Paolo Borsellino

 

“Il nostro,come disse Sciascia,è un paese senza memoria e verità,ed io per questo cerco di non dimenticare”

                             

 

 Avvenimenti Italiani

 

 

"Nel tempo dell'inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario”

 

 

 

 

 

 

Via D’Amelio

 

 

 

19 Novembre 2000 Rainews24 trasmette un'inedita intervista al magistrato Paolo Borsellino, rilasciata due giorni prima della strage di Capaci. Era il 21 Maggio del 1992, e le dichiarazioni del magistrato palermitano fanno riferimento a rapporti tra Cosa Nostra e imprenditori del Nord Italia, fondati sul riciclaggio di denaro sporco. La novità è che Borsellino parla di un'inchiesta aperta a Palermo su Berlusconi, Dell'Utri, Mangano fin dal 1992, inchiesta della quale, oggi, non si sa più nulla.

Trascrizione dell'intervista rilasciata dal magistrato Paolo Borsellino il 19 Maggio 1992 ai giornalisti Jean Pierre Moscardo e Fabrizio Calvi. Quarantotto ore dopo Giovanni Falcone sarebbe stato ucciso a Capaci  conrinua

 

 

 

 

 

intervista televisiva Paolo Borsellino la concesse a Lamberto Sposini, per il tg5, venti giorni prima di morire nella strage di via D’Amelio (19/7/1992) insieme con i cinque poliziotti della sua scorta. "Terra", settimanale di approfondimento del tg5, la ha riproposta il 24 marzo 2001. Ne ho trascritto le due risposte finali, particolarmente significative leggi il seguito

 

 

Delitto Borsellino, cancellati due ergastoli

CALTANISSETTA - In cambio della "grazia", aveva promesso a Santa Rosalia di arrampicarsi fino al santuario di Monte Pellegrino camminando sulle ginocchia. E forse lo fara' davvero Pietro Scotto, il presunto telefonista della strage di via D'Amelio condannato all'ergastolo in primo grado e assolto ieri con una sentenza che scardina le certezze costruite attorno alle dichiarazioni (ritrattate) di un pentito ambiguo, Vincenzo Scarantino. Non e' l'unico ergastolo a saltare. Graziato anche il meccanico Giuseppe Orofino nella cui officina sarebbe stata custodita la "126" poi imbottita di tritolo per uccidere il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti di scorta. Cancellata la massima pena, dovra' scontare 9 anni per associazione mafiosa. Niente, rispetto all'infamia della strage. continua

 

 

 

Il messaggio di Nino Caponnetto per il 19 luglio 2001

 

Anche quest’anno mi sarà impossibile presenziare all’incontro per Paolo. Ma io ci sarò lo stesso, con il mio carico di ricordi e di sentimenti. Nessuno può dimenticare quel pomeriggio del 19 luglio ’92 che – in un attimo terribile – vide spegnersi la vita di Paolo e dei suoi coraggiosi agenti di scorta Agostino Catalano, Eddie Walter Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi e Claudio Traina. Eppure, quando potei rivedere Paolo, notai subito che il sorriso era – come per incanto – ricomparso sul suo volto. Da allora questa immagine mi ha sempre accompagnato e sostenuto, come un segno misterioso e rassicurante. Il tuo sacrificio, mio caro Paolo (perché di un autentico, consapevole “sacrificio” si è trattato) ha lasciato un vuoto incolmabile nella mia vita: un vuoto che per alcuni anni, finchè le forze mi hanno sorretto, ho cercato di riempire parlando di te a decine di migliaia di persone, soprattutto studenti (come quelli ai quali indirizzasti, proprio all’alba di quel 19 luglio, la tua ultima lettera). Amico mio, sarai – sempre e dovunque – nel mio cuore, nel cuore di noi tutti. Tuo Nonno Nino

 

 

Il figlio e la sorella a 10 anni dalla morte

 

Io e i miei familiari non abbiamo alcuna intenzione di rilasciare interviste. Anche in considerazione delle condizioni di salute di mia madre, chiediamo di essere 'risparmiati' dalle continue sollecitazioni dei mass-media legate al decimo anniversario della morte di nostro padre'. Dopo dieci anni di silenzio Manfredi Borsellino, 30 anni, commissario capo della Polizia, figlio di Paolo, leggi il seguito

 

 

 

 

 

"... Bisogna liberarsi da questa catena feroce dell'omertà che è uno dei fenomeni sui quali si basa la potenza mafiosa. Si è legati a questo fatto dell'omertà, del non riferire nulla delle cose di Cosa Nostra all'esterno, di non sentire lo Stato, di sentire sempre lo Stato come un nemico o comunque come una entità con cui non bisogna collaborare..." (Paolo Borsellino)

 

 

 

 

RITA BORSELLINO

TESTIMONIANZA PRONUNCIATA NELLA PARROCCHIA DI S.MELANIA
IL 14 MARZO 2001

Grazie, grazie di questa accoglienza. In una giornata che per me è un po' particolare. Stamattina, sono arrivata da Napoli, dove mi trovo da diversi giorni, per preparare quella che con la nostra associazione, Libera, chiamiamo la “Giornata della memoria e dell'impegno”, in cui ricordiamo tutte le vittime della violenza mafiosa e anche di tutte le mafie, per prendere poi a partire da lì degli impegni concreti, impegni per operare nella vita, nella società, per fare sì che tutto questo abbia un senso, per fare che tutto questo non accada più. Leggi il seguito

 

 

 

 

                                                                     

 

Assassinato dalla mafia a Palermo il 19 luglio 1992. Con lui muoiono gli agenti della sua scorta Agostino Catalano, Walter Eddie Cusina,  Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina

 

 

 

Paolo Borsellino nasce a Palermo il 19 Gennaio del 1940 nell'antico quartiere di origine araba della Kalsa. Di famiglia borghese, ambedue i genitori erano farmacisti.Dopo avere frequentato il Liceo classico "Meli" si iscrive nella facoltà di giurisprudenza di Palermo conseguendo la relativa laurea con il massimo dei voti il 27 giugno 1962, all'età di appena 22 anni. Dopo due anni dal conseguimento della laurea e il superamento del concorso per magistrato, è nominato con D.M. 11.9. 1964 uditore giudiziario; aggiunto giudiziario a decorrere dall'11.9.1966 e Magistrato di Tribunale a decorrere dall'11.9.1969. Dopo aver svolto il periodo di tirocinio presso il Tribunale di Palermo dai 21.9.1964 ha esercitato la funzione di Giudice presso il Tribunale di Enna dal 10.9.1965, e successivamente, ha esercitato le funzioni di Pretore presso la Pretura di Mazara del Vallo dall'8.9.1967, poi presso la Pretura di Monreale dal 30.9.1970 e quindi, presso il Tribunale di Palermo dal 14.7.1975. A decorrere da questa data Paolo Borsellino è assegnato all'ufficio Istruzione Processi penali, allora guidato dal compianto Consigliere Istruttore Rocco Chinnici, il quale, nel segnalare che il dott. Borsellino, nell'esercizio dell'attività dal luglio 1975 espletata presso l'ufficio istruzione, si era distinto "per l'impegno, lo zelo, la diligenza, che caratterizzano la sua opera," tenne a porre in evidenza che questo magistrato "di ottima intelligenza, di carattere serio e riservato, dignitoso e leale, dotato di particolare attitudine alle indagini istruttorie, definisce mediamente circa 400 procedimenti per anno, talché la Sezione (la ottava ) di cui è titolare è tra quelle che hanno una minore pendenza", e rilevò che lo stesso aveva istruito processi assai complessi per gravita dei reati e per numero d'imputati, conferendo così alla detta sezione un particolare, qualificato prestigio. Per questi e altri lusinghieri giudizi, Paolo Borsellino conseguì la nomina a magistrato d'appello con deliberazione in data 5 marzo 1980 dal Consiglio Superiore della Magistratura. Anche nel periodo successivo ha continuato a svolgere le sue funzioni presso l'ufficio d'istruzione del Tribunale, dando ulteriore, luminosa dimostrazione delle sue qualità, veramente eccezionali, di magistrato e, particolarmente, di giudice inquirente

 

La forza spirituale di chi "cerca il vero e pratica il bene", di chi è sensibile al grido delle vittime dell’ingiustizia: «fino a quando tu, il Maestro, il Santo il Verace tarderai a far giustizia a domandare conto del nostro sangue?» (Ap. 6,11). è testimoniata da un episodio della vita di Paolo Borsellino, che non deve essere dimenticato.

 

Nel settembre del 1991 Vincenzo Calcara, "uomo d'onore" di cosa nostra, disse a Borsellino: "non deve aver più paura, io che dovevo ucciderla sono in carcere" (L’intervista a Vincenzo Calcara è pubblicata in Famiglia Cristiana n.32 del 5 agosto 1992). Paolo sorrise e rispose: "paura? ma tu non sai che è bello morire per cose in cui si crede; volevate uccidermi a Marsala?, a Palermo dovete uccidermi, è più facile". Soggiunse: «un cristiano non teme la morte», mostrando la Sua profonda adesione alle parole: «chi vuol salvare la sua vita la perderà, e chi la perderà l’avrà salvata». Leggi il seguito

 

 

"BORSELLINO UCCISO PER FAVORIRE NUOVI CONTATTI POLITICI"

Il giudice Paolo Borsellino è stato ucciso dalla mafia nel luglio del 1992 «per agevolare la creazione di nuovi contatti politici». La nuova ed inedita chiave di lettura arriva a conclusione del terzo processo ai mandanti e agli esecutori della strage di via D' Amelio, nella quale, oltre al magistrato, persero la vita cinque agenti della scorta. Secondo i giudici Borsellino venne ucciso in esecuzione di un disegno di sangue partito dall' omicidio di Salvo Lima, finalizzato, è scritto nella motivazione, a «esercitare una forte pressione sulla compagine governativa che aveva attuato una linea politica di contrasto alla mafia più intensa che in passato ed indurre coloro che si fossero mostrati disponibili tra i possibili referenti a farsi avanti per trattare un mutamento di quella linea politica». In questo contesto era chiaro che la strage di via D' Amelio avrebbe prodotto conseguenze disastrose per Cosa Nostra ma «la situazione preesistente alla strage di Capaci era inaccettabile - scrivono i giudici - e quindi (la mafia) non doveva limitarsi ad evitare ulteriori inasprimenti ma doveva spingere la sua offensiva sino alle estreme conseguenze, non fermandosi cioè sino a quando non avesse raggiunto il suo scopo, la garanzia che sarebbero state modificate tutte le norme che consentivano un più incisivo contrasto del fenomeno mafioso anche se ciò avrebbe potuto comportare per un certo periodo dei sacrifici».

Nella motivazione della sentenza di condanna dei boss accusati dell' eccidio la corte di assise di Caltanissetta analizza minuziosamente le dichiarazioni del pentito Salvatore Cancemi, che ha indicato in Silvio Berlusconi e Marcello Dell' Utri le persone con cui Riina aveva avuto contatti nel periodo delle stragi. Ma, sostiene la corte, nessuno degli altri collaboratori ha parlato di contatti tra Cosa Nostra e Berlusconi nel '92 nè Cancemi ha mai indicato i motivi «per cui Berlusconi e Dell' Utri avrebbero dovuto volere da Cosa Nostra le stragi del '92». «Le risultanze processuali - conclude la sentenza - non consentono ulteriori considerazioni nè maggiori certezze in ordine all' argomento in esame, la cui rilevanza nel presente giudizio non è ovviamente costituita dall' accertamento di responsabilità di persone estranee al processo, e, quindi, nell' impossibilità di difendersi».

 

PER PAOLO BORSELLINO

 

C'è una frase indimenticabile di Paolo Borsellino, la sua replica grande e nitida alla polemica sui "professionisti dell'antimafia": "Non ho mai chiesto di occuparmi di mafia. Ci sono entrato per caso. E poi ci sono rimasto per un problema morale. La gente mi moriva attorno". La gente mi moriva attorno: un problema morale. E' detto con una semplicità ed una precisione assolute. Leggi il seguito

 

 

L'ultimo intervento pubblico di Paolo Borsellino

 

Questo documento, poco diffuso, è la sbobinatura dell'ultimo incontro pubblico di Paolo con la città. Esiste solamente il sonoro. Il testo integrale non è mai stato pubblicato, se non in questo opuscoletto in distribuzione solo il 25 giugno 1993 alla biblioteca comunale. - Il 25 giugno 1992, Paolo Borsellino partecipò ad un dibattito, organizzato dal Movimento della Rete e dalla rivista Micromega. Fu il suo ultimo incontro pubblico con la città. continua

 

 

Paolo Borsellino,Il valore di una vita

Introduzione Per poter inquadrare la persona di Borsellino è necessario distinguere e conoscere non soltanto il Borsellino giudice, ma anche lo studente e l’uomo tutti caratterizzati dalla caparbietà, dalla passione, dall’allegria e dall’amore per quello che lo circonda che fanno di Borsellino una persona speciale, una persona capace di trasmettere dei valori. Il suo unico obiettivo: sconfiggere la mafia.
L’uomo Borsellino nasce a Palermo il 19/01/1940 quasi alla fine del fascismo.CONTINUA

 

10 ANNI UCCISIONE BORSELLINO: DAI GIORNALI


"Liberazione"
Quel giudice di destra morto da "comunista" Paolo Borsellino, dieci anni fa la strage di via D'Amelio "In memoria di un giudice di destra", titolava alcuni anni fa Liberazione un ricordo di Paolo Borsellino e della strage di via D'Amelio. Adesso, a dieci anni da quella strage, quel titolo acquista un nuovo valore.
Paolo Borsellino, che come Falcone è ora omaggiato da quanti oggi dal governo e dalla sua maggioranza colpiscono quotidianamente l'autonomia e l'indipendenza della magistratura, in vita non fu amato dai palazzi della politica e dagli uomini del vecchio sistema.
Ha lasciato un esempio forte di intransigenza e rigore morale, instancabilmente impegnato nella lotta contro la mafia e nella ricerca delle sue collusioni politiche e istituzionali. Legatissimo a Falcone ma orgogliosamente autonomo nella difesa delle sue posizioni che, proprio in quegli anni, erano diverse da quelle del suo amico e collega: favorevole alla separazione delle carriere e all'istituzione di una superprocura antimafia Falcone, nettamente contrario Borsellino. Così, in questi giorni, i pasdaran del Polo non potranno trovare in Borsellino il "padre" del loro disegno sulla giustizia, così come volgarmente hanno tentato di fare con Falcone.
Per difendere queste posizioni, respingendo la campagna che parte della Dc e del Psi di Craxi portavano avanti contro i settori della magistratura più esposti sul fronte antimafia, lui, già militante del Fuan e poi sempre orgogliosamente di destra, muore da giudice "comunista". Perché tali si diventava per una certa stampa e per determinati settori del sistema politico se si osava portare l'azione di legalità oltre le soglie di un potere che, in Sicilia, era un pezzo organico del sistema di relazioni e di interessi di Cosa Nostra. Borsellino era un uomo di quella borghesia orgogliosa e sana che mal sopportava quell'altra borghesia, fatta di imprenditori, burocrati, politici, professionisti, massoni, che ha sempre rappresentato e continua a rappresentare in Sicilia il tessuto connettivo del potere: una borghesia mafiosa, appunto.
Forse bisognerebbe cercare in questa zona grigia della società siciliana quei mandanti occulti delle stragi che, nella transizione politico-istituzionale dei primi anni '90, hanno non solo interloquito ma saldato un patto con le grandi organizzazioni criminali.
E andrebbe riletta la famosa intervista che pochi mesi prima di morire Paolo Borsellino rilasciò alla televisione francese e pubblicata dall'Espresso, dove lui parla dei rapporti tra il boss mafioso Mangano, "stalliere" palermitano di Arcore, Marcello Dell'Utri e Silvio Berlusconi. Parlava di imprenditori, allora, non del capo del governo e del suo braccio destro.
Cosa aveva capito Borsellino? E perché - lui così schivo e riservato - aveva sentito l'esigenza di parlarne pubblicamente? E cosa aveva scoperto in relazione alla strage di Capaci per essere subito fermato col tritolo?
Continuiamo a sentire magistrati che denunciano il ruolo di altre "entità" nella progettazione delle stragi del '92 e del '93. Ma non abbiamo grande fiducia nella volontà dello Stato di fare luce sulle sue zone d'ombra. Del resto, da Portella della Ginestra ad oggi, nessuna strage ha ancora avuto verità e giustizia e neanche i governi di centrosinistra sono stati in grado di abolire il segreto di stato. Perché dovremmo averne ora? Con Pasolini continueremo ad affermare "noi sappiamo di chi è la colpa". Non ci accontenteremo degli ergastoli agli esecutori materiali. Lo dobbiamo al futuro della democrazia del nostro paese.
La mafia sta riassumendo il totale controllo del territorio e dell'economia. Non ha bisogno di sparare, anche se le dichiarazioni di Bagarella mandano un segnale preciso sia ai mafiosi liberi che non possono abbandonare il "fronte" del carcere duro, che alla politica e a quei settori istituzionali che continuano ad interloquire con la criminalità organizzata. Torna, quindi, il nocciolo duro del ruolo della politica.
Che ci fa un esponente di Forza Italia, presidente della commissione sviluppo della provincia di Agrigento, alla riunione della cupola provinciale se non svolgere la sua "missione" politica e il suo dovere mafioso?
E perché il generale Jucci, commissario per l'acqua in Sicilia, è stato spodestato dal presidente della Regione che da commissariato è diventato egli stesso commissario, se non per gestire uno dei più grandi affari dell'isola: la siccità? L'acqua e la mafia, un binomio antico e sempre modernissimo. E già c'è chi denuncia la penetrazione della mafia negli affari dell'emergenza idrica.
E perché, ancora, scompare dal sistema di valutazione dell'impatto del Ponte dello Stretto sul territorio, la valutazione di impatto criminale, come previsto dai precedenti governi? Certo un ministro ai Lavori pubblici come Lunardi, che è convinto che con la mafia bisogna convivere, non si preoccuperà di questo! Ma il segnale è inequivoco. Come inequivoco era il disegno di legge iniziale sulla riforma degli appalti che solo grazie alla battaglia delle opposizioni non trasforma la Sicilia nel più grande cantiere di Cosa Nostra. E' una linea coerente, magari contraddittoria, ma tesa al dialogo ed alla ricerca del consenso ad una destra che al sud ha riciclato e rilegittimato i pezzi più eversivi delle vecchie classi dirigenti. Anche per questo ora hanno bisogno dell'immunità parlamentare per tutelare la loro rappresentanza.
Altro che scontro sul 41 bis! Ci batteremo perché non venga messo in discussione e, probabilmente, così sarà, con Berlusconi che avrà dimostrato la sua fermezza su tutti gli schermi d'Italia. Ma il neo sindaco di Corleone, deputato nazionale del Polo, non ha avuto alcuno scrupolo e alcun richiamo a nominare assessore l'avvocato difensore della famiglia Riina, in carica un solo giorno per l'indignazione generale. E che dire delle relazioni pericolose degli uomini di Fi e del Polo in Sicilia e al Sud, dove ormai pare che fuori dalla legalità sia rimasto solo un manipolo di magistrati al servizio del residuo potere comunista di questo paese.
Questa destra va fermata: ha un'idea proprietaria della cosa pubblica e dello Stato, vive la democrazia come un impaccio, usa la condizione sociale del sud come strumento per rialimentare la dipendenza dei bisogni dal loro potere clientelare. E in tutto questo la mafia è un soggetto organico di questa modernità e la borghesia mafiosa, il cuore del nuovo blocco dominante.
Difenderemo l'autonomia della magistratura dal potere, difenderemo gli strumenti di contrasto giudiziario alla forza delle cosche, insisteremo nel colpire i capitali e i patrimoni mafiosi, ma potremo vincere solo fuori dalle aule dei tribunali.
Rilanciamo la nostra antimafia sociale e la battaglia per l'alternativa anche per questo, contro ogni rassegnazione politica e contro ogni omologazione culturale. E' il nostro modo, da comunisti, per ricordare un giudice di destra che, a differenza di tanti altri magistrati servili al potere e alla mafia, è stato dalla nostra parte.
Proprio Borsellino lo diceva poco prima della sua morte, commemorando Falcone: la mafia si può sconfiggere solo nella società. In questo, testardi, continueremo ad avere fiducia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

manda questa pagina via e-mail 

 

Avvenimenti Italiani

La memoria non si archivia