LA SCUOLA NECESSARIA
di Stefano Lonzar
Viviamo una fase ricca di implicazioni che potrebbero avere derive pericolose
maanche aprire prospettive interessanti, nelle quali è necessario che i docenti
si inseriscano, per dire la loro con piena consapevolezza, autonomia e
soggettività. E’ sotto gli occhi di tutti come in questi mesi si stia decidendo
il futuro della scuola e con esso quello di centinaia di migliaia di insegnanti;
un futuro deciso, come al solito da una ristretta cerchia di forze,
rappresentative grazie anche al disinteresse mostrato a lungo da gran parte
della categoria docente nei confronti delle proprie condizioni di lavoro.
Potremmo definirlo un vero e proprio letargo dal quale i docenti si sono
bruscamente risvegliati solo a ridosso del fatidico “concorsone”, dando vita
alla grande manifestazione nazionale del 17 febbraio 2000; a tale proposito
credo giusto fare chiarezza e trarre le giuste valutazioni da quest’ultima
esperienza per ribadire la validità dei motivi che l’hanno promossa, ma anche
per riconoscere un dato di fondo ormai evidente: lo scollamento tra la figura
docente e gli altri settori della società, che ha portato buona parte
dell’opinione pubblica ad interpretare la nostra lotta come un rifiuto
d’assunzione di responsabilità o peggio ancora, come paura di essere valutati. A
dire il vero tale lettura è stata favorita anche da numerosi interventi di
intellettuali che si sono sentiti in dovere di esprimere un loro giudizio sul
mondo della scuola.Credo che tale situazione ci debba far riflettere e capire
come non sia assolutamente accettabile l’atteggiamento di pedissequa
accettazione di ciò che viene calato dall’alto delle istituzioni scolastiche, né
tanto meno sia vincente assumere un atteggiamento di completa chiusura e rifiuto
della realtà. Come spesso accade entrambi le posizioni, pur essendo opposte,
produrrebbero gli stessi effetti negativi: infatti, non farebbero altro che
espropriarci delle nostre possibilità d’intervento, l’unica nostra vera
ricchezza e patrimonio; ci relegherebbero in una posizione defilata, ai margini
del dibattito, caratterizzata da un atteggiamento anacronistico e sterilmente
autoreferenziale, quando, invece, credo che uno degli obiettivi principali della
categoria docente sia quello di riacquistare le proprie capacità comunicative,
di recuperare la capacità di parlare e interagire, in primo luogo con gli
studenti, e poi con una società sempre più complessa. Inoltre entrambe le
posizioni ci allontanerebbero dalle reali esigenze dei docenti che, sono sicuro,
vogliono, anche se in maniera ancora frammentata e confusa, essere tra i
protagonisti del mutamento della scuola italiana e non i terminali passivi di un
progetto, per il quale si richiede loro di mutare improvvisamente pelle, senza
però proporre degli obiettivi chiari che non siano le parole d’ordine
dell’autonomia scolastica, della flessibilità, tanto evocative quanto poco
chiare nelle loro implicazioni. altro canto tali posizioni contrastanti fanno
soprattutto comodo alla controparte. La scuola non può essere il campo
d’applicazione di una cultura manageriale, nello stesso tempo, però ha bisogno
di modificazioni strutturali importanti, in cui gli insegnanti debbono essere
soggetto attivo. Come? Dotandosi in primo luogo di uno strumento autonomo di
riflessione all’interno del quale possano elaborare il proprio codice
deontologico professionale, possano predisporre degli strumenti utili per la
propria formazione e l’autoaggiornamento, possano avviare una riflessione
necessaria e di estrema attualità sugli aspetti metodologici e tecnici relativi
alla propria professione. Un luogo di dibattito, fisico e mentale, nel quale
confrontarsi su questioni di didattica e pedagogia, per rifiutare il modello
imperante di “insegnante burocrate”, sempre meno educatore, mediatore, stimolo e
punto di riferimento, impegnato com’è a compilare moduli, verbali, schede e per
riappropriarsi, invece, degli elementi fondamentali dell’insegnamento: il
coraggio della sperimentazione e il piacere della creatività. Una struttura
nella quale i docenti possano finalmente produrre dei validi parametri
d’idoneità alla professione d’insegnante e di valutazione della propria
professionalità; non sarò certo io, infatti, per un malinteso spirito di
appartenenza, ad affermare che tutti gli insegnanti svolgano il loro compito
nello stesso modo; so che esistono insegnanti più capaci, altri meno, ed altri
ancora completamente disinteressati alla loro professione. Insomma, senza tanti
giri di parole e senza la paura di essere tacciato di corporativismo, ritengo
che sia giunto il momento di porre sul tavolo del dibattito la questione
dell’Ordine degli Insegnanti. Un organismo indispensabile, di cui lamentano
l’assenza gran parte dei docenti italiani e il cui riconoscimento sancirebbe
definitivamente la centralità e l’atipicità del ruolo e della funzione docente,
favorendone la rivalutazione dal punto di vista normativo, salariale e sociale,
oltre che la sua ricomposizione ugualitaria, spingendo nei fatti in direzione
del tanto auspicato ruolo unico docente. Una novità necessaria, anche perché in
sua assenza gli insegnanti continueranno ad essere giudicati dai presidi, dagli
ispettori del Ministero, dagli psicologi di turno (idea assolutamente
improponibile per altre categorie professionali). Questo obiettivo fondamentale
è centrale se si vuole che gli insegnanti siano il principale motore del
cambiamento della scuola, cercando così di mutarne le condizioni generali, di
ridefinirne l’organizzazione complessiva in maniera più libera dai vincoli
tradizionali, di sburocratizzarne l’essenza, per poter affermare sulle macerie
dell’istruzione tradizionale un’idea di scuola nuova, intesa come organizzazione
esplicita del lavoro didattico, luogo dell’apertura, dell’integrazione e
rielaborazione culturale, come campo d’esperienza. Contemporaneamente però
l’obiettivo di conseguire l’istituzione dell’Ordine dei docenti non deve
spingere gli insegnanti nelle secche di limitati orizzonti di categoria: sarà
forse l’attuale stato di crisi che i docenti vivono, il senso di disorientamento
etico e professionale, la sempre più evidente messa in questione del proprio
ruolo sociale, ma spesso, anche tra i docenti più impegnati, si sentono
rifiorire proposte pedagogiche e didattiche superate, se non addirittura
impossibili “ritorni al passato”, posizioni di chiusura e contrapposizione nei
confronti dei discenti (riscontrabili soprattutto negli istituti superiori), a
volte, vere e proprie demonizzazioni di alcune pratiche didattiche quali
l’insegnamento modulare, la programmazione, lo studio dei linguaggi comunicativi
non tradizionali… come se esistessero discipline o chiavi di interpretazione
superiori ad altre. A mio avviso tale pericolo può essere scongiurato solo se si
coniugheranno due obiettivi distinti ma complementari: da una parte il recupero
della centralità del ruolo e della funzione docente attraverso un adeguamento
stipendiale dignitoso per tutti, la dotazione di strumenti di autocoscienza e
autogoverno quale l’Ordine degli Insegnanti e lo sviluppo del sindacalismo di
base. Dall’altra un’idea di scuola nuova, perché la società sta mutando e con
essa le strutture mentali, la sensibilità di tutti e in particolare dei giovani,
per i quali è meglio vivere le esperienze piuttosto che raccontarle e tradurle
in strutture discorsive, quindi andare a scuola equivale ad una finzione, se non
una penitenza, finita la quale si può tornare alla realtà autentica fatta di
emozioni totali, più coinvolgenti e profonde come la musica, il teatro, il
volontariato. Ecco quindi la necessità di una scuola non più fondata sulla sua
separatezza dal mondo esterno, non più determinata soltanto dai contenuti e
dalle discipline, ma intesa come modello di formazione incentrato sulle capacità
relazionali e le conoscenze transdisciplinari, come luogo di rielaborazione dei
saperi esterni e non della loro semplice trasmissione; una scuola che, in primo
luogo, si ponga, come ha detto in una recente intervista il professor Riccardo
Massa: “la questione di quale rapporto intercorre tra il sapere e l’esperienza
dei ragazzi, per stabilire la relazione tra il contenuto e il fruitore di tale
contenuto e all’interno di esso recuperare la relazione come insegnante”.