Mondiali 2002:le radioline
rimedieranno ai danni del liberismo
di Davide Rossi
Saranno contenti gli economisti, sì, quelli che quattro anni fa gridavano allo scandalo perché le partite dei mondiali avrebbero ridotto la produttività in ogni angolo del pianeta. Bene, questo nel 2002 non accadrà. Le logiche del profitto liberista porteranno per la prima volta da tanti, tanti anni le immagini delle partite in un :numero inferiore di case, piazze, villaggi.
1 diritti sono miliardari e pochi possono acquistarli, dimostrazione che, disuguaglianza e ingiustizia crescono anche nelle direzioni più inaspettate. Il calcio però resta capace di svincolarsi da qualunque logica di potere perché è vissuto e giocato con entusiasmo tra le baracche di Santiago del Cile o di Nairobi, come nei giardini delle capitali europee. Questa libertà è propria del calcio più che di altri sport perché basta un pallone o qualcosa che vi assomigli e un gruppo di amici che hanno voglia di sognare insieme perché si materializzi, possa diventare concreta, pure tra le discariche delle megalopoli del Sud del globo.
Chi non vedrà le partite forse potrà almeno ascoltarne le radiocronache, o le sintesi che comunque qualunque notiziario, sotto ogni latitudine riporterà.
I resoconti potranno essere più o meno ampi, certamente saranno corretti da un nazionalismo dagli accenti vibranti e variabili da Stato a Stato, ma le acrobazie vincenti non potranno che essere restituite per quello che sono, ovvero risultato dell'estro e della fantasia di che, le ha prodotte, attaccante o portiere, centrocampista o terzino.
Quindi se non con gli occhi sul televisore almeno con l'orecchio proteso alla radio a transistor si aspetterà di sapere il risultato o si seguiranno le. fasi concitate di un incontro, emozionandosi per un tiro o una parata, esaltando per una rete, soffrendo per una sconfitta.. In trepida attesa sono milioni di persone, adulti e bambini, senza distinzione sociale o culturale.
Quest'anno lo saranno soprattutto i cittadini delle nazioni che per la prima volta accedono alla fase conclusiva del torneo, delle trentadue squadre qualificatesi, infatti sono alla loro prima apparizione la Cina, ora allenata dallo jugoslavo Milutinovic l'Ecuador e il Senegal.
Una per cíascuno continente del Sud del mondo.
La Cina si appresta ad ospitare le Olimpiadi del 2008 ed è un paese contraddittorio, da un lato intende tenere alta la bandiera rossa, dall'altra promuove una crescita economica improntata alla più spietata concorrenza e ìnfatti disparità sociali e disoccupazione crescono ogni giorno. Chíssà che direbbe Mao, uomo che promosse la sola partecipazione alle eliminatorie dei mondiali della Cina Popolare prima del ritorno degli orientali alle qualificazioni negli anni ottanta, dopo la stagione della 'Rivoluzione culturale". In quella prima occasione, il 17 giugno 1957, l’Indonesia varcava la cortina di "bambù' e a Pechino perdeva 4 a 3, ma la differenza reti con l'andata premiava giocatori di Giakarta.
L'Ecuador, con qualche anticipo rispetto all'Argentina, è una nazione fatta a pezzi dalla parità peso - dollaro, capace di co
stringere ad emigrare migliaia e migliaia di suoi concittadini, soprattutto verso l'Europa. I sudamericani, dopo aver vinto alle ultime
Olinipiadi il primo oro della loro storia, affrontano ora la sfida mondiale conquistata nelle partite casalinghe in cui il ruolo del dodice
simo uomo lo ha svolto l'altura con i 2800 metri della capitale Quito.
Il Senegal vive una felice stagione democratica, dopo quarant'anni l'opposizione è al governo, compreso il Partito Africano per Demo
crazia e il Socialismo, la forza politica di più sinceri sentimenti progressisti, guidata da Landing Savanè, oggi. ministro delle attività
produttive. Sarebbe certamente contento Sekou Tourè, l'uomo che a ragione e a viva voce ha contestato l'indipendenza conseguita nel 1958 perché non si associava alla dignità, ma perpetuava una sudditanza economica e culturale verso gli ex colonizzatori.
In verità c'è pure una quarta debuttante, la Slovenia, erede assolutamente non esclusiva di uno Stato, la Jugoslavia, che aì tempi di
Tito non era soltanto la più riuscita sintesi di multiculturalità e socialismo, ma anche una delle più fortì formazioni degli. anni '50
e '60, con gli attaccanti lvlitic e Bobek, il portiere Beara, Ciaìkovski, che non solo giocava nella sua squadra e in nazionale,
ma pure in ogni prato dì Belgrado insieme ai ragazzi di tutte le età, Sekuìarac, capace di superare con una serie straordinaria
di finte metà squadra avversaria e poi ancora Gahc, Kostic, Jerkovic e Dzajic e le loro reti.
Ma la passione e le tensione accomuneranno anche ì tanti cittadini delle nazionali più esperte che maggiormente coltivano il sogno
di arrivare alla finale del torneo nippo-coreano. Coloro che seguiranno per radio gli avvenimenti perderanno in immediatezza,
ma guadagneranno certamente in fantasia e immaginazione. Certo qualcuno comunque si dichiarerà contrario al calcio,
si chiamerà fuori, ci ricorderà, ad esempio, che in Italia il peggior Presidente del Consiglio della storia repubblicana, l'attuale,
è anche presidente del Milan, ma alla fìne tra gli abitanti della penisola preverrà il sentimento di sempre., quello pronto ad accender
si per una rete di Vieri e per l'aeroplanino dì Montella.