Lettura di Malatesta
di M. Roberti
Malatesta
L'azione e il pensiero di Errico Malatesta, la sua opera di instancabile
rivoluzionario partecipe per sessant'anni allo sviluppo storico
dell'anarchismo, non sono ancora oggi conosciuti e studiati in modo
approfondito e sistematico. Un tale studio implica necessariamente una
ricerca storica che abbracci oltre mezzo secolo di attività rivoluzionaria
internazionale. Inoltre, per avere una visione di insieme, si dovrebbe
rapportare tale attività nel contesto più ampio e sfumato delle lotte
sociali e progressiste del tempo. Perché Malatesta fu di queste lotte uno
dei massimi protagonisti, sia per l'attività prodigiosa che seppe profondere
in tali lotte, sia perché di queste lotte, egli fu a volte l'ispiratore e da
esse seppe trarre un'esperienza ricchissima di cui i suoi innumerevoli
scritti sono testimonianza teorica di altissimo valore. Infatti tutta la sua
produzione teorica non è mai stata disgiunta dal rapporto diretto con
l'esperienza concreta, tanto che essa si presenta proprio come una continua
riflessione sul processo reale e storico dell'anarchismo.
In Malatesta teoria e pratica sono tutt'uno: l'una è il riflesso dell'altra
e viceversa. In tutto l'arco della sua attività rivoluzionaria egli mantenne
in un raro equilibrio queste due componenti, fino a farne, come abbiamo
detto, una cosa sola. Malatesta inoltre essendo stato partecipe alla
fondazione "ufficiale" del movimento anarchico italiano ed internazionale,
vide, vivendo e partecipando alle sue lotte, la teoria farsi storia nel
corso progressivo di innumerevoli e diversissime esperienze, in un arco di
tempo che va dal 1872 al 1932: un'esperienza rara, forse unica.
Per tutto questo, tracciare, seppure a grandi linee, un profilo del suo
pensiero, significherebbe porsi in una prospettiva storica che esula dagli
intendimenti di questa lettura e che fra l'altro vorrebbe ben altro spazio.
Noi vogliamo perciò solo presentare il pensiero di Malatesta rispetto alla
sua validità attuale soprattutto dal punto di vista del metodo, come
approccio anarchico ai problemi e alle soluzioni.
Il pensiero di Malatesta si presenta come una "sintesi" dei diversi
indirizzi teorici sviluppatisi nel movimento anarchico in tutto l'arco
temporale delle attività sopra accennate. Tale "sintesi" non risente di
nessuna impostazione dottrinaria perché essa è costruita sull'esperienza
pratica del movimento anarchico internazionale e non si può comprendere il
significato di essa se non si tiene presente che questa "sintesi" non è una
semplice somma di molteplici e diversi indirizzi dell'anarchismo.
pluralismo e relativismo
Abbiamo detto che ci interessa mettere in risalto, in questa introduzione
al pensiero malatestiano, soprattutto la sua attualità dal punto di vista
del metodo anarchico, come "modo generale" di affrontare i problemi e
risolverli.
Noi pensiamo che questo "modo generale" sia consistito per Malatesta in un
atteggiamento intellettuale proteso verso la continua ricerca teorica aliena
da sistemazioni definitive, da apriorismi dogmatici, da sterili formazioni
"scientifiche" unidimensionali.
In tutti i suoi scritti si può facilmente riscontrare questa "impostazione
aperta" verso ogni prospettiva operativa nel senso che essa viene
"armonizzata" con altre di diverso orientamento. In questo modo Malatesta si
pone in un piano critico capace di "depurare" ogni atteggiamento
intellettuale estremistico e settario.
Pur conservando rigorosamente alcune posizioni proprie che non muterà mai,
egli era profondamente convinto che ognuna di esse era suscettibile di
ulteriori modificazioni secondo i tempi, i modi e i luoghi della loro
applicazione. Ovviamente tale metodologia doveva venire estesa, secondo
Malatesta, a tutti gli indirizzi teorico-pratici dell'anarchismo.
In questo modo la "sintesi" malatestiana approdava ad alcune considerazioni
teoriche di importanza fondamentale per lo sviluppo del pensiero anarchico:
presa singolarmente ogni sentenza risultava insufficiente ad esprimere la
ricchezza dell'universo sociale e della problematica rivoluzionaria. Per
cogliere sempre più compiutamente questa inesauribile complessità occorreva
evidentemente sviluppare contemporaneamente più indirizzi e tendenze,
secondo la pratica storica dell'anarchismo.
Dall'impossibilità, da parte di ogni indirizzo preso singolarmente, di
rappresentare questa complessità, Malatesta deduceva un'altra considerazione
teorica di grande valore: quando qualsiasi tendenza si fosse
"cristallizzata", "istituzionalizzata", avrebbe perso anche la capacità di
esprimere quella parte o aspetto della realtà sociale che prima
rappresentava. Un esempio, Malatesta, fu tra i primi in Italia ad operare
affinché il movimento anarchico organizzasse le "leghe di resistenza" o
sindacati all'interno della classe operaia e bracciantile. Quando però la
tendenza anarcosindacalista ebbe la pretesa di risolvere ogni problema
rivoluzionario e sociale fino a volersi sostituire al movimento anarchico
(pretendendo che quest'ultimo si "confondesse" con la classe operaia)
Malatesta anticipò la sua futura "cristallizzazione" e
"istituzionalizzazione" nel senso che abbiamo spiegato sopra. Il
"sindacalismo puro" si dimostrò un'illusione non solo in Francia ma anche in
Italia ed i suoi esponenti finirono quasi tutti nelle file nazionaliste e
fasciste. La straordinaria funzione rivoluzionaria esercitata in Italia
dall'anarcosindacalismo dal 1912 al 1921, fu dovuta al fatto che all'interno
dell'USI operavano anarchici in stretto collegamento con il movimento
specifico. Dell'istituzionalizzazione dei sindacati riformisti, poi è oggi
superfluo parlare.
Se dunque Malatesta fu in grado di anticipare tanti errori, sia tattici sia
strategici, per la sua eccezionale esperienza, è proprio a quest'ultima che
dobbiamo risalire se vogliamo comprendere il significato del pluralismo
presente nel suo pensiero. Attraverso la pratica storica dell'anarchismo e
del movimento operaio socialista, Malatesta potè verificare la validità e
l'insufficienza di ogni proposta operativa, formulando così compiutamente la
teorizzazione della dipendenza dei mezzi rispetto al fine.
Questa considerazione ampiamente presente nel pensiero anarchico, trovò nel
pluralismo e relativismo malatestiano la sua verifica sperimentale.
Malatesta infatti poté verificare il grado di efficacia dei mezzi rispetto
al fine proprio alla luce di una gamma di esperienze socialiste e popolari
diversissime: dall'insurrezionalismo al parlamentarismo, dall'individualismo
al comunismo, dall'educazionismo all'anarcosindacalismo,
dall'antimilitarismo alla non violenza, ecc.
Questa continua e progressiva ricerca dell'identità tra principio proclamato
e pratica storica, identità che solo il movimento anarchico, a nostro
avviso, ha volutamente cercato e sviluppato, è stata completamente recepita
ed espressa da Malatesta. Ed è proprio qui che nasce la considerazione
relativistica del pensiero malatestiano, nel senso che egli vedeva ogni
tendenza o indirizzo sempre legati a precisi momenti storici o a determinati
aspetti della lotta sociale. Vediamo comunque ora, sempre dal punto di vista
metodologico, le posizioni qualificanti del pensiero malatestiano, dal
momento che alcune di esse furono immutabilmente presenti per tutto l'arco
della sua attività rivoluzionaria.
comunismo ed organizzazione
Malatesta fu tra i primi esponenti dell'anarchismo a passare dal
collettivismo bakuniniano al comunismo; secondo il Nettlau già
nell'agosto-settembre del 1876, Malatesta era per il comunismo.
Comunismo, per Malatesta, significa la massima libertà individuale integrata
con la massima solidarietà sociale: la realizzazione di queste due
proposizioni sta nel non svilupparne una a detrimento dell'altra. La pratica
del comunismo viene quindi ad essere, secondo Malatesta, la pratica della
libertà. Questa comporta la massima eguaglianza possibile per tutti di
fronte alle condizioni materiali ed ambientali di vita e
di lavoro, che solo il comunismo, a parere di Malatesta, può realizzare.
La liberazione dell'individuo è dunque prima di tutto una liberazione
sociale, nel senso che solo nello sviluppo della libertà di tutti è
possibile realizzare la propria. Questo classico schema socialista-anarchico
era stato da Bakunin formulato già ampiamente; Malatesta lo crederà
realizzabile integralmente soltanto col comunismo, sebbene egli ammettesse
la possibile coesistenza di diversi sistemi economici secondo le diverse
condizioni ambientali. Per Malatesta comunque il problema fondamentale
restava quello della libertà: il comunismo era solo il mezzo più
efficace per realizzarla integralmente per tutti. In questo modo
libertà e comunismo diventano, nel pensiero malatestiano, sinonimi.
La progressiva libertà dell'individuo rispetto a tutti i condizionamenti
materiali ed ambientali trova però la sua realizzazione pratica soltanto
attraverso l'organizzazione libertaria della società. Organizzazione
significa prima di tutto capacità di operare sul massimo piano possibile
della libertà collettiva, nel senso che solo l'organizzazione può estendere
i benefici del lavoro sociale ad ogni singolo individuo. Solo essa, insomma,
è capace di utilizzare al massimo la "forza collettiva" del lavoro sociale.
Intendiamoci, essa non è, per Malatesta, che un mezzo per
realizzare il comunismo libertario. Malatesta era profondamente convinto che
senza l'organizzazione nulla sarebbe stato possibile, ma parimenti sosteneva
che essa andava modificata e modellata in rapporto alle esigenze libertarie
ed egualitarie.
Dal punto di vista metodologico il comunismo era il mezzo per
realizzare la libertà, l'organizzazione il mezzo per realizzare il
comunismo libertario. Ovviamente sul piano operativo libertà, comunismo ed
organizzazione diventano, per Malatesta, quasi la stessa cosa.
la volontà rivoluzionaria
La posizione più qualificante che caratterizzò Malatesta rimase comunque
quella della volontà rivoluzionaria. Nel pensiero malatestiano la
rivoluzione anarchica non poteva che essere un progetto cosciente
scaturito da una precisa volontà e posto artificialmente nel
processo storico. Ammesse alcune condizioni favorevoli, il fattore
determinante e decisivo dello scoppio e della riuscita della liberazione
popolare, rimaneva sempre quello della volontà rivoluzionaria.
Volontà di preparare la rivoluzione, volontà di fare la rivoluzione, volontà
di essere rivoluzionari. Questa volontà rivoluzionaria era per Malatesta,
ovviamente, la volontà di fare la rivoluzione libertaria ed egualitaria.
Diversamente dagli individualisti e da altri anarchici stirneriani, la
volontà malatestiana era guidata da un sentimento fondamentalmente
solidaristico e societario: essa non poteva altro che essere un'espressione
collettiva per il bene collettivo.
A differenza di altri teorici anarchici, Malatesta sosteneva che
l'opposizione tra il marxismo e l'anarchismo era dovuta appunto alla
diversità tra il "determinismo" e il "volontarismo". Il "determinismo"
marxista, secondo Malatesta, finiva col paralizzare le forze rivoluzionarie
mettendole in un'aspettativa senza sbocchi operativi; oppure, con la scusa
di favorire lo sviluppo del sistema capitalistico-borghese e portarlo più
rapidamente alla sua fine, inseriva il movimento socialista nell'area legale
e parlamentare. In nome del "determinismo scientificista" il marxismo
consumava in realtà il tradimento e il sabotaggio.
Malatesta lungi dal porsi contro la scienza, si poneva in realtà contro la
sua volgare strumentalizzazione, contro cioè la pseudo scienza del marxismo.
Malatesta, in polemica anche contro Kropotkin, sosteneva che la scienza era
di per sé "neutrale" nel senso che essa poteva servire alla rivoluzione
libertaria come a qualsiasi sistema di dominio e sfruttamento. Solo la
volontà di utilizzarla in un modo o in un altro la qualificava
diversamente: la scienza era sempre in subordine rispetto alla volontà
rivoluzionaria. Comportava una prospettiva teorica completamente nuova, sia
per il pensiero anarchico che per il pensiero socialista in genere.
Malatesta infatti sviluppò nel suo pensiero soprattutto il punto di vista
ideologico dell'anarchismo, nel senso che la realtà "oggettiva" acquista
significato solo alla luce dei principi anarchici. In altri termini
dal momento che per Malatesta non esisteva una scienza sociale "oggettiva",
era evidente che l'unico modo per interpretare la realtà risultava essere
quello "soggettivistico" o, nel linguaggio malatestiano, quello della
volontà rivoluzionaria.
La conseguenza di tale impostazione fu che per sessant'anni Malatesta si
trovò ad elaborare sotto ogni punto di vista, sia teorico che pratico, il
pensiero anarchico rispetto ad ogni problema di qualsiasi natura: sociale,
economico, politico, religioso, filosofico ecc. L'opera teorica malatestiana
viene a configurarsi, se ci è permesso usare questa espressione, quasi come
un "manuale dell'anarchismo".
L'analisi della realtà sociale, nella prospettiva malatestiana, è quindi
un'analisi indiretta, alla rovescia: per risalire ad essa ed alla sua
comprensione bisogna porsi completamente nella dimensione libertaria. Mentre
la realtà storico-sociale muta, il progetto rivoluzionario rimane identico
nella sua sostanza e dipende da essa solo per quel tanto che lo riguarda dal
punto di vista di un aggiornamento "tecnico".
In questo modo dai moti internazionalisti al tradimento del socialismo
parlamentare, dalla "settimana rossa" alla occupazione delle fabbriche,
dalla politica crispina all'avvento del fascismo, la storia sociale d'Italia
è filtrata attraverso il prisma magistrale della comprensione chiara,
semplice e materialistica del pensiero malatestiano (e così in parte la
storia del movimento socialista europeo).
L'attualità di questa prospettiva è stupefacente dal punto di vista
metodologico: le pretese "condizioni obbiettive" favorevoli alla rivoluzione
sono risultate un'invenzione dei "cattedrattici" di fronte all'esperienza
storica. Non solo la costruzione del socialismo e della libertà, attraverso
l'esperienza fallimentare del marxismo, è risultata possibile a diversi
livelli delle forze produttive.
La prospettiva volontaristica malatestiana e il progetto che l'ha sottintesa
rimangono ancora un patrimonio teorico tutto da realizzare.
In altri termini Malatesta ha dimostrato, con la sua lotta
ultracinquantenaria, che la costruzione della libertà e dell'eguaglianza non
dipende che dalla volontà rivoluzionaria di chi vuole realizzare tale
progetto (soprattutto, la dimostrazione l'ha data la storia).
Le masse sfruttate, infatti, sono per la loro stessa posizione obiettiva e
materiale sempre potenzialmente rivoluzionarie, ma sono anche,
contemporaneamente, in una condizione altrettanto obiettiva di sottomissione
e di paralisi.
Il compito dei rivoluzionari è dunque nel senso malatestiano trasmettere
questa volontà cosciente e generalizzarla, resistendo alle prevedibili
sconfitte, abituandosi a respiri lunghi, e non brevi ed affannosi. Il
compito dei rivoluzionari è ancora, nel senso malatestiano, mantenere
intatta, pura e integrale la prospettiva libertaria ed egualitaria, nel
senso che i rivoluzionari devono essere al fianco delle masse oppresse
quando queste sono all'attacco, ma non seguirle quando queste si paralizzano
dopo le sconfitte.
Il compito degli anarchici infine, è quello di restare tali
qualsiasi cosa avvenga, qualsiasi cosa possa avvenire, qualsiasi cosa sia
avvenuta.
La dimensione etica dell'insegnamento malatestiano risiede nell'affermazione
che la volontà rivoluzionaria, per essere anarchica, deve essere
cosciente e tale deve rimanere in qualsiasi circostanza. Diceva
Malatesta, nel 1922 dopo oltre cinquanta anni di lotte perdute "Anarchici
noi restiamo anarchici malgrado tutto e malgrado tutti. Noi siamo stati
vinti.... Ma non sarà una sconfitta, del resto prevedibile, che ci farà
rinunziare alla lotta.... Non vi rinunzieremo nemmeno per cento, per mille
sconfitte, poiché sappiamo che nei progressi umani è stato sempre a forza di
perdere che s'è finito col vincere".
LINGUAGGIO MALATESTIANO
Se osserviamo tutta la produzione teorica malatestiana constatiamo
innanzitutto che la sua forma espositiva è inscindibile dallo scopo stesso
della produzione medesima: universalizzare al massimo il pensiero anarchico
e rivoluzionario.
In questa prospettiva esso è molto di più della connessione tra linguaggio
semplice e chiaro e scopo della propaganda: la chiarezza e la semplicità del
linguaggio malatestiano stanno ad indicare, nei suoi intendimenti, che il
pensiero anarchico non può che esprimersi nel modo più universale possibile.
Se anarchia è massima libertà nella massima eguaglianza e specificatamente,
nel pensiero malatestiano, la massima socializzazione possibile (comunismo),
allora si comprende che il pensiero anarchico è tale nella misura della sua
socializzazione. In altri termini il valore pratico di esso dipende
dal grado di estensione raggiungibile. Non deve essere possibile alcuna
sfasatura tra contenuto ed espressione; la conoscenza intellettuale
dell'alternativa libertaria ed egualitaria non può essere, per sua natura,
monopolio di nessuno.
Nei suoi opuscoli e nei giornali da lui diretti, i fondamenti
dell'anarchismo vengono propagandati attraverso tale linguaggio sorretto da
una logica lucida e da un "buonsenso" difficilmente ripetibile: Malatesta
riesce a dire le cose più complesse nel modo più semplice e chiaro
possibile. A nostro avviso esso ha rappresentato la massima espressione non
solo nel campo anarchico ma anche nel campo rivoluzionario in genere. Alcuni
opuscoli, come il dialogo "Fra contadini", hanno avuto una tale diffusione e
penetrazione nelle masse popolari difficilmente oggi concepibile. (Nel 1920,
ad esempio, la Federazione Anarchica ligure ne stampò e diffuse centomila
copie).
Non solo, essi hanno educato generazioni intere di rivoluzionari e di
progressisti.
In un arco di tempo in cui il linguaggio socialista e marxista è venuto via
via ad essere monopolio esclusivo di una minoranza intellettuale di iniziati
raccolti intorno alle varie chiese-partito, fino a costituire un corpus
dottrinario e teologico con i suoi "segni" e i suoi "significati", il
pensiero e il linguaggio malatestiano rimangono un faro di luce che ancora
oggi annichilisce i moccoli accademici di tutti i dottrinari e i presuntuosi
di questo mondo.
M. Roberti
Errico Malatesta nasce a Santa Maria Capua Vetere (Caserta) nel 1853, da una famiglia di proprietari terrieri. Segue per alcuni anni gli studi di medicina, che abbandona per potersi pienamente dedicare all'attività rivoluzionaria. Con Costa e Cafiero è fra i più attivi esponenti italiani dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori, partecipa ai moti di Bologna (1874) e del Matese (1877), quindi è condannato e costretto al suo primo periodo di esilio, cui ne seguiranno molti altri. Lo ritrovano così attivo propagandista e militante in Argentina, in Spagna, in Francia, in Belgio, ecc., braccato dalle polizie di molti paesi. Tornato clandestinamente in Italia (1897), pubblica L'Agitazione di Ancona, partecipa ai moti popolari per il pane, viene nuovamente arrestato, confinato, ma riesce a scappare ed a riparare negli Stati Uniti (1899), dove dirige La Questione Sociale. Torna a Londra e vi rimane fino al 1913, partecipando nel frattempo al congresso internazionale anarchico di Amsterdam (1907); al suo ritorno in Italia dirige il periodico Volontà. Nuovamente esiliato a Londra prende decisamente posizione contro la prima guerra mondiale, e torna in Italia (1919) in tempo per esercitare una grande influenza sulle grandi lotte dei lavoratori culminate con l'occupazione delle fabbriche; instancabile è l'attività di Malatesta oratore, organizzatore rivoluzionario e redattore del quotidiano anarchico Umanità Nova. Il fascismo lo ha deciso oppositore, e cerca di isolarlo circondando la sua casa di Roma di sbirri: non osa però arrestarlo e Malatesta fino alla sua morte (1932) continua a collaborare a pubblicazioni anarchiche straniere, senza perdere, finché possibile, i contatti con i pochi compagni ancora liberi. |
Comunismo e individualismo Ma per essere anarchici non basta volere l'emancipazione del
proprio individuo, ma bisogna volere l'emancipazione di tutti; non
basta ribellarsi all'oppressione, ma bisogna rifiutarsi di essere
oppressori; bisogna comprendere i vincoli di solidarietà, naturale o
voluta, che legano gli uomini tra di loro, bisogna amare i propri
simili, soffrire dei mali altrui, non sentirsi felici se si sa che
altri sono infelici. E questa non è questione di assetti economici:
è questione di sentimenti, o, come si dice teoricamente, questione
di etica. E. Malatesta |
Sulla violenza Gli anarchici sono contro la violenza. È cosa nota. L'idea
centrale dell'anarchismo è l'eliminazione della violenza dalla vita
sociale; è l'organizzazione dei rapporti sociali fondati sulla
libera volontà dei singoli, senza l'intervento del gendarme. Perciò
siamo nemici del capitalismo che costringe, appoggiandosi sulla
protezione dei gendarmi, i lavoratori a lasciarsi sfruttare dai
possessori dei mezzi di produzione o anche a restare oziosi ed a
patire la fame quando i padroni hanno interesse a sfruttarli. Perciò
siamo nemici dello Stato che è l'organizzazione coercitiva, cioè
violenta, della società. E. Malatesta La violenza anarchica è la sola che sia giustificabile, la sola
che non sia criminale. E. Malatesta Vi possono essere dei casi in cui la resistenza passiva è un'arma
efficace, ed allora sarebbe certamente la migliore delle armi,
poiché sarebbe la più economica di sofferenze umane. Ma, il più
delle volte, professare la resistenza passiva significa rassicurare
gli oppressori contro la paura della ribellione, e quindi tradire la
causa degli oppressi. E. Malatesta |
Pluralismo anarchico Tra gli anarchici vi sono i rivoluzionari, i quali credono che
bisogna colla forza abbattere la forza che mantiene l'ordine
presente per creare un ambiente in cui sia possibile la libera
evoluzione degli individui e delle collettività - e vi sono gli
educazionisti i quali pensano che si possa arrivare alla
trasformazione sociale solamente trasformando prima gli individui
per mezzo dell'educazione e della propaganda. Vi sono i partigiani
della non-resistenza, o della resistenza passiva che rifuggono dalla
violenza anche quando serva a respingere la violenza, e vi sono
quelli che ammettono la necessità della violenza, i quali sono poi a
loro volta divisi in quanto alla natura, alla portata ed ai limiti
della violenza lecita. Vi sono dissensi riguardanti l'attitudine
degli anarchici di fronte al movimento sindacale; dissensi
sull'organizzazione, o non organizzazione, propria degli anarchici;
dissensi permanenti, o occasionali, sui rapporti tra gli anarchici e
gli altri partiti sovversivi. E. Malatesta |
L'organizzazione Un'organizzazione anarchica deve essere fondata secondo me...
(sulle seguenti basi). E. Malatesta |
Sindacalismo Oggi la più grande forza di trasformazione sociale è il movimento
operaio (movimento sindacale), e dal suo indirizzo dipende in gran
parte il corso che prenderanno gli avvenimenti e la méta a cui
arriverà la prossima rivoluzione. Per mezzo delle organizzazioni,
fondate per la difesa dei loro interessi, i lavoratori acquistano la
coscienza dell'oppressione in cui giacciono e dell'antagonismo che
li divide dai loro padroni, incominciano ad aspirare ad una vita
superiore, si abituano alla lotta collettiva ed alla solidarietà, e
possono riuscire a conquistare quei miglioramenti che sono
compatibili con la persistenza del regime capitalistico e statale.
Dopo, quando il conflitto diventa insanabile, viene o la
rivoluzione, o la reazione. Gli anarchici debbono riconoscere
l'utilità e l'importanza del movimento sindacale, debbono favorirne
lo sviluppo, e farne una delle leve della loro azione, facendo tutto
quello che possono perché esso, in cooperazione colle altre forze di
progresso esistenti, sbocchi in una rivoluzione sociale che porti
alla soppressione delle classi, alla libertà totale,
all'eguaglianza, alla pace ed alla solidarietà fra tutti gli esseri
umani. Ma sarebbe una grande e tale illusione il credere, come fanno
molti, che il movimento operaio possa e debba da se stesso in
conseguenza della sua stessa natura, menare ad una tale rivoluzione.
Al contrario, tutti i movimenti fondati sugli interessi materiali e
ed immediati (e non si può fondare su altre basi un vasto movimento
operaio), se manca il fermento, la spinta, l'opera concertata degli
uomini d'idee, che combattono e si sacrificano in vista di un ideale
avvenire, tendono fatalmente ad adattarsi alle circostanze,
fomentano lo spirito di conservazione e la paura di cambiamenti in
quelli che riescono ad ottenere condizioni migliori, e finiscono
spesso col creare nuove classi privilegiate e servire a far
sopportare e consolidare il sistema che si vorrebbe abbattere. E. Malatesta Compito degli anarchici, è quello di lavorare e rafforzare le
coscienze rivoluzionarie tra gli organizzati e rimanere nei
sindacati sempre come anarchici. E. Malatesta In una parola, il sindacato operaio è, per sua natura riformista e non già rivoluzionario. Il rivoluzionarismo vi deve essere immesso, sviluppato e mantenuto per l'opera costante dei rivoluzionari che agiscono fuori e dentro del suo seno, ma non può essere l'esplicazione naturale e normale della sua funzione. Al contrario, gli interessi attuali ed immediati degli operai associati, che il sindacato ha missione di difendere, sono molto spesso in opposizione colle aspirazioni ideali ed avveniristiche; ed il sindacato può fare opera rivoluzionaria solo se è pervaso dallo spirito di sacrificio e nella proporzione che l'ideale è messo al di sopra dell'interesse, cioè solo se e nella proporzione che cessa di essere sindacato economico e diventa gruppo politico e idealistico, il che non è possibile nelle grandi organizzazioni che per agire han bisogno del consentimento della massa sempre più o meno egoista, paurosa e retriva. E. Malatesta |
La divisione del lavoro Noi ammettiamo certamente la divisione del lavoro e ne
apprezziamo i vantaggi; ma ne conosciamo pure i danni ed i pericoli.
La divisione del lavoro è stata una fra le cause
dell'assoggettamento delle masse al dominio delle caste
privilegiate. E col principio della divisione del lavoro si può
tentare la giustificazione di tutte le mostruosità sociali:
divisione tra lavoro mentale e lavoro manuale, divisione tra il
lavoro di direzione è quello di esecuzione, divisione tra il lavoro
di produzione e quello di difesa dei produttori... che poi si
riassumono e si concretano nella divisione tra il lavoro di mangiare
e quello di produrre, tra il lavoro di bastonare e quello di farsi
bastonare. Menenio Agrippa conosceva già quest'argomento. E. Malatesta |
L'uomo della strada Non bisogna trascurare "l'uomo della strada", che è poi in tutti
i paesi la grande maggioranza della popolazione; ma non bisogna
neppure fare troppo affidamento sulla sua intelligenza e sulla sua
capacità di iniziativa. E. Malatesta |
La tattica elettorale Il terreno comune su cui si incontrano i borghesi, che cercavano
di corrompere, e quei socialisti, che cercavano di essere corrotti,
fu l'urna elettorale. Né il danno sarebbe stato grande, ma i
traditori, gli ambiziosi e gli stanchi riuscirono purtroppo a
trascinare all'urna molti buoni, che credevano sinceramente di
acquistare una nuova arma di lotta contro la borghesia, e di
avvicinare con quel mezzo l'avvenimento della rivoluzione. E. Malatesta |
Masse e rivoluzione È completamente erroneo che per abbattere il capitalismo bisogna
aspettare che i milioni di cattolici siano diventati liberi
pensatori, e che gli operai siano tutti (o in maggioranza)
organizzati per la lotta di classe. E. Malatesta |