Lavoro manuale e lavoro
intellettuale
di Mirko Roberti
L'integrazione del lavoro e l'abolizione delle classi
Abbiamo visto nell'articolo precedente l'analisi fatta dal
pensiero anarchico sulla correlazione tra divisione del lavoro e classi
sociali. Questo secondo aspetto non comporta solo un esame della
riflessione teorica attuata dall'anarchismo, ma anche una interpretazione
della sua azione nel complesso complessivo del suo sviluppo storico.
Il problema, infatti, investe le questioni fondamentali della strategia e
della lotta rivoluzionaria, dal momento che l'abolizione delle classi ha
costituito e costituisce la centralità dell'azione e del pensiero anarchico.
Inoltre, vi è un'altra ragione che ci spinge a considerare la risposta
anarchica nel suo aspetto storico complessivo di azione e di pensiero: la
manifesta integrazione di entrambi attuata già nel corso della lotta
rivoluzionaria. L'analogia, infatti, tra l'integrazione del lavoro fra
manuale ed intellettuale, presente nei fini, e l'integrazione tra
pensiero e azione, presente nei mezzi rivoluzionari, costituisce un
esempio significativo dell'attuazione dei primi nello sviluppo dei secondi.
Questa prospettiva di interpretazione implica, dunque, una analisi storica
più comprensiva e più ampia rispetto a quella dell'articolo precedente:
esamineremo brevemente non solo il pensiero, ma valuteremo anche alcune
esperienze storiche significative.
Ripartiamo ancora una volta da P.J. Proudhon. Nel pensiero di Proudhon,
l'integrazione del lavoro è la condizione indispensabile per l'autogestione
da parte dei produttori. Questi ultimi, infatti, possono controllare la
produzione solo in virtù di una conoscenza individuale e collettiva dei
processi ad essa inerenti. Scrive Proudhon: "Il lavoro, uno e identico nel
suo piano, è infinito nelle sue applicazioni, come la creazione stessa.
Nulla impedisce dunque che l'apprendistato dell'operaio sia diretto in modo
tale da abbracciare la totalità del sistema industriale, invece di coglierne
solo un aspetto particolare" (1). Superamento della divisione del lavoro
vuol dire sviluppare una "educazione simultanea dell'intelligenza e degli
organi"; distruggere il sistema gerarchico e verticistico, che "dispensando
il lavoratore da ogni scienza, crea l'apparenza dell'adattamento alle
ineguaglianze" (2).
L'autogestione proudhoniana del lavoro riposa sul concetto stesso di
integralità dei suoi aspetti allo stesso tempo intellettuali e manuali,
pratici e teorici. Il lavoro "è uno e identico nel suo piano" dice Proudhon;
scindere le parti è operare una separazione in direzione contraria
all'autogestione. Infatti "L'idea, con le sue categorie, nasce
dall'azione; in altri termini, l'industria è madre della filosofia e
delle scienze...". Quindi "L'idea deve ritornare all'azione, pena la
decadenza dell'agente"; il che vuol dire che la filosofia e le scienze
devono rientrare nell'industria" (3). Si precisa in questo modo la modalità
dell'autogestione proudhoniana: capacità di controllo, da parte dei
produttori, dell'intera serie dei processi produttivi, attraverso una
conoscenza integrale che, da patrimonio individuale, si fa
patrimonio collettivo, equilibrio fra scienza e produzione, teoria e prassi.
L'integrazione del lavoro è la condizione indispensabile della sua
autogestione e viceversa.
Ne deriva una strategia rivoluzionaria che privilegia la lotta sociale ed
economica, per la riappropriazione dei mezzi di produzione e per "una
riorganizzazione dell'industria, sotto il governo di tutti quelli che la
compongono" (4). Così alla concezione statale-politica "viene ad
opporsi quella dei partigiani della libertà, secondo i quali la società deve
essere considerata non come una gerarchia di funzioni e di facoltà, ma come
un sistema di equilibri tra forme libere, in cui ognuna ha la garanzia di
conseguire i medesimi diritti purché sottostia agli stessi doveri, di
ottenere gli stessi vantaggi in compenso dei medesimi servizi; sistema
questo essenzialmente egualitario" (5).
Da questa prospettiva l'azione politica, intesa come azione che si sviluppa
in modo verticale (perché gerarchico e verticale è l'oggetto della sua
conquista, lo stato), è rifiutata analogamente al rifiuto della separazione
"dell'idea dell'azione". Gli sfruttati non sono in grado di gestire una
azione politica intesa in questo senso, sia per il modo come essa
si sviluppa, sia per lo scopo che ne sta alla base. Per la sua
stessa natura, infatti, essa sfugge al controllo e quindi all'autogestione
da parte delle classi inferiori. Il suo sviluppo sbocca nell'ambito delle
funzioni dominanti, allo stesso modo "dell'idea" e del "pensiero"
nell'ambito dell'organizzazione gerarchica del lavoro. Come le funzioni
intellettuali, separate da quelle manuali, si concretizzano socialmente in
classi dominanti, così la funzione politica, separata dall'azione sociale
delle masse, sbocca e si concretizza nello stato dominante.
Sotto il profilo pedagogico, l'integrazione del lavoro, fra manuale ed
intellettuale, con la sua conseguente autogestione, comporta uno sviluppo
altrettanto integrale dell'emancipazione umana. Il pensiero proudhoniano a
tale riguardo precisa che "ognuno eseguirà" con la mano ciò che la sua testa
ha compreso: si tratta di educare nello stesso tempo gli organi e
l'intelletto... Le conseguenze di una pedagogia simile sarebbero
incalcolabili" (6).
L'insegnamento di Proudhon relativo all'integrazione del lavoro e alla sua
autogestione confluisce e si concretizza nella strategia rivoluzionaria
della Prima Internazionale. Esso trova testimonianza in un documento
approvato a Bruxelles nel 1868 (7), ma soprattutto nella pratica della lotta
rivoluzionaria. Quest'ultima si precisa come lotta economico-sociale, con il
rifiuto dell'azione politica, condizione dell'autogestione di essa da parte
degli sfruttati: "L'emancipazione dei lavoratori sarà opera dei lavoratori
stessi o non sarà".
E' da precisare, a questo punto, che se per azione politica non si intende
propriamente lotta per la conquista del potere e per la gestione dello stato
ma lotta per una diversa organizzazione dei rapporti sociali, lotta per
l'abolizione della dominazione e dell'oppressione politica (lotta politica,
cioè "negativa"), essa rientrava appieno negli schemi e nei programmi della
Prima Internazionale (8).
La Prima Internazionale si dispiega pertanto, nei primi anni, attraverso una
lotta integrale alla disuguaglianza con lo sviluppo armonico e
contemporaneo dei suoi molteplici aspetti. Lotta "politica" (nel senso
visto) e lotta economica sono presenti in un unico fronte: nessuna divisione
gerarchica si costituisce all'interno del corpo sociale degli sfruttati fino
alla Comune di Parigi. Le ragioni della sua caduta segnano l'inizio di
questa divisione, presentatasi, nel suo primo aspetto, come separazione del
proletariato urbano dalle masse contadine (purtroppo prevista magistralmente
da Bakunin un anno prima (9).).
La riflessione teorica sull'esperienza comunarda, fatta dai marxisti,
accentua verticalmente e gerarchicamente questa divisione, imponendo, con la
Conferenza di Londra del 1871, la creazione del partito politico (10). La
sua costruzione comportava la separazione gerarchica del fronte degli
sfruttati: da una parte il partito che avrebbe svolto, congelato e
monopolizzato il pensiero teorico all'interno dei suoi quadri, dall'altra
gli sfruttati diventati massa di manovra. Essi si sarebbero mossi sul piano
della lotta politica, diventata funzione-guida e funzione dominante
dell'intera crescita rivoluzionaria.
Si comprende ora quale fosse l'ampiezza della divergenza tra marxisti e
anarchici (e quale danno incalcolabile comportasse, per l'emancipazione
degli sfruttati, la separazione, prodotta dai primi). Si comprende anche
perché gli anarchici, come rifiutavano la divisione gerarchica del
lavoro produttivo, così rifiutavano la divisione gerarchica del
lavoro rivoluzionario. E, come alla divisione gerarchica del lavoro
produttivo contrapponendo teoricamente nei fini la sua integrazione
egualitaria, così alla divisione gerarchica del lavoro rivoluzionario
contrappone praticamente nei mezzi la sua integrazione. Di tali
proposizioni è intessuto il nodo centrale del pensiero di Bakunin.
L'elaborazione teorica bakuniniana, infatti, chiarisce fino in fondo i nessi
logici, necessari e conseguenziali del rapporto intercorrente da
una parte tra divisione del lavoro e classi, tra classi e stato, dall'altra
tra integrazione della lotta rivoluzionaria e abolizioni delle classi, tra
abolizione delle classi e abolizione dello stato. In tale senso, il
meccanismo della disuguaglianza sociale viene analizzato non solo nel suo
aspetto "storico-variabile", concretizzato nella società
capitalistico-borghese, ma soprattutto nel suo aspetto "strutturale",
come modello, cioè, di riproduzione in differenti società storiche.
Il filo conduttore di tale analisi è dato dall'interpretazione della
funzione e dell'uso della scienza, come corpo separato dalle masse popolari
e dominante su di esse: "E' un fatto che in tutte le nazioni d'Europa la
borghesia soltanto, ivi compresa la nobiltà che oggi non esiste che di nome,
e cioè a classe sfruttatrice e dominante, riceve un'istruzione più o meno
seria. Inoltre si viene staccando dal suo corpo una specie di classe a
parte, e naturalmente meno numerosa, di uomini che si dedicano
esclusivamente allo studio dei più grandi problemi della filosofia, della
scienza sociale e della politica che costituisce la vera e propria nuova
aristocrazia, quella dell'intelligenza patentata e privilegiata...
L'aristocrazia dell'intelligenza, questa figli prediletta del moderno
dottrinarismo, quest'ultimo rifugio della volontà di dominio che
dall'inizio della storia ha afflitto il mondo e ha costituito e sanzionato
tutti gli Stati, questo culto pretenzioso e ridicolo dell'intelligenza, non
ha potuto nascere che in seno alla borghesia... Essa rappresenta la
quintessenza e l'espressione scientifica dell'ideologia e degli interessi
borghesi" (11).
Dall'aspetto "storico variabile", Bakunin passa subito, però, all'aspetto
propriamente "strutturale", ipotizzando una società, che, liberata
dall'oppressione capitalista, mantiene non di meno inalterata la separazione
tra le classi intellettuali e le classi manuali. In essa "Chi sa di più
dominerà naturalmente chi sa di meno; e quand'anche inizialmente
non esistesse fra due classi che questa sola differenza di
istruzione e di educazione, questa differenza produrrebbe in poco tempo
tutte le altre" (12).
Il processo rivoluzionario segue dunque il processo di riappropriazione
della scienza da parte delle classi inferiori "Che cosa dobbiamo consigliare
al mondo operaio per spezzare questo cerchio fatale?... Di impadronirsi di
quell'arma tanto forte che è la scienza". Ma questa riappropriazione
comporta la distruzione della divisione del lavoro e quindi delle classi: "Tutti
devono lavorare e tutti devono essere istruiti". "Ne consegue che nello
stesso interesse del lavoro come pure il quello della scienza non ci devono
più essere né operai né scienziati, ma solo degli uomini...
L'istruzione di ogni grado deve essere uguale per tutti, di conseguenza deve
essere integrale vale a dire che essa deve preparare ogni fanciullo
dei due sessi alla vita sia del pensiero che a quella del lavoro affinché
tutti possano diventare in egual maniera degli uomini completi" (13).
Ma se la distruzione della divisione del lavoro significa l'abolizione delle
classi, l'abolizione di quest'ultime comporta quella dello stato. Esso "è
sempre rimasto il patrimonio di una qualunque classe privilegiata: classe
sacerdotale, classe nobiliare, classe borghese, infine classe burocratica,
quando essendosi esaurite tutte le altre classi, lo Stato cade o, secondo di
come lo si vuole interpretare, si innalza allo stato di macchina; ma occorre
assolutamente per la sopravvivenza dello Stato che ci sia una classe
privilegiata qualunque che abbia interesse alla sua esistenza" (14).
Così come è chiarito il rapporto tra monopolio della scienza, divisione del
lavoro e classi sociali, viene ora chiarito il rapporto tra monopolio della
scienza, classi dominanti e stato: "Con quale forza si sostengono ancora
oggi le classi privilegiate...? ...per mezzo della forza dello Stato nel
quale, d'altronde, i loro figli ricoprono oggi, come hanno sempre fatto,
tutte le funzioni dominanti... E che cosa costituisce oggi,
principalmente, la potenza degli Stati? La scienza. Sì, la scienza. Scienza
di governo, di amministrazione e scienza di tosare il gregge popolare...
scienza di imporgli il silenzio, la pazienza e l'ubbidienza per mezzo di una
forza scientificamente organizzata; scienza di ingannare e
dividere le masse popolari..." (15).
Con questa dimensione interpretativa il pensiero bakuniniano perviene ad una
straordinaria profetica lucidità sugli effetti futuri della divisione
del lavoro rivoluzionario, propugnato dai marxisti attraverso la
costituzione del partito politico. Quest'ultimo, costituendosi in
organismo produttore della scienza rivoluzionaria, prepara l'avvento
della dittatura sul proletariato attraverso la "nuova
aristocrazia". "Queste parole socialisti scientifici, socialismo
scientifico che si incontrano costantemente nelle opere e nei discorsi
dei lassalliani e dei marxiani provano per se stesse che il cosiddetto Stato
popolare non sarà nient'altro che il governo despotico della massa del
popolo da parte di una aristocrazia nuova e molto ristretta di veri o
pseudo-scienziati. Il popolo, dato che non è istruito, sarà completamente
esonerato dalle preoccupazioni di governo e sarà incluso in blocco nella
mandria dei governati. Che bella liberazione!".
Il modello generale della ricorrente formazione dell'autorità è ora
dato per intero: interdipendenza consequenziale e necessaria tra monopolio
della scienza e divisione del lavoro, tra divisione del lavoro e classi, tra
classi e stato. Il disegno rivoluzionario bakuniniano si configura pertanto
in modo integrale: il suo collettivismo è la risposta "storica"
all'aspetto variabile dello sfruttamento: il capitalismo; la sua
socializzazione del sapere è la risposta rivoluzionaria all'aspetto
"strutturale" della disuguaglianza: la divisione del lavoro. Ne
consegue che il superamento della proprietà intellettuale dei mezzi
di produzione, passa attraverso la distruzione della proprietà
intellettuale del processo rivoluzionario.
Con la sua proposta dell'integrazione della lotta economico-politica in un
unico fronte rivoluzionario, Bakunin legava l'aspetto
"storico-variabile" dello sfruttamento alla radice strutturale
della disuguaglianza, portando al massimo grado di consapevolezza teorica
l'esperienza storica della Prima Internazionale.
Abbiamo già detto, nell'articolo precedente, che il pensiero di Kropotkin si
caratterizza per un'impostazione d'ampio respiro sociologico. Tale taglio
viene maggiormente messo in rilievo rispetto al problema dell'integrazione
del lavoro e dell'abolizione delle classi. La proposta kropotkiniana,
infatti, coinvolge tutti gli aspetti della divisione sociale del lavoro:
separazione tra lavoro intellettuale e lavoro manuale, tra città e campagna,
tra industria e agricoltura. E' un unico filo rivoluzionario quello che lega
la loro eguale e contemporanea integrazione: "L'economia politica
ha sinora insistito principalmente sulla divisione del lavoro. In
contrapposto, noi domandiamo l'integrazione; e manteniamo che l'ideale
sociale è una società di lavoro integrale; una società in cui ogni
individuo è produttore sia di opere manuali che intellettuali; ove ogni
persona sana e robusta è un lavoratore, e lavora sia nei campi che nelle
officine,,," (17).
Integrando, in pari tempo, tutte le funzioni dominanti rispetto a quelle
dominate, la trasformazione rivoluzionaria abbraccia, in questo modo
l'intero tessuto geografico-sociale. Viene recuperata così, da una parte,
l'intera prospettiva proudhoniana di una federazione "agricolo-industriale",
dall'altra l'esigenza strategica bakuniniana di legare le masse contadine
alla classe operaia. La totalità del disegno kropotkiniano sfocia in un
piano armonico, allo stesso tempo federalista e comunista: "Il decentramento
delle industrie in tutto il paese - così da portare la fabbrica tra i campi,
per far si che l'agricoltura ne tragga tutti quei profitti che trova sempre
nella combinazione con l'industria e per produrre una combinazione di lavoro
agricolo-industriale - è sicuramente il prossimo passo che deve essere
fatto", (16) perché una "società che vorrà romperla con la proprietà
privata, sarà costretta, secondo noi, ad organizzarsi in comunismo
anarchico. L'anarchia conduce al comunismo e il comunismo all'anarchia"
(18).
Attribuendo alla rivoluzione l'intero significato di liberazione
individuale e collettiva, come sviluppo materiale delle capacità, per ogni
individuo, di movimento e di rotazione attraverso l'intera
struttura sociale, Kropotkin riprendeva la contemporanea distinzione e
correlazione bakuniniana tra l'aspetto "storico-variabile" dello
sfruttamento e la radice "strutturale" della disuguaglianza. Tale
puntualizzazione teorica emergeva proprio, significativamente e ancora una
volta, nel confronto con il socialismo sedicente "scientifico".
La rivoluzione, scrive Kropotkin, non avrà interesse ad inchiodare
un essere umano per tutta la vita in un luogo fissato, in un'officina o in
una miniera "però"... noi vediamo molti socialisti, quelli stessi che non
hanno temuto di far propri gli errori della scienza, rispettare il principio
della divisione del lavoro. Parlate loro dell'organizzazione della società
durante la Rivoluzione, e vi risponderanno che la divisione del lavoro deve
essere mantenuta; che se voi fabbricate punte di spillo prima della
Rivoluzione, dovete farne ancora dopo di essa. Voi lavorerete soltanto
cinque ore a far punte di spillo - sia pure! Ma voi non farete che punte di
spillo durante tutta la vostra vita, miliardi di spilli, mentre altri ancora
si specializzeranno nelle altre funzioni del lavoro letterario, scientifico,
artistico, ecc. Voi siete nato fabbricatore di punte di spilli. Pasteur è
nato vaccinatore nella cultura della rabbia, e la Rivoluzione lascerà
entrambi alle rispettive occupazioni (19).
Perché la rivoluzione non riproduca, in una forma nuova, la disuguaglianza
generata dalla divisione del lavoro, bisogna che "ogni essere umano, senza
distinzione di nascita, riceva una educazione che gli permetta di acquistare
una nozione profonda delle scienze, contemporaneamente alla cognizione seria
di un mestiere", così alla "divisione della società in lavoratori
intellettuali e lavoratori manuali, noi opponiamo la combinazione dei due
ordini di attività" (20).
Il comunismo del sapere, la funzione rivoluzionaria della scienza
nell'ambito del processo rivoluzionario, "l'educazione integrale"
per formare "l'uomo completo", sono elementi di un unico disegno
anarchico di abolizione delle classi e dello stato. Tale disegno non si fa
istanza automatica, deduzione necessaria di una particolare
condizione di sviluppo socio-economico, ma ne impone la costruzione,
libertaria ed egualitaria, qualunque sia lo sviluppo storico della forza e
dei rapporti di produzione. Nella tensione storica della lotta
rivoluzionaria esso si tradurrà, per esempio, nell'esperienza dei consigli
operai del 1920 e nelle comuni libertarie spagnole del 1936-39. Questi
tentativi hanno rappresentato, in parte, la tendenza degli
sfruttati ad uscire dalla fissità materiale dei loro ruoli sociali,
assegnati loro dalla divisione del lavoro. Questa è la traccia visibile
della funzione dirompente della libertà individuale e collettiva, la vera e
unica condizione imprescindibile della costruzione
dell'uguaglianza.
Mirko Roberti
1) P. J. Proudhon, La Giustizia nella rivoluzione e nella Chiesa, Ed. Utet, Torino 1968, pagg.692.
2) Ibidem
3) Ibidem
4) P. J. Proudhon, De la capacité politique des classes ouvrières, ed. E. Dentu, Paris 1865, pagg.89.
5) P. J. Proudhon, De la capacité..., ed. E. Dentu, Paris 1865, pagg.91.
6) P. J. Proudhon, La Giustizia..., Ed. Utet, Torino 1968, pagg.687.
7) La Première Internationale, Recueil de documents, Librairie E. Droz, Genève, 1962.
8) Ibidem
9) M. Bakunin, Ouvres, Tome IV, ed. Stock, Paris, 1910 pag.7 e segg.
10) Cfr, La Première Internationale, op.cit.
11) M. Bakunin, Stato e Anarchia e altri scritti, ed. Feltrinelli, Milano 1968, pagg.264-265.
12) M. Bakunin, Stato e Anarchia..., op. cit.
13) M. Bakunin, Stato e Anarchia..., op. cit.
14) Ibidem
15) Cfr. M. Bakunin, Stato e Anarchia..., op. cit. L'istruzione integrale, pag.270.
16) Cfr. M. Bakunin, Stato e Anarchia..., op. cit. pag.191
17) Cfr. P. Kropotkin, Le industrie nazionali, Biblioteca della rivista "Novatore" New York, 1910, pag.14.
18) Cfr. P. Kropotkin, La società aperta, ed. L'Antistato, Cesena, 1973, pag.186 e La conquista del pane, Casa editrice sociale, Milano, 1921, pag.23.
19) Cfr. P. Kropotkin, La conquista... op.cit. pag.175.
20) Cfr. P. Kropotkin, Lavoro manuale e lavoro intellettuale, Casa editrice sociale, Milano, 1922, pag.23.