Lettura di Proudhon
di Mirko Roberti
Il pensiero proudhoniano è stato oggetto di molteplici
interpretazioni, le più diverse, le più disparate. Stroncato dai marxisti
come piccolo-borghese, salutato dalla destra francese come teorico
dell'autorità familiare, riconosciuto dai "socialisti liberali" come loro
precursore, identificato dal sindacalismo rivoluzionario come nume tutelare
e intellettuale di Sorel, riscoperto dal socialismo consiliare come
iniziatore dell'autogestione operaia, infine, criticato, discusso e
rispettato come uno dei fondatori del pensiero anarchico.
Alla radice di questa varietà interpretativa vi è il pensiero stesso di
Proudhon, continuamente contraddittorio, dispersivo, costruito più per
spunti ed intuizioni, che per schemi. La matrice di questa contraddittorietà
è data dall'uso assolutamente originale del metodo dialettico: a differenza
di Marx ed Hegel che definiscono la realtà nella forma triadica di una tesi
e di una antitesi che si risolve sempre in una sintesi superiore, Proudhon
afferma che le opposizioni e le antinomie sono la struttura stessa del
"sociale", e che il problema non sta nel risolverle in una sintesi che
finirebbe per irrigidire la realtà, ma nel trovare e nel costruire un
equilibrio funzionale capace di far convivere più tendenze di per sé
contraddittorie.
Le opposizioni tra ordine stabilito e progresso, tra proprietà privata e
proprietà collettiva, tra socializzazione e individualismo, fanno tutte
parte del tessuto della vita sociale. I contenuti specifici della sua
dottrina, privilegiando di volta in volta aspetti diversi della molteplicità
socio-economica, possono definire Proudhon come teorico ora all'una ora
all'altra tendenza, rendendo praticamente impossibile una "lettura
anarchica" del suo pensiero. Quest'ultimo, inoltre, ha subito un'evoluzione
continua caratterizzata da alcune fasi più inclini al democraticismo
rivoluzionario o al riformismo che all'anarchismo.
Tuttavia vi è nell'opera complessiva di Proudhon un metodo d'indagine e di
analisi, un modo di accostarsi e di interpretare la realtà sociale
ampiamente libertario; metodo che porta alla duplice costituzione teorica di
due fondamenti principali del pensiero anarchico: il pluralismo e
l'autogestione. Essi costituiscono non solo una caratteristica propria
dell'anarchismo storico ma anche dell'anarchismo contemporaneo,
permettendoci una doppia giustificazione di una "lettura anarchica" di
Proudhon: allo stesso tempo ideologica ed attuale.
Natura del potere e dello sfruttamento
La critica proudhoniana allo Stato, ma più in generale a qualsiasi struttura
autoritaria e verticistica, è analoga alla critica dello sfruttamento
economico. Proudhon parte dal concetto sociologico che la società, sia sul
piano economico come quello politico, esprime una identica "forza
collettiva" che non è la semplice risultante delle forze individuali
associate: a partire dal momento in cui queste si associano, si sviluppa un
sovrappiù di energia che non è l'opera di alcuna di esse in proprio, bensì
della loro "associazione".
Questa energia o "forza collettiva" espressa principalmente dalle classi
lavoratrici, porta alla duplice costituzione del potere economico e
politico. Le classi dominanti utilizzando a proprio vantaggio questa
energia, trasformano a questo punto "la forza collettiva in forza
coercitiva" sulla base di due istituti principali: il monopolio economico e
il monopolio politico, il capitalismo e lo Stato. Quest'ultimo "è per sua
natura controrivoluzionario: o resiste, o opprime, o corrompe, o infierisce.
Il governo non sa, non può, non vorrà mai essere nient'altro". Tutte le
dottrine politiche che tendono a giustificarlo teorizzano così, sulla base
del loro "integralismo" e della loro "unidimensionalità", l'alienazione
permanente del "sociale" verso il "politico". Esso diventa in questo modo
una simbologia astratta e distorta della ricchezza della vita sociale...".
Poiché la centralizzazione (politica) è per sua natura espansiva ed
invadente, le funzioni dello Stato crescono continuamente a spese
dell'iniziativa individuale, comunale e sociale".
Anche lo sfruttamento economico si sviluppa sullo stesso meccanismo
appropriatore di energia o "forza collettiva". Un esempio ci è dato ancora
da Proudhon" Il capitalista, si dice, ha pagato le giornate degli
operai; per essere esatti, bisogna dire che il capitalista ha pagato, ogni
giorno, una giornata a quanti operai ha impiegato, ciò che non è
affatto la stessa cosa. Perché questa forza immensa che risulta dall'unione
e dall'armonia dei lavoratori, dalla convergenza e dalla simultaneità dei
loro sforzi, egli non l'ha pagata per niente. Duecento granatieri hanno
alzato sulla sua base in qualche ora l'obelisco di Luxor; si suppone che un
sol uomo, in duecento giorni, ne sarebbe venuto a capo? Tuttavia, per il
conto del capitalista, la somma dei salari sarebbe stata la stessa".
La sociologia economica proudhoniana identificando la stessa causa per lo
sfruttamento economico come per il potere politico, ci permette di delineare
un punto centrale della sua critica inerente: sfruttare e governare sono
la stessa cosa.
Federalismo pluralista
Abbiamo detto all'inizio di queste note che la dialettica proudhoniana non
risolve in una sintesi superiore le opposizioni della vita socio-economica.
Tale impostazione che vede nella continua contraddizione delle antinomie la
struttura stessa del "sociale", porta Proudhon a formulare la sua dottrina
del federalismo pluralista. Quest'ultima è considerata da Proudhon l'unica
concezione "realista" perché, a suo parere, le contraddizioni, costituendo
la linfa vitale della società sono di per se stesse, costituzionalmente,
insopprimibili.
È questo forse l'aspetto più interessante ma anche più debole della sua
teoria. Da una parte vi è la polemica brillante e pungente contro tutte le
dottrine staliniste, uniciste, assolutiste, perché considerate o utopistiche
o reazionarie; dall'altra vi sono però le conseguenze implicite di tale
metodologia: una serie di specifici contenuti teorici che porteranno
Proudhon su posizioni a volte riformiste, a volte "piccolo-borghesi". In
altri termini, Proudhon, per sorreggere un disegno fondamentalmente
libertario ed egualitario (il federalismo pluralista), ha concepito
l'economia mutualistica come la sola in grado di rendere operante tale
impianto strutturale.
E l'economia mutualistica porterà Proudhon a difendere, in campo economico,
la teoria della creazione del valore attraverso lo scambio, mediante il
lavoro in esso impiegato, attirandosi le critiche ferocissime di Marx, il
quale asseriva che una simile teoria era tipica di un economista
"piccolo-borghese", simpatizzante col bottegaio e l'artigiano che commercia
nei propri prodotti.
Ma soprattutto la sua concezione lo porterà a teorizzare il meccanismo
stesso della rigenerazione permanente della disuguaglianza. Infatti se il
salario-valore dipende dalla quantità di lavoro prodotto, lo scambio non
avviene secondo i bisogni, bensì secondo l'eguaglianza dei valori. Proudhon
in questo modo finiva col difendere l'economia monetaria e la piccola
proprietà: difendendo l'autonomia e la creatività dei lavoratori ne esaltava
contemporaneamente le diverse capacità: il suo modo di produzione doveva
servire proprio a liberarle dal peso opprimente e parassitario dello Stato e
del monopolio economico.
A questo punto però bisogna correggere il tiro. Se il contenuto specifico
del federalismo pluralista è l'economia mutualista, criticabile e
discutibile, rimane pur sempre l'intero impianto strutturale applicabile
indifferentemente ad economie diverse (Bakunin e Kropotkin lo applicheranno
rispettivamente al collettivismo e al comunismo). Questo perché il
federalismo rappresenta un metodo più che una precisa affermazione
teorica, la sua funzione è più regolativa che costitutiva
all'interno dei rapporti socio-economici. Esso serve a garantire con la sua
dimensione pluralista l'eguale possibilità di espressione di ogni gruppo
sociale ed economico, in armonia con le proprie esigenze geografiche e le
proprie tradizioni storiche.
Il pluralismo federalista non essendo costitutivo ma regolativo,
rispetto al quadro socio-economico, non assolve nessun compito
pianificatore; la sua è una funzione di equilibrio permanente delle parti,
quest'ultime costituite secondo gli interessi più diversi: da quelli
economici a quelli culturali, da quelli sociali a quelli artistici e
ricreativi, ecc. I rapporti tra le parti essendo basati su "liberi
contratti" sempre rivedibili e modificabili rappresentano la dimensione
dinamica della società che da governata diventa autogestita. Imprimendosi
una propria direzione la società passa dalla fase "politica alla fase
economica", dove lo sviluppo è inerente alle proprie esigenze reali di base,
dove, infine, il movimento socio-economico espresso da tale sviluppo
liberando la "forza collettiva" rimette in circolo permanente un dinamismo
sociale prima sconosciuto. La funzione di tale dinamismo coincide con quella
della libertà: "l'essere collettivo" è dinamico perché è libero, è libero
perché è dinamico. Ma se la libertà è riconducibile ad un principio di
equilibrio dinamico tra le parti, espressione della "ragione collettiva", o
"Giustizia", essa è nello stesso tempo individuale e collettiva, economica e
sociale, pubblica e privata, culturale ed artistica, etnica e religiosa,
ecc. La società pluralista procedendo "alla riforma sociale attraverso lo
sterminio del potere e della politica" si configura in una struttura "dove
il centro politico è ovunque, la circonferenza in nessun punto". Essa ci
porta alle soglie della società autogestita.
Autogestione come teoria e pratica rivoluzionaria
Abbiamo visto, nel linguaggio proudhoniano, una continua contrapposizione
tra il significato attribuito al termine "politico" e quello attribuito al
termine "economico". Solitamente, con il primo, viene rappresentata la
dimensione del potere, con il secondo quella della libertà e della
spontaneità. Una teoria e una pratica rivoluzionaria è tale nella misura in
cui affonda le proprie ragioni e i propri scopi in una dimensione libera e
spontanea dell'agire, cioè all'interno di una teoria e di una pratica
"economica". Inoltre i componenti della società economica sono i lavoratori,
quelli della società politica i dominatori. E dal momento che le classi
dominanti sono antitetiche a quelle lavoratrici, anche la società politica è
antitetica a quella economica.
Se dunque l'unica rivoluzione possibile è quella economica, essa lo è,
ancora una volta, nella misura in cui gli sfruttati, appropriandosi dei
mezzi di produzione attraverso le molteplici organizzazioni professionali,
iniziano e sviluppano una vita economica al di fuori di quella politica,
gestiscono e praticano rapporti liberi e diretti senza alcuna mediazione. In
questo modo essi praticano una lotta sociale ed economica che è più
ricca e complessa della lotta di classe di stampo marxista. Quest'ultima è
allo stesso tempo "riduttiva e reazionaria". Riduttiva perché individua un
"punto della realtà socio-economica" (anche se estremamente importante),
reazionaria perché i suoi scopi espliciti ed operativi si articolano nella
dimensione politica, cioè in quella del potere.
L'autogestione proudhoniana riconosce la lotta di classe ma pratica la lotta
economica, investendo e partecipando classi economico-sociali diverse purché
non dominanti. Essa si pone contemporaneamente contro lo Stato e il
capitalismo: la rivoluzione economica proudhoniana diventerà, nel linguaggio
bakuninista e internazionalista, rivoluzione sociale; sterminio dei sinonimi
Stato-politica-potere, essa assumerà nella futura Prima Internazionale, la
bandiera della rigenerazione sociale "l'emancipazione dei lavoratori deve
essere opera dei lavoratori stessi".
L'autogestione proudhoniana identificando in ogni centro economico e sociale
la capacità di propulsione e di iniziativa, riconoscendo la possibilità di
una libera composizione e ricomposizione dei nuclei sociali, economici,
produttivi e professionali (ad esclusione della famiglia, sulla quale
Proudhon assume contraddittoriamente una posizione conservatrice), pone le
basi sicure di una società libera ed egualitaria.
Mirko Roberti
Pierre Joseph Proudhon nacque a Besançon il 15 gennaio
1809. Figlio di proletari, frequentò le scuole fino al liceo grazie
ad una borsa di studio. In seguito si dedicò al mestiere di
tipografo. Il suo primo libro di notevole importanza fu "Che cos'è
la proprietà" (1840-1841). Nel 1843 pubblicò "Della creazione
dell'ordine nell'umanità" e nel 1846 "Sistema delle contraddizioni
economiche - Filosofia della miseria". Marx, che pur da Proudhon
aveva attinto gran parte delle sue idee socialiste rispose con una
violenta replica ("Miseria della filosofia") che voleva essere una
stroncatura di Proudhon. La rivoluzione del 1848 lo vide partecipare
come deputato all'Assemblea Costituente e come animatore del
giornale "Il rappresentante del popolo" da lui fondato. Dopo
l'elezione di Luigi Napoleone fu arrestato e scontò 3 anni di
carcere. Successivamente riparò in Belgio dove gli venne inflitta
un'altra condanna, poi graziata. Nel 1861 rientrò a Parigi dove
terminò la sua esistenza negli studi il 19 gennaio 1865. Altre sue
opere sono: "Idea generale della rivoluzione nel XIX secolo", "Le
confessioni di un rivoluzionario", "La giustizia nella Rivoluzione e
nella Chiesa", "Nuovi principi di filosofia pratica", "Il principio
federativo", "La capacità politica delle classi operaie", "Teoria
della proprietà", ecc. Proudhon, snobbato da tutta la cultura marxista che, fedele alla "stroncatura" del suo maestro, lo considera un "piccolo borghese", è soggetto da qualche tempo ad una rivalutazione da parte di sociologi ed economisti. A livello di aneddoto, Proudhon è noto per aver coniato la frase "la proprietà è un furto" e per aver introdotto il termine "anarchia" in senso positivo. |
La giustizia come equilibrio sociale Quante volte mi sono sentito rivolgere questo complimento, che la
critica gelosa si affretterebbe, per l'onore dell'epoca, a ritirare,
se ne comprendesse la portata: voi siete un ammirevole distruttore,
ma voi non costruite nulla. Voi gettate le persone sulla strada, e
non offrite loro il minimo riparo. Che cosa mettete al posto della
religione? Che cosa mettete al posto del governo? Che cosa mettete
al posto della proprietà? E ora mi si dice: Che cosa mettete al
posto di questa ragione individuale, di cui siete giunto, per
sostenere le vostre tesi, a negare la sufficienza? (...) P. J. Proudhon |
Autorità e Libertà Abbiamo visto i due principi fondamentali e antitetici di ogni
governo: Autorità e Libertà. P. J. Proudhon |
Federalismo Il contratto politico non acquista tutta la sua dignità e
moralità se non a condizione: 1) d'essere sinallagmatico (=
bilaterale) e comunicativo; 2) d'essere
circoscritto, riguardo al suo oggetto, entro certi limiti; due
condizioni che si presuppongono esistenti sotto il regime
democratico, ma che anche in esso troppo sovente non sono che una
finzione. Possiamo forse dire che in una democrazia rappresentativa
e centralizzatrice, in una monarchia costituzionale e censiataria, e
tanto meno poi in una repubblica comunistica sul tipo di Platone, il
contratto politico che lega il cittadino allo Stato sia perfetto e
reciproco? Possiamo forse dire che questo contratto, che toglie ai
cittadini la metà o i due terzi della loro sovranità ed il quarto
del loro prodotto, sia circoscritto entro giusti limiti? Sarebbe più
esatto dire, come l'esperienza troppo spesso ci insegna, che il
contratto, in tutti questi sistemi è esorbitante, oneroso:
essendo, per una parte più o meno considerevole dei cittadini, un
impegno senza giusta contropartita; e anche aleatorio:
poiché il vantaggio promesso in cambio, già insufficiente, non è
neppur sicuro. P. J. Proudhon
P. J. Proudhon |
L'istruzione integrale La prima parte della nostra proposizione è dunque stabilita:
L'idea, con le sue categorie, nasce dall'azione; in altri
termini, l'industria è madre della filosofia e delle scienze. P. J. Proudhon |
Il comunismo di Stato Il sistema del Lussemburgo - lo stesso in sostanza di quello di
Cabet, di Owen, di Campanella, delle sette cristiane, di Platone,
ecc. - sistema comunista, dittatoriale, autoritario parte dal
principio che l'individuo è essenzialmente subordinato alla
collettività, e che da essa sola deriva il suo diritto e la sua
vita. Il cittadino - secondo questo sistema - appartiene allo Stato
come il fanciullo alla famiglia; è nella sua mano, nel suo
possesso egli deve in tutto obbedienza e sottomissione. P. J. Proudhon |
Lo Stato Dunque la teoria dell'instabilità politica e per conseguenza
quella necessità politica o ragion di Stato, che ha ispirato tutti i
legislatori, i filosofi, gli uomini di Stato e che governa ancora
oggi le società, questa teoria è tre volte falsa: è falsa nel suo
dato metafisico, in quanto suppone una causa, e, pertanto, uno stato
di sovversione necessario; è falsa nella sua nozione
dell'ineguaglianza, di cui fa nel contempo una legge di natura e una
legge sociale, il che vuol dire una legge di diritto; è falsa,
infine, nelle conseguenze che trae dal fatto osservato, che
sarebbero: da un lato, che i sudditi dello Stato possano nutrire il
pensiero di ribellarsi contro una legge naturale e sociale in modo
da compromettere la stabilità del governo, dall'altro, che
l'instabilità dello Stato è eterna al pari della sua causa, mentre
in verità essa è solo temporanea. P. J. Proudhon |
Il mutualismo Da quanto abbiamo riferito risulta chiaramente che l'idea
mutualista è penetrata nelle classi operaie in una maniera nuova e
originale: esse se la sono appropriata, l'hanno più o meno
approfondita, l'applicano con discernimento, ne prevedono lo
sviluppo. L'idea mutualista è divenuta la loro fede, la loro
religione nuova: non vi è niente di più genuino di questo movimento,
ancora debole, ma destinato ad assorbire non una nobiltà composta di
qualche centinaio di migliaia di anime, ma una borghesia che si
conta a milioni, e a rigenerare così l'intera società cristiana. P. J. Proudhon |
La proprietà è un furto Se dovessi rispondere alla seguente domanda: Che cos'è la
schiavitù? e rispondessi con una sola parola: È un
assassinio, il mio pensiero sarebbe subito compreso. Non avrei
bisogno d'un lungo discorso per dimostrare che il potere di privare
l'uomo del pensiero, della volontà, della personalità, è un potere
di vita e di morte, e che rendere schiavo un uomo significa
assassinarlo. Perché dunque a quest'altra domanda: Che cos'è la
proprietà? non posso rispondere allo stesso modo: È un
furto senza avere la certezza di non essere compreso, benché
questa seconda proposizione non sia che una trasformazione della
prima? P. J. Proudhon |