Il diritto alla cultura
di Isaac Puente
Ci sembra ancor oggi valido, come momento di
riflessione e di sintesi, quanto molti lavoratori spagnoli lessero e fecero
proprio in un opuscolo divulgativo diffuso verso il 1935 in tutta la Spagna.
L'opuscolo, scritto da un umile medico di campagna, Isaac Puente, portava il
titolo "El comunismo libertario" ed era un compendio dei motivi per cui
l'analisi e l'ipotesi della rivoluzione sociale si imponevano su ogni altra
scelta: una volta superati i pregiudizi, sostiene il Puente, ed accettato di
osare, riusciremo facilmente a raggiungere un maggior benessere ed una
miglior forma di convivenza se avremo il coraggio di abolire il potere
totalmente e ovunque. Il problema della cultura vi è più volte affrontato,
ha lo stesso rilievo di quello dell'organizzazione economica e del lavoro.
L'anno successivo alla sua pubblicazione Puente, medico generoso ed
infaticabile militante della CNT, fu trucidato a Vittoria dalle truppe
carliste.
(...) Un secondo pregiudizio fa supporre che il comunismo libertario sia frutto di ignoranza. Alcuni infatti, vedendolo formato dalla gente semplice, dai contadini, dagli operai ovviamente privi di laurea e da sempre ritenuti rozzi e ignoranti, ritengono che offra una soluzione semplicistica, incurante della complessità della vita e delle difficoltà inerenti una rivoluzione di grande portata.
Coloro che la pensano così ignorano che il proletariato, collettivamente (non nei suoi singoli membri) ha della sociologia, dei problemi sociali e delle loro soluzioni, una conoscenza più vasta e profonda di quella che ne hanno gli intellettuali. Volete un esempio? Quando le nostre facoltà universitarie erano affollate, ai signori medici, avvocati e farmacisti non era venuta in mente soluzione migliore che il numero chiuso. Dicevano: "Che cosa si può fare se non ci sono più posti di studio?" e ricacciavano verso altre attività o verso la sterile ribellione giovani desiderosi di sapere: soluzione semplicistica e persino assurda. Ben diverse proposte vennero dagli operai, scelte ben più vicine ad una sociologia scientifica: proposero di garantire il pane e la cultura sacrificando altre cose superflue: pane, salute e cultura sono più importanti per il benessere umano degli stadi per corride. E il diritto alla cultura fu affermato dagli "ignoranti", e misconosciuto da quei sapientoni di intellettuali. Se ne fece portavoce il proletariato, perché è lui, collettivamente, ad avere dell'avvenire una visione assai più aperta di tutte le caste intellettuali messe insieme.
Un terzo pregiudizio concerne l'aristocrazia intellettuale. Molti tendono a considerare il popolo incapace di vivere liberamente, bisognoso di tutela, e pensano che sul popolo gli intellettuali debbano avere quei privilegi un tempo esercitati dai nobili, debbano farsi dirigenti ed istruttori del popolo. Invece, come non è oro quel che luccica, non va disprezzato il patrimonio intellettuale di coloro che oggi il sistema condanna all'ignoranza. Vi sono intellettuali che non riescono ad elevare il loro pensiero nemmeno sulle ali dei loro diplomi accademici, mentre molti operai superano gli intellettuali grazie alla forza ed alla lucidità del loro pensiero. La laurea universitaria che abilita all'esercizio di una professione non indica necessariamente superiorità, dal momento che oggi la laurea non può essere conseguita da tutti, ma soltanto da chi ha un minimo di sicurezza economica. Prontezza di intelletto, rapidità di comprensione, intuizione, iniziativa, creatività non si comprano né si vendono negli Atenei: sono doti umane, presenti in egual misura nell'intellettuale e nell'analfabeta. E una mente incolta, ma aperta ad ogni avventura intellettuale, vale assai di più di un'altra che l'abitudine all'apprendimento acritico ha resa ottusa ed i pregiudizi hanno sclerotizzato. La "cultura" dei nostri intellettuali in anni recenti non è riuscita ad impedire che essi si vendessero al regime, mentre persone meno "colte" hanno saputo conservare ben chiaro il senso della propria dignità umana. Lavorare come impiegato non rende né più muscolosi né più intelligenti né più fecondi rispetto al lavorare nei campi. Il liceo non forma più dell'apprendistato e solamente chi è puerile e semplicista può supporre che i laureati debbano comandare e dirigere coloro che non lo sono.
Con questo noi non avalliamo un quarto pregiudizio, non disprezziamo affatto l'arte, la scienza e la cultura. Rifiutiamo coloro che in nome del progresso si vantano di ridurre in miseria e schiavitù milioni di altri uomini: vogliamo il progresso, ma non pagato con questa moneta. Rifiutiamo una scienza che, per definirsi, debba mantenere l'ignoranza a farle da contrasto.
L'arte, la scienza, la cultura non si comprano con il denaro né si acquistano con il potere: se sono autentiche, rifiutano l'uno e l'altro e sorgono dalla dedizione, dalla spinta creatrice, dal desiderio di capire, dal gusto di migliorarsi.
Non hanno bisogno né di Mecenati né di Cesari: sono espressioni naturali dell'uomo, ed è ingenuo credere che un governo le possa produrre fondando scuole per superdotati o premi letterari. È naturale che l'operaio in lotta per la sua emancipazione derida e distrugga quella cultura borghese che viene usata per costringerlo alla schiavitù ed alla miseria. Distrutti questi falsi idoli, nel fiorire della libertà, consentirà però il fiorire dell'arte, della scienza, della cultura.
Proseguendo, l'autore si batte contro un quinto pregiudizio: il credere che la società abbia bisogno di un artefice, di un capo. Egli afferma: l'educazione e l'istruzione del bambino sono possibili non perché esiste un padre o un maestro, ma perché le sue tendenze naturali hanno lo spazio e le condizioni per espletarsi ed organizzarsi armonicamente. Nella pedagogia razionale il maggior merito del maestro è l'umiltà con cui egli indica la via per la quale è possibile acquisire conoscenza ed autodominio. Del resto anche in medicina l'organismo supera la malattia in quanto tende spontaneamente a reagire ai fattori patogeni e a ristabilire il suo equilibrio: un bravo medico non fa altro che rimuovere ogni ostacolo e favorire in ogni modo le risorse naturali dell'organismo. Allo stesso modo non occorre un dirigente perché delle società umane si organizzino e perfezionino sempre più le soluzioni relative alla convivenza (...)