La cuoca di Durruti
“Siamo andati all’assalto, cantando, tra i fiori e i venti profumati
dell’estate, adesso, stiamo assistendo, impotenti, alla fine… Natale è alle
porte, abbiamo deciso di preparare un po’ di frittelle. È l’ultima volta che
cuciniamo, e molte di noi le impastano di lacrime. Domani si parte per una
missione di sangue e di speranza, stanotte, invece, ci sporcheremo le mani
di farina, di zucchero, di cannella e d’amore. 26 gennaio 1939, Barcellona è
caduta…”
Nadine è la “cuoca di Durruti”, giovane studentessa di medicina e
guerrigliera della CNT-FAI negli anni dell’ultima resistenza campale al
franchismo. Il libro (Anonimo, La cuoca di Buenaventura Durruti. La
cucina spagnola al tempo della “guerra civile”. Ricette e ricordi,
prefazione di Luigi Veronelli, Roma, Derive Approdi 2002, pp. 208, € 16,00)
trae origine dal ritrovamento casuale di un manoscritto, nel 1970,
all’interno di un lotto di pubblicazioni sulla guerra di Spagna in vendita
alla mitica libreria Pinkus di Zurigo. Il corpus eterogeneo del materiale si
compone di un brogliaccio di cucina accompagnato da racconti sintetici di
episodi, oltre un centinaio di fogli dattiloscritti non ordinati, foto e
ritagli di giornali.
Luigi Veronelli, maestro di anarchia applicata, ci fa rivivere le passioni
di una donna travolta dalla tragedia e dalla sconfitta del progetto
rivoluzionario, e che pure sa inventare ogni volta “nuove resistenze”. Le
speranze di Nadine e gli spaccati di vita quotidiana sono, nelle intenzioni
del curatore, la risposta esaustiva “ad una domanda che le giovani
generazioni da sempre si pongono: come si vive quando il negativo scende
nelle strade?”. Il volume, alla stregua di un menu, si divide in entrate,
piatti di mezzo e dessert. Dietro al nome accattivante di ogni portata (ne
abbiamo contate 86!) c’è la concretezza di chi ha deciso di fondere la
propria vita con gli ideali in cui crede. L’uguaglianza e la libertà sono i
canoni di una sovversione che è sempre costruttiva. Così la socialità intima
di un convivio può essere anche l’incipit per la rinascita e per nuovi
sogni. E per un brindisi, nonostante tutto.
“…Infine, preparammo una sangria, se ne incaricò Estrella che, da ragazzina,
ha lavorato in una ‘bodega’ di Maiorca. Per un litro di vino rosso, callet,
tempranillo o manto negro, sono i migliori, perché sono fruttati, ci spiegò
Estrella, ci vogliono un’arancia, un limone, due pesche bianche e mezzo
melone. Separate le scorze dagli agrumi, tagliandole a spirale. Mettetele
nel vino, aggiungeteci questi tagliati a fettine per il largo, le pesche,
senza il nocciolo, tagliate a spicchi, il melone tagliato a fettine sottili.
Versate nel vino due o tre cucchiai di zucchero, un bicchierino di brandy,
un chiodo di garofano. Aggiungete un bicchiere di acqua e ghiaccio, agitate
con cura e servite…”
Interessante anche il corredo fotografico. C’è un primo piano di un
pneumatico militare sovietico “più pericoloso dei commissari politici
russi”. E in copertina Nadjeta, detta Nadine mentre innesca un ordigno
incendiario.
Giorgio Sacchetti