Pasolini e le borgate: un'intervista a
Franco Citti
Dall'altra parte
Fiumicino e' fredda e grigia all'alba.
Franco Citti passeggia in riva al mare misurando malinconia e
gratitudine. Vent'anni di interviste sull'autore di "Accattone"
sembrano non aver esaurito i ricordi. Mentre l'attore romano
racconta si compone il ritratto di un Pasolini inconsueto: non
l'intellettuale, ma l'amico. L'interprete solitario e opportuno di
una capitale "borgatara".
"Guarda, l'abbiamo detto un miliardo di
volte io e mio fratello. E' assolutamente escluso che sia stato
Pelosi. Lì c'e' un chilometro quadrato di strage. E' stato
massacrato, e una sola persona non riesce a fare quelle cose. Ci
sono troppe cose oscure, dietro. Anche politiche, naturalmente".
La voce di Franco Citti, indimenticabile volto del cinema
di Pier Paolo Pasolini, e' aspra e tagliente. Cosi' come i
suoi pensieri, del resto.
"Sono andato via da Roma innanzitutto
perche' cominciavano a sparire le borgate e con loro i miei amici. E
quando non hai piu' le borgate ti rifugi al mare. E' per questo che
sono venuto a vivere a Fiumicino. C'e' un senso di morte, qui
intorno, che mi piace. Forse io sono gia' morto, qui, in questa
solitudine che amo e che mi mette allegria. Anzi, io sono vivo
perche' sto a Fiumicino. Forse se stavo a Roma ero gia' morto".
Come hai conosciuto Pasolini?
"Tramite mio fratello Sergio, in una pizzeria di
Torpignattara. Lui mi ha detto: 'A Fra', te presento 'no
scrittore, 'n amico mio."
Lui era gia' conosciuto, allora?
"No. In quel periodo scriveva delle poesie in friulano, quelle cose
dei primi tempi".
Quindi tu non sapevi proprio chi era?
"No. All'inizio ho creduto addirittura che fosse analfabeta. Faceva
il maestro elementare a Ponte Mammolo. Mio fratello m'ha detto.
E' 'no scrittore, magnamose 'na pizza assieme. Io ero tutto
sporco di calce perche' lavoravo come muratore con mio padre. Ci
siamo conosciuti li' e abbiamo cominciato a frequentarci".
E che impressione ti ha fatto
all'inizio Pasolini?
"Quella di una persona normale. Non ci pensavo molto al fatto che
lui scrivesse. Se scriveva a me che me fregava? A volte succedeva
che gli davo qualche battuta in romanesco e lui se l'appuntava".
Pasolini metteva nei suoi libri i
racconti che gli facevate tu e Sergio?
"A Paolo piaceva soprattutto lo spirito, il modo delle
borgate romane, questa gente allegra, tanto e' vero che lui ci
passava quasi tutto il tempo della sua vita con noi, nelle borgate.
E cosi', essendo uno scrittore guardava cio' che gli accadeva
intorno, e daje e daje, tirava fuori 'sti libri. Ma quello che piu'
mi ha interessato e' quando mi ha detto che mi avrebbe fatto fare
una parte nel suo film".
E tu come hai reagito?
"Sai, io sono un pessimista nato, non e' che ci credo molto alle
cose che mi offrono. Cosi' gli ho detto: Vabbe', a Paolo, quando
lo faremo lo faremo. Lui mi ripeteva: hai una bella
particina. Vedrai che lo faremo. E cosi' un giorno e' nato 'sto
cavolo di Accattone".
Mentre lo giravi ti sentivi nella parte
o era qualcosa che non ti apparteneva?
"Mi sentivo a mio agio perche' l'ho girato con tutti i miei amici
della borgata. Giocavamo un po' in casa. E poi quelle avventure,
quelle storie, mi piaceva farle. Per il film ho anche dovuto leggere
Ragazzi di vita. Che poi, che vuol dire ragazzo di vita non
l'ho mai capito".
Giravate a Torpignattara?
"Torpignattara, il Pigneto, Testaccio, Pietralata. Andavamo in tutta
la periferia di Roma. Il film e' andato avanti per un po' in questo
modo. Lui ci ha diretto, pero' noi eravamo liberi di fare quello che
eravamo".
Avevate quindi la possibilita' di
inserire cose proprio vostre, personali...
"Sai, i dialoghi erano gia' un po' scritti e Pier Paolo li scriveva
con mio fratello Sergio, pero' qualche battuta che in doppiaggio
sembrava migliore l'abbiamo messa. Accattone, pero', e'
rimasto cosi' come l'abbiamo girato, e infatti e' un bel film
proprio perche' e' spontaneo, non c'era nessun attore professionista
e l'abbiamo fatto di corsa. Con qualche impiccio di mezzo. 'Sti
personaggi che facevano gli attori insieme a me, io compreso,
qualche mattina non venivano proprio, chi andava a sfacchina', chi
andava a fa' altre cose, allora era un po' complicato".
Si trattava di problemi pratici e non
finanziari.
"Finanziariamente non c'erano problemi. Credo che il film costasse
piuttosto poco. Io, ad esempio, prendevo ottomila lire al giorno. Ho
lavorato otto settimane, piu' il doppiaggio, diciamo che avro'
lavorato circa un anno e ho preso all'incirca un milione e
trecentomila lire di oggi".
Quando ti rivedi in "Accattone" che
impressione hai?
"Cerco di non rivedermi".
Perche'?
"Perche' ormai quel film lo conosco a memoria, come gli altri, del
resto. A volte fanno Accattone in tivvu', io ho anche le
cassette, ma cerco di evitare di vederlo. Ma non perche' sia
invecchiato, ma e' perche' mi piacerebbe rivederlo con le persone
adatte. Con quelli che all'epoca contestarono il film, ad esempio".
Come e' cambiata la tua vita dopo
"Accattone"?
"In peggio. Vedi, il rapporto con Pasolini e' stato per me, in un
certo senso, distruttivo, perche' non e' che io amassi proprio fare
il cinema, ma nello stesso tempo so che dovevo farlo, forse anche
solo per amicizia. E, come ti ho gia' detto, per certi versi mi
affascinava, come quando lavoravo con gli amici miei. Poi pero' sono
stato costretto a lavorare con altre persone che non conoscevo, e mi
rompevo i coglioni perche' non erano leali con me. Miravano al
successo, capisci? Allora qualcuno, magari, si e' permesso di dire:
Ma sai, quello e' un borgataro".
Che tipo di rapporto avevi con
Pasolini?
"Lui era un po' come un padre. Aveva una grande paura di me. Gli
potevo sparire da un giorno all'altro, senza finire il film. E'
successo mentre facevamo Mamma Roma con la Magnani. Ho
avuto una disavventura con la polizia. Ho litigato con una guardia e
m'hanno arrestato per oltraggio. Mi sono fatto una ventina di giorni
e poi sono uscito".
Il film e' stato interrotto per questo
motivo?
"No. Hanno messo mio fratello di spalle, tipo controfigura. E dopo
quell'episodio, quando abbiamo fatto Edipo Re, Pier Paolo e'
stato costretto a mettere nell'albergo due guardie in borghese, in
modo che non uscissi. Ma, sai, io il cinema l'avevo preso nel senso
del divertimento. Professionalmente non e' che mi interessasse piu'
di tanto".
Se non sbaglio era proprio Pasolini a
dirti che tu dovevi fare semplicemente te stesso e non recitare.
"Si', tanto e' vero che ha cercato di non farmi diventare ne'
francese, ne' inglese, ne' americano. Avevo molte richieste, allora.
Il mio terzo film l'ho fatto con Marcel Carne'. Poi ho
lavorato in America. Ho fatto due padrini con Coppola. Il
primo e il terzo".
Non ti ha mai pesato la figura di
Pasolini?
"In un certo senso si'. Io ero l'immagine del suo cinema, e non e'
detto che potessi essere l'unica. Poteva anche trovare qualcun
altro, e forse sarebbe stato meglio per me, avrei seguitato a fare
il muratore, il pittore. Certo, sono contento di aver fatto il
cinema con lui, mi ha dato la possibilita' di stare meglio anche
economicamente pero', se tornassi indietro non so se lo rifarei il
cinema. Perche' sono trentacinque anni di domande e, in fondo, il
contatto con una persona e' quello, niente di piu', niente di meno.
Ogni tanto ti puoi ricordare una cosa in piu', pero', ecco, Pasolini
parla con le sue immagini, con la scrittura. E chissa' quante volte
non mi avra' detto certe cose".
Che importanza avrebbe avuto Pasolini
nella societa' di oggi?
"Pensa quante cose ci avrebbe raccontato con la sua scrittura o
attraverso le immagini".
Che poi, se ci pensi, ci sono molte
realta', e tensioni da raccontare qui in Italia...
"Si', certo. Io penso che se Pasolini fosse stato in vita i giovani
di oggi non sarebbero stati cosi'. Lo avrebbero amato e lui avrebbe
amato la gioventu' di oggi, gli avrebbe dato un insegnamento nella
scrittura e nel cinema. Ho letto pochissime cose di Pier Paolo, ma
l'ho conosciuto bene ed e' stata la persona piu' umana che abbia
incontrato. Lui era il padre di tutti noi, delle borgate, ed e'
stato molto amato. Per noi era il Baggio della situazione, quello
che risolveva tutto. Faceva l'elemosina ai poveri, quando ha
incominciato a fare due lire andavamo sempre a mangiare, invitava
tutti. Era una famiglia allegra. Ed io sono sicuro che rimarra' per
sempre, anche per quelli che non l'hanno mai letto".
Qual'e' il sentimento piu' forte che ti
ha lasciato?
"Mi ha lasciato il sentimento di una grande guerra, di una lotta
continua con la gente. Ma, ti ripeto, e' la persona piu' umana che
abbia conosciuto. Non ho piu' trovato un altro cosi', uno che
chiedeva alle comparse: Per favore, mettiti cosi'. Era di una
dolcezza straordinaria, ed e' quella che mi manca di piu'. Era un
padre, capisci? Una guida sulla retta via.
Stefano MILIONI
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