Un ecologo
ante litteram
di Béatrice
Giblin
Ho già avuto occasione di pubblicare un articolo in cui
dimostravo i legami tra le convinzioni anarchiche di Reclus e le sue
concezioni geografiche. Ricordavo in quale modo, nel XIX secolo, gli
anarchici consideravano la natura, che per loro era un tutto armonico retto
da leggi che nessuno poteva trasgredire senza rischiare di provocare nefasti
squilibri. Gli anarchici riconoscevano dunque un solo tipo di leggi, le
leggi della natura, ammettendo implicitamente che la natura è buona, in
quanto equilibrata ed armoniosa.
Reclus difende questo punto di vista: ama profondamente la natura e del
resto parla sovente della "libera natura" che gli piace percorrere in lunghe
camminate all'alba e sceglie di "interrogare la terra direttamente, fuori da
gabinetti e biblioteche", per comprenderne il corso. Tuttavia, Reclus non è
solo un libertario che ama la natura libera e generosa; è soprattutto un
geografo di grande scuola che ha seriamente studiato l'ambiente naturale, la
cui armonia gli pare fondata su un gioco di interdipendenze: interdipendenze
tra gli elementi della natura e tra gli uomini e la natura. L'intervento
dell'uomo sulla natura pone dunque il problema del rapporto con l'ambiente
naturale. Reclus non vagheggia una natura vergine, preservata da qualsiasi
azione umana: è un geografo troppo esperto per ignorare che l'uomo è uno
degli elementi della natura e un elemento molto particolare in quanto egli
ha la possibilità di agire su di essa. Non bisogna fare di Reclus un erede
diretto del pensiero di Rousseau che contrappone la natura, buona per
definizione, all'uomo, cattivo per definizione. Per lui, l'uomo può avere
un'azione benefica sulla natura se sa agire secondo le leggi che essa
impone, se sa rispettare le leggi degli "insiemi naturali" ai quali
appartiene (per riprendere l'espressione di Reclus) o, come si direbbe oggi,
le leggi degli ecosistemi.
Eppure, questo riconoscimento dei limiti imposti dall'ambiente naturale alle
azioni umane non fa di Reclus un geografo determinista, poiché il
ragionamento determinista privilegia un unico fattore naturale per farne il
solo fattore esplicativo dell'organizzazione sociale e così le
interdipendenze scompaiono per descrivere una situazione semplicistica.
"È sicuramente indispensabile - si legge ne L'homme et la terre
- studiare a parte e in modo dettagliato l'azione particolare di questo o
quell'elemento dell'ambiente: freddo o caldo, montagna o pianura, steppa o
foresta, fiume o mare in una determinata tribù; ma è attraverso uno sforzo
di pura astrazione che ci si ingegna a presentare questo particolare
dell'ambiente come se esistesse in maniera distinta e che si cerca di
isolarlo da tutti gli altri per studiarne l'influenza essenziale. Persino
laddove quest'influenza si manifesta in modo assolutamente preponderante nei
destini materiali e morali di una società umana, essa si frammischia ad una
congerie di altri stimoli concomitanti o contrari nei loro effetti.
L'ambiente è sempre infinitamente complesso e l'uomo è di conseguenza
sollecitato da migliaia di forze diverse che si muovono in tutti i sensi,
sommandosi le une alle altre, alcune direttamente, altre seguendo angoli più
o meno obliqui, oppure contrastando reciprocamente la loro azione".
Reclus dimostra con degli esempi che l'ambiente fisico non comanda, non
determina l'organizzazione economica e sociale dei gruppi umani: nelle
stesse condizioni naturali, le organizzazioni economiche e sociali spesso
sono differenti (non è detto che gli isolani siano tutti dei buoni
marinai!). In effetti, l'integrazione degli uomini agli eco-sistemi è
diversa: può essere eccellente, oppure "patologica", secondo l'espressione
stessa di Reclus.
Da tempo l'uomo utilizza e sfrutta gli ambienti naturali prelevandone ciò di
cui ha bisogno e modificandoli (dissodamento, drenaggio, dighe, ecc.).
Reclus dimostra che queste trasformazioni fanno nascere dei nuovi insiemi
geografici, dei nuovi eco-sistemi di cui l'uomo è l'agente creatore;
infatti, gli ambienti naturali si modificano costantemente a causa delle
interazioni tra i diversi elementi che li compongono: clima, suolo e
vegetazione. Tutto ciò perché, secondo Reclus, gli ambienti naturali non
sono statici, ma "dinamici" ed è convinto che soltanto la conoscenza di
questa dinamica permetta di utilizzarli bene. Se l'uomo intacca uno degli
elementi dell'ambiente naturale, scatena automaticamente una modificazione
di questa dinamica e crea un nuovo equilibrio, o squilibrio, nelle
interazioni. È di conseguenza indispensabile conoscere le leggi che reggono
i fenomeni naturali, se l'uomo vuole poter modificare, manipolare la natura
senza provocare squilibri irreversibili. Infatti la natura impone dei limiti
all'azione umana; è quindi indispensabile sapere fin dove si può arrivare
nella manipolazione dell'ambiente naturale per fermarsi prima che si
inneschino squilibri irreparabili, tanto più rapidamente quanto più fragile
è l'ambiente naturale.
Reclus attribuisce dunque moltissima importanza a una seria conoscenza dei
fenomeni terrestri e dell'ambiente naturale; è per questo che egli ha
compiuto un lavoro enorme sul suo trattato di geografia fisica, sicuramente
il primo del genere, La Terra e che sarà pubblicato più volte. Ne
farà persino una versione semplificata e riassunta, poiché ci tiene che
quest'opera venga letta dal più gran numero possibile di persone, forse
nell'idea di diffondere un saper pensare la natura. Così, nell'ultima parte,
intitolata "La Vita" egli presenta diversi casi (fallimenti e successi) di
intervento sull'ambiente naturale. Lo sviluppo straordinario dei mezzi
tecnici dopo la rivoluzione industriale aumenta ancora di più le possibilità
d'intervento dell'uomo sull'ambiente naturale. Ecco perché Reclus mette in
guardia contro una utilizzazione abusiva e cieca della macchina, che può
provocare dei degradi definitivi, irreparabili.
La preservazione dell'ambiente naturale non è forse oggi uno dei problemi
più dibattuti? Il progresso industriale, la corsa alla crescita economica
non sono sempre più spesso contestati a causa degli inquinamenti che
generano: contaminazione delle acque, dell'aria, da rumore, spreco
energetico? Reclus, ai suoi tempi, non è il solo ad avere simili
preoccupazioni "ecologiche". Altri come lui si interessano all'unità
dell'ambiente naturale ed alla sua fragilità, denunciano i malanni della
rivoluzione industriale (aria viziata, acque inquinate) e la negligenza o
l'incoscienza con cui si sprecano, si sfruttano le ricchezze geologiche e le
risorse naturali senza preoccuparsi dei danni avvenire conseguenti
all'estrazione di sempre più minerali, energia, alla produzione di sempre
più generi alimentari. Fino alla metà del XX secolo, queste idee non erano
troppo diffuse. Dopo Reclus, non fu affatto materia di geografi, salvo per
quel che concerne l'erosione dei suoli, forse. Reclus aveva una sensibilità
ecologica globale e questa scomparve con lui, per circa mezzo secolo buono.
Come spiegare questa evoluzione? L'orientamento analitico ha preso senza
dubbio il sopravvento sull'orientamento sintetico e così si perde a poco a
poco di vista l'unità complessa dell'ambiente geografico. Le specialità si
moltiplicano, sempre più spinte, più ristrette e sempre meno in grado di
spiegare il tutto. In questa specializzazione della geografia fisica, la
geomorfologia s'è presa la fetta maggiore, quanto meno in Francia. Gli
universitari cioè hanno privilegiato lo studio delle forme di rilievo e la
loro spiegazione a detrimento delle altre branche della geografia fisica e
così una visione relativamente statica dell'ambiente ha preso il sopravvento
sulla visione dinamica. In geomorfologia, si ragiona il più delle volte su
tempi lunghissimi e nel XIX secolo i geomorfologi lavorano soprattutto in
Europa, in un clima temperato, in cui l'evoluzione attuale delle forme di
rilievo è impercettibile, sulla durata di una vita, quanto meno. A lungo si
sono interessati più alla datazione dei penepiani che alle erosioni.