L’editrice “Zero in Condotta” di Milano (zeroinc@tin.it)
ha appena pubblicato il volume di Giorgio
Sacchetti, Senza frontiere: pensiero e
azione dell’anarchico Umberto Marzocchi
(1900-1986). Il libro (540 pagine + 16 di
inserto fotografico, € 24,00) è il risultato di
un’opera imponente di ricerca effettuata su
un’ampia gamma di fonti d’archivio e attraverso
la disamina puntuale della ricca letteratura e
pubblicistica novecentesca sull’anarchismo
italiano ed europeo. Introdotto da una
prefazione di Claudio Venza e dotato di
appendice antologica suddivisa per sezioni, il
lavoro si articola in sei capitoli:
Formazione politica di un sovversivo.
La speranza rivoluzionaria (1918-1921);
Il “signor Della Monica”. Esilio e
cospirazione (1922-1936); Dalla Spagna
libertaria al maquis (1936-1945); La
militanza nella FAI (1945-1965);
Sessantotto/Settantasette: un “giovane”
rivoluzionario tra FAI e movimenti; La
Commissione di relazioni dell’Internazionale
anarchica (1968-1986).
Abbiamo rivolto alcune domande all’autore.
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Testimone di eventi epocali
Marzocchi fa parte di quella generazione che
si formò durante il primo conflitto mondiale e fu
testimone di eventi epocali come la Rivoluzione russa,
l’avvento del fascismo e del nazismo, la rivoluzione
spagnola e la seconda guerra mondiale. Quali sono le
caratteristiche principali, umane e politiche, di questa
generazione?
Settant’anni di militanza rivoluzionaria libertaria
nel Novecento – tali sono quelli vissuti da Umberto
Marzocchi – significano aver attraversato il secolo,
“breve” e controverso, nei suoi punti cruciali. Vogliono
dire aver conosciuto da vicino molti degli aspetti
terribili e talune conseguenze totalitarie nello
sviluppo dei miti di classe e nazione. Guerre e
rivoluzioni tradite nella vecchia Europa, ma anche
grandi speranze si sono alternate di volta in volta nel
susseguirsi febbrile delle vicende.
Così, elementi di soggettività e volontarismo hanno
contribuito ad alimentare il fuoco dell’idea socialista
anarchica. Un’idea onnipresente che si è compiutamente
espressa, certo con differente grado di intensità, nei
grandi movimenti di massa e sindacali del Biennio Rosso
italiano, della Spagna rivoluzionaria, del
Sessantotto-Settantasette, ma anche nella cospirazione e
nell’esilio antifascisti, nel difficile impegno di
testimonianza nell’era della guerra fredda.
In un percorso di questo tipo, connotato da
sconvolgimenti e cambi di scenario repentini, da
modifiche culturali e socio-politiche devastanti, rimane
sempre molto difficile individuare un filo conduttore
plausibile. L’insopprimibile anelito verso la libertà,
l’antagonismo al potere oppressivo comunque ed ovunque
esso si manifesti possono da una parte spiegare quel
radicalismo che ciclicamente ritorna nei ranghi dei
movimenti. Ma questa argomentazione da sola non
basterebbe di sicuro a farci capire un fenomeno così
straordinario di longevità.
Una militanza “minoritaria” di lungo corso presuppone
per sua natura, a differenza forse di quella in partiti
politici gerarchizzati di massa, pulsioni movimentiste e
intelligenze creative quasi perennemente attive.
Inoltre, mentalità allergiche agli apparati e allenate a
diffidare di ogni autorità, critiche ma attente al nuovo
che si manifesta nella società, di fatto quindi più
sensibili, sono per natura portate ad esprimere maggiori
capacità nel superare ad esempio le barriere
generazionali.
Intransigenza e rigore si sono allora coniugati con
tolleranza e comprensione. Nel movimento anarchico di
lingua italiana figure di questa specie non sono
mancate, tutti appartenenti alla generazione di
Marzocchi, tutti formatisi alla medesima scuola.
Umberto durante l’attività clandestina in
Francia e in Europa cambiò molte volte residenza e nome
per sfuggire alla polizia fascista. Quale peso ebbe
questa esperienza sulla sua formazione libertaria?
Fu una grande prova. La clandestinità espone a
pericoli di ogni sorta. La Francia dei fuoriusciti e
degli esuli era poi un autentico verminaio, ma anche
l’Italia repubblicana e democratica non sarà da meno. Ho
proprio affrontato questo problema nella biografia di
Umberto. Basandomi su un’attenta disamina delle carte di
polizia, ed evidentemente non solo sul fascicolo del
Casellario politico centrale, ho potuto appurare il
ruolo nefasto e non secondario svolto dalle spie e dagli
informatori nell’ambito del movimento anarchico. Spie e
provocatori infiltrati, la cui identità non sempre è
stata a tutt’oggi svelata, hanno reso amara e difficile
la vita di militanti onesti e coerenti come Marzocchi.
Per quello che riguarda la mia ricerca ho scoperto ad
esempio, attraverso alcuni riscontri su diversi fondi
del ministero dell’interno, che in Francia era ben
presente una categoria di finti antifascisti ricattati
oppure avvezzi a prendere due paghe: una dal Comitato
internazionale di difesa anarchica, l’altra dal console
fascista.
Amico di Berneri
In Spagna Umberto fu uno dei protagonisti
nell’organizzazione dell’intervento degli anarchici
italiani in sostegno della Rivoluzione e fu amico di
Berneri con il quale condivise i momenti più felici e
quelli più difficili, quanto di questa esperienza incise
sulla sua personalità?
L’originale pensiero politico di Camillo Berneri, con
le sue idee di apertura e dialogo verso le forze più
giovani e radicali, risulterà certo molto influente nel
determinare gli orientamenti del movimento anarchico di
lingua italiana e dello stesso Umberto, circa la
delicata questione delle alleanze a sinistra, a partire
dagli anni trenta.
Nel 1935, al convegno d’intesa degli anarchici italiani
emigrati tenutosi a Sartrouville (Parigi), si formalizza
un’autentica svolta, una scelta di campo irreversibile
per quanto riguarda i possibili compagni di strada. In
questa occasione, mentre già da tempo si era delineata
nel movimento la consapevolezza sulla natura effettiva
della Russia sovietica date le notizie sulle repressioni
in atto contro l’opposizione di sinistra, si rafforza
senza meno la constatazione della incompatibilità della
prassi anarchica con il comunismo bolscevico (“Col
partito comunista mai il benché minimo compromesso”).
Nel contempo si prende invece in esame l’eventualità di
una “libera intesa” con: sindacalisti, Giustizia e
Libertà, repubblicani di sinistra, con la dissidenza
socialista e comunista in genere. Sono scelte queste che
comunque rimarranno evidentemente a lungo vigenti. La
Spagna, in tal senso, costituisce il punto di non
ritorno.
Quale ruolo ha avuto il nostro protagonista
nella ricostruzione del movimento anarchico nel Secondo
dopoguerra?
Il passaggio dal protagonismo alla testimonianza non
è certo facile per nessuno. Le vicende tormentate
dell’anarchismo italiano, per i venti anni che seguono
la fine della guerra, si caratterizzano per due episodi
salienti: il contrasto aspro tra la Federazione
Anarchica Italiana (FAI) e i nuovi Gruppi Anarchici di
Azione Proletaria (GAAP) nei primi anni cinquanta; la
scissione infine dalla Federazione, consumatasi nel
1965, dei Gruppi di Iniziativa Anarchica (GIA).
Tra tentativi audaci di rinnovamento culturale e difesa
strenua dell’identità, e dei principi, tra
organizzazione e individualismo, lotta di classe e
aclassismo, il movimento si misura su questioni
strategiche di grande peso il cui esito,
invariabilmente, resta condizionato dal contraddittorio
irrisolto rapporto dialettico con la nuova democrazia
instauratasi dopo il 1945.
L’anarchismo italiano affronta la nascita della
repubblica con un bagaglio teorico limitato. A fronte di
più complesse e rinnovate – sebbene nel segno della
continuità – strutture del potere pubblico e del dominio
sociale, non corrisponde dunque un movimento libertario
altrettanto dinamico e capace di risposte politiche
adeguate.
È la dura realtà dei fatti. La sconfitta subita negli
anni venti e trenta, il ridimensionamento a livello
internazionale, gli esiti infausti della guerra civile
spagnola, chiudono inevitabilmente ogni speranza di
riprendere, senza rinnovarsi, il ciclo virtuoso di
crescita dell’anarchismo del primo novecento dal punto
in cui si era interrotto.
Alla dura repressione fascista, stalinista o a quella
degli stati democratici si dovrà far risalire certo una
parte importante delle cause che hanno determinato
questa crisi. A ciò si deve però aggiungere un ulteriore
elemento: c’è un’inedita composizione di classe che,
manifestatasi su larga scala tra le due guerre mondiali,
stravolge in toto memoria e identità delle antiche
organizzazioni del movimento operaio.
L’antifascismo, costituito in forza collettiva e
convertito in sistema di governo, è ora elemento di
ricomposizione tra “politico” e “statale”. Il
partigianato, sebbene istituzionalmente “legittimato”, è
oggetto di inediti intrecci tra Stati, ideologie e
movimenti. Da “il proletariato non ha patria” alla nuova
parola d’ordine “la patria del proletariato è l’Unione
Sovietica” il passo è breve. Il dato di fatto più
rilevante è che il PCI, complice lo sviluppo dei partiti
di massa e grazie all’ambivalente strategia
togliattiana, raccoglie a sinistra tutta l’eredità del
sovversivismo popolare.
E il resto dell’opera di ridimensionamento (vale anche
per l’ala più radicale dell’azionismo) viene compiuto
con lo scatenarsi della guerra fredda.
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Cagli, Allegoria della Tirannide, 1940
Su posizioni “movimentiste”
Negli anni Cinquanta l’anarchismo attraversa
un periodo difficile e con forti lacerazioni interne
(es. la nascita dei GAAP, Gruppi anarchici d’azione
proletaria), quale posizione politica mantenne Umberto?
Umberto si mantiene su posizioni “movimentiste”,
aperte al dialogo ma sostanzialmente diffidenti su
possibili rinnovamenti troppo radicali nei connotati
storici dell’anarchismo.
Ad esempio il congresso FAI di Civitavecchia del 1953
vota risoluzioni su: basi fondamentali dell’anarchismo;
lotte operaie; comitato pro-vittime politiche; stampa;
antimilitarismo.
In particolare, sul primo punto, si approva una mozione
tendente a sottolineare la concezione “rivoluzionaria
e educativa insieme” dell’anarchismo, il rifiuto
delle teorie individualiste come della lotta di classe,
la negazione di ogni revisionismo; ciò nel continuo
richiamo alle origini e “allo spirito che animò il
congresso di Saint-Imier (1872)”.
È questo l’atto di nascita della “FAI-Movimento”,
costruzione di Armando Borghi, aggregazione “aperta”
nella quale convivono anime troppo differenti fra di
loro. In tema di strategie per la lotta sindacale poi si
assiste contemporaneamente alla revisione totale dei
deliberati del 1945 per quanto riguarda l’attività
interna alle confederazioni.
Uno dei principali compiti che Umberto portò
avanti dalla fine della guerra alla sua morte fu il suo
impegno per il sostegno e la solidarietà internazionale
ai compagni spagnoli, quale ruolo ebbe nella rinascita
del movimento libertario spagnolo e nella costituzione
dell’IFA?
L’IFA è una creatura di Marzocchi. Già al convegno
parigino del 1935 lui proponeva la formazione di un
coordinamento propedeutico alla fondazione di una vera e
propria Internazionale Anarchica.
Il progetto diventerà realtà grazie alla sua passione e
all’impegno incessante profuso nel mantenimento di
contatti anche in paesi sotto le dittature fasciste e
comuniste. All’età di 77 anni fu arrestato durante una
riunione clandestina della FA Iberica in Spagna!!!
Con l’esplosione della contestazione
studentesca e giovanile del ’68 Umberto fu uno dei pochi
militanti della “vecchia generazione” che cercò un
dialogo e un confronto con i leader dei nuovi movimenti
(es. Daniel Cohn-Bendit al Congresso Internazionale del
1968 a Carrara).
Quale fu il suo apporto al dibattito sulla stagione dei
nuovi movimenti e sulle nuove forme della contestazione
e quale il rapporto con quello che all’epoca fu definito
“neoanarchismo”?
La sua capacità di dialogo, fino al limite
dell’impossibile direi, discende da una qualità
personale che gli viene riconosciuta anche nelle carte
di polizia: “il soggetto ha un’intelligenza
svegliata”... Per i superstiti di quella che era
una gloriosa componente del movimento operaio, misurarsi
su altre dimensioni deve aver comportato sforzi
immani...
Ma ne valeva la pena e per questo si deve dire grazie a
Umberto, per averci fatto scuola.
Giorgio Sacchetti (1951) – dottore
di ricerca in Storia del movimento sindacale.
Comitati scientifici / redazione: “Rivista Storica
dell’Anarchismo” (Pisa); Archivio famiglia Berneri
A. Chessa (Biblioteca Panizzi, Comune di Reggio
Emilia); Dizionario biografico degli anarchici
italiani (MIUR, cofin 2000, coord. G. Berti,
edizioni BFS 2003-’04).
Fra gli ultimi libri pubblicati: Congressi e
convegni della Federazione Anarchica Italiana. Atti
e documenti (1944-1995), a cura di U. Fedeli e
G. Sacchetti, 2a ed. CSL “C. Di Sciullo”, 2003;
Sovversivi agli atti. Gli anarchici nelle carte del
Ministero dell’interno, La Fiaccola, 2002;
Ligniti per la Patria. Le relazioni sindacali nelle
miniere del Valdarno superiore (1915-1958),
Ediesse, 2002.
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