Piccola
storia ignobile della "rappresentanza sindacale"
La
questione del “progetto”politico della “sinistra” è cosa complessa.
Occorrerebbe prima di tutto una discussione interna alla sinistra libertaria,
praticamente priva di una propria politica: ma questo è elemento d’altro
dibattito. Per stare al tema impostato da “Cenerentola”, sono d’interesse le
opzioni sin qui pubblicate. Oltre alla lotta all’evasione, che forse potrebbe
avere maggior forza con la detraibilità generale, aggiungerei la questione pensionistica
ove, oltre ad una riforma che riporti per le nuove generazioni il calcolo delle
spettanze al livello di sopravvivenza (almeno al 90% dell’ultima retribuzione e
non all’attuale 45% sancito dall’immonda operazione Dini del ‘95), occorrerebbe
anche separare la previdenza dall’assistenza (da mettere a carico della
fiscalità generale). In tal modo sparirebbero le sperequazioni ed i falsi
allarmi. Le casse pensionistiche dei dirigenti del settore privato (e non solo)
vengono sostenute con i soldi dei contributi dei lavoratori, le stesse pensioni sociali sono in misura
notevole erogate anche ad evasori totali. Le casse INPS-INPDAP, senza tali
prelievi, sarebbero assolutamente in attivo e sarebbe vanificata il busines
vergognoso, di matrice sindacal-concertativa, volto a gestire i fondi
integrativi secondo una logica del tutto privatistica al livello di qualsiasi
assicurazione “di mercato” (nessuna rendita sicura, assenza di controllo etico
sulle operazioni, rischio assoluto per i lavoratori).
Ma in
questa sede mi preme segnalare un’altro problema, assurto al livello di una
vera e propria emergenza democratica. Un problema non a caso negato da tutte
le forze politiche: chi ritiene centrale (e centralistica) la forma
istituzionale di rappresentanza, crede che la società civile,
l’associazionismo, i soggetti sociali, debbano venire conculcati e subordinati
e che i sindacati debbano esistere unicamente come “cinghie di trasmissione”
del mondo dei partiti. Ergo, i partiti – ognuno dei quali ha propri riferimenti
sindacali o “pacchetti” di gestione negli stessi – si sono innanzitutto
preoccupati di eliminare qualsiasi possibilità di successo per il sindacalismo
libertario ed indipendente.
Fino
ad oggi, l’intera “sinistra” parlamentare – in primis la cosiddetta “area
radicale” – pur sollecitata costantemente e direttamente, è stata del tutto
connivente sull’esistenza in questo Paese di leggi sulla rappresentanza
sindacale che, in particolare nel pubblico impiego, negano ogni pur minimo
senso della democrazia e del diritto.
Sino
al '97 le norme richiedevano alle organizzazioni sindacali il raggiungimento
della soglia del 5% dei voti validi nelle elezioni di categoria (Consigli di
Amministrazione dei Ministeri e Consigli della Pubblica Istruzione, nazionale e
provinciali, per
La
legge "Bassanini" del Novembre '97 (votata anche dai Verdi e da
Rifondazione Comunista, prima che si avviasse la scissione del PdCI), ha
stravolto ogni regola. Innanzitutto, con un meccanismo elettorale farsesco che
impedisce la presentazione di liste nazionali, imponendo unicamente liste
decentrate e delegando alle OOSS concertative la scelta di rito. Così, ad
esempio nella Scuola (12.000 sedi
centrali), CGIL, CISL, UIL, SNALS e Gilda impongono la presentazione di una lista
per istituto, e meno liste si presentano, meno voti si possono raccogliere.
Vengono
perciò elette "Rappresentanze Sindacali Unitarie" unicamente nei
luoghi di lavoro, titolate a trattare solo su questioni minimali, sulla falsa
riga di contratti nazionali e provinciali decisi dai rappresentanti nominati
dalle burocrazie sindacali senza alcun controllo elettivo. Tanto i firmatari
del contratto nazionale hanno comunque titolo alle contrattazioni decentrate
(anche a voti zero!). Nel privato, peraltro, si sono dotati della riserva del
33%, percentuale garantita a CGIL, CISL e UIL indipendentemente dai risultati
elettorali.
Si
rende praticamente impossibile alle organizzazioni nuove e non concertative,
alle quali è negato a priori ogni strumento di sostegno (persino i permessi
sindacali), la competizione con le vecchie strutture confederali, che
possiedono nel pubblico impiego un esercito di circa 5.000
"distaccati". Inoltre alle OOSS “non rappresentative” è interdetta
anche la convocazione di assemblee in orario di servizio, di modo che non
possano farsi campagna elettorale né trovare i candidati ed i sottoscrittori
necessari a presentare le liste. La cosa è persino ridicola, visto che la somma
delle firme richieste per validare le liste raggiunge numeri strabilianti
(nella scuola occorrerebbero 65.000 presentatori, più dei voti richiesti per
raggiungere il 9.5% e più di quanto sia necessario per proporre al Parlamento
una legge di iniziativa popolare).
Si
tratta di numeri congrui per le singole unità amministrative (2% degli aventi
diritto), ma assolutamente improponibili nell'ottica di una sommatoria
nazionale. Sarebbe come se – nelle elezioni politiche – i partiti fossero
obbligati a presentare una lista per ogni seggio elettorale, dovendo così
raccogliere almeno 600.000 firme per coprire tutto il territorio nazionale.
In
realtà diventerebbe imbarazzante per CGIL, CISL e UIL competere ad armi pari,
come le regole democratiche invece imporrebbero. Con elezioni nazionali
significherebbe passare dal monopolio al pluralismo ed essere, in più,
costrette a far scegliere direttamente dai lavoratori anche le proprie
delegazioni trattanti.
Ma il
marchingegno illiberale non si conclude qui. Al fine di favorire i sindacati
pronta-firma, è stato inventato un meccanismo ulteriore, assolutamente
indecente. Si tratta della cosiddetta "media": il 5% non viene
infatti calcolato più sui voti o sugli iscritti, ma facendo media fra i
due parametri. In tal modo la soglia sul dato elettorale sale automaticamente,
dovendo i sindacati nuovi compensare la ovvia carenza di iscritti a fronte di
quanti esistono da almeno quarant’anni. Se si fosse adottato qualcosa di simile
per accedere al Parlamento si sarebbe gridato al colpo di stato, anche perché
così non si consentirebbe di fatto la nascita di alcun nuovo partito. Nessuno accetterebbe
mai il computo spurio fra voti ed iscrizioni elevato a regime. Significativo è
che il 10% dei sindacalizzati (35%) equivale alla metà esatta del 10% sui
votanti (70%), utile ad un sindacato di nuova formazione (e se non il 10%, sarà
l’otto o il 9%). In tal modo, CGIL, CISL e UIL, che in decenni si sono
garantite comunque il 10% dei sindacalizzati, resterebbero “rappresentative”
anche qualora non raccogliessero voti!
I
sindacati che non raggiungono tali folli parametri vengono privati di ogni diritto
e spazzati via persino dal piano decentrato, anche se, come l'Unicobas Scuola,
possiedono comunque il 10% dei voti nelle elezioni per il Consiglio Scolastico
Provinciale ed il 5% delle deleghe nell'ambito di numerose province - come a
Roma dove siamo il doppio di UIL e Gilda - e regioni. Un sindacato può anche
avere il 60% delle deleghe su base provinciale e non essere ammesso a nessuna
trattativa decentrata. In Italia si dibatte molto di federalismo, ma il
federalismo viene espunto dalla democrazia del lavoro ([1]). Una
norma del genere, traslata in politica, avrebbe come effetto per i partiti che
non possedessero da Canicattì a Bolzano un quorum nazionale calcolato sul 5% di
media fra voti ed iscritti (sic!), non solo l'esclusione dal Parlamento, ma anche
da ogni consiglio regionale, provinciale, comunale o municipale e, di concerto,
da ogni permesso per fare propaganda, manifestare, tenere comizi ed ottenere
qualsivoglia rimborso elettorale, visto che in campo sindacale viene negato
qualsiasi diritto, anche quello d’affissione. Altro che par condicio !!!
Eppure, in ambito sindacale, non si da luogo alla creazione di
"governi" e non è quindi in gioco la “stabilità” dell'esecutivo. Un
sindacato, al quale
Mentre
in Europa sindacati come l'Unicobas hanno pieni diritti, nel "Bel
Paese" non ci forniscono neanche di un'ora di permesso retribuito. In
Francia, ad esempio, con un'analoga percentuale di voti riportata nelle
elezioni professionali (vd. SUD Education) – i cui risultati la legge italiana
oggi esclude per il calcolo della rappresentanza – avremmo 21 aspettative annue
a carico dello stato. In Italia stiamo come nella Polonia dei tempi del
generale Jaruzelskij, quando venne messa fuorilegge "Solidarnosc" o
come nel Cile di Pinochet, con la differenza che sicuramente c’era meno
ipocrisia.
Come
accennato, per paura che CGIL, CISL, UIL, SNALS e Gilda perdessero ugualmente
l'egemonia sindacale sul mondo dell’istruzione (retribuito al livello più basso
del ventaglio europeo), all'Unicobas (ed ai sindacati di base) viene negato
dall'Ottobre '99 persino il diritto di tenere assemblee in orario di servizio
in qualsiasi scuola (anche se abbiamo 50 iscritti con trattenuta alla fonte su
100 docenti). Finanche negli istituti dove, avendo presentato una lista,
abbiamo una o più RSU elette. In aperta violazione di quanto stabilisce lo
Statuto dei Lavoratori, che assegna la facoltà di indire assemblee in orario di
servizio alle Rappresentanze singolarmente o disgiuntamente (RSA alle quali,
per effetto del D.L.vo 29 / 93, sono subentrate le RSU con medesimi diritti).
Questa vergogna ennesima, vera e propria opera di regime statuita per contratto
dalle OOSS firmatarie in pieno conflitto d’interessi ([2]), è
stata sanzionata dalla magistratura con almeno 12 sentenze di condanna per
comportamento antisindacale in capo ai dirigenti scolastici responsabili del
diniego opposto all’Unicobas relativamente all’indizione di un’assemblea in
orario di servizio, ma viene reiterata di accordo in accordo. Le OOSS hanno di
fatto assunto la facoltà di legiferare: le norme sulla privatizzazione del
rapporto di lavoro nel P.I. garantiscono comunque l’applicazione delle norme
contrattuali, anche se contra legem (e le sentenze hanno valore
applicativo solo per le singole istituzioni scolastiche alle quali si
riferiscono).
Il
caso della scuola è emblematico di norme ritagliate sugli interessi dei
Confederali: nei comuni di Roma, Milano e Napoli (50.000 addetti ognuno), basta
presentare un'unica lista con 200 firmatari (la concorrenza del sindacalismo di
base è troppo bassa...). Nei provveditorati corrispondenti, che annoverano una
pari quantità di dipendenti, occorrerà produrre almeno 600 / 700 liste (una per
scuola), con 3.500 firme ed altrettanti candidati (quando difficilmente si
raggiungeranno 35.000 votanti).
Sarebbe
ben altra cosa calcolare la "rappresentatività" con elezioni basate
innanzitutto su liste nazionali, poi provinciali e di singolo istituto (per la
delegazione trattante di quel livello), nonché solo sul dato elettorale puro.
Ma il mondo della politica (evidentemente del tutto omologato a questo sistema
stalino-fascista, tace nella sua totalità). Tutti i partiti, a cominciare da quelli
comunisti (al governo sino a qualche mese fa), i “democratici”, quelli
dell’arco “costituzionale”, i “liberali” ed i liberisti, tacciono anche sulle
disparità di trattamento fra sistema pubblico e privato, come per esempio nel
caso delle aspettative sindacali a carico delle OOSS (ma con contributi pagati
dallo stato), concesse nel privato a chiunque e riservate (persino quelle...!)
nel pubblico solo ai “maggiormente rappresentativi”.
Il
sistema dei partiti è connivente anche
su di un’altra regola “aurea”: i pensionati, in questo Stato delle mafie e
delle lobbies, possono iscriversi unicamente alle OOSS che sono interne al
CNEL, organismo al quale si accede – per l’appunto – solo per nomina politica
(in tal modo è entrata anche
Stefano d'Errico
[1]
L'unica possibilità di
sopravvivenza a livello locale, prevista però solo nel 2000 "in prima
applicazione", venne legata al requisito dell'affiliazione di almeno il 10%
dell'intera forza lavoro. Cosa che, in una zona di media sindacalizzazione
(35%) come il pubblico impiego, non era e non è data in Italia in nessuna
provincia neanche a CGIL o CISL. Se per far parte di un Consiglio Comunale fosse
obbligatoria l'iscrizione del 10% degli aventi diritto al voto, non
esisterebbero liste locali in grado di competere.
[2] Sarà d’uopo ricordare che, fra le sigle più accanite nel sottoscrivere e cercar di far rispettare l’esclusione delle OOSS di base dal diritto d’assemblea, si colloca proprio quella CGIL che – pur contraddicendo per contratto l’art. 20 dello Statuto dei Lavoratori che garantisce a tutti il diritto d’assemblea in orario di servizio – s’è fatta bella per anni della battaglia contro l’abolizione dell’art. 18.