Il labirinto controrivoluzionario
di Mirko Roberti
L'anarchismo si può riassumere al limite in una sola
parola: libertà. A dir meglio, l'anarchismo è l'insieme dei modi concettuali
e pratici in cui la libertà si è manifestata al suo massimo grado.
Attenzione però: con tale affermazione non si vuole limitatamente teorizzare
dell'anarchismo solo un suo dover essere, una sua vocazione ideale, una sua
intenzione positiva. Si tratta pure di rendere razionalmente evidente un
fatto storico incontrovertibile, nel senso che il suo nucleo cardine è la
libertà non soltanto perché essa si manifesta qui consapevolmente al suo
massimo grado, vale a dire come criterio allo stesso tempo ideologico e
scientifico, ma anche perché l'anarchismo esprime la libertà nei suoi
limiti storici: la storia dell'anarchismo è infatti la storia delle
possibilità storiche della libertà. In altri termini, l'anarchismo ha
espresso ed esprime sul piano teorico e pratico la massima espansione
possibile della libertà nelle condizioni storiche date. Il concetto-limite
del massimo della possibilità stessa, intendendo questa appunto come
tensione continuamente rivolta a raggiungere i propri limiti, i limiti cioè
delle possibilità umane.
Ora, se la categoria operativa della libertà è la possibilità, perché la
libertà può manifestarsi in effetti soltanto come eterna possibilità,
l'anarchismo si può definire come possibile farsi della libertà nelle sue
forme più alte possibili. Senonché, essendo l'anarchismo l'espressione
limite del concetto limite della possibilità, Domenico Settembrini (D.
Settembrini Il labirinto rivoluzionario, Milano, Rizzoli, 1979, due
voll.) ne ha paradossalmente ricavato che non la possibilità della
libertà ma l'assoluto della libertà è in effetti il vero fine
dell'anarchismo. La differenza che passa tra una predicazione della
possibilità della libertà e una predicazione dell'assoluto di libertà e la
differenza che ha divaricato i destini storici del liberalismo e
dell'anarchismo. Tutto questo, beninteso, accettando l'interpretazione
limite, cioè tendenzialmente paradossale, del Settembrini. Per ottenere
questa trasfigurazione assolutistica del concetto limite della possibilità,
Settembrini ha perciò letteralmente spostato il cardine dell'anarchismo
facendolo poggiare non più sulla libertà, ma sulla vocazione assolutistica
di questa: il centro dell'anarchismo perciò è la Rivoluzione con la erre
maiuscola. Di qui il titolo significativo della sua ricostruzione
storico-antologica dell'idea e della pratica anarchica: al posto del
labirinto della libertà, il labirinto rivoluzionario.
Lo spostamento gravitazionale dal soggetto al predicato, cioè dalla libertà
all'espressione operativa della libertà, è reso possibile da Settembrini
attraverso una trasfigurazione altrettanto tendenziosa e perciò anche questa
al limite paradossale, della tendenza perfettibilistica dell'ideologia
anarchica. Secondo lui, l'anarchismo non sarebbe altro che l'effetto più
compiuto del messianesimo rivoluzionario apertosi con il processo di
secolarizzazione della religione trascendentale: l'anarchismo cioè, in
quanto forma inconsapevole di ateismo religioso, invece di ricercare la
perfezione in cielo, la ricercherebbe sulla terra. Ma poiché tutto ciò è di
per sé utopistico, se ne deve dedurre che la Rivoluzione e la volontà di
Rivoluzione, perché forme assolute di essere e di voler essere, sono
eterogenee rispetto alla finitezza e alla relatività storica del mondo. Se
ne evince, per lui, che l'anarchismo non solo è irrimediabilmente
utopistico, ma anche irrimediabilmente religioso: dunque, proprio perché
religioso esso è rivoluzionario. Non solo. La Rivoluzione, essendo
celebrazione di una volontà di assoluto, anche se assoluto di libertà, è,
come tutti gli assoluti, per vocazione naturalmente totalitaria. Così
l'anarchismo, estrema rivendicazione di libertà, produce di fatto la più
alta forma di totalitarietà. Non la categoria libertà contraddistingue
dunque l'anarchismo, ma la categoria Rivoluzione. L'esperienza storica
confermerebbe a pieno questo punto di vista. La libertà è stata sacrificata
alla Rivoluzione, perché è stata sacrificata la libertà possibile per la
possibilità assoluta della libertà. L'anarchismo perciò, per questa sua
insopprimibile vocazione, è stato storicamente sempre subalterno al disegno
egemonico, perché realistico, del marxismo, vale a dire dell'ideologia e
della pratica più totalitaria forse concepita dal pensiero umano.
Concorrendo attivamente, in prima persona, alla distruzione della libertà
possibile (il liberalismo), l'anarchismo ha spianato (vedi Russia) o avrebbe
finito con lo spianare (vedi Spagna) la strada alla più alta forma di
autorità: il comunismo burocratico. La vocazione rivoluzionaria
dell'anarchismo è dunque una vocazione totalmente suicida. Fin qui,
ovviamente, Settembrini.
Per sorreggere questa interpretazione, egli ricuce, a volte con grande
acutezza, una sorta di ragionamento complessivo che a suo giudizio
attraversa per intero la storia dell'anarchismo, un ragionamento tutto
centrato attorno a questo tema ossessivo della Rivoluzione e della
perfettibilità. La tendenziosità della ricucitura è però troppo evidente
rispetto all'effettivo svolgersi storico dell'anarchismo stesso, di per sé a
sua volta troppo multiforme per essere prigioniero di un unico ragionamento.
Settembrini, inoltre, non solo tralascia di ricostruire tutti gli altri
ragionamenti che potrebbe smentire o comunque sminuire quello prescelto, ma
tralascia pure di ricostruire l'effettiva storicità dell'anarchismo, vale a
dire il contesto storico con cui il movimento anarchico ha dovuto fare i
conti. L'enfatizzazione dei suoi aspetti messianici, perfettibilistici e
ultrarivoluzionari (con la conseguente sopravvalutazione di alcuni autori e
di alcuni momenti della storia libertaria) ricuciti sotto le sue mani non
permette perciò una rappresentazione della realtà conforme al vero. Sembra
quasi, cioè, che le condizioni storiche che oggettivamente hanno
condizionato lo sviluppo del movimento operaio, e quindi anche del movimento
anarchico, siano state prescelte come criterio per misurare un'autonomia del
soggetto rivoluzionario che di fatto in questi termini non si dava e non si
può dare. Intendiamo dire con questo che nella ricostruzione di Settembrini
le contraddizioni storiche della realtà del tempo sono poste completamente
dentro il movimento rivoluzionario con implicita conseguenza dello
sgravio totale delle deficienze oggettive del regime capitalistico-borghese.
Così la rivoluzione sociale, invece di apparire una necessità, come lo era
ed è, a causa delle insufficienze storiche della società liberale, appare
una pura scelta (tanto come dire le preghiere alla sera),
diventando così la Rivoluzione con la R maiuscola, quasi la celebrazione
appunto di un atto mistico del tutto gratuito.
È approdo logico del suo discorso dato l'arbitrario assunto posto all'inizio
secondo cui l'anarchismo, in virtù di una concezione basata su un oggettivo
mondo dei fini, vale a dire sull'idea che afferma la naturale e completa
convergenza di interessi di tutti gli individui, aspirerebbe all'armonia
totale. In altri termini, l'aspirazione all'unanimismo alla
non-conflittualità, contraddistinguerebbe il vero ethos dell'ideologia. In
questo modo la rivoluzione non appare più quella che storicamente è stata ed
è, cioè un'insorgenza continua di libertà rispondente ad uno stato di
non-libertà (insufficienza storica del liberalismo), ma l'asettico
compimento di una volontà tesa ad interpretare salvificamente un presupposto
bene comune. Ecco dunque gli anarchici accomunati totalmente ai marxisti per
l'uguale concezione che identifica l'interesse dell'individuo con
l'interesse dell'intera società, dell'uno con la totalità. Rousseau ed Hegel
risultano così tra i capostipiti dell'idea mentre Bakunin impersonifica la
vera figura del rivoluzionario che impone la Rivoluzione a dispetto
della volontà degli individui (sempre in virtù di questa concezione che
pretende di interpretare il bene comune, anche se questo bene non è noto ai
più). A questo punto è naturale che la violenza appaia del tutto insita
all'idea e alla pratica anarchica.
Le cose però non stanno affatto così. Lasciamo stare la critica
all'interpretazione e alla scelta dei testi fatta da Settembrini, sempre
tendenziosa ed a volte del tutto arbitraria (e la straordinaria denuncia di
Bakunin del vizio totalitario della democrazia unanimistica di Rousseau? E
l'analisi altrettanto straordinaria di Kropotkin del sistema hegeliano? E la
ricchezza pressoché inesauribile degli spunti malatestiani ad ogni pretesa
gnoseologica totalizzante? Tutto questo ed altro ancora lo diciamo ma è solo
a mò d'esempio, dove sono nell'antologia settembriniana? Vediamo invece se
egli ha veramente centrato il nucleo irriducibile dell'ideologia anarchica.
Abbiamo detto all'inizio che l'anarchismo può riassumersi al limite in una
sola parola: libertà. Ebbene, è evidente che se questo è vero, allora ciò
che lo contraddistingue irriducibilmente non è, come vorrebbe Settembrini,
la pura volontà di realizzare i postulati dell'armonia universale (sviluppo
della naturale benignità della natura umana e dell'illimitata ricchezza
della natura) ma la volontà di insorgere contro chiunque impedisce di
realizzarli il più possibile. La differenza, anche se non pare, è abissale.
Nel primo caso si fa dipendere la validità scientifica e la realizzazione
dell'anarchia dall'assolutezza dei suoi presupposti (tutti gli uomini sono
naturalmente buoni, la natura può soddisfare i bisogni di tutti, lo sviluppo
produttivo è ormai maturo per instaurare il comunismo, ecc. ecc.), venendo a
mancare i quali, cadrebbe davvero, come egli afferma, l'intera dottrina. Nel
secondo caso, invece, i presupposti non sono più tali nella loro astorica
assolutezza, ma tali nella loro storica relatività. Il che significa che non
sono più dei veri presupposti, ma soprattutto che l'anarchismo si
caratterizza innanzitutto per essere sempre contro il potere, cioè contro
quella particolare assolutezza storica che contraddistingue ogni regime dove
manca o è insufficiente la naturale benignità umana, la ricchezza naturale
alla portata possibile di tutti, ecc. ecc. cioè tutte le società umane
finora esistite. Non i postulati della realizzabilità assoluta possono
dunque caratterizzare il nucleo ultimo della dottrina anarchica, ma il
postulato, questo sì, se vogliamo, davvero astorico e assoluto, della
negazione del potere il solo per l'anarchismo che può, esplicandosi,
realizzare il massimo della possibilità storica dei postulati stessi.
Dunque, solo la negazione del potere decide il grado di anarchicità
dell'anarchismo.
Non ci sembra che l'interpretazione settembriniana dei testi segua questa
ottica e ponga perciò l'accento su questo tasto. Eppure tutto l'anarchismo
sta qui: la continua insorgenza di libertà contro uno stato di non libertà.
Da questo punto di vista la storia del pensiero e dell'azione anarchica
assume tutta un'altra prospettiva. Risultano infatti del tutto secondarie le
varie determinazioni propositive della dottrina sviluppatasi nell'ultimo
secolo (mutualismo, collettivismo, comunismo, individualismo, ecc. ecc.)
rispetto al suo senso ultimo che sta nella lotta implacabile e mortale
contro ogni potere. Mentre le determinazioni propositive sono condizionate e
mutano secondo alcuni di quei postulati che Settembrini vorrebbe assoluti e
che assoluti non sono (così, ad esempio, il comunismo è conseguente e
possibile solo ad un grado elevato della produttività sociale,
l'individualismo implicherebbe un regime proprietario universale, ecc.) la
determinazione puramente ideologica che nega il potere sfugge al
condizionamento storico del tempo. Essa può ripresentarsi sempre in
qualsiasi momento, sotto qualsiasi latitudine, in qualsiasi contesto. È
questo che rende l'anarchismo irripetibilmente unico rispetto al quale ogni
altra ideologia, dal liberalismo al marxismo, pur nella differenza abissale
che può separarle, risulta appaiata sulla stessa linea dell'accettazione
comune dell'unico presupposto che l'anarchismo radicalmente nega: il potere.
La storia anarchica va riletta quindi da questa chiave.
Certo, non saremo noi a negare la sua specificità storica, la cui
ricostruzione va veramente fatta sulle tracce di quei molteplici sviluppi
dottrinari messi in rilievo nell'antologia, sviluppi che per decenni hanno
costituito fonte di certezza scientifica ed ideale. Se si vuole però
arrivare all'essenza dell'anarchismo bisogna trovare la continuità che li ha
attraversati, andando perciò con lo sguardo oltre alla relatività storica
dei vari sistemi socioeconomici via via elaborati dal movimento. Solo una
prospettiva storiografica che privilegi i tempi lunghi può quindi
individuare la base comune dell'anarchismo, senza la quale, evidentemente,
ci si perde nel labirinto ricostituito da Settembrini. Se, dunque, l'essenza
dell'anarchismo è la negazione del potere, il senso di alcuni passaggi e di
alcuni momenti decisivi della sua storia acquista tutta un'altra dimensione
rispetto a quella datale dall'autore del labirinto.
Prima di tutto il discorso sulle origini. Ci sembra assolutamente arbitrario
farle datare iniziando dagli esponenti del "socialismo utopistico", senza
dire che tutta quella corrente di pensiero viene poi passata completamente
al vaglio critico dell'analisi proudhoniana che fonda il socialismo
libertario proprio partendo dall'esaltazione della conflittualità e perciò
dalla teorizzazione del pluralismo sociale. Il pensiero anarchico, dopo
Proudhon, non ha nessun "fondamento scientifico" che si richiami a quell'ottimismo
ingenuo e sprovveduto. Il retaggio sta solo in alcuni spunti, peraltro
attualissimi come, ad esempio, l'influenza della concezione fourieriana del
"lavoro attraente", che però non sono preponderanti rispetto alla linea di
fondo della critica radicale del potere. E non a caso nell'antologia
settembriniana il pensatore francese appare isolato, quasi un momento
anomalo e "contraddittorio" rispetto ad una supposta continuità utopistica.
Esattamente il contrario di quello che realmente è stato: un nodo obbligato,
uno spartiacque dove finiscono alcune ipotesi ingenuamente onnicomprensive e
nasce l'approccio sociologico relativistico che, guarda caso, si può
ritrovare poi dove, seguendo il ragionamento di Settembrini, non si dovrebbe
trovare: ad esempio nel comunismo di Malatesta. Così pure dicasi
dell'ascendenza illuministica del pensiero anarchico che quantunque messa in
rilievo, non ci sembra poi colta nella sua intima essenza. Dove risulta
infatti quella continuità che da Godwin approda a Berneri circa l'importanza
accordata al ruolo della ragione critica, cioè a quell'antidoto contro ogni
mitologismo a cominciare dalla visione storicistica? Non esiste proprio un
filone hegelo-storicista nel pensiero anarchico, e quindi non esiste proprio
una concezione deterministica e materialistica della storia che risponda ai
canoni del suo inventore, vale a dire di Marx. Proprio l'ascendenza
illuministica di stampo individualistico impedisce todo corde ogni
visione storicistica, permettendo con Bakunin di fondare un materialismo non
dialettico che troverà poi la sua massima espressione in Kropotkin. Anche
questo, dov'è nell'antologia di Settembrini?
La base comune della critica radicale del potere in quanto tale si
ripresenta con netta preponderanza pure nel rapporto con il marxismo.
Laddove Settembrini individua un legame determinante fra i due movimenti
dovuto alla radicale avversione anticapitalista, vi si deve leggere invece
solo uno dei due aspetti dell'essenza ultima dell'anarchismo: quello di
essere dentro la storia. Infatti anticapitalistico perché
dentro la storia, ma contemporaneamente contro la storia
perché imprescindibilmente antiautoritario. Si badi bene: contro la
storia perché innanzitutto imprescindibilmente antiautoritario non perché
innanzitutto imprescindibilmente rivoluzionario. Qui tocchiamo nuovamente
con mano e l'essenza dell'anarchismo e l'essenza della riduttiva
interpretazione datale da Settembrini. Vediamo.
Essendo l'anarchismo contemporaneamente contro il potere storico esistente e
contro il potere in quanto tale, vale a dire contemporaneamente contro un
determinato potere e contro la possibilità stessa della formazione di un
nuovo potere, lo storico del movimento anarchico deve ricostruire la
storicità del primo aspetto attraverso la continuità del secondo. È
il fatto di essere contro la storia che spiega perché l'anarchismo è dentro
la storia. In altri termini, è il fatto di essere contro il potere in quanto
tale che spiega perché l'anarchismo è contro il potere storico del
capitalismo. L'anarchismo non poteva non essere accanto al marxismo nella
comune e radicale avversione anticapitalistica, ma non si divise da questa
perché voleva fare subito la rivoluzione contro il regime borghese,
ma perché il marxismo non poteva fare la rivoluzione antiautoritaria,
essendo esso portatore di un nuovo potere. Non per l'"impazienza
rivoluzionaria" si divise dunque l'anarchismo dal marxismo, come dice
Settembrini e in ciò anche la più stupida vulgata marxista, ma perché
titanicamente e drammaticamente proiettato su due fronti nel senso appunto
che tendeva fare della lotta contro il potere storico esistente (il
capitalismo) una lotta contro il potere in quanto tale, contro la
possibilità stessa della formazione di un nuovo potere (come avverrà poi con
la posteriore lotta con l'avvento della burocrazia rossa). Come si vede,
rivoluzionario perché antiautoritario non perché intriso di determinismo
hegelo-storicista tendente ad una supposta società perfetta già in nuce
delle viscere della storia. Si capisce che questo essere anticipati
rispetto al posteriore svolgimento storico, questo mettere le mani avanti
ancora prima che il fatto accada, dà quel carattere di ultrarivoluzionismo e
di estremismo che Settembrini ritiene determinante, avendo scambiato
l'effetto per la causa. In effetti, non di ultrarivoluzionarismo si tratta,
ma di ulteriorizzazione rivoluzionaria, proprio perché l'accento è
posto non sul grado di radicalità rivoluzionaria, ma sul grado di radicalità
antiautoritaria. Che avvenga certe volte un inestricabile intreccio tra
ultrarivoluzionarismo e ulteriorizzazione rivoluzionaria come ad esempio in
Cafiero e in tanti altri anarchici, anche per l'adesione al determinismo
storico marxista, è un fatto che appartiene senza dubbio alla storicità
dell'anarchismo, non però alla sua continuità. Questa, ripetiamo, è data
dall'antiautoritarismo (perché tutti gli anarchici sono antiautoritari, non
tutti sono ultrarivoluzionari) il quale si manifesta come
ulteriorizzazione rivoluzionaria, scambiata da Settembrini appunto per
rivoluzionarismo tout court.
Ulteriorizzazione rivoluzionaria, ecco la traccia per ricostruire
il percorso storico dell'anarchismo. Una traccia che ci dà l'idea di come
debba intendersi la categoria tempo in questo percorso. Settembrini
mentre ha perfettamente colto il modo di manifestarsi di questa costante
(l'anarchismo nel corso del suo sviluppo storico non viene meno a se stesso
perché non sostituisce i suoi fini originari), non è stato poi in grado di
utilizzarla come criterio di comprensione del contemporaneo rapporto fra
anarchismo, marxismo e società borghese. Andava difatti detto che,
l'anarchismo, pur non venendo meno a se stesso come tendenza generale
rispetto al lungo periodo, abbassa però questa tensione in alcuni momenti
cruciali a causa di una sopravvalutazione di alcuni contesti storici.
Avviene così che nella rivoluzione russa e nella rivoluzione spagnola gli
anarchici fanno il gioco o avrebbero alla fine fatto il gioco del
bolscevismo, non perché ottusamente ultrarivoluzionari (accanimento cieco
contro la società borghese) ma perché non fu spinta fino in fondo l'ulteriorizzazione
rivoluzionaria. In altri termini, non perché furono rivoluzionari, ma
perché lo furono troppo poco.
Questo il vero problema dell'anarchismo: come essere efficacemente
rivoluzionari nel breve periodo (lotta contro il potere storico esistente)
senza rimandare nemmeno di un secondo l'imprescindibilità della rivoluzione
antiautoritaria (lotta contro il potere in quanto tale). Vero problema
perché la rivoluzione antiautoritaria si presenta sempre nell'immediato come
astratta rivoluzione, come rivoluzione priva di un avversario
storicamente determinato. Nell'aver rimandato, nel breve periodo, questo
categorico imperativo della rivoluzione libertaria, consiste la sconfitta
del movimento anarchico in Russia e in Spagna. Qualora si prescinda da
questa fondamentale considerazione (che implicitamente discrimina il
concetto di rivoluzione secondo categorie ideologiche, oltre che meramente
dinamiche), le osservazioni di Settembrini sul rapporto fra marxismo,
anarchismo e società borghese risultano del tutto riduttive ed a volte
fuorvianti. Di fatto se fu vera dabbenaggine quella degli anarchici di
favorire oggettivamente l'ascesa del bolscevismo in Russia, e non sempre di
favorirlo oggettivamente, come egli rileva giustamente, lo fu perché essi
non spinsero o non seppero spingere fino in fondo la logica della
rivoluzione antiautoritaria. Come dire: perché gli anarchici non furono
abbastanza anarchici. Certo, esisteva l'imprescindibile problema della
gestione della rivoluzione, che il movimento anarchico forse non era in
grado di risolvere (e ciò serve in parte a spiegare il successo leninista).
Ma questa osservazione è troppo sporadicamente empirica per valere altrove:
in Spagna, infatti, gli anarchici erano perfettamente in grado di gestire la
rivoluzione, oltre che spingerla alle estreme conseguenze. Perché qui sta
tutto il senso di questa banalissima verità: una rivoluzione anarchica
spinta alle sue estreme conseguenze spiazza ogni forza autoritaria
rendendola praticamente innocua. L'esperienza storica, del resto, lo
conferma in negativo ampiamente: l'egemonia bolscevica avviene in virtù del
riflusso rivoluzionario, tanto che si può dire che dove c'è questo non vi
può essere quella. Con la presente prospettiva si può capire quanto sia
arbitraria allora l'affermazione di Settembrini che dà per ineluttabile lo
sbocco totalitario di ogni rivoluzione. Ineluttabile sì, qualora la
rivoluzione si arresti là dove vorrebbe incominciare, precisamente nella
fase di transizione dal vecchio al nuovo ordine.
Il problema sta dunque tutto nella fase di transizione, ma non secondo il
significato economicista della teologia marxista, implicitamente accettato
da Settembrini. Il dilemma che lui pone (messo in modo tale da non poter
essere risolto) non esiste proprio nelle esperienze storiche accennate, né
esisterà mai. Non si tratta di una strutturale mancanza anarchica rispetto
al nodo centrale dell'industrializzazione, e perciò dell'impossibilità del
superamento in termini di benessere economico della società borghese, per
cui risulta alla fine vincente il punto di vista accentratore della
statalizzazione marxista dei mezzi di produzione (con tutto quello che essa
implica sul piano della libertà politica); ma di una storica e
perciò superabile mancanza anarchica rispetto al nodo centrale di una teoria
e di una pratica politica nella fase di transizione. Il che vuol dire che la
pura negazione del potere, come la Spagna insegna, non è di per sé
sufficiente a far funzionare in positivo una società senza Stato. Tutto
questo però nulla toglie alla fondamentale considerazione secondo cui il
massimo sviluppo possibile di libertà e di uguaglianza non è dato da
determinate condizioni politiche, precisamente da quella prima condizione
politica che dà la possibilità di raggiungere il massimo delle possibilità
storiche date: la negazione del potere, appunto. Torniamo così nuovamente al
falso assunto settembriniano sul carattere assolutistico di alcuni postulati
anarchici, che proprio l'esperienza storica decisamente smentisce. In
Russia, e in Spagna soprattutto, il problema principale non era infatti di
natura economica, ma politica. Basti pensare alla Catalogna del '36 dove gli
anarchici, per quelle condizioni storiche, avevano bene avviato,
dall'imprescindibile punto di vista della libertà e dell'uguaglianza, il
problema della produzione, dello scambio e del consumo.
Concludiamo queste note. Il punto di vista di Settembrini è l'ideologia
liberale così come si è configurata storicamente nella società borghese.
Dottrina del relativismo, del compromesso, dell'aggiustamento, del
perfettibilismo riformista. Sola dottrina, secondo lui, che non avendo
pretese assolutistiche di un cambiamento radicale del mondo, salva l'uomo da
ogni totalitarismo compreso quello anarchico della libertà assoluta.
L'enunciazione è pura, la realtà un po' meno (dietro questa dottrina c'è
infatti di tutto: dalla tratta dei negri al napalm sul Vietnam). Contro
questa civiltà del meno peggio si erge minaccioso il mostro della
Rivoluzione, il cui esercito vanta schiere fanatiche e apocalittiche di
invasati riformatori della natura umana, anarchici in testa. Al limite, non
tanto al limite, tra questi ultimi e i marxisti non c'è nessuna differenza -
tanto che Bakunin è visto per certi aspetti come il padre di Lenin. Così
tranquillamente Settembrini accomuna nella storia dell'anarchismo di questi
ultimi dieci anni anarchici e Brigate Rosse, tutti convergenti a cospirare
contro la civiltà borghese. Dunque la discriminante tra la dottrina della
libertà imperfetta, unica possibile (il liberalismo) e qualsiasi altra
dottrina rivoluzionaria sarebbe data proprio dalla categoria Rivoluzione.
Settembrini ha irrimediabilmente torto, perché vi è una discriminante più
forte. Non occorre dirlo: è la discriminante del potere. Basta pensare
questo e Settembrini sta immediatamente dalla parte di Stalin. Stalin,
Settembrini, Mao-Tse-Tung, Hitler, Lenin, Luigi Einaudi, Giulio Andreotti,
Komeini, Enrico Berlinguer, Benedetto Croce, John Stuart Mill, Alexis
Tocqueville, Mario Tanassi, Theodore e Franklin Delano Roosevelt, ecc. ecc.
sono tutti invasati e ammalati, sia pure in diversa misura e in diverso
modo, di questa brutta malattia che è il potere. Se avvenisse una
rivoluzione anarchica, i liberali citati in questa lista, ma si intende
tutti i liberali, da che parte sarebbero? Come si vede, la libertà è
infinitamente più ampia della Rivoluzione, così come l'anarchismo è
infinitamente più ampio del liberalismo.