L'interpretazione di Nettlau
a cura di Mirko Roberti
La storiografia dell'anarchismo-2
Secondo lo storico tedesco, alcune manifestazioni dell'idea anarchica si
possono rintracciare fin nei tempi antichi e in alcune sette religiose
medievali - La contrastante superficialità dell'approccio di Zoccoli alla
genesi dell'anarchismo - Le valutazioni dell'Eltzbacher e di Sergent e
Harmel
Prosegue, con questa seconda puntata, la pubblicazione del breve saggio che il nostro collaboratore Mirko Roberti dedica all'esame delle tesi di alcuni significativi storiografi dell'anarchismo. Nella prima puntata, dopo una premessa di ordine generale, sono stati presi in considerazione James Joll, Leo Valiani e George Woodcock. È questa la volta di Sergent e Harmel, Zoccoli, Eltzbacher e Nettlau. Sul prossimo numero la conclusione del saggio.
Un'interpretazione per certi versi analoga a quella di Woodcock si può ritrovare nel lavoro di Sergent e Harmel (14), dove la peculiarità dell'anarchismo è vista nel legame organico con la terra, base naturale della società umana.
L'origine dell'anarchia moderna si rintraccia nella contrapposizione alla formazione degli stati assolutistici che riassumono più di qualsiasi altra istituzione il principio e la pratica dell'autorità. È nel secolo dei lumi però che l'anarchismo acquista una più netta fisionomia perché solo allora, a causa dell'opera dissacralizzatrice della cultura illuminista, lo Stato viene sentito come dominazione artificiale ed estranea. Per superare questa alienazione che divide la vita sociale da quella politica, incapace quest'ultima di rappresentare e di esprimere i bisogni della prima, nascono non a caso, proprio in questo secolo, delle utopie che si caratterizzano non per il loro carattere progressivo ma bensì regressivo, cioè per un ritorno a forme sociali capaci di esprimere quel perduto rapporto fra uomo, natura e società che l'epoca moderna ha distrutto in nome di una civiltà fatua e inutile. La concezione politico-sociale che meglio esprime questa nostalgia per la società agricola del passato portando alle estreme conseguenze l'istanza mistica per questo ritorno alla natura, pur all'interno di un quadro fortemente influenzato dal razionalismo, è l'idea anarchica che rappresenta così "la rivolta dell'antica civiltà della terra contro la dominazione del diritto romano".
Una prima conferma a questa impostazione di fondo è data per gli autori dai caratteri ideologici e sociali della tendenza libertaria della Rivoluzione francese, tendenze che individuano nelle correnti rappresentate dagli "Enragés". Gli arrabbiati esprimono infatti, a giudizio di Sergent e Harmel, non tanto i bisogni del proletariato moderno, ma quelli più vaghi degli artigiani, di certi strati sociali del popolino e delle masse rurali che, per il processo di accentramento economico e politico proprio dell'era moderna, si trovano ai margini della nuova civiltà industriale. Dove però gli autori vedono una conferma più esplicita di questa interpretazione è nell'assenza del pensiero di Proudhon e Bakunin. La coesistenza della tendenza mistica con quella della ragione, già messa in luce come abbiamo visto da Joll, è qui analizzata con un'ottica che pone l'accento però sulla predominanza della prima componente come manifestazione esplicita del carattere fortemente contadino dell'ideologia proudhoniana e bakuninista. La prima si delinea nel progetto di ricostruzione economica che Proudhon concepì nell'idea di un organismo sociale capace di conservare la piccola proprietà come emanazione diretta e funzionale al lavoro individuale o associato in piccoli gruppi; la seconda invece si prefigura non per il suo carattere costruttivo ma per l'istanza fortemente panteistica che pervade la concezione del ritorno alla natura come nostalgia implicitamente dissolutrice di ogni autorità storicamente costituita. La differenza fra queste due pur sostanziali concezioni si rivela rispetto alla pratica e alla strategia che discendono da esse: mutualista e ricostruttiva la prima, rivoluzionaria e distruttiva la seconda (15).
Se vi è però una sostanziale identità di vedute fra Woodcock e Sergent e Harmel riguardo alla concezione "naturalistica" della società che a loro giudizio è propria dell'anarchismo, diversa invece si presenta l'impostazione degli ultimi due rispetto alla struttura del lavoro. Sergent e Harmel, che concludono il primo volume con la fine dell'Internazionale antiautoritaria fondato a Saint-Imier nel 1872 (16), non dividono infatti, nella loro analisi, il pensiero dei vari autori dall'azione complessiva del movimento. La loro ricostruzione secondo i termini cronologici dello svolgimento storico sebbene a volte documentata in modo troppo "libero" (17) risulta a nostro giudizio più corretta ai fini di una comprensione del rapporto organico fra pensiero e azione. L'analisi del 1848 in Francia e in Europa segue questa traccia dimostrando l'assoluta interazione fra contesto storico e riflessione teorica non solo in Proudhon e Bakunin - come già precedentemente era stata fatta per Godwin e la Rivoluzione francese - ma anche in autori poco noti come Dejacque e Coeurderoy anticipatori dell'anarchismo socialrivoluzionario.
Non condividiamo invece il giudizio degli autori sul mancato sviluppo teorico dell'anarchismo dopo il 1872. Secondo Sergent e Harmel infatti da allora non è stato "acquisito niente di essenziale" perché erano già state fissate le idee maestre a cui il movimento si attenne poi nel corso della sua storia. Così l'atto di nascita sul piano dell'azione "ufficiale" e differenziata del movimento anarchico internazionale (Saint-Imier 1872) è anche, in un certo senso, l'atto di morte del suo pensiero, cioè la conclusione della parabola teorica iniziata da Godwin. Paradossalmente viene qui però, ancora una volta, messo in luce proprio uno dei caratteri storici fondamentali del movimento libertario, vale a dire l'immodificabilità dei suoi obiettivi e del loro perseguimento.
Una valutazione storica dell'anarchismo da un punto di vista etico, filosofico e dottrinale si può rintracciare nei lavori di Paul Eltzbacher e Ettore Zoccoli. Sebbene siano stati scritti all'inizio di questo secolo e quindi siano comprensivi solo dell'anarchismo ottocentesco, questi lavori, presentano nondimeno ancora un interesse scientifico, soprattutto quello dello Zoccoli, per la ricchezza e la serietà della documentazione anche se nel libro di quest'ultimo la valutazione etica dell'anarchismo condiziona e predomina pesantemente quella storica. Nella prefazione del volume lo stesso Zoccoli avverte che non intende fare una storia delle dottrine e dell'azione anarchica, se non per quel tanto che può essere utile ai fini di "una valutazione etica" (18). Questa particolare angolatura pervade tutto il lavoro tanto da esprimere, a volte, un vero e proprio rifiuto aprioristico verso la pur minima parvenza morale della dottrina libertaria. A suo giudizio, infatti, la natura dell'anarchismo si caratterizza per il rifiuto e la critica totale di ogni "ordinamento sociale e politico presente". Al di là delle molteplici tendenze che vanno dal comunismo all'individualismo solo in apparenza tanto divergenti vi è un'unità di fondo che si rintraccia sul terreno della assoluta negatività sia etica "la dottrina anarchica costituisce la più importante deviazione etica che abbia mai turbato il mondo", che scientifica "la dottrina anarchica (...) si presenta prima di tutto come interamente sfornita di qualsiasi base scientifica".
La preminenza della valutazione etica rispetto alla ricostruzione storica risulta subito evidente nell'approccio assolutamente superficiale di Zoccoli alla genesi dell'anarchismo. Zoccoli infatti sottovaluta l'humus culturale dell'illuminismo precludendosi così la possibilità di capire consapevolmente la radice teorica del persistente antistoricismo anarchico (anche se nel confronto con il marxismo ne coglierà il fenomeno in tutta la sua dimensione) (19). Conseguentemente non è il caso, a suo giudizio, di valutare le idee anarchiche di Godwin e di altri numerosi pensatori perché "non sono che un riflesso estetico e dilettantistico del loro pensiero".
Nei confronti degli autori considerati autenticamente anarchici e cioè Stirner, Proudhon, Bakunin, Kropotkin e Tucker, egli opera rispettivamente una ripartizione sistematica fra critica metafisica, economica, politica, sociologica e individualistica. Il pensiero anarchico trova il suo momento di unità quindi non tanto nella formulazione di un progetto di ricostruzione sociale, quanto nella negazione di quello presente. La giusta individuazione dell'aspetto preminente e caratterizzante del pensiero di questi teorici, risulta perciò incompiuta rispetto ad una valutazione globale della loro dottrina. Ciò nonostante l'esposizione di Zoccoli rimane rigorosa e ben documentata, anche se parzialmente inficiata da questo pregiudizio di fondo.
Un'ulteriore sistematica divisione fra agitatori, idee e fatti è così riassunta dall'autore: "da una parte le critiche astratte oltre le quali sono erette le costruzioni teoriche, e dall'altra l'azione". Tra questi due poli, cioè i teorici (da lui definiti agitatori) e i fatti vi è la mediazione continua delle idee le quali costituiscono le fonti della propaganda "in funzione della massa anonima degli aderenti". Questo schema gerarchico usato dallo Zoccoli risulta però aprioristico rispetto all'effettiva realtà storica dell'anarchismo; il rapporto organico e orizzontale fra pensiero e azione non è rilevato minimamente dall'autore che si ostina a vedere così nel movimento anarchico una implicita e informale organizzazione partitica che non esiste nella realtà. Allo stesso modo si pone la sua valutazione nei confronti della natura ideologica dell'anarchismo che nella logicità del suo schema dovrebbe partire dall'individualismo di Stirner (critica metafisica) per approdare al comunismo di Kropotkin (critica sociologica). Esso però, per ammissione dello stesso Zoccoli, è messo in crisi di fronte alla presenza di Tucker, teorico dell'individualismo e contemporaneo del comunista Kropotkin: "mentre potevamo esserci persuasi, perlomeno, d'aver raggiunto un piano concreto per apprestarci alla discussione teorica, l'agitatore Tucker ci risospinge al punto onde ci eravamo mossi con lo Stirner: all'individuo". Così, per Zoccoli, la soluzione del problema sociale non trova nell'anarchismo uno sviluppo lineare e uno sbocco logico perché i due poli estremi, sia dal punto di vista cronologico che ideologico - cioè l'individualismo e il comunismo - non solo sono "immobili (ma) ciò che è peggio, controvertibili" e quindi la valutazione scientifica si trova imprigionata in un "circolo senza uscite". Il pluralismo come sistema interagente fra le diverse tendenze non rientra pertanto nello schema aprioristico dello Zoccoli, schema che conferma ancora una volta l'inadattabilità dei suoi criteri valutativi fondati su una logica gerarchica e quindi inutili per comprendere quella egualitaria dell'anarchismo.
La ripartizione sistematica dello Zoccoli fra agitatori, idee e fatti se da una parte è inadatta a comprendere aspetti fondamentali dell'anarchismo, come appunto il rapporto organico fra pensiero e azione oppure il fondamentale pluralismo ideologico, dall'altra offre alcuni vantaggi "didattici" ad esempio quello relativo ad una facile consultazione per argomenti delle idee comuni dell'anarchismo. Assunte a criteri valutativi alcune questioni fondamentali come il diritto, il dovere, la famiglia, la religione ecc., l'autore propone ancora una volta un bilancio sostanzialmente dottrinale ed etico del libertarismo. Analogamente per le idee vi è una ripartizione sistematica dei fatti divisi per affinità come, per esempio, quelli relativi a congressi, strutture organizzative, lotta pacifica e violenta ecc.... La ricostruzione storica è qui continuamente spezzettata per far posto ad un'implicita tipologia dei caratteri fondamentali dell'anarchismo. In definitiva l'immagine che di esso ci dà Zoccoli alla fine del lavoro conferma quelle esposte nelle premesse, e cioè quelle di una condanna etica e filosofica e così la ricostruzione storica non ha attenuato minimamente le dimensioni.
Una valutazione sostanzialmente dottrinale e filosofica prevede anche il lavoro di Eltzbacher sebbene quest'ultimo non sia assillato dall'urgenza di una condanna etica, come nel caso dello Zoccoli, quanto dal definire scientificamente l'anarchismo. La sua analisi tenta un'interpretazione globale di esso limitata però al solo ambito teorico. In tal senso l'autore si propone di presentare sia le proprietà comuni delle dottrine considerate come anarchiche, sia le loro particolarità. Il criterio di questa valutazione discende dal confronto fra il complesso di questa teoria e i problemi generali del diritto dello Stato e della proprietà (20). Secondo l'autore, infatti, solo questo paragone stabilisce scientificamente il carattere anarchico di una dottrina e pertanto le teorie di Godwin, Proudhon, Stirner, Bakunin, Kropotkin, Tucker e Tolstoi, considerate comprensive di tutti i generi e le speci dell'anarchismo teorico, sono analizzate solo in funzione di questo riscontro. Inoltre l'autore tenta di individuare sia l'essenza di ogni teoria, attraverso una definizione di base, sia l'aspetto costruttivo di essa, attraverso una definizione del suo progetto positivo.
Ne risulta, con questo schema, che per Godwin la legge suprema dell'uomo è il bene universale, per Proudhon la giustizia, per Stirner e Tucker l'interesse individuale, per Tolstoi l'onore, per Bakunin e Kropotkin l'evoluzione progressiva dell'umanità. Pertanto rispetto ad una definizione di base queste sette dottrine non hanno nulla in comune: Bakunin e Kropotkin concepiscono come legge suprema di ogni azione umana soltanto una legge naturale, Proudhon e Tolstoi come un dovere inteso come scopo assoluto - per il primo la giustizia per il secondo l'amore - infine per Godwin, Stirner e Tucker la legge suprema di ogni azione umana è la felicità, altruistica per il primo, egoistica per gli ultimi due.
Rispetto al diritto Eltzbacher procede invece con questa schematizzazione: Godwin ripudia il diritto in modo assoluto, Proudhon lo ammette solo come libero contratto trilaterale, Stirner lo respinge senza restrizione di tempo nè di luogo, Kropotkin, Bakunin e Tucker lo concepiscono con modalità diverse nella futura società, Tolstoi infine lo nega ma non in modo assoluto, - in nome dell'onore. Così per Eltzbacher una parte di questi autori esclude il diritto per il prossimo avvenire, mentre le altre lo affermano: per Godwin la norma che lo sostituirà sarà il bene di tutti, per Stirner il bene individuale, per Tolstoi l'onore; al contrario, invece, per Tucker nella società futura vi saranno, come oggi, delle leggi (diritto come espressione di una volontà dichiarata) e delle consuetudini (diritto come forma spontanea) secondo Bakunin e Kropotkin, vigeranno in un avvenire prossimo soltanto le consuetudini, secondo Proudhon, infine, non dovrà sussistere che una sola norma giuridica, quella cioè che prescrive che un'obbligazione contratta deve essere adempiuta.
Legando in una visione tutta particolare il problema della proprietà con quello del diritto, Eltzbacher conclude che rispetto ad essa solo Bakunin, Kropotkin e Tucker la ammettono nella futura società, mentre per motivi diversi Godwin, Stirner, Proudhon e Tolstoi la negano. La discutibilità di questa tesi si basa sul significato tutto particolare che l'autore dà al termine proprietà, significato, come abbiamo detto, strettamente legato alla funzione positiva o meno del diritto. A suo giudizio, infatti, per Proudhon la proprietà sarà sostituita da una ripartizione dei beni determinata da relazioni giuridiche volontarie, per Godwin, Stirner e Tolstoi da una ripartizione non regolata da alcune relazioni giuridiche, mentre al contrario, per Tucker, Bakunin e Kropotkin la proprietà susciterà rispetto veramente per il primo tanto per gli individui che per la comunità, per il secondo sarà limitata ai soli oggetti di ciascuno individuali, per il terzo, infine, sarà assolutamente comune e incondizionata.
Per quanto riguarda il progetto di ricostruzione sociale Eltzbacher distingue le dottrine riformistiche di Godwin e Proudhon da quelle rivoluzionarie dei rimanenti autori a loro volta suddivise fra quelle resistenti alla violenza (Tucker e Tolstoi) da quelli invece che la ammettono e si possono perciò definire insurrezionali (Stirner, Bakunin e Kropotkin). Solo su un punto - ed è interessante sottolinearlo - queste dottrine per Eltzbacher si trovano tutte concordi: nel voler la distruzione assoluta ed incondizionata dello Stato. Riguardo alla futura ricostruzione sociale l'autore distingue le teorie che non ammettono che nessuna relazione giuridica deve essere sostituita ad esso, e pertanto si possono definire spontaneistiche, da quelle invece che, per motivi diversi, la concepiscono, e che pertanto vanno definite federalistiche; nel primo gruppo l'autore include Godwin, Stirner e Tolstoi; nel secondo Proudhon, Bakunin, Kropotkin e Tucker.
Dall'analisi dell'Eltzbacher una considerazione emerge chiara e palese, e cioè quella relativa alla strutturale multiformità e pluralità dell'anarchismo che, a nostro avviso, costituisce uno dei suoi caratteri fondamentali e ineliminabili. In questo senso risulta evidente la differenza che intercorre fra quest'ultimo e lo Zoccoli che pur, in una visione più vasta ed articolata, si muove nello stesso piano vale a dire tentare di valutare l'anarchismo con un criterio sistematico e intenzionalmente scientifico.
Per Nettlau si possono rintracciare alcune manifestazioni dell'idea anarchica sia nei tempi antichi, sia in alcune sette religiose del medioevo, sia infine, nell'epoca moderna. Egli fa così una implicita distinzione fra le manifestazioni puramente teoriche e quelle di carattere pratico coinvolgenti individui, gruppi e masse. La genesi dell'anarchismo non va pertanto rintracciata nell'avvento della "questione sociale" nata dal passaggio dalla società agricolo-artigianale alla società industriale, ma si ricostruisce nella più generale lotta che oppone la coscienza della libertà a quella dell'autorità. In questo senso, egli precisa, una storia dell'idea anarchica è inseparabile dalla storia di tutte "le evoluzioni progressive e dalle aspirazioni verso la libertà" (21).
Questo discutibile tentativo di assegnare un significato anarchico ad ogni manifestazione contro il potere prescindendo, in un certo senso, dal contesto storico in cui scaturisce questa azione, conduce Nettlau a formulare da una parte con estrema genericità le origini del movimento (22), dall'altra per conseguenza a vederlo come funzione storica e universale della libertà sempre presente nella storia umana.
Due sono le conseguenze intrecciate, pertanto, di questa interpretazione di fondo (23). La prima è relativa al rapporto fra storia dell'anarchismo e storia generale e si precisa nel tentativo di individuare in quest'ultima una costante presenza della prima, costante che si manifesta e si ripete in diversi modi (24); la seconda invece, inversamente proporzionale all'antecedente, è relativa al rapporto fra anarchismo e lotta di classe, intesa qui specificamente come lotta anarcosindacalista. Vi è da parte del Nettlau, infatti, una sottovalutazione di questo rapporto nel senso che presentando l'anarchismo come tensione generale dello spirito umano verso la libertà, il mezzo storico preciso del rapporto relativo alla lotta della classe operaia, in quanto lotta determinata da un contrasto storico particolare, risulta secondario e contingente (25).
Con questa interpretazione Nettlau però d'altra parte pone implicitamente le basi per una comprensione corretta del pluralismo ideologico dell'anarchismo che, in questo movimento capace di esprimere in modo multiforme le diverse manifestazioni storiche della libertà e dell'uguaglianza, risulta irriducibile ad una unica e definitiva identificazione con una classe o con un gruppo sociale preciso. Tale impostazione comporta una lettura dell'anarchismo come movimento libero rispetto a qualsiasi determinato soggetto storico e quindi, in quanto tale, capace di radicarsi in ogni paese secondo i tempi e i modi del contesto storico particolare. È in questo senso che va spiegata la ricostruzione storica del Nettlau che in alcuni punti può apparire priva di un filo conduttore unico e lineare. L'eccessiva ricchezza di nomi date e fatti, a volte veramente accavallati senza respiro, se da una parte è dovuta alla forzate impostazione riassuntiva del lavoro (26), dall'altra conferma quanto dicevamo: una intenzionale renitenza dell'autore a individuare nel complessivo svolgimento storico un'unica causa ed un unico "filone" dominanti che ne spieghino per intero, esaustivamente, la logica del suo sviluppo.
Se si può parlare di un filo conduttore continuo nel lavoro del Nettlau esso riguarda la ricostruzione del passaggio dal mutualismo proudhoniano al comunismo di Kropotkin, evoluzione non lineare che dimostra l'intreccio fra pensiero, azione e contesto storico particolare come componenti interagenti di un unico processo, dall'autore giustamente ben evidenziato (27).
La logicità del discorso, però, si fonda sempre su un punto di vista soggettivo nel senso che tutta la storia dell'anarchismo è ricostruita dal Nettlau senza una visione organica fra movimento libertario e storia generale. Vi è, come abbiamo detto sopra, il tentativo di vedere in essa una costante presenza anarchica, soprattutto nelle manifestazioni di pensiero antecedenti la Rivoluzione francese, ma non vi è invece una spiegazione delle influenze reciproche fra di loro.
(2. - continua)
(14) A. SERGENT - C. HARMEL, Histoire de l'anarchie, Paris, 1949. Si veda a questo proposito le giuste critiche di Leo Valiani nella recensione da lui fatta in "Movimento Operaio", Milano, Anno IV, gennaio-febbraio 1952, n. 1, pp. 160-165.
(15) La diversità fra proudhoniani e bakuninisti è colta dagli autori nel rispettivo atteggiamento nei confronti della Prima Internazionale: per i primi essa si presentava come un organismo di ricostruzione sociale, per i secondi come uno strumento di rivoluzione. Ibid., p. 361.
(16) Inizialmente il lavoro doveva coprire tutta la storia dell'anarchismo fino ai giorni nostri. Cfr. l'avvertimento dell'editore all'inizio del volume.
(17) Nella già citata recensione Leo Valiani a questo proposito ha parlato di "romanzo storico". Cfr. L. Valiani, Recensioni..., p. 160.
(18) E. ZOCCOLI, L'anarchia. Gli agitatori, le idee, i fatti, Milano, s.d. (ma 1944), p.XXI.
(19) "Il marxismo, egli scrive giustamente, non suggeriva nessuna mutazione artificiale dell'ordinamento economico attuale". In questo senso esso superava "la fase rivoluzionaria attiva e propulsiva, ereditata e contaminata dagli anarchici, per equilibrarsi in un'oggettivazione della rivoluzione". Ibid., p. 453 e p. 454.
(20) P. ELTZBACHER, L'anarchismo, in "Volontà", Cosenza, Anno XX, n. 8-9, agosto-settembre 1967, pp. 510-511.
(21) M. NETTLAU, Breve storia dell'anarchismo, Cesena, 1964, p. 1.
(22) A suo giudizio Zenone e Carpocrate nei tempi antichi, Rabelais, La Boetie e Diderot nei tempi moderni, e infine Owen, i fratelli Bauer e Feuerbach ed altri sia socialisti "utopistici" che teorici della sinistra hegeliana, sono tutti anticipatori parziali dell'ideale libertario. Ibid., p. 1-33 e p. 57-63.
(23) Recentemente da più parti si è affermato che non esiste nella produzione storiografica del Nettlau un disegno interpretativo conseguente, sistematico e logico. La sua, in altri termini, più che una storia sarebbe una cronistoria sebbene ricchissima di dati di ogni genere. Una convincente risposta a queste obiezioni si può trovare in M. ENCKELL, Max Nettlau e l'Italia, in A.A.V.V., Anarchismo e socialismo in Italia (1872-1892), Roma, 1973, pp. 293-301.
(24) Secondo Nettlau l'anarchismo è manifestato in tre fondamentali modi: in Inghilterra, Germania, Francia e Stati Uniti come parte dell'evoluzione umana progressiva; in Italia, Russia e Spagna si è sviluppato naturalmente per la congenialità di quei paesi; in Danimarca, Svezia, Olanda e Austria per imitazione e ricezione di altre esperienze. Ibid., p. 89, pp. 233-234 e pp. 238-239.
(25) Si veda a questo proposito il criterio adottato da Nettlau per valutare l'importanza dell'anarcosindacalismo, criterio che si basa su una pura considerazione numerica e quantitativa della sua forza. Ibidem, p. 232.
(26) Si tratta come è noto, della riduzione della sua monumentale storia dell'anarchismo per buona parte ancora allo stato di manoscritto, depositata all'Istituto di storia sociale di Amsterdam.
Per tutto questo, cfr. l'introduzione di Giuseppe Rose al citato volume, pp. V-XIX.
(27) Si veda a questo proposito la contemporanea presenza nel 1880 circa del collettivismo in Spagna, del comunismo in Italia, Francia e Svizzera, del mutualismo e del collettivismo negli Stati Uniti. Ibid., p.153.