Francesco Saverio Merlino
giunse a New York probabilmente nell’aprile del
1892, conquistandosi immediatamente fama di
conferenziere e polemista e suscitando differenti
reazioni fra i militanti anarchici americani. Questi
ultimi, rifacendosi alla tradizione protestante e
liberale anglosassone, erano assai diversi dagli
anarchici europei, soprattutto perché, mentre
l’anarchismo europeo era generalmente
socialista/collettivista e classista, essi erano
fondamentalmente individualisti e abbastanza critici
nei confronti di soluzioni che, come accadeva con le
impostazioni socialiste, prevedessero l’abolizione
del mercato. Principale esponente di questa tendenza
era Benjamin Tucker, che pubblicava la rivista
Liberty, vero e proprio foro di questa tradizione
“indigena”. Proprio su questa rivista, nel numero
del 14 maggio ‘92, troviamo una prima reazione
all’attività di Merlino, in un commento piuttosto
acido in cui si registra la comparsa dell’italiano,
“venuto in America ad insegnarci cos’è l’anarchia”.
Già in questa prima scaramuccia emergono i temi che
caratterizzarono il dissidio: da un lato la
discussione sulla posizione dell’anarchismo a fronte
delle differenti istanze dell’individualismo e del
collettivismo, dall’altro il dibattito sulla
funzione del mercato in una società libera.
La settimana successiva Merlino scrisse alla rivista
negando di aver rilasciato dichiarazioni offensive
nei confronti degli individualisti e dichiarandosi
disposto a dibattere meriti e deficienze sia
dell’anarchismo individualista che di quello
socialista, ma nella replica Tucker affermava che,
se un tale dibattito si fosse svolto, avrebbe però
dovuto avere un tema diverso da quello proposto da
Merlino in quanto “poiché io stesso sostengo di
essere un socialista anarchico, il vero nodo del
dilemma non sta nel contrasto tra individualismo e
socialismo, ma piuttosto in quello tra
individualismo e comunismo”.
Tucker riteneva infatti che gli anarco-comunisti
fossero da ritenere dei comunisti rivoluzionari
piuttosto che degli anarchici in senso stretto, e
non a caso questo è il giudizio che Liberty dava
dell’anarchico tedesco Johann Most, emigrato negli
Stati Uniti e lì divenuto molto noto, o di
personaggi importanti a livello internazionale, come
Piotr Kropotkin.
La polemica non tardò a decollare ed ebbe come causa
le critiche che Merlino, scrivendo su Solidarity, il
giornale degli anarco-comunisti, aveva fatto al
Liberty, il quale aveva sostenuto che il sistema
delle lotterie, praticato dall’organizzazione in una
esposizione parigina, era certamente più conveniente
della tassazione obbligatoria. Nel suo intervento
Merlino sosteneva che certo la gente non era stata
obbligata all’acquisto dei biglietti che non
valevano la metà del prezzo pagato, ma altrettanto
certamente era stata spinta a tale acquisto dalla
propaganda ingannevole di una banda di speculatori.
Nel numero di Liberty del 16 luglio ’92, che aveva
due pagine dedicate a Merlino, Tucker replicava
innanzitutto che nell’insieme di quella transazione
era ben difficile identificare la vittima
imbrogliata a cui accennava l’italiano, visto che
tutti -i dirigenti dell’esposizione, i mediatori, i
compratori dei biglietti- sembravano aver ottenuto
una qualche forma di guadagno, ma per Tucker quel
che più contava era il fatto che in tale transazione
non vi fosse stata alcuna forma di coercizione. “Gli
anarchici -scriveva- preferiscono avere la facoltà
di comprare in un libero mercato, anche se hanno la
peggio nello scambio, piuttosto che vedersi
prelevare i soldi dalle tasche a forza”.
Insomma, già da questo primo scambio emergono le
differenze di prospettiva tra i due pensatori:
pragmatica e riformista quella di Tucker, globale e
“rivoluzionaria” quella di Merlino, differenze
ribadite nell’articolo in seconda pagina, anch’esso
scritto da Tucker e intitolato Gli errori di
Merlino. Il primo di tali errori sarebbe,
ovviamente, quello di contrapporre socialismo e
individualismo, termini che, secondo il direttore di
Liberty, non sono antitetici poiché “Il socialismo è
la credenza che il prossimo passo importante nel
progresso starà in un mutamento di carattere
economico nell’ambiente umano, che includerà
l’abolizione di ogni privilegio, per mezzo del quale
il possessore di ricchezza acquisisce il potere
antisociale di ottenere tributo”. Ancora più
chiaramente, Tucker spiega poi di non augurarsi una
soluzione rivoluzionaria perché “La presente forma
della società è perfettamente compatibile con la
realizzazione del socialismo e il nostro compito non
è di costruire nuovi canali sociali, ma di ripulire
i vecchi, di rimuovere la spazzatura e dare libero
sfogo a tutte le attività e di distruggere le
barriere per mezzo delle quali i risultati delle
attività si concentrano invece di disperdersi”.
Dando per buona l’ipotesi di una futura società
libera, organizzata sulla base di gruppi in possesso
dei mezzi di produzione, Tucker contesta quindi la
tesi merliniana della necessità di organizzare
questi gruppi sulla base della solidarietà e non
della libera competizione. Gli argomenti
dell’italiano a favore del collettivismo -la
scarsità e la differenza nelle risorse, l’esistenza
del monopolio naturale su alcune di esse, il fatto
che il mercato, lasciato a se stesso, finisca per
creare dei monopoli- sono spazzati via quasi con
arroganza: “Sia la competizione una benedizione o un
male, sono curioso di sapere come faccia Merlino a
proibirla e nel contempo a definirsi anarchico. A
nessuno gruppo, ci dice, sarà permesso di scambiare
sulla base del principio della competizione o di
comprare lavoro, ma cosa significa? Significa che se
il gruppo A fabbrica cappelli e li scambia con il
gruppo B per un certo numero di cappotti, al gruppo
C non sarà permesso di fabbricare cappelli o di
offrirli al gruppo B per un minor numero di cappotti
e che, se il gruppo C insiste con questa condotta,
sarà immediatamente distrutto. Cosa è tutto ciò se
non “archismo” (cioè l’esatto contrario
dell’anarchismo, n.d.r.)? Qualsiasi sistema sociale
che in nome dell’anarchismo sopprime la libertà di
produrre e di scambiare non solo è una tirannia, ma
è anche un’ipocrisia, un raggiro, una
mistificazione.”
Nei mesi successivi la polemica continuò e Tucker
arrivò a mettere Merlino insieme all’esercito di
“quelli che non sanno pensare” definendolo un
blockhead, che noi potremmo gentilmente tradurre con
“zuccone”.
Questi gli argomenti trattati nella polemica, come
ho detto rappresentativa del dibattito fra
individualisti e comunisti, ma è interessante notare
come, nei decenni successivi, il percorso
intellettuale di Merlino debba forse qualcosa anche
alla polemica con gli americani.
Nel saggio del 1893 in cui Merlino riassume i
termini della polemica, e che di fatto riprende i
principali argomenti da lui svolti, egli insiste
soprattutto sul fatto che “la concorrenza, unendosi
all’ineguaglianza incancellabile di situazioni, di
bisogni e di capacità, mette capo al monopolio e per
ciò stesso cessa di essere libera”. Per l’italiano
“la pretesa di eguagliare le condizioni di partenza
è fondata su un giudizio non realistico sulle reali
condizioni sociali dell’Occidente moderno”, per cui
“il sistema potrebbe funzionare solo nel caso vi
fosse per sempre libero accesso di tutti a tutte le
parti del suolo e che tutti gli individui avessero
la capacità di farlo”. Analizzando la tesi
tuckeriana sul ruolo primario delle associazioni
difensive, con una certa finezza Merlino ne coglie
le possibili derive -derive che oggi definiremmo
anarcocapitaliste-, sino ad anticipare, in negativo
ovviamente, le conclusioni cui pochi anni fa è
giunto il filosofo Robert Nozick. Scrive Merlino:
“Supponendo che vi fossero associazioni da una parte
e dall’altra si avrebbero conflitti di giurisdizione
e lotte armate col risultato solito: la vittoria del
più forte e finalmente la costituzione di un governo
regolare”.
Il ragionamento complessivo di Merlino è insomma
ancora condotto in termini massimalisti, per
l’eguaglianza assoluta, e la contrapposizione con la
posizione gradualista di Tucker -secondo il quale
non solo la società libera non sarà, né dovrebbe
essere, il regno della perfezione ultima ed in essa
potrebbero restare alcuni generi di ineguaglianza,
di differenza, con funzione positiva di stimolo- è
netta ed ancora gira attorno alla nozione utopistica
di “società libera”, quasi accettando i presupposti
etici dell’anarcocomunismo, che pure aveva criticato
nel saggio, sempre del 1893, L’individualisme dans
l’anarchisme.
La critica merliniana dell’individualismo
metodologico si coniuga quindi con una concezione
molto forte della socialità ed in Pro e contro il
socialismo, scritto nel 1898, oltre a reiterare le
usuali critiche basate sulla scarsezza delle risorse
e sulle disuguaglianze oggettive esistenti fra gli
esseri umani, Merlino approfondisce la questione
antropologica di fondo, sostenendo che fra gli
esseri umani esiste un coadattamento e che una
qualche forma di organizzazione statale è necessaria
proprio come antidoto a situazioni quali quelle
sostenute nelle tesi di Tucker. “L’errore degli
anarchici individualisti -scrive- è di credere che
un sistema qualsiasi di convivenza sociale possa
reggersi senza l’organizzazione permanente delle
condizioni fondamentali degli interessi generali, e
che, tra individui che agiscono ciascuno al suo
posto nel proprio interesse, possa stabilirsi e
durare quell’eguaglianza relativa di condizioni che
è il presupposto necessario della loro indipendenza
e dell’equità dei loro rapporti”.
Nel 1920-’23, tuttavia, Merlino scrive Il problema
economico e politico del socialismo, che sarà
pubblicato postumo nel 1948, a cura di Aldo
Venturini. In quel libro, sia pure in un quadro che
riserva un ruolo importante a “un’organizzazione
permanente che gestisca e ridistribuisca quel
corrispettivo -cioè le tasse- che individui e
associazioni debbono, in relazione alle differenti
condizioni obiettive di lavoro”, Merlino insiste
sulla funzione essenziale della concorrenza e sulla
necessità di una libertà economica quasi totale, con
l’eccezione di quei campi dove la concorrenza non
può esercitare un influsso benefico, come a suo
parere sono le ferrovie, le prigioni, eccetera. Gli
esempi che Merlino faceva nel ’93 sono trasportati
integralmente nello scritto del 1920, in cui
addirittura viene conferita funzione di fondamento
alla massima per cui “tanto più sarà rispettata la
libertà dei cambi, tanto più ci avvicineremo
all’equità dei cambi, ossia al prezzo di costo”, che
è una delle credenze più tipiche dell’individualismo
americano, scritta da Josiah Warren, il maestro di
Tucker. La prospettiva, come si vede, è nettamente
cambiata rispetto al ’93 e al ’98 e non a caso
Merlino ritorna al tema delle associazioni con ben
altro spirito rispetto al passato, ponendole al
centro della sua ipotesi di società libera e
descrivendole, ora, in termini palesemente
tuckeriani, ovvero come associazioni non
obbligatorie, che possono moltiplicarsi
all’infinito, regolate internamente dalla libertà di
associarsi e dal diritto di recesso.
Nel Merlino del ‘20-‘23 domina quindi l’idea di una
libera sfera di concorrenza tra lavoro individuale e
lavoro associato ed infatti scrive, facendo propri
gli argomenti che Tucker aveva usato nel ‘93 contro
di lui, che l’ipotesi che tali associazioni
riproducano lo sfruttamento capitalistico, o la
permanente diseguaglianza di condizioni, gli sembra
non probabile perché, in una società così
costituita, i lavoratori troveranno largamente il
mezzo di sottrarsi a qualunque sfruttamento.
L’inedito antiperfezionismo di Merlino e il suo
rifiuto di qualsivoglia ipotesi utopica, che si
riflettono nelle poche frasi citate, danno quindi
vita ad un nuovo pragmatismo, ispirato a una franca
accettazione dei principi del pluralismo e della
libertà di sperimentazione, che, di fatto, riproduce
lo schema d’interazione sociale proposto dagli
individualisti americani. A riprova di questo
inglobamento, quindi di questo cambiamento di
prospettiva, sempre ne Il problema economico Merlino
scriveva: “Sussisteranno bensì ineguaglianza tra i
singoli, tra le associazioni, tra le regioni, non
tutti faranno lo stesso numero di ore di lavoro, non
tutti godranno di eguale agiatezza, non tutti
saranno animati dai migliori sentimenti, non tutti
riusciranno ad elevarsi allo stesso grado di
civiltà, ma questo, più che un difetto, sarà un
pregio del sistema, perché l’individuo sarà spronato
al lavoro socialmente più utile dal desiderio di
appagare sempre maggiori bisogni, avrà con la
libertà la responsabilità della propria condotta,
subirà, cioè, la coazione economica, che è sempre da
preferire alla coazione fisica o legale”.
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