Nel solco di Malatesta
di Massimo Ortalli

 

Il ruolo svolto da Placido La Torre, anarchico, avvocato, messinese, nella storia del movimento anarchico. E non solo.

 

Il 24 novembre scorso, a Messina, nella sede dell’Istituto Salvemini, promotore dell’iniziativa in collaborazione con la Biblioteca “Pietro Gori”, si è tenuta la presentazione di un libretto contenente 3 conferenze tenute dall’avvocato anarchico, messinese, Placido La Torre.
Dopo un intervento di Natale Musarra, responsabile dell’Archivio storico degli anarchici siciliani, ha parlato Massimo Ortalli, dell’Archivio Storico della Federazione Anarchica Italiana.
Pubblichiamo l’intervento di Massimo Ortalli e un
resoconto di Natale Musarra.

Quando il movimento anarchico di lingua italiana, nuovamente riunito e rappresentato in tutte le sue componenti, organizzò nel luglio del 1982 ad Ancona la manifestazione commemorativa del cinquantenario della morte del grande rivoluzionario campano Errico Malatesta, non a caso la relazione-cardine di quella giornata venne affidata a Placido La Torre.
Dopo gli interventi introduttivi, infatti, di Carlo Doglio, docente di urbanistica all’Università di Bologna, di Gino Cerrito, professore di storia contemporanea all’Università di Firenze, di Paolo Finzi, fondatore e redattore di “A” rivista anarchica, e dell’anziano combattente della guerra di Spagna e della Resistenza Umberto Marzocchi, prese la parola l’avv. Placido La Torre, la cui presenza, in quel contesto così emblematico e significativo per l’intero movimento, veniva a sancire, in un certo senso, il compimento del processo di ricomposizione delle strutture organizzative dell’anarchismo, avviatosi dopo la lunga diaspora iniziata a metà degli anni Sessanta. La scelta degli organizzatori cadde su di lui non solo in ragione della profonda cultura e della facondia già conosciute, ma anche perché La Torre, nei suoi lunghi anni di militanza all’interno della Federazione Anarchica Italiana, si era sempre dimostrato in grado di interpretare e trasmettere, a chi lo leggeva o l’ascoltava, l’essenza di quell’anarchismo umanitario e sociale per la cui fortuna e per il cui successo Malatesta aveva profuso tanta energia.
E infatti, osservando ancora oggi l’acutezza e la precisione filologica con le quali La Torre ricordò l’anarchico di Santa Maria Capua Vetere, possiamo comprendere quanto egli fosse in grado di interpretare e trasmettere il pensiero e lo spirito di Malatesta. Quale e quanta affinità non solo ideologica ma anche umana e comportamentale, legasse l’avvocato messinese al rivoluzionario campano.
Dobbiamo essere grati all’Istituto Salvemini e alla Biblioteca “Pietro Gori” di Messina per la provvidenziale riedizione di quel testo ormai introvabile, dove, al di là delle puntuali note biografiche, La Torre seppe esprimere al meglio le proprie doti analitiche e comunicative nella esegesi del pensiero e, consentitemi, del sentimento di Malatesta.
Come si sa, la vita di Malatesta rappresenta una delle più affascinanti avventure e delle più complesse esperienze in campo rivoluzionario. E proprio in ragione di questa complessità, la lettura del suo percorso potrebbe prestarsi a interpretazioni spesso parziali e incomplete o, peggio, mistificanti. Ma alcune linee guida, alcuni punti fermi, hanno fatto di Malatesta uno dei personaggi più limpidi e intoccabili del suo tempo – neppure Mussolini ebbe il coraggio di affrontarlo a viso aperto. Perché la sua linea di condotta e le sue scelte tattiche e strategiche furono sempre improntate alla ferma coerenza fra i mezzi da utilizzare e il fine da raggiungere. E proprio questo aspetto, a mio parere il più importante fra tutti quelli che ne hanno caratterizzato l’azione e il pensiero, è quello che La Torre, in quella occasione, seppe interpretare ed esprimere al meglio, illustrando ai presenti il vero punto nodale del lascito malatestiano.

Perché venne scelto

Permettetemi, ora, una breve parentesi personale. Posso dire infatti di essere stato testimone di quella giornata. Eravamo venuti dalla Romagna, giovani e anziani compagni, con la vecchia bandiera del Gruppo Malatesta di Imola, per non mancare a quell’appuntamento così importante. Sfilammo dapprima per le vie di Ancona, la città così cara a Malatesta, e ci ritrovammo poi nell’affollatissima aula Consigliare della Provincia, dove presero la parola gli oratori. E ricordo ancora l’attenzione con la quale l’intervento di La Torre fu seguito. E questo, ne sono certo, non solo per il rispetto che tutti noi portavamo a Malatesta.
Non a caso, dicevo, il movimento anarchico affidò a lui l’incarico di rappresentarlo, per usare una brutta parola: unitariamente, in una occasione così importante. Nei suoi lunghi anni di militanza, infatti, La Torre aveva dato sicura prova non solo di una ferma coerenza ideale e ideologica sorretta da salda intelligenza, ma anche di quella obiettività di giudizio che nella burrascosa temperie della scissione della Fai si era dimostrata fondamentale per portare quel po’ di serenità all’interno del movimento che limitasse e attenuasse le asprezze, anche personali, che si erano venute manifestando.
Nella prima metà degli anni Sessanta la Federazione Anarchica Italiana aveva vissuto uno dei suoi momenti più tempestosi dovuti a una crisi non solamente organizzativa ma anche strutturale che avrebbe trovato parziale risoluzione solo nella più generale ripresa del movimento libertario sulla spinta sessantottina. Diventata ormai una Federazione chiusa in se stessa e sostanzialmente incapace di realizzare un rapporto dialettico e innovativo con l’esterno, coltivava motivi di contrasto autodistruttivi, non solo ideologici ma anche, e non di poco conto, personali che rendevano sempre più difficile un confronto sereno e costruttivo.
La cosiddetta “questione cubana” prima (quale atteggiamento tenere nei confronti della rivoluzione castrista e quale aiuto dare ai libertari cubani repressi dal nuovo governo), i problemi organizzativi poi (come fornire alla Federazione strumenti d’intervento idonei a rivitalizzarne la presenza nella società italiana), crearono una situazione non più controllabile che si concluse, in occasione dell’ottavo Congresso della Fai tenutosi a Carrara sul finire del 1965, con una dolorosa scissione: da una parte una “nuova” Fai, determinata a rafforzare le proprie strutture organizzative, dall’altra i Gruppi di Iniziativa Anarchica, raccolti attorno a figure carismatiche quali Armando Borghi e Pio Turroni e aiutati economicamente dalla prospera comunità anarchica italoamericana.
Come è facile immaginare per chiunque conosca, anche approssimativamente, le dinamiche che si creano all’interno di gruppi sostanzialmente chiusi, non furono solo le questioni ideologiche ad agitare le acque, ma anche i vecchi rancori e le nuove tensioni che esplosero drammaticamente portando alla dolorosa frattura del ’65.

“Mi siete cari tutti, ma…”

Ebbene, in quella situazione convulsa, La Torre non solo seppe mantenere una serenità d’animo e di giudizio tale da evitargli – a mio parere, ma evidentemente anche a suo – scelte sbagliate, ma riuscì anche, grazie all’autorevolezza di cui godeva, a smussare per quanto possibile gli effetti negativi che le questioni personali ponevano continuamente sul tappeto. Ebbe l’intelligenza e la sensibilità di mettersi al riparo dalla “rissa”, ma non ebbe neppure dubbi, lucidamente, su quale dovesse essere il ruolo di un’organizzazione anarchica al passo coi tempi, e quale la strada da prendere.
È indicativo, al proposito, il suo intervento sul Bollettino Interno della Fai del dicembre 1965 (sono gli atti del Congresso di Carrara) che apre la serie dei contributi precongressuali. In esso infatti, stigmatizzando l’animosità che stava guastando, più di quanto fosse lecito, anche i rapporti personali (Tutti voi, come persone, mi siete cari e tutti amici e tutti, soprattutto, compagni), riporta i termini della questione su un piano strettamente politico, individuando quale strumento principale per raggiungere il fine, una coscienza anarchica, una volontà rivoluzionaria, una chiara consapevolezza cioè che la società in cui oggi viviamo è la negazione dei valori fondamentali dell’umanità, della libertà e della uguaglianza, della giustizia. E analizzando, soprattutto, con impietoso spirito critico, gli errori e i limiti che avevano segnato l’attività federativa di quegli ultimi anni: non abbiamo saputo creare i mezzi adatti, siamo rimasti, fino ad oggi, troppo divisi, sono prevalse rispetto alle questioni del movimento le questioni personali, i mezzi esistenti non sono stati idonei allo scopo e anzi, spesso, sono stati controproducenti e perfino dannosi, abbiamo avuto paura delle parole, non abbiamo saputo chiarire gli equivoci, e quando non si è trasformata in rissa, la discussione assai spesso fra noi è stata pura e vana accademia. E infine conclude con l’auspicio che la discussione sia serena, obiettiva e onesta. Che i personalismi siano dimenticati e che ognuno sia sospinto soltanto da uno scopo: il bene del movimento anarchico italiano.
Indubbiamente è questa una bella testimonianza di quanto avesse assimilato e fatti propri, non solo sul piano ideologico, ma anche su quello umano, i valori fondanti dell’anarchismo. Per essere più precisi di quell’anarchismo, che poggiava e poggia tuttora i propri postulati sull’impegno sociale contro lo sfruttamento e l’autorità, sul concetto dell’organizzazione come prefigurazione della società futura, sull’etica della responsabilità individuale.
È significativa, al proposito, una sua lettera indirizzata nel settembre del 1959 al settimanale “Italia – Domani”, e pubblicata sul numero 11 dello stesso anno del combattivo periodico anarchico “L’Agitazione del Sud”. In essa La Torre critica caparbiamente una serie di articoli-inchiesta pubblicati dal giornale romano, nei quali si riproponeva quasi si trattasse di una serie di “rapporti” di un delegato di Pubblica Sicurezza dei tempi di Crispi, la solita e stantia immagine dell’anarchico “votato” alla più brutale e gratuita violenza. Come si sa, e come qualcuno ogni tanto fa in modo di ricordarci, il rapporto fra anarchia e violenza è stato, storicamente, particolarmente complesso.
Ma La Torre, in poche righe, riesce a riassumerne ed esporne i termini fondamentali: L’attentato o il terrorismo non ha nulla a che fare con l’ideologia anarchica; come, ad esempio, il sabotaggio o lo sciopero non ha nulla a che fare con l’ideologia comunista. Se l’anarchico ha anche in determinate circostanze storiche, adoperato la violenza, questa non deve essere considerata come postulato della sua ideologia politica o della sua morale, che è dottrina di pace e di solidarietà umana; ma come azione (o controazione) la cui responsabilità deve farsi ricadere su una società male organizzata, della quale (e soltanto di essa) la violenza è il contrassegno. Allo stesso modo se il comunista o il socialista (e anche l’anarchico) sciopera, lo sciopero non deve considerarsi come elemento della ideologia comunista o socialista (che in tutt’altro consiste che nel semplice sciopero), ma come azione (o controazione) provocata da una società capitalistica che contende ai lavoratori i mezzi della vita.

In Sicilia, ma anche altrove

Naturalmente, con bello spirito democratico, quel foglio “progressista” pensò bene di non pubblicare la garbatissima lettera di La Torre, offendendo in tal modo non solo l’etica professionale della redazione, ma anche l’intelligenza dei suoi lettori. Evidentemente le argomentazioni del nostro non dovevano essere state troppo gradite da quel direttore.
Naturalmente Placido La Torre non si è espresso solo attraverso questa sua opera di consolidamento e difesa dei valori, dei principi e dei metodi dell’anarchismo. Come sappiamo e come meglio di noi altri oggi diranno, egli partecipò in prima persona, negli anni dell’immediato dopoguerra, alla ripresa del movimento anarchico, soffocato dai lunghi anni della repressione fascista. La gran parte dei compagni proveniva allora dall’esperienza del carcere o del confino, e altri erano sfuggiti a tale sorte prendendo la via dell’esilio nella seconda metà degli anni Venti. La sconfitta delle istanze rivoluzionarie nella Rivoluzione spagnola e il progressivo affermarsi dell’egemonia comunista di marca moscovita fra le masse proletarie, egemonia determinata non solo dalla presenza sulla scena mondiale della Unione delle Repubbliche Sovietiche, ma anche dalle indubbie capacità organizzative e propagandistiche dei comunisti italiani, rischiavano di mettere definitivamente alle corde le esigue forze dell’anarchismo italiano.
Fortunatamente, nonostante questo insieme di condizioni avverse, molti giovani seppero scegliere negli anni del dopoguerra il sentiero della libertà anarchica. E Placido La Torre, approdando all’anarchismo, contribuì alla ripresa e all’attività del movimento con tutte le sue qualità e capacità, e il suo contributo fu altrettanto importante di quello dei compagni più anziani, carichi di esperienze drammatiche ed esaltanti. Naturalmente il lavoro militante si concentrò soprattutto a Messina e in Sicilia, dove prese parte attiva alla ricostituzione dei gruppi e della Federazione Anarchica Siciliana.
Ma anche a livello nazionale la sua opera fu importante e apprezzata. Il lavoro organizzativo su scala nazionale all’interno della Federazione si accompagnava infatti alle frequenti e apprezzate collaborazioni alle testate anarchiche, soprattutto al settimanale della Fai “Umanità Nova”. Ricordo ancora con quale profondo senso di stima i compagni più anziani del Gruppo Malatesta di Imola parlassero di lui, descrivendolo come uno fra i compagni più “importanti” e preparati dell’intero movimento. Del resto le numerose conferenze che aveva tenuto in tutta Italia, e delle quali le tre che ricordiamo oggi sono significativa testimonianza, lo avevano fatto conoscere ed apprezzare un po’ ovunque.

Un debito grande

Va detto anche che La Torre ha avuto la fortuna di poter collaborare con personaggi dalle biografie straordinarie, quali, tanto per citarne alcuni, Alfonso Failla, Mario Mantovani, Armando Borghi, Ugo Mazzucchelli, Umberto Marzocchi, Umberto Consiglio, Primo Bassi, Umberto Tommasini, Aurelio Chessa, Ugo Fedeli. Militanti di provata esperienza, che sapevano unire indiscusse capacità politiche e sociali a una carica umana e solidale inesauribile quale è così facile riscontrare fra gli anarchici.
Sono sicuro che Placido La Torre sia consapevole di avere avuto in questi compagni, ormai tutti scomparsi, incomparabili maestri. E so anche che, da bravo allievo, è diventato a sua volta un maestro. Maestro non solo nel movimento, ma anche nella vita quotidiana e professionale, dove ha profuso per interi decenni la sua magistrale opera di avvocato, tante, tantissime volte spesa, gratuitamente, nella difesa dei compagni. E si sa che per il nostro movimento la presenza di un avvocato è sempre la più benvenuta.
Il debito che abbiamo con lui è dunque grande, è grande per quanti ancora militano nella Federazione Anarchica Italiana, è grande per quanti fanno parte del movimento anarchico. Ma è grande anche, e soprattutto, per tutti gli uomini amanti della libertà. E mi sento onorato, oggi, di poterglielo esprimere personalmente.

Massimo Ortalli


Omaggio a Placido La Torre

Messina, Istituto di Studi Storici “G. Salvemini”, 24 novembre 2006. Placido La Torre e (a destra) Santi Fedele, direttore dell’Istituto

L’ultimo libretto edito dall’Istituto di Studi Storici “Gaetano Salvemini” di Messina (Placido La Torre, Pagine d’anarchia. Tre conferenze) è servito da pretesto allo stesso Istituto e alla Biblioteca di Studi Sociali “Pietro Gori” di Messina, per organizzare un miniconvegno sulla figura dell’autore, avvocato messinese oggi ottantaseienne, e sulla sua attività militante nell’anarchismo italiano del secondo dopoguerra, che si è tenuto il 24 novembre 2006 nell’aula “Tommaso Cannizzaro” dell’Università di Messina alla presenza di una cinquantina di persone, fra cui molti giovani.
Oltre a La Torre, che nonostante gli acciacchi dell’età manifesta ancora notevole forza di spirito e intellettiva, hanno relazionato Santi Fedele, presidente del “Salvemini”; Natale Musarra, dell’Archivio Storico degli Anarchici Siciliani, e Massimo Ortalli, dell’Archivio Storico della Federazione Anarchica Italiana, giunto appositamente da Imola.
Fedele ha introdotto, ricordando la sua frequentazione giovanile con La Torre ed alcuni episodi della vita dell’anarchico messinese che si tramandano in città: quando, ad esempio, contestò in piazza Municipio l’ex re Umberto Secondo gridando: “Secondo chi? secondo lui!”.
Natale Musarra, dopo aver letto alcuni brani delle memorie inedite di Vincenzo Mazzone relative proprio alla contestazione al re Umberto, ha ricostruito le principali fasi riorganizzative della Federazione Anarchica Messinese, dal 1945 al 1955, sottolineando il ruolo da essa svolto nella rinascita dell’anarchismo in Sicilia ma anche in quella civile e morale di Messina e della sua provincia grazie a militanti di grande valore quali gli stessi Mazzone e La Torre, Gino Cerrito, Nino Pino, Michela Bicchieri, Antonio Fradà, Sandro Zappalà e tanti altri.
Musarra ha illustrato la sua relazione proiettando foto di gruppo scattate in occasione dei principali convegni degli anarchici siciliani (quelli di Palermo del 3-4 settembre 1944, il primo dall’invasione anglo-americana, e del 2 marzo 1947, in cui si costituì la Federazione Anarchica Siciliana; quello di Siracusa del 24-25 aprile 1955, in cui si deliberò la nascita dell’organo mensile del movimento siciliano, “L’Agitazione del Sud”) ed un filmato recuperato di recente dai compagni del gruppo “Torricelli” di Milano e proveniente dagli archivi dell’“Adunata dei Refrattari” di New York. Il filmato riprende i convenuti (almeno una cinquantina, compreso il vecchio scontroso Paolo Schicchi) al 2° congresso della Federazione Anarchica Siciliana, che fu anche 1° Congresso anarchico siculo-calabro, tenutosi a Messina il 25 gennaio 1948; girato dai fratelli Frank e Michael Magliocca, originari di Pietraperzia, documenta lo stato di realizzazione dei due progetti che “L’Adunata” era impegnata a sostenere finanziariamente in quel periodo (la “colonia” per gli orfani degli anarchici spagnoli in Inghilterra, animata da Maria Luisa Berneri – che difatti compare all’inizio del filmato – e la ripresa organizzativa dell’anarchismo in Sicilia).
Placido La Torre è intervenuto a ricordare che Michael Magliocca portò dagli USA e lui stesso consegnò a Nino Pino in carcere la prima penicillina mai giunta a Messina.
Massimo Ortalli ha relazionato sul periodo successivo della vita di La Torre, e specialmente sull’impegno profuso, a partire dal 1956, nel movimento anarchico italiano, le posizioni da lui assunte in seno ai congressi della F.A.I. (in particolare quello “della scissione”, tenutosi a Carrara dal 2 al 4 novembre 1965) e sulle principali tematiche in discussione negli anni sessanta e settanta (in primis quella relativa alla “violenza rivoluzionaria”). Ha inoltre ricordato che La Torre è stato per oltre un decennio l’“oratore ufficiale” della F.A.I., sottoponendosi a ritmi insostenibili per chiunque: ad esempio, in quindici giorni, dal 22 settembre al 7 ottobre 1956, parlò in quindici città diverse, e cioè Pisa, Cascina, Pontedera, Volterra, Rosignano Marittimo e Rosignano Solvay, Livorno, Firenze, Pistoia, Alfonsine, Ravenna, Cesena, Bologna, Mantova e San Benedetto Po.
Facendo seguito agli interventi e alle testimonianze di alcuni tra i presenti, Placido La Torre ha concluso la serata ricordando i vecchi compagni e ringraziando i giovani, ma anche ribadendo la necessità che riemerga la memoria storica, non solo di una parte politica misconosciuta e sovente offesa, come quella anarchica, ma di un’intera città che sembra aver dimenticato il suo passato di lotte solidali ed emancipatrici.

Natale Musarra