"OCCUPARE, RESISTERE, PRODURRE"
(Intervista fatta da Jesus MONGE a Guillermo ROBLEDO, del Movimiento Nacional de
Empresas Recuperadas de Argentina, e apparsa sul n.171 del novembre 2004 della
pubblicazione mensile anarcosindacalista "Rojo y Negro" edita dalla C.G.T. di
Spagna)
Premessa: Guillermo viene da Buenos Aires e fa parte del Movimiento Nacional de
Empresas Recuperadas, il quale è un movimento sociale che emerge dalle
mani dei lavoratori durante le crisi degli ultimi quattro anni in Argentina. In
giro per l'Europa e dopo essere stato a Berlino e Madrid è arrivato il 22
Ottobre a Saragozza. Dopo aver partecipato alle Giornate del Coordinamento dei
lavoratori dell'Auto della C.G.T. ci ha concesso uno spazio per le nostre
domande.
D.: Perché nasce il movimento di recupero delle imprese in Argentina?
R.: Il movimento sorge dopo che i sindacati storici d'Argentina tradiscono i
lavoratori nel decennio di Menem. C'è stata una drastica, profonda
deregolamentazione del lavoro che ha generato una caduta salariale e un aumento
della disoccupazione; quest'ultima ha raggiunto il 20% a livello nazionale, e il
40% calcolando il sotto-impiego. In queste condizioni un salario è più o meno di
230 Euro e l'indennità di disoccupazione è di 50 Euro. Davanti a questa
prospettiva di miseria che il capitalismo metteva in atto in Argentina, i
lavoratori decisero che qualora un'impresa avesse chiuso, invece di disperdersi
individualmente, si sarebbero uniti collettivamente in cooperative di lavoro o
in organismi di autogestione. Questo fenomeno acquistò talmente forza, che tutte
le imprese che si recuperarono ebbero successo, infatti nessuna delle imprese
recuperate in Argentina ha chiuso. In tal modo, i lavoratori in Argentina si
sono resi
conto che hanno un nuovo strumento di lotta, quello di prendersi carico di ciò
di cui non si faceva carico il padrone e neanche lo Stato.
L'esperienza delle imprese recuperate non è limitata al mondo del lavoro e ai
lavoratori ma ha implicato anche l'entrata nelle imprese recuperate di centri
culturali, di giovani intellettuali delle città, docenti per organizzare
scuole... e ha fatto sì che l'esperienza si sia estesa grazie ad un semplice
passaparola, senza la necessità dei mezzi di comunicazione. A partire da questo
punto, i lavoratori in Argentina non accettano nessuna chiusura di una impresa
se prima non si tenta di formare una cooperativa che cominci a farla funzionare.
D.: Da quanti anni funziona tutto questo?
R.: Le prime esperienze hanno avuto inizio sette anni fa, però più
massicciamente da circa quattro anni. Il movimento oggi ha quasi 200 imprese che
lavorano, il 50% di esse sono del settore metalmeccanico, il 30% sono
dell'industria grafica, ci sono anche quelle del settore alberghiero, imprese di
servizi... Dentro le imprese recuperate attualmente ci sono circa 14.000
lavoratori.
D.: Quanto credete che sia cambiata la prospettiva del lavoratore, la sua
coscienza di classe, di fronte a questo processo?
R.: Al 100%. Si tratta di un salto qualitativo in cui il lavoratore è impegnato
non solo nella gestione dei numeri della società, che fino ad ora erano segreti,
ma è anche chiamato a partecipare e decidere nella gestione mediante assemblee
mensili. Tutti i lavoratori discutono, si dà una dimensione al dibattito, grazie
al quale i lavoratori passano a una dimensione di politicizzazione lavorativa e
sociale che fa sì che si abbia un altro livello di libertà, quando si rendono
conto che il loro lavoro non è strettamente il compito di produrre, bensì
che ha una dimensione sociale. In questo senso c'è un comportamento libertario
che avanza, senza alcun allineamento per quanto riguarda le scelte politiche.
Infatti nelle cooperative c'è pluralismo, partecipa gente di tutte le correnti
politiche, però nessuno tenta di imporre il suo punto di vista.
D. : Considerate che questo modello di recupero delle imprese è necessario
esportarlo al resto dei paesi latino americani o europei e che può servire come
strumento per creare un' enorme contraddizione al capitalismo?
R. : Sì, chiaro, questo è l'obiettivo del nostro viaggio. Le multinazionali ogni
volta vanno a generare minore impiego nel mondo, dovuto all'alto livello di
componenti tecnologiche insite nel lavoro. O i lavoratori usano strumenti
di auto-impiego, di autorganizzazione, difendendosi da questa forma di
organizzazione del lavoro, o il problema della disoccupazione dei lavoratori nel
mondo sarà più grave di quello che è oggi. In Argentina prende piede il
paradosso che le imprese del settore automobilistico sono tutte ferme. Sono al
5% della capacità produttiva; invece le imprese recuperate dai lavoratori,
nonostante siano tecnologicamente più obsolete, stanno lavorando al 60%. Le
imprese recuperate, con tecnologia più obsoleta stanno generando più impiego che
le multinazionali con tecnologia avanzata. Qui si vede che c'è una
contraddizione insanabile del capitalismo a livello mondiale. Il fatto che i
lavoratori hanno la produzione nelle proprie mani e discutono i problemi
politici della società, credo sia un asse importante. In Argentina abbiamo
incominciato per necessità, per disperazione in molti casi, però altra
cosa potrebbe essere il livello del dibattito, se il modello cominciasse a
moltiplicarsi e prendesse una dimensione internazionale. Come farà il capitale
per dare lavoro agli ottanta milioni di nuovi lavoratori che entrano ogni anno
nel mondo? Non c'è risposta. O la troviamo noi o sarà difficile trovarla. IL
MOVIMENTO HA OGGI QUASI 200 IMPRESE CHE IMPIEGANO CIRCA 14.000 LAVORATORI.
D. : Come ha reagito lo Stato argentino di fronte al movimento recuperatore?
R. : In questo momento ci sono 5.000 imputati in giudizio, e in qualsiasi
momento possono diventare prigionieri politici del sistema. Non tutti i
prigionieri appartengono al movimento recuperatore di imprese, giacchè ve ne
sono anche di altri movimenti, come quello dei piqueteros. Noi cerchiamo un
movimento di solidarietà internazionale, che consista nel mandare lettere al
Presidente della nazione Kichner, giacchè è l'unico che ha la facoltà di
liberare, di mettere fine a questi processi giudiziari, perché altrimenti il
sistema li usa per intimorire la gente e il movimento non si espanderebbe. Il
sistema funziona in questa maniera.
D. : Com'è il sistema organizzativo ed il livello di partecipazione che si
genera?
R. : Il movimento appoggia il processo di nascita fino a che la cooperativa non
si stabilizza. Con la "Legge di Espropriazione", il meccanismo è il seguente:
chiude la fabbrica, ci se ne appropria, si organizza la cooperativa e si chiede
al potere politico che espropri i beni e che li dia ai lavoratori. Questo è un
processo che dura dai due ai tre mesi, dove le cooperative più consolidate sono
quelle che aiutano le altre che stanno nascendo. Perché bisogna resistere,
affinchè non avvenga
lo sgombero. Bisogna portare aiuti alimentari, c'è da dare il "coraggio" ai
compagni che stanno lì. In questo momento tutte le cooperative si aiutano tra di
loro, in più, è l'unico requisito che chiediamo ai compagni delle cooperative.
E' uno scambio politico e culturale importante dove a fronte dell'appoggio non
chiediamo nessuna iscrizione a un partito politico né a un sindacato, ma
semplicemente che dopo sia solidale con il resto dei lavoratori. Questo
meccanismo ha funzionato perfettamente, perciò il processo si è potuto estendere
fino ad oggi, a 200 imprese. Una volta che la cooperativa è in marcia, c'è la
gestione interna del come
produrre, che cosa vende, quanto pagare il salario, quanto investire...
Qui il movimento già non interviene per niente. Ogni gruppo di lavoratori impara
rapidamente a organizzarsi, senza professionisti, senza gestori, senza padrone.
D. : In Europa la dislocazione delle imprese, soprattutto nel settore rurale,
suppone una destrutturazione economica e una condanna all'emigrazione verso le
grandi città. Come affrontate il fallimento di imprese nel settore rurale?
R. : Nell'ambiente rurale, nei comprensori, è notevole vedere come tutto il
popolo si unisce a difendere le cooperative in forma massiccia. Per esempio, la
fabbrica di trattori (che è la prima della nazione e sta in mano dei lavoratori)
è localizzata in un paese, nella località di Las Varillas, a Cordoba. Tutto il
paese dipende dalla sopravvivenza dell'impresa. Tutti i settori lavorativi e
popolari sono implicati nel processo, questo è molto importante. In molti casi,
i lavoratori, organizzano la cooperativa prima che fallisca l'impresa, in forma
preventiva, per disporre in anticipo dello strumento di gestione nenessario. E'
un modo di dire al capitale:" Se te ne vai, io continuo.Non ho bisogno di te".
Sarebbe interessante che il movimento sindacale in Europa facesse uno studio dei
casi di delocalizzazione e spinga, stimoli la formazione di cooperative
preventive.
Puoi contattare Guillermo Robledo al seguente
indirizzo e-mail <impacoop -A- speedy.com.ar>
(traduzione di CIB Unicobas, Bari)