Quel volo dal 4° piano Quando Giuseppe Pinelli, anarchico
milanese quarantenne, piomba a terra dal quarto piano della
Questura di Milano, l’ingranaggio si inceppa. L’accurata
strategia iniziata con le bombe alla Fiera nell’aprile del 1969
e proseguita con gli attentati del 12 dicembre dello stesso
anno, si blocca miseramente davanti all’imprevedibile, ostinata
resistenza di un modesto ferroviere che ha capito tutto. Che ha
intuito quale tragedia si prospetta per il Paese, e per il
movimento anarchico, se anche lui capitolerà. Pinelli si rifiuta
di stare al gioco, anche se questo sembra ormai inarrestabile, e
frappone se stesso ai disegni criminosi del potere. Comincia
così a sgretolarsi la più grande, ingannevole montatura mai
ordita nella giovane storia della nostra repubblica: ed è per
fargli pagare questa responsabilità che l’anarchico viene
scaraventato dalla finestra da uno stuolo di poliziotti
frustrati dall’impossibilità di soddisfare i disegni dei loro
padroni. Un’epoca forse irripetibile In un contesto così vivace e dinamico, anche l’ambiente
intellettuale si mobilita e partecipa alla stagione dei
cambiamenti con un impegno, spesso, di grande efficacia. E
naturalmente lo spartiacque della strage di Piazza Fontana
diventa uno dei punti focali della riflessione. Come si vede
dalla bibliografia essenziale curata dai compagni pisani, furono
molti gli interventi di intellettuali, giornalisti, scrittori
che portarono il loro contributo allo straordinario lavoro di
controinformazione che caratterizzò quegli anni, così come molti
furono gli artisti che si ispirarono, più o meno direttamente,
al fatto. Se in campo cinematografico non si può dimenticare
Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto di
Rosi, o Sacco e Vanzetti di Montaldo, che inizia con la
storica inquadratura dell’anarchico Salsedo che precipita dal
grattacielo della polizia di New York, in campo teatrale nasce
quello che, a mio parere, è il capolavoro di Dario Fo: Morte
accidentale di un anarchico. Sull’equivoco sull’assurdo sull’ironia Tutto nasce da un’idea teatralmente geniale, quella di
affidare a un “matto” maniaco dei travestimenti il compito di
smontare, pezzo per pezzo, le innumerevoli versioni che la
questura milanese ha fornito per giustificare i propri
comportamenti. Il protagonista, usando una logica apparentemente
delirante, lascia credere di voler soccorrere il questore e la
sua corte in evidente crisi di credibilità e, fingendosi prima
un poliziotto, poi un giudice, un agente segreto e un
giornalista, ricostruisce il dramma della morte di Pinelli
attraverso una serie inesauribile ed esilarante di
divertentissime gag. Giocata sull’equivoco, sull’assurdo e
sull’ironia, la sua logica, assolutamente folle e altrettanto
stringente, ricostruisce, pezzo per pezzo, la terribile verità
di quei giorni di dicembre, facendo apparire, nel crescente
imbarazzo delle “autorità” ormai in balia del loro burattinaio,
la oscena nudità della ragion di stato, tanto criminalmente
quanto inefficacemente perseguita. Contro le ombre fumose Naturalmente in quegli anni furono parecchi i lavori, di taglio politico o biografico, ispirati alle vicende della Strage di Stato. Qui, alla lettura di alcune pagine di Morte accidentale di un anarchico, ho voluto affiancare brani che, a mio parere, possono dare un’idea di quanta ricchezza, politica e umana, si espresse allora. Parto con la fondamentale Nota degli Autori che fa da prefazione all’opera collettiva La Strage di Stato (Roma, Nuova Sinistra, 1970), forse il libro più importante in assoluto, se non altro per il preziosissimo e insostituibile ruolo di decostruzione delle trame statali. Se quello fu un vero e proprio manuale per i compagni impegnati a lottare contro lo stato, altrettanto importanti furono due testi che unirono alla passione politica un tratto di profonda e partecipe umanità. Il primo è di Camilla Cederna, Pinelli. Una finestra sulla strage (Milano, Feltrinelli, 1971), nel quale la nostra affezionata amica tratteggiò, per un pubblico enormemente più vasto di quello raggiunto dalla stampa anarchica, il ritratto del compagno cui dedichiamo la rubrica di questo mese; il secondo testo è di Piero Scaramucci, Licia Pinelli, una storia quasi soltanto mia (Milano, Mondadori, 1982), dove il giornalista rende omaggio al coraggio e alla dignità di una donna che, per fortuna di tutti, seppe resistere, con caparbietà, alle interessate sollecitazioni e alle continue pressioni a “lasciare perdere”. Per chi ricorda quegli anni, la figura di Licia fu quasi altrettanto importante di quella del marito Pino, e per questo penso che anche il suo sia un mirabile “ritratto in piedi”. Chiudo le citazioni con alcune pagine del recente Bombe e segreti. Piazza Fontana 1969 (Milano, Elèuthera, 1997), del nostro compagno Luciano Lanza, fra i protagonisti e i testimoni di quelle vicende. È un libro ancora sul mercato, e ne consiglio vivamente la lettura, perché grazie alla sua chiarezza espositiva e alla lucidità delle argomentazioni, fuga definitivamente tutte le ombre fumose che ancora vorrebbe spargere il Potere. Massimo Ortalli È lapalissiano, MATTO Siamo appunto al primo tempo…andiamo per ordine: verso mezzanotte l’anarchico, preso da raptus, è sempre lei dottore che parla, preso da raptus si è buttato dalla finestra sfracellandosi al suolo. Ora, che cos’è il “raptus”? Dice il Bandieu che il “raptus” è una forma esasperata di angoscia suicida che afferra individui anche psichicamente sani, se in loro è provocata un’ansia violenta, un’angoscia disperata. Giusto? QUESTORE E COMMISSARIO Giusto. MATTO Allora vediamo, chi, che cosa ha procurato quest’ansia, quest’angoscia: non ci resta che ricostruire l’azione: tocca a lei entrare in scena, signor questore. QUESTORE Io? MATTO Sì, avanti: le spiace recitarmi il suo famoso ingresso? QUESTORE Scusi, quale famoso? MATTO Quello che ha determinato il raptus. QUESTORE Signor giudice …ci dev’essere un equivoco, non l’ho fatta io quell’entrata, ma un mio vice, un collaboratore… MATTO Eh, eh, non è bello buttare le responsabilità sui propri dipendenti, anzi è bruttino… Su, si riabiliti e reciti la parte… COMMISSARIO SPORTIVO Ma signor giudice, è stato uno di quegli espedienti a cui si ricorre spesso… in ogni polizia, così per fare confessare l’indiziato. MATTO Ma chi l’ha chiamata lei? Lasci parlare il suo superiore, per piacere! Ma sa che è un bel maleducato? D’ora in poi risponda solo se interrogato… capito? E lei dottore prego, mi reciti quest’entrata, in prima persona. QUESTORE D’accordo. Le cose sono andate più o meno così:
l’anarchico indiziato si trovava lì, proprio dove è seduto lei.
MATTO Bravo! QUESTORE E l’ho aggredito! MATTO Così mi piace! QUESTORE Caro il mio manovratore, nonché sovversivo… devi piantarla di prendermi in giro… MATTO No, no per favore…attenersi al copione. QUESTORE Beh, sì, ha detto: hai finito di prendermi per il sedere! MATTO S’è limitato al sedere? QUESTORE Sì, glielo giuro. MATTO La credo, vada avanti. Come ha chiuso? QUESTORE Abbiamo le prove che le bombe alla stazione sei stato tu a metterle. MATTO Quali bombe? QUESTORE (abbassando il tono: discorsivo) Sto parlando dell’attentato del venticinque… MATTO No, risponda con le stesse parole di quella sera. Immagini che sia io il ferroviere anarchico. Su, coraggio, quali bombe? QUESTORE Non fare lo gnorri! Lo sai benissimo di che bombe parlo: quelle che avete messo nei vagoni alla stazione centrale otto mesi fa. MATTO Ma voi le avevate davvero queste prove? QUESTORE No, ma come le stava appunto spiegando il commissario prima, si trattava di uno di quei soliti inganni a cui si ricorre spesso noi della polizia… MATTO Ah ah… che lenze… (E sferra una manata sulle spalle del questore che resta allocchito). QUESTORE Però avevamo dei sospetti… Dal momento che l’indiziato era l’unico ferroviere anarchico di Milano… era facile arguire che fosse lui… MATTO Certo, certo è lapalissiano, direi ovvio. Così, se è
indubbio che le bombe in ferrovia le abbia messe un ferroviere,
possiamo anche arguire di conseguenza che al palazzo di
giustizia di Roma, quelle famose bombe le abbia messe un
giudice, che al monumento al milite ignoto le abbia messe il
comandante del corpo di guardia e che alla banca
dell’agricoltura, la bomba sia stata messa da un banchiere
agrario, a scelta. COMMISSARIO D’accordo. MATTO Il nostro anarchico, preso da raptus, vedremo poi di ritrovare insieme una causa un po’ più credibile a questo folle gesto… si alza di scatto, prende la rincorsa… Un momento, chi gli ha fatto il “predellino”? COMMISSARIO Come: il “predellino”? MATTO Insomma, chi di voi si è messo accanto alla finestra con le dita intrecciate all’altezza del ventre: così. Per fargli appoggiare il piede…e: zam! Un colpo che gli fa sorpassare il parapetto al volo! COMMISSARIO Ma che dice, signor giudice, vuole che noi…? MATTO No, per carità, non scaldatevi… io domandavo così… pensavo che, essendo piuttosto altino come salto, con così poca rincorsa, senza aiuto dall’esterno… io non vorrei che qualcuno potesse mettere in dubbio… COMMISSARIO Non c’è nulla da mettere in dubbio signor giudice, gliel’assicuro… ha fatto tutto da solo!… MATTO Non c’era manco una predella di quelle da competizione? COMMISSARIO No… MATTO Il saltatore portava forse scarpe con tacchetti elastici alla Brumel? COMMISSARIO No, nessun tacchetto… MATTO Bene, cos’abbiamo: da una parte un uomo alto sì e no 1,60, solo, senza aiuto, privo di scale… dall’altra una mezza dozzina di poliziotti, che pur trovandosi a pochi metri, anzi uno addirittura presso la finestra, non fanno in tempo ad intervenire… COMMISSARIO Ma è stato così all’improvviso… AGENTE E lei non ha idea di come fosse agile quel demonio…io ho fatto appena in tempo ad afferrarlo per un piede. MATTO Oh! Vedete, vedete che la mia tecnica della provocazione funziona: lei l’ha afferrato per un piede! AGENTE Sì, ma mi è rimasta in mano la scarpa, e lui è andato di sotto lo stesso. MATTO Non ha importanza. Importante è che sia rimasta la scarpa. La scarpa è la prova inconfutabile della vostra volontà di salvarlo! COMMISSARIO Certo, è inconfutabile! QUESTORE (alla guardia) Bravo! AGENTE La ringrazio signor quest… QUESTORE Zitto! MATTO Un momento… ma qui qualcosa non quadra. (Mostra un foglio ai poliziotti) Il suicida aveva tre scarpe? QUESTORE Come, tre scarpe? MATTO E sì, una sarebbe rimasta tra le mani del poliziotto… L’ha testimoniato lui stesso qualche giorno dopo il fattaccio… (Mostra il foglio) Ecco qui. COMMISSARIO Sì, è vero…L’ha raccontato ad un cronista del “Corriere della Sera”. MATTO Ma qui, in quest’altro allegato, si assicura che l’anarchico morente sul selciato del cortile, aveva ancora ai piedi tutte e due le scarpe. Ne danno testimonianza gli accorsi, fra i quali un cronista dell’“Unità”, ed altri giornalisti di passaggio! COMMISSARIO Non capisco come possa essere successo… MATTO Neanch’io! A meno che quest’agente velocissimo abbia fatto in tempo, precipitandosi per le scale, a raggiungere un pianerottolo del secondo piano, affacciarsi alla finestra prima che passasse il suicida, infilargli la scarpa al volo e risalire come un razzo al quarto piano nell’istante in cui il precipitante raggiungeva il suolo. QUESTORE Ecco, vede, riprende a fare dell’ironia! MATTO Ha ragione, è più forte di me… mi scusi. Dunque, tre scarpe… Scusate, non vi ricordate se per caso fosse tripede? QUESTORE Chi? MATTO Il ferroviere suicida… se per caso aveva tre piedi, è logico portasse tre scarpe. QUESTORE (seccato) No, non era tripede! MATTO Non si secchi, la prego… a parte che da un anarchico ci si può aspettare questo ed altro! AGENTE Questo è vero! QUESTORE Zitto! COMMISSARIO Che guaio, per la miseria… bisogna trovare una ragione plausibile, se no… MATTO L’ho trovata io! QUESTORE Sentiamo. MATTO Eccola: Senz’altro una delle scarpe gli era un po’ grande, e allora, non avendo un sottopiede a portata di mano, ha infilato un’altra scarpa più stretta, prima di infilare quella larga. COMMISSARIO Due scarpe nello stesso piede? MATTO Sì, che c’è di strano?… come con le calosce, vi ricordate? Quelle soprascarpe di gomma che si portavano una volta… QUESTORE Appunto, una volta. MATTO Ma c’è chi le porta ancora… anzi, sapete che vi dico? Che quella che è rimasta fra le mani dell’agente non era una scarpa, ma una caloscia. COMMISSARIO Ma no, è impossibile: un anarchico con le calosce!… roba da gente all’antica… da conservatori… MATTO Gli anarchici sono molto conservatori… QUESTORE Già, ed è per questo che ammazzano i re! MATTO Certo, per poterli conservare imbalsamati… Tratto da: Dario Fo, Morte accidentale di un anarchico, Torino, 1974.
Perché questa Questa controinchiesta – condotta da un gruppo di militanti
della sinistra extra-parlamentare e iniziata nel periodo in cui,
con il pretesto degli attentati del 12 dicembre, si scatenava la
caccia all’”estremista di sinistra” – non nasce da esigenze di
legittima difesa: per denunciare “le disfunzioni dello stato
democratico” o “la violazione dei diritti costituzionali dei
cittadini”. Sappiamo che questi diritti, quando esistono, sono
riservati esclusivamente a chi accetta le regole del gioco
imposto dai padroni: l’unanimismo dei servi o l’opposizione
istituzionale dei falsi rivoluzionari. Per noi, “giustizia di
classe” e “violenza di stato” non sono definizioni astratte o
slogans propagandistici, ma giudizi acquisiti con l’esperienza:
gli operai, i contadini, gli studenti, li verificano ogni giorno
nelle fabbriche, nelle campagne, nelle scuole, nelle piazze, e
non soltanto nelle “situazioni di emergenza”. La repressione
preferiamo chiamarla rappresaglia. Essa rappresenta un parametro
di incidenza rivoluzionaria: sappiamo che il sistema colpisce
con tanta più virulenza quanto più i modi e gli obiettivi della
lotta sono giusti, e che l’unica, vera, amnistia che conti, sarà
promulgata il giorno in cui lo stato borghese verrà abbattuto.
Un gruppo di militanti della sinistra extra-parlamentare (13 dicembre 1969-13 maggio 1970). Tratto da: AA.VV., La Strage di Stato, Roma, 1970.
“Non ero No, davanti ai giudici, Calabresi non è più il
prestigioso personaggio di allora. Ha sì il suo pullover a collo
alto, sotto il completo rigato gangster, sempre debole il mento,
ben curata la basetta, ma ogni tanto nei momenti di tensione un
irrefrenabile tic gli fa premere la già risoluta mascella. Ha
perso l’aria di superiorità a lui solita, (anche perché al suo
apparire il pubblico scatta in grida ritmate: “Ass-a-ssi-no!
Ass-a-ssi-no!”), e alla pari del più modesto brigadiere appare
un semplice esecutore di ordini, è soltanto un oggetto in mano
ai superiori. Gli ordinano di andare in via Scaldasole a
prendere gli anarchici e lui ci va e li prende; gli ordinano di
andare il giorno dopo a Basilea a interrogare il tale e lui
esegue; lunedì 15 lo incaricano di interrogare Pinelli, ma solo
sui suoi rapporti con Valpreda, guai a sconfinare, e lui non
sconfina. Sulla posizione di Pinelli non sa niente, e tantomeno
sui suoi alibi. (“Non ero a conoscenza, ero all’oscuro, non
toccava a me interessarmi”), non sa perché deve interrogarlo
solo da qui fin lì, né gli viene in mente di chiederlo, si
guarda bene dal contestargli qualcosa, finché, a verbale
ultimato, prende il verbale per portarlo dal dottor Allegra, e
il suo compito è finito.
...c’è morte e morte Piero Scaramucci: Il 12 dicembre del ’69 un paio d’ore dopo la bomba di piazza Fontana, Pino è stato portato in questura. Licia Pinelli: È stato invitato. Calabresi l’ha trovato in via Scaldasole, alla sede anarchica, e gli ha detto di seguirlo con il suo motorino. Tu quando l’hai saputo? Io non sapevo niente, non sapevo neanche della bomba di
piazza Fontana perché il mio televisore era rotto. Alle 20 sono
venuti dei poliziotti a cercare Pino e visto che non c’era hanno
telefonato in questura, e in questura hanno detto che era già
li. Così ho saputo che era fermato. Ma non sapevo il perché. (...). Hai chiesto ai poliziotti perché cercavano Pino? Sì, ma mi hanno dato una risposta generica e io non ho
insistito. Sai che ci si comporta da cretini certe volte? E
continuavo a non sapere che c’era stata la bomba di Piazza
Fontana. Il mattino dopo, sabato, Pino mi ha ritelefonato dalla
questura per dirmi di avvisare in Ferrovia che non poteva andare
in servizio, gli avevano consigliato di dire che era ammalato.
Ma di piazza Fontana non abbiamo parlato e anche per tutta la
giornata di sabato sono rimasta in casa senza sapere niente. Ti ha detto perché voleva il libretto ferroviario? Volevano vedere se era andato a Roma nell’agosto quando c’erano state le bombe sui treni. Sai che avevano incolpato gli anarchici per le bombe sui treni e alla Fiera di Milano, quindi cercavano dei collegamenti... A quell’epoca qualcuno in polizia sapeva già che quegli attentati li avevano fatti i fascisti, il gruppo di Freda e Ventura. La questione del libretto dimostra che cercavano qualcosa per incastrare Pino, ma non per la strage di Piazza Fontana. E poi, figurati: se uno va a mettere delle bombe sui treni
adopera il libretto di viaggio? Forse Pino avrebbe potuto dirle qualcosa. Come ha detto qualche parola ai barellieri. Tratto da: Piero Scaramucci, Licia Pinelli. Una storia quasi soltanto mia, Milano, 1982.
Una logica assurda La strage di piazza Fontana, 12 dicembre 1969, segna un punto
fondamentale della storia italiana del dopoguerra. Quel giorno
si materializza la criminalità di una classe politica che, per
conservare il potere di fronte all’avanzata del “comunismo”, è
pronta a tutto. Anche a lasciare morti sul suo percorso pur di
non veder messa in discussione la sua leadership. Quella strage
non è una pagina oscura, non è la “notte della repubblica”, è un
capitolo chiaro, preciso: meglio i morti che il cambiamento. E
di morti, negli anni successivi, ce ne sono stati molti. Per
mano soprattutto della destra, ma anche della sinistra. Un gioco
perverso: la destra aveva attaccato, la sinistra doveva
rispondere. Anzi, doveva innalzare il “livello di scontro”. Tratto da: Luciano Lanza, Bombe e segreti. Piazza Fontana 1969, Milano 1997.
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