita e il suo ricorso all'azione; senza condizionamenti e
ricatti, pensarsi, divenire e fidarsi sulla base delle loro proprie
capacità piuttosto che affidarsi alla predestinazione, ai messia, alle
dottrine, alle cospirazioni o alla casualità che -come ben si sa- non
hanno mai portato nè mai potranno portare a nulla.
Tutti potremmo "camminare domandando" e "comandare obbedendo". Ci sono
ancora molte cose che si potrebbero argomentare in solidarietà con l'EZLN
per quanto riguarda la loro Sesta Dichiarazione, o meglio ancora, con
tutte le comunità zapatiste e, in generale, sulla vita e sulle lotte del
popolo.
Per esempio, ci piacerebbe approfondire la globalizzazione ed il
neoliberismo, perchè tra di noi si possa tracciare una mappa del mondo che
non sia riproducibile esclusivamente in bianco e nero, per vedere quanto
in questa arena ci siano più di 2 gladiatori e quanto sia necessario
identificare un'intera gamma di relazioni locali articolate per la nostra
propria convenienza e non estranee al puro ossequio verso i grandi centri
di potere del mondo. Alla fine il capitalismo riesce a trovare
cittadinanza ed una specifica facciata multinazionale anche all'interno
dello stesso Messico, senza ricorrere ad un agente di comando che gli dia
vita, impulso e protezione dall'esterno. Questo tipo di considerazione ci
consente di fare nostra, con quasi completa certezza, la convinzione che
non sono solo i politici venduti e le loro clientele corrotte ad essere
responsabili dell'attuale situazione, ma anche certi livelli sociali che
cercano con forza di mantenere lo status quo. Tutto ciò potrebbe condurci
a condividere delle tesi molto più marcatamenete anticapitaliste,
antistataliste ed antiburocratiche, che forse l'EZLN ha già formulato al
suo interno ma che non ha ancora reso completamente manifeste. Ci
piacerebbe riflettere in modo fraterno su un'affermazione della Sesta
Dichiarazione a cui attribuiamo un'importanza speciale e che illustra una
delle caratteristiche peculiari dell'EZLN in un colpo solo:"cioè, sopra il
comando politico democratico e sotto l'obbedienza militare. O forse è
persino meglio che non ci sia nessun sotto ma che ci sia un solo livello
di tutto, senza niente di militare, ed ecco perchè gli Zapatisti sono
soldati perchè non ci siano più soldati". In realtà, se ci fosse un solo
livello di tutto, nessuno comanderebbe e nessuno obbedirebbe, ma tutti
agirebbero in base alle proprie convinzioni, alle proprie possibilità ed
al proprio impegno sulla base degli accordi liberamente presi. E potremmo
dire che è pericoloso e paradossale questo essere soldati per non avere
soldati perchè allora -che confusione di parole!- avremmo sempre bisogno
di soldati perchè non ci siano più soldati. E' molto meglio, più diretto e
più chiaro, dire che siamo antimilitaristi, ed allora mettersi al lavoro,
totalmente e pienamente convinti, per la dissoluzione di tutti gli
eserciti.
Ci piacerebbe discutere in modo più dettagliato con i nostri compagni
della Selva Lacandona sui motivi che hanno sollevato il nostro entusiasmo
verso l'idea di mettere insieme tutti i movimenti sociali messicani in una
grande rete senza esclusioni. Ma anche qui, vorremmo mantenere una
rispettosa discrepanza verso un modo di procedere che potrebbe non essere
il migliore. Noi riteniamo che questa rete non dovrebbe avere un centro e,
precisamente in virtù di ciò, l'EZLN non dovrebbe attribuirsi il ruolo di
coordinatore iniziale che assegna a se stesso l'amministrazione di un
dialogo a cui i partecipanti sono stati già iscritti e si incontrano
secondo date, luoghi ed ordini del giorno previsti dal CCRI. Sarebbe stato
sicuramente meglio che le date fossero uscite da una vasta precedente
consultazione, che il luogo fosse equidistante e che l'ordine del giorno
iniziale non fosse altro che il libero fluire
dell'irrevocabile voce popolare. Ma probabilmente non c'è ragione per non
fidarsi delle intenzioni e quindi meglio credere che questo raduno non sia
niente di più di una necessità fondativa e che ci saranno molte occasioni
in futuro perchè le cose vadano diversamente.
Cuba: così vicina al Chiapas, così lontana dall'EZLN
Vorremmo sviscerare queste questioni e molte altre, ma ora ci sembra
giusto porre delle domande. C'è, comunque, un tema che non possiamo
evitare e che, in quanto Movimiento Libertario Cubano, ci interessa
direttamente ed in modo particolare. Pensiamo che sia una cosa grande che
l'EZLN manifesti la sua solidarietà con i popoli in lotta in America
Latina e nel mondo e potremmo aggiungervi la nostra voce.Dal momento che
le lotte popolari si verificano ovunque, pensiamo che sia una buona
immagine letteraria dire che non sappiamo affermare con precisione a chi
sia indirizzata la testimonianza di solidarietà dell'EZLN. Ciò che non è
chiaro, dunque, è il meccanismo ideologico e politico per cui i popoli del
mondo "non hanno luogo", quando invece per l'EZLN il popolo cubano avrebbe
la sua sede, la sua naturale residenza e la sua legittima rappresentanza
nell'ambasciata governativa cubana a Città del Messico. Vista così, è come
se l'EZLN interrompesse quasi tutti i suoi concetti, la sua prassi ed il
suo imparare nello stesso momento in cui mette piede a Cuba. Quale
naturale e coerente legame ci può essere tra una piattaforma che cerca di
esaltare l'officina della società messicana fatta dai suoi movimenti
sociali di base ed un'altra in cui si assume che la società cubana sia
totalmente rinvenibile nel suo governo? Inoltre, forse l'EZLN crede che il
governo cubano incarni il modello di una nuova sinistra rivoluzionaria
latinoamericana o che sia disposto a farne parte, anche se come discreto
compagno di ventura? Crede l'EZLN di dover fare in Messico ciò che il
Partito "Comunista" ha fatto a Cuba? Aspira l'EZLN in modo contraddittorio
e non consequenziale a celebrare un solido matrimonio tra l'autonomia
delle comunità di base ed un regime centralizzatore ed esclusivo? Ritiene
l'EZLN che l'auto-espressione del popolo cubano possa essere quella delle
organizzazioni popolari autonome al cui apparire il governo risponde
sistematicamente ed accuratamente con i mezzi della repressione
preventiva? Infine, quali risposte può dare l'EZLN a tali gravi questioni?
Inoltre, l'EZLN non può ignorare o dimenticare che per quaranta lunghi
anni il governo cubano e quello messicano hanno avuto relazioni fraterne;
uno dei momenti più significativi è stato sicuramente il silenzio complice
del governo cubano sul massacro di Tlatelolco nel 1968 e l'invio di atleti
cubani ai giochi olimpici subito dopo, in barba agli appelli per
boicottare i giochi lanciati dalla sinistra messicana. C'è una fratellanza
fra due stati che non è poi così difficile identificare nell'amicizia tra
Fidel Castro e Carlos Salinas de Gortari, il quale oggi investe parte
delle sue fortune -ammassate grazie allo sfruttamento dei lavoratori
messicani- proprio nell'isola di Cuba. Dati questi precedenti e molti
altri, l'EZLN non dovrebbe avere alcuna difficoltà nel verificare che, per
l'elite al potere a Cuba, l'asse delle relazioni internazionali non sta
nelle lotte popolari, ma queste vengono interpretate a piacere in base al
tipo di rapporti che il partito monopolista al potere a Cuba decide di
avere con altri governi, se e quando questi possano dare un po' di
ossigeno alla sua capacità di sopravvivenza. Come spiegare altrimenti che
la diplomazia cubana mentre sosteneva le lotte contro l'apartheid in Sud
Africa, al tempo stesso dimostrava estrema solidarietà al regime di
Suharto in Indonesia che aveva una politica razzista a Timor Est? Quale
coerenza vi può essere tra il sottoscrivere i diritti dei popoli africani
nel decidere del loro destino e contemporaneamente inviare truppe di
occupazione in Eritrea per fermare la lotta per l'indipendenza secondo gli
interessi dell'URSS, oppure addestrare la scorta armata di Idi Amin? Quale
giustificazione dà il governo cubano per aver inviato un vice-presidente a
partecipare al forum di Davos e poi per aver inviato il presidente
dell'Assemblea Nazionale alle proteste di Porto Alegre contro quello
stesso forum? Come può il governo cubano condannare fortemente il razzismo
durante la conferenza ONU sul tema a Durban e poi respingere ogni invito
ad analizzare come mai nelle prigioni cubane vi è una maggioranza di
detenuti neri? E così via.
A proposito: è forse necessario ricordare all'EZLN quali siano le
condizioni del popolo cubano e la sua assoluta impossibilità ad
auto-organizzarsi autonomamente? Pensiamo che ogni concreto riferimento
non sia necessario al momento e vogliamo credere che la menzione
dell'ambasciata cubana a Città del Messico sia stato solo un errore
dell'EZLN, un passo falso che può essere riparato alla prima opportunità.
Vogliamo crederlo perchè ci sono cose importanti in gioco. Lo ripetiamo:
ciò che da ora è importante è la formazione, il profilo e l'orientamento
di una costellazione di gruppi ribelli e di pratiche che oggi favoriscano
le condizioni per i primi passi della nuova sinistra rivoluzionaria
latinoamericana. In questo lavoro creativo non vi può essere tracuratezza,
nè superficialità, nè ipocrisia. In questo lavoro di creazione il governo
cubano non ha nulla da offrire, perchè i soli messaggi genuini che ci
permetteranno di avanzare sulla strada della libertà non verranno dagli
uffici dei burocrati dell'Avana, ma dall'urto e dalle proteste che
sorgeranno dal basso e che alla base troveranno la giusta eco. E cioè lì
tra i "fuorilegge" ecuadoregni, tra la resistenza Mapuche, tra i contadini
Cochabamba, nelle fabbriche occupate in Argentina, nell'occupazione delle
terre in Brasile e, naturalmente, anche nelle esperienze e nei processi
che oggi hanno luogo nella Selva Lacandona.
Movimiento Libertario Cubano (MLC)