Uno studioso e un amico di Gianpiero Landi
La scomparsa di Pier Carlo Masini, grande storico e fine conoscitore dell'anarchismo e delle correnti laiche e libertarie del socialismo italiano.
L'annuncio della morte di Pier Carlo Masini,
avvenuta per un arresto cardiocircolatorio in una clinica di Firenze nelle
prime ore del lunedì 19 ottobre 1998, produce in me una profonda tristezza e
un senso di rimpianto. Spero che altri, che hanno avuto la fortuna di
essergli più vicini in questi anni e che meglio di me lo hanno conosciuto,
scriveranno di lui in modo adeguato, ricostruendo anche in modo ordinato e
completo la sua biografia.
Da parte mia sento l'esigenza, in questo momento di forte emozione, di
scrivere "a caldo" ciò che Masini ha rappresentato per me, fin dai primi
anni della mia giovanile militanza nel movimento anarchico che si è venuta
col tempo intrecciando sempre più con un forte interesse per i temi e i
problemi della storiografia. Mi rendo conto di fornire di Masini in questo
modo una visione fortemente parziale e soggettiva, al limite addirittura
frammentaria. Ma di fronte a una personalità complessa e poliedrica come la
sua, che ha attraversato la seconda metà di questo secolo lasciando una
forte impronta personale in campi diversi, dalla politica alla storiografia
alla cultura letteraria, forse un approccio parziale e soggettivo è l'unico
possibile in questo momento.
Ho sentito parlare di Masini per la prima volta nel 1971 da Nello Garavini,
un vecchio anarchico di Castel Bolognese ormai da diversi anni scomparso,
che è stato tra coloro che più hanno influenzato la mia formazione, un
Maestro per me nel senso più alto del termine. Mi ero da poco avvicinato al
movimento anarchico, dopo una breve esperienza politica nel movimento
studentesco del 1968 a Faenza, la città dove frequentavo il Liceo, e dopo un
transito di pochi mesi in alcuni gruppi marxisti-leninisti. Insoddisfatto di
quella esperienza, e alla ricerca di qualcosa più rispondente alle mie
ancora confuse aspirazioni libertarie, con qualche amico della mia età avevo
preso contatto con i vecchi anarchici del mio paese, in particolare con
Nello Garavini e sua moglie Emma. Fu Nello a mostrarmi per la prima volta un
libro di Masini e a parlarmi dell'autore: "Questo libro lo ha scritto Masini,
il più intelligente tra i giovani che sono entrati nel movimento anarchico
in Italia subito dopo la seconda guerra mondiale. Quando l'ho sentito
parlare per la prima volta sono rimasto entusiasta e ho riposto in lui tutte
le mie speranze per una ripresa del nostro movimento. Con-tinuando su quella
strada, con la sua cultura e la sua dedizione personale, avrebbe potuto
diventare un nuovo Malatesta. Purtroppo Masini in seguito se n'è andato dal
nostro movimento, anche a seguito di polemiche antipatiche che ha avuto con
alcuni vecchi compagni, ed alla fine è diventato socialdemocratico. Eppure,
anche adesso che non è più dei nostri, svolge per l'anarchismo un'opera più
utile di quella di tutti gli anarchici italiani messi insieme".
Garavini si riferiva ovviamente all'attività storiografica di Masini, che
per tutti i lunghi anni '50 e '60 è rimasto quasi il solo fra gli
intellettuali italiani a difendere con grande capacità e autorevolezza, nel
campo degli studi storici, la dignità dell'anarchismo come movimento sociale
e politico, contro tutti i detrattori e contro tutte le interpretazioni
riduttive e deformanti, sia dei conservatori (liberali o cattolici) sia dei
marxisti che esercitavano all'epoca un'autentica egemonia in vari campi
della cultura. Tra i pochi che da un certo momento in poi lo affiancarono in
questo compito merita di essere ricordato perlomeno il compianto Gino
Cerrito, scomparso ancora più prematuramente di Masini.
Tralascio di citare qui anche solo alcuni degli innumerevoli studi di Masini
di quegli anni, ma vorrei soffermarmi sull'impatto che ebbe, quando uscì, la
sua Storia degli anarchici italiani da Bakunin a Malatesta
(1862-1892) che fu pubblicata dalla Rizzoli nel 1969 e che incontrò subito
un grande successo di critica e di vendite. Pochi mesi dopo scoppiavano le
bombe di Milano e di Roma del dicembre 1969, inizialmente attribuite a
Pietro Valpreda e agli anarchici. Ebbene, è mia convinzione che se fin
dall'inizio una parte dell'opinione pubblica italiana più avvertita restò
scettica rispetto al tentativo del potere di accreditare la tesi
dell'anarchico "bombarolo", e se in seguito crebbe a livello di massa, fino
a diventare senso comune, la convinzione che "Valpreda è innocente. La
strage è di Stato", una parte del merito vada anche al libro di Masini, che
indagando le origini del movimento anarchico ne aveva fornito un'immagine,
proprio in quel periodo e di fronte a un vasto pubblico, che sfatava tanti
pregiudizi e faceva giustizia di tante interessate deformazioni funzionali
al potere.
A distanza di tempo Masini pubblicò altri importanti volumi, tra i quali mi
limito a citare la biografia Cafiero (1974) e la Storia degli
anarchici italiani nell'epoca degli attentati (1981), entrambi
pubblicati dalla Rizzoli.
Fu dunque sotto l'influenza del giudizio di Nello Garavini che mi avvicinai
alle opere di Masini, che divennero un punto di riferimento essenziale per
la mia formazione culturale e politica. Trovai, in quelle opere, una
straordinaria erudizione storica unita a una rara chiarezza espositiva.
Sapeva scrivere bene Masini, e questo mi sembra un merito di non poco conto
tra gli storici italiani, le cui pagine sono spesso pesanti e poco
scorrevoli. E sapeva anche parlare bene, come ebbi occasione di verificare
in seguito, ascoltando i suoi interventi in alcuni Convegni di studi.
Come oratore era anzi decisamente affascinante, e ascoltandolo la prima
volta capii meglio come Garavini (che conoscevo peraltro come un anarchico
abbastanza smaliziato) ne fosse rimasto sedotto. Verificai in seguito che,
del resto, la stessa seduzione Masini aveva operato in modo inaspettato su
altri anarchici, anche tra i più insospettabili (tra i quali Aurelio Chessa,
come mi ha confermato di recente la figlia Fiamma). Non parlo, di proposito,
del sentimento di affetto paterno e di venerazione che nei confronti di
Masini nutriva Aldo Venturini, un altro dei miei Maestri, dato che in questo
caso tra i due esistevano evidenti affinità nelle concezioni politiche
(oltre al ricordo della lunga frequentazione e del lavoro per curare insieme
il libro di Francesco Saverio Merlino Concezione critica del socialismo
libertario, Firenze, La Nuova Italia, 1957).
Mentre dunque, tra gli anarchici italiani, molti in questi anni hanno
guardato con sospetto il "traditore" e il "socialdemocratico" Masini, altri
(sulla cui personale coerenza e intransigenza sul piano dei principi non è
possibile fare illazioni) hanno continuato a considerarlo fino alla fine un
"compagno di strada" e un prezioso collaboratore. Per inciso, vorrei
ricordare che Garavini, con tutta la sua simpatia per Masini, non ritenne di
seguirlo quando quest'ultimo, tra il 1949 e il 1950, lasciò la F.A.I. per
dare vita, insie-me ai compagni della sua tendenza, ai Gruppi Anarchici
d'Azione Proletaria (G.A.A.P.). Per tutta la sua vita Garavini è rimasto
fedele all'anarchismo organizzatore malatestiano abbracciato nella sua
giovinezza e quando è morto era ancora aderente alla F.A.I.
Dai GAAP al PSDI
Diverso, come è noto, è stato invece il percorso di Masini. Alcune sue
scelte politiche restano anche per me incomprensibili e assurde. Arrivo a
comprendere, anche se non a condividere, la sua adesione al P.S.I. verso la
fine degli anni '50, dopo il fallimento dell'esperienza dei G.A.A.P. Ma che
dire della sua confluenza nel Partito Socialdemocratico dopo la scissione
socialista del 1969? Che aveva da spartire, lui così colto, laico e
personal-mente integerrimo, con un partito di intrallazzatori da sempre
ruota di scorta della D.C., che aveva tra i suoi leaders personaggi
screditati come Pietro Longo e Tanassi? La delusione e l'amarezza che Masini
ha provato quando, con le inchieste di Tangentopoli, è stato scoperchiato il
sistema di corruzione e di malaffare in cui erano implicati gli esponenti
dei partiti in cui aveva militato, sono state pesanti. La scomparsa,
nell'ignominia generale, del socialismo italiano lo ha gettato in una
prostrazione profonda da cui non si è mai completamente ripreso, e che forse
ha influito anche sulla sua morte, avvenuta in un'età non propriamente
avanzata (era nato a Cerbaia Val di Pesa, in provincia di Firenze, nel
1923).
Che dire di queste scelte, sul piano politico, del Masini più maturo? Ai
nostri occhi possono apparire degli errori, talvolta sconcertanti se si
tiene conto della sua cultura e intelligenza e del suo assoluto disinteresse
personale (pur essendo per diversi anni Segretario provinciale del P.S.D.I.
a Bergamo, la città dove si era trasferito e dove è stato fino all'età della
pensione Viceprovveditore agli studi, e pur facendo parte del Comitato
Centrale del suo partito, mai ha chiesto o ha accettato di essere inserito
nelle liste elettorali per il Parlamento). Ma tutto sommato questo ha una
limitata importanza. Mi sembra più_ interessante, ora che se n'è andato,
riconoscere retrospettivamente che mai e poi mai, dopo la sua uscita
ufficiale dal movimento anarchico, Masini ha interrotto il legame ideale e
affettivo con la sua giovanile esperienza libertaria. A torto o a ragione
(noi crediamo a torto), egli ha ritenuto di continuare nel P.S.I. e poi nel
P.S.D.I. la stessa battaglia per il socialismo e la libertà iniziata da
giovane nella F.A.I. e poi nei G.A.A.P.
Anche dopo l'abbandono del movimento anarchico, Masini ha sempre difeso la
dignità dell'anarchismo in sede storiografica, e ne ha sempre fornito
un'immagine positiva anche se criticamente problematica. Posso fornire in
proposito una testimonianza personale. Nel 1978 organizzai a Bologna, in
collaborazione con il Centro Studi Libertari - Archivio G. Pinelli di
Milano, una giornata di studi su Armando Borghi a dieci anni dalla morte.
Invitai come relatori diversi militanti e storici, e tra questi anche Masini.
Mi rispose che non sarebbe venuto perché aveva sostenuto in gioventù delle
dure polemiche con Borghi, avrebbe dovuto parlare male di lui, e preferiva
non parlarne affatto. Nel 1988 organizzai un nuovo Convegno di studi su
Borghi, più impegnativo del primo, questa volta a Castel Bolognese per
iniziativa della Biblioteca Libertaria "A. Borghi" (gli Atti sono stati poi
pubblicati in un numero monografico del "Bollettino del Risorgimento" di
Bologna, a. XXXV, 1990). Questa volta Masini accettò il mio invito e venne.
Erano passati altri dieci anni, la situazione si era decantata, i vecchi
rancori si erano sopiti, e lui si sentiva ora in grado di parlare di Borghi
in termini più equilibrati. Nella sua relazione, molto apprezzata, egli
valorizzò quelli che riteneva gli aspetti positivi dell'azione svolta da
Borghi nel movimento anarchico italiano del secondo dopoguerra, senza tacere
i motivi di dissenso e senza rinunciare ad esporre alcune critiche. L'intera
vicenda fu una dimostrazione di sensibilità, correttezza e onestà
intellettuale, e fu per me un motivo per apprezzare ancora di più, anche sul
piano umano, chi me l'aveva fornita.
Con noi, di nuovo
Negli ultimi anni ho avuto occasione di incontrare Masini alcune volte
alle riunioni di redazione della "Rivista Storica dell'Anarchismo", a cui
egli ha dato un contributo fondamentale fin dalla fondazione. Spesso,
purtroppo, non poteva venire alle riunioni, che in genere si tengono a Pisa
due o tre volte all'anno, a causa delle sue condizioni di salute, ma sempre
ci faceva arrivare il suo qualificato contributo in termini di saggi e
recensioni da pubblicare, oppure di suggerimenti e di contributi alla
discussione. Alcuni compagni della redazione della R.S.A. hanno avuto il
privilegio, in questi anni, di essergli vicino più di me, e sarebbe
auspicabile che ne fornissero qualche testimonianza. Sul prossimo numero
della "Rivista Storica dell'Anarchismo" (n. 10, autunno 1998), di imminente
pubblicazione, uscirà un ricordo di Masini curato da Franco Bertolucci, che
probabilmente è, tra di noi, la persona che con Pier Carlo ha avuto il
rapporto più stretto negli ultimi tempi. Da parte mia voglio solo ricordare
qui la telefonata che Pier Carlo ci ha fatto durante l'ultima riunione della
redazione, l'11 ottobre scorso, una settimana prima della morte,
nell'impossibilità di venire di persona in quanto le sue condizioni erano
già gravi. Voleva salutarci e informarsi di come stava andando la riunione,
dopo una telefonata già intercorsa tra lui e Bertolucci la sera precedente.
E' stata la più chiara dimostrazione di quanto ci tenesse alla Rivista e al
rapporto - di lavoro ma direi anche personale e affettivo - con noi della
redazione.
La sua perdita ci lascia addolorati e sgomenti. E' morto un grande storico,
uno studioso di valore, che era anche una brava persona e, per noi, un
amico. Sappiamo, e non è retorica, che nessuno potrà sostituirlo.
Giampiero Landi