La bandiera di Cavallo Pazzo
"... I pochi che riuscirono in qualche modo a scappare dalla furia del primo assalto di Gall degli Hunkpapa, si trovarono dinanzi a una vista che dovette gelare loro i cuori già sconvolti. Alle loro spalle, nascosto dalla polvere e dalla confusione, era arrivato Cavallo Pazzo, che aveva aggirato la cresta di colline parallele con i suoi Oglala per chiudere la via di fuga ai soldati e intercettarli alle spalle. Ad uno ad uno i cavalleggeri che si credevano in salvo caddero sotto le frecce e le pallottole degli Oglala, quando erano fortunati. Gli altri, feriti, morirono la morte lenta e atroce della Prateria, sotto i coltelli e i tomahawk dei Sioux. La battaglia sulla collina di Custer durò appena un'ora..." (Vittorio Zucconi)
Il 25 giugno 1876 il Settimo Cavalleggeri, guidato dal tenente colonnello George Armstrong Custer fu distrutto, sulla collina del Little Bighorn, dagli indiani Sioux Oglala e Hunkpapa, Apaches e Cheyennes, guidati da Toro Seduto e Cavallo Pazzo. Fu la sconfitta più grave e cocente che l'esercito degli Stati Uniti ebbe a subire nel corso delle 'guerre indiane'. Il battaglione di Custer fu sterminato: restarono sul campo 246 uomini, tra soldati e ufficiali.
Cavallo Pazzo, che guidava i Sioux Oglala, non portava segni di riconoscimento e proprio per questo appariva riconoscibilissimo in campo di battaglia; nudo, con un perizoma di pelle di daino, una sola penna di falco infilata nella crocchia di capelli crespi. Di lui non esiste nessuna immagine fotografica. Il suo abbigliamento minimalista, diremmo oggi, era originato non da bizzarria di comportamento ma dalle prescrizioni di una visione iniziatica. In sogno era apparso al giovane guerriero un cavaliere che, riporta ancora Vittorio Zucconi, lo ammonì: "...Non dovrai mai indossare il piumaggio dei guerrieri, ma una sola penna di falco rosso, né dovrai mai ornare la coda del cavallo con piume o insegne, né dovrai dipingerlo con i colori di guerra. Se coprirai invece la tua cavalcatura con lunghe strisce di polvere e passerai la stessa polvere sui tuoi capelli e sul tuo corpo, nessun proiettile e nessuna freccia del nemico potrà mai ucciderti."
Del tutto ovvio che la mancanza di segni è un segno rafforzativo di identità ben forte. La figura di Cavallo Pazzo, così misteriosa, è infatti ancor oggi la più 'definita' e affascinante tra quelle dei Native Americans.
Toro Seduto (nella foto qui sopra accanto a George Armstrong
Custer) indossava invece il tradizionale copricapo in cui le
molte penne stavano a indicare i molti atti di valore compiuti.
Non risulta che i guerrieri di Toro Seduto e Cavallo Pazzo
innalzassero una bandiera di combattimento. Non risulta nemmeno
che le tribù indiane avessero, anche in tempo di pace, segni
'araldici' continui e sistematici di riconoscimento.
Questo naturalmente non significa che non possedessero un sistema di segni e di simboli complesso: pitture rituali e di guerra, segni di colore significanti e appropriati, piumaggi e icone, totem antropomorfi, figure ieratiche.
Partendo da questa constatazione due iconologi americani,
Peter Orenski e Donald Healy, hanno lavorato anni alla
ricostruzione di un
sistema di vessilli e bandiere
oggi documentati in un libro edito dalla Oklahoma Press (2003).
Le bandiere 'ricostruite' sono anche state messe in produzione e
in vendita. Orenski destina una parte del ricavato ai
discendenti di quelle originarie tribù indiane, e parla di un,
pur minimo, 'risarcimento morale' per i torti subiti nel corso
dei secoli da parte dell'uomo bianco.
La serie delle bandiere indiane è strana e affascinante. Diversamente a quanto avevamo visto nel caso dei mon giapponesi qui l'ispirazione non è certo univoca. Molti sono i segni essenziali, fortemente simbolici e suggestivi (si vedano le bandiere che pubblichiamo in alto e che sono quelle attribuite ai Sioux Oglala, proprio quelli di Cavallo Pazzo, e ai Cheyennes), ma molti sono anche i disegni fantastici e i pittogrammi allusivi alla storia e agli animali delle praterie, molte le fantasie e gli intrecci di colore che, sottratti alla loro simbologia, potremmo addirittura definire 'decorativi'. Si vedano, a tal proposito i casi, che pubblichiamo in basso, dei vessilli delle tribù Arapaho e MicMac.
Nel suo complesso il lavoro di Orenski e Healy ci appare come uno sguardo essenziale su di una civiltà ormai praticamente scomparsa e che si era ridotta a sopravvivere, con buona pace degli sforzi degli antropologi, solo come stereotipo hollywoodiano.
Maggiori informazioni: Vittorio Zucconi, Gli spiriti non dimenticano, Il mistero di Cavallo pazzo e la tragedia dei Sioux, Oscar Storia Mondadori, 1996, euro 9,00.
Peter Orenski, Donald Healy, Native American Flags, 2003 Oklahoma University Press