Kibbutz
di Avraham Yassour

Non è questa la prima volta che pubblichiamo materiali sull'esperienza del kibbutz. L'ultima volta che ce ne siamo occupati è stato nel giugno scorso ("A" 75), quando pubblicammo la relazione di Victor Garcia alla Conferenza internazionale di studi sull'autogestione ed un intervento di Horst Stowasser ripreso dal periodico libertario spagnolo (edito in Germania) Impulso. Questa volta pubblichiamo due articoli di uno che è al contempo un protagonista ed un esperto della vita comunitaria nel kibbutz: si tratta di Avraham Yassour, docente all'Istituto di ricerche sul kibbutz e sull'idea cooperativa dell'università di Haifa (Israele) e membro egli stesso di un kibbutz. Il primo articolo costituisce l'introduzione al volume, curato da Yassour stesso, Kibbutz members analyze the kibbutz ("I membri del kibbutz analizzano il kibbutz") edito nel 1977 a Cambridge, Mass. U.S.A.. Il secondo affronta alcuni problemi relativi alla democrazia diretta nell'ambito della vita comunitaria del kibbutz. Un altro saggio di Yassour, sempre di argomento affine, è apparso sul primo numero di quest'anno della rivista anarchica Volontà.
Ci sembra importante dare spazio all'opinione di chi, come Yassour, conosce e analizza dal di dentro l'esperienza del kibbutz, soprattutto considerando il taglio libertario del suo approccio. Al contempo ci preme sottolineare la necessità di un organico inquadramento della pur multiforme esperienza del kibbutz nella più generale realtà socio-politica israeliana, cosa, questa, che Yassour accenna in un punto ma poi non affronta. Non si può infatti estrapolare una pur interessante esperienza comunitaria dal contesto in cui si sviluppa, soprattutto quando questo contesto è rappresentato da uno Stato confessionale in continua altalena tra guerra e pace armata. Che ruolo svolgono oggi i kibbutz nella società israeliana? Quanti e quali hanno finito con l'integrarsi perfettamente nella macchina militarista dello Stato? Come sono stati affrontati i problemi della convivenza con le popolazioni arabe? Qual è il loro reale grao di autonomia dall'apparato burocratico statale? Anche a queste (e ad altre simili domande) è necessario trovare una risposta, che vada al di là degli slogan e delle frasi fatte, pro o contro Israele come pro o contro i palestinesi.

Kibbutz tra passato e futuro

Che cos'è un kibbutz? È una fattoria? È una rete economica? È le sue varie istituzioni? Il kibbutz è come i suoi membri vivono insieme, coscientemente, la propria vita. È una esperienza di vita unica, che non rientra nelle definizioni e nelle forme ordinarie della vita sociale tradizionale. D'altra parte, il kibbutz è anche difficilmente accessibile da parte dei metodi di ricerca occidentali. Vivendo nella comunità cooperativa del kibbutz, i suoi membri lavorano e sviluppano persino un nuovo gergo ebraico, che serve loro a descrivere a se stessi le proprie condizioni di vita. Più che un gergo, però, gli abitanti del kibbutz hanno sviluppato e perfezionato un loro modo di analizzare la vita comunitaria che conducono. Ad esempio, la metapelet non è solo una persona che si occupa dei bambini, né il coordinatore del lavoro è semplicemente un manager. Nel kibbutz, la responsabilità in entrambi questi settori non sono rapportate all'autorità sui bambini o sui lavoratori, come normalmente accade nella nostra società. Neppure i compensi (e soprattutto i compensi in denaro sotto forma di salari) sono rapportati al modo in cui la metapelet o il coordinatore del lavoro svolgono la loro funzione. In altre parole, quando si applicano alla gente, alle forme organizzative e alle funzioni del kibbutz le categorie tipiche del modo di vita della società di massa, esse risultano non sempre e non necessariamente pertinenti ed esatte. Ecco perché è importante che siano gli stessi membri del kibbutz ad analizzare e a descrivere la realtà in cui vivono.
Nel contempo, bisogna dire anche che il kibbutz è una delle forme comunitarie più studiate e analizzate del mondo. Tutti i membri del kibbutz sanno che siamo sommersi da questionari e da indagini di tipo professionale, psicologico e sociologico. Alcuni di questi studi, redatti da ricercatori incompetenti, provocano nel mercato accademico una vera e propria alluvione di terminologie esoteriche, il camuffamento verbale dei non addetti ai lavori, e una valanga di analisi rafforzate da gente che non riesce neppure a comprendere la vita quotidiana dei membri del kibbutz, la loro lingua, le loro gioie, i loro dolori.
Ho lasciato che altre raccolte di saggi e testimonianze riportino l'indicazione delle ricerche sociologiche e gli elenchi di giornali e libri, che tutti gli studenti conoscono ormai a memoria. In questa raccolta, tutti gli scritti (o le testimonianze orali) sono opera dei membri del kibbutz, e la raccolta stessa si rivolge ai problemi di questa gente, riporta la loro analisi della realtà. In breve, essi esaminano l'impegno ideologico ad unire i propri sforzi in una vita comune analizzando alcune caratteristiche storiche, sociologiche ed educative del kibbutz, senza tralasciare né i fallimenti, né le conquiste. Questo libro è una raccolta dei loro pensieri su loro stessi, sulle loro speranze e sulle tensioni, sullo sviluppo di questo importante esperimento, che ha portato a molti successi e a molte delusioni. La vita del kibbutz è descritta con passione, non con erudizione professionale. Tuttavia, "non con erudizione professionale" non significa superficialmente. Significa solamente senza sfruttare il feticcio della terminologia e della metodologia scientifiche. Ho selezionato le testimonianze per questo libro privilegiando la profondità e l'acutezza di analisi e la riflessione a carattere innovativo. Personalmente, non credo affatto nella verbosità e nella metodologia conservatrice che molti usano per descrivere la nostra società alternativa. La comunità del kibbutz è una vita prorompente in comune, nella quale si mescolano realtà e utopia. Detesto la tendenza a classificare schematicamente gli affetti e le aspettative della nostra vita collettiva. Un'analisi sicura, consigli e prescrizioni sono senz'altro necessari; tuttavia, nutriamo un sacro terrore per i limiti del cervello a compartimenti dello scienziato!
A.D. Gordon, un vecchio idealista e membro attivo del movimento del kibbutz, scrisse acutamente: "Se vi interessa la vita del kibbutz, o qualsiasi altro genere di struttura, non considerate la struttura medesima come una sorta di barile in cui la gente deve essere stivata, schiacciata come sardine in scatola, per poi essere accuratamente selezionata ed estratta (...) Gli esseri umani sono fatti di vita, di movimento. Dentro di loro c'è un universo intero. Iniettate questa vitalità, questo universo nella vostra struttura e poi forzate la struttura in ogni sfera della vita umana e in ciascun universo. Solo allora essa sopravviverà tanto quanto la vita stessa e l'universo.
Lo sviluppo del movimento dei kibbutz è per molti versi impressionante, visto che 25 anni dopo la fondazione di Degania A (il primo kibbutz in assoluto) la popolazione dei kibbutz ammontava complessivamente al 4% della popolazione (ebraica) della Palestina. Alla vigilia della fondazione dello stato di Israele (1947) esso ammontava al 7,5% della popolazione ebraica (in totale 630.000 persone). Questo fu il suo massimo punto di crescita in percentuale rispetto alla popolazione complessiva del paese. Quando grandi ondate migratorie si riversarono entro i confini del paese dopo la fondazione dello stato di Israele, molti dei nuovi venuti trascurarono il kibbutz come scelta di insediamento e come luogo per costruire una nuova vita. La percentuale degli abitanti del kibbutz rispetto alla popolazione nazionale scese di nuovo, assestandosi sui livelli precedenti la fondazione dello stato, cioè intorno al 3,3% (qual è tuttora). Ciò nonostante il rapporto tra la popolazione agricola complessiva e quella dei kibbutz è sempre di un terzo, e questo dato appare ancora più impressionante se si analizza la produttività dei lavoratori agricoli dei kibbutz. In vent'anni la produzione agricola dei kibbutz è aumentata del 400%, fenomeno sconosciuto anche nei paesi con economie agricole molto sviluppate (come gli Stati Uniti). C'è, evidentemente, un rapporto positivo tra l'età di un kibbutz, la sua stabilità e crescita di popolazione e la misura della crescita naturale degli abitanti per effetto della natalità. Il movimento dei kibbutz ha uno dei tassi di natalità più alti in tutto lo stato di Israele.
Il boom dell'industrializzazione del movimento dei kibbutz, pur con tutti i suoi problemi, ha offerto notevoli possibilità di ampliare, consolidare e incrementare la prosperità del movimento. Sembra, tuttavia, che il kibbutz abbia riscosso i suoi maggiori successi nella capacità di superare l'immanente contraddizione tra l'uguaglianza (tra esseri umani) e la (cosiddetta) necessità funzionale di un sistema di organizzazione gerarchico. Questo concetto è formulato nelle norme della società kibbutz, promulgate recentemente dalla "Brith Hatnua Hakibbutzit" (Federazione dei movimenti kibbutz): Il kibbutz è una libera associazione tra persone, avente come scopo l'insediamento, l'assorbimento di nuovi membri e il mantenimento di una società collettiva organizzata secondo i principi della proprietà comune, del lavoro autonomo e individuale, dell'uguaglianza e della cooperazione in tutti i settori della produzione, del consumo e dell'istruzione. Il kibbutzè un insediamento (comunità) autonomo e separato, che si considera parte integrante del movimento dei lavoratori di Israele e pioniere del rinascimento nazionale. Esso mira ad instaurare in Israele una società socialista, fondata sull'uguaglianza economica e sociale.
Ciononostante, non possiamo ancora sfuggire alla ben nota legge di Franz Oppenheimer, la cosiddetta "legge di trasformazione", secondo la quale le società comunitarie sono destinate a conformarsi alla società capitalistica che le circonda per ciò che concerne il settore produttivo. Viviamo ancora sottoposti all'azione di tendenze che mirano a distruggere ogni forma di vita alternativa. Queste tendenze si manifestano come la risultante delle forze che agiscono nella più vasta società capitalista esterna al kibbutz. La "visione globale e comprensiva del kibbutz" rappresenta ancora la speranza e l'obiettivo del movimento. La "comunità di opinioni" e il consenso in tutte le decisioni assunte dai membri del kibbutz sono un sogno utopico. Possiamo considerarci fortunati se abbiamo una democrazia che opera sempre in modo visibile e diretto. Amiamo questa vita perché siamo padroni del nostro destino, anche se talvolta è un destino difficile. Inoltre, la storia del kibbutzim è la storia della costruzione di una nazione e solo in questo contesto si può comprendere il fenomeno del kibbutz e il suo successo.
Molti membri del kibbutz hanno preteso subito, fin dall'inizio, che la personalità dell'individuo trovasse qui e ora una sua realizzazione. Questo desiderio andava di pari passo con gli ideali che, in genere, caratterizzavano la vita del kibbutz. Realizzando uno degli ideali più alti dell'umanità, la giusta condivisione dei beni materiali e il soddisfacimento di tutte le necessità individuali, abbiamo costruito una società che garantisce ai nostri figli l'ambiente più consono a una educazione sicura e comunitaria. In breve, la realizzazione qui ed ora della personalità individuale è in un certo senso subordinata a una prospettiva futuristica e generazionale. Il kibbutz garantisce a tutti i suoi membri una sicurezza totale e illimitata. La comunità risponde ai bisogni di ogni singolo componente. Le qualità essenziali che contraddistinguono la vita del kibbutz sono l'uguaglianza, la responsabilità, la comunità, la solidarietà, la sensibilità umana. Una comunità di membri uguali è una comunità solidale e solo in essa l'individuo può sentirsi libero e disponibile a soddisfare ogni suo più profondo desiderio e obiettivo.
Nella nostra ricerca della libertà potremo riuscire a crearla o a perderla per sempre. Le riflessioni logiche sulla libertà e i nobili desideri non mutano la qualità della vita e non portano alla rivoluzione. La rivoluzione bisogna farla! Per questo, come lo era per A.D. Gordon e per Marx, il lavoro è l'attività umana più importante. Un lavoro che comporti una mediazione tra l'essere umano e la natura e tra la società e l'essere umano per la creazione dell'ambiente circostante. L'affermazione dell'individuo e la sua realizzazione costituiscono, per l'abitante del kibbutz, la prassi quotidiana. Nell'attività pratica creativa realizziamo una società armoniosa, nella quale l'individuo è coinvolto in un processo costante di identificazione con il suo prossimo. Questa identificazione tra la soggettività individuale e l'oggettività del mondo circostante (la comunità del kibbutz in senso più ampio) costituisce una identificazione con il kibbutz stesso, con la sua società e con il processo di edificazione nazionale del quale il kibbutz è parte integrante e attiva. Si resta stupefatti nel constatare l'enorme influenza esercitata dalle prime esperienze dei kibbutz nel processo di rigenerazione spirituale e di ricostruzione della società ebraica nel nostro paese.
Naturalmente, abbiamo un passato, che è il passato dei padri e delle madri fondatori del kibbutz. Ora sono le seconde e le terze generazioni a portare avanti l'impresa, e il movimento del kibbutz è entrato nel suo "secondo giorno". È l'inizio di una nuova fase, legata al boom dell'industrializzazione, che ha migliorato tutti gli standards tecnologici e materiali della vita del kibbutz. Viviamo in una fase di transizione, di passaggio da una società esclusivamente agraria ad una società con un'economia industriale complessa. Questa transizione implica forse un mutamento sostanziale dell'apparato ideologico e dell'organizzazione sociale? Si comincia a intravedere, in effetti, il pericolo del passaggio da una comunità egualitaria ad un'istituzione cooperativa. Il successo economico del kibbutz porta da una economia modesta di pura sussistenza a una società del benessere che consente i budgets individuali (1), lo "sciovinismo settoriale" (che in diversi settori produttivi del kibbutz sta portando al lavoro di squadra), la dipendenza dalla manodopera salariata e l'inamovibilità dei funzionari e degli impiegati. Questi nuovi aspetti della società del kibbutz non la definiscono come una comunità, ma anzi rappresentano una minaccia nella misura in cui sono legati a una fase di crescita del benessere. Dalla comunità (la comunione intima ed etica dei primi kvutzah) alcuni kibbutzim sono passati alla funzionalità. Su questo fenomeno ha ulteriormente influito il passaggio da una condizione di struttura generazionale complessa, contraddistinta da forme diverse di raggruppamento politico-culturale. Nel corso di questi processi di sviluppo, alcuni dei principi fondamentali comunitari ed egualitari subiscono profonde trasformazioni.
Questi segni indicano una maggiore maturità del kibbutz come forma sociale? Il mutamento comporta un impoverimento della qualità della vita? L'industrializzazione e il successo economico portano a un regresso nella soddisfazione individuale nel lavoro e a una diminuzione del controllo partecipato e della facoltà decisionale sul posto di lavoro? Sono certo che per ogni problema tecnico esiste una soluzione soddisfacente. I veri problemi del kibbutz sono quelli che emergono in questa nuova era del suo sviluppo sociale ed economico. Sono problemi sociali, e per affrontarli dobbiamo avere chiari in mente gli obiettivi futuri. Viviamo in un periodo di transizione, e solo se saremo coscienti dei fallimenti, così come dei successi e delle "manchevolezze" disporremo di una solida base per affrontare questa nuova fase del nostro sviluppo.
Alcuni anni dopo aver affermato che il kibbutz è un "non-fallimento", Martin Buber disse a un membro di un kibbutz: Non sappiamo come raggiungere l'obiettivo della completezza, che è solo un sogno messianico per il futuro. Diverse volte ho detto che il modo di vita del kibbutz è un presagio per tutto il genere umano, una forma che si rifletterà persino nella vita urbana. Ho detto che il kibbutz farà rifiorire la fratellanza, i buoni rapporti tra gli uomini, e li unirà finalmente in tutti i paesi del mondo. La generazione attuale vorrà cambiare questo modo di vita?

(1) Per "budget individuale" si intende qui l'introduzione, in alcuni kibbutzim, del budget globale, onnicomprensivo. Ciò significa che il singolo lavoratore riceve dal kibbutz un salario globale, che può essere impiegato per far fronte alle spese personali più varie: vacanze, acquisti vari, vestiario, hobbies, ecc. Tradizionalmente, e ancora oggi nella maggior parte dei kibbutz, il lavoratore riceveva un budget individuale separato per ogni tipo di necessità economica. In altre parole, un budget per il vestiario, un budget per le spese varie, un budget per le spese di trasporto, e così via. Il budget totale consente al membro del kibbutz di spendere grosse somme di denaro per ciò che preferisce, mentre il "budget chiuso" tradizionale rendeva impossibile utilizzare il denaro non utilizzato di una singola quota per soddisfare necessità economiche di tipo diverso.

Democrazia diretta e assemblea

Il kibbutz è una comune fondata sull'uguaglianza, sull'amicizia e su istituzioni partecipative conformate secondo i principi della democrazia diretta. Tutti i mezzi di produzione, le automobili, le case, ecc. sono di proprietà comune. I compensi non sono correlati al ritmo di produzione; i consumi sono proporzionati ai bisogni e compatibili con i valori di solidarietà e uguaglianza sviluppati e maturati nel corso di tutta la storia del movimento dei kibbutz. Il concetto di una democrazia diretta partecipata presuppone che tutti i membri del kibbutz, i quali condividono gli stessi compiti e gli stessi problemi e interagiscono su un piano di uguaglianza nell'ambito di tutti i processi decisionali conducano una vita attiva in seno alla comunità. L'organo principale dell'autorità e la sua unica fonte (il termine "potere" non si confà alla nostra società) è l'assemblea generale, che è anche oggi, come in passato, il simbolo del bisogno costante e intensivo di comunicazione tra i componenti di una comunità organico-democratica come la nostra.
Ora non solo gli studiosi, ma qualsiasi sbarbatello sa bene che l'Assemblea generale del kibbutz sembra attraversare un periodo di grave crisi. Tralasciamo per il momento il fatto che le aspettative deformano a volte la realtà, e osserviamo il manifestarsi, in ordine di gravità, di tre fenomeni innegabilmente inquietanti:

a) I comitati hanno troppa autorità: quando la democrazia diretta si trasforma in democrazia rappresentativa, una serie di implicazioni diventa inevitabile (e prima tra tutte l'indipendenza dei rappresentanti...). La devozione all'idea e una concezione utilitaristica si fondano nel carattere di alcuni degli eletti e la necessità di ottenere l'approvazione per la loro gestione e le loro attività è vista come un fastidioso ostacolo. I rappresentanti non presentano alternative, tra le quali i membri del kibbutz abbiano, come è loro diritto, la possibilità di scegliere con responsabilità e tenendo nel debito conto (ma nulla più che questo) il parere di chi a volte è più esperto di loro nel problema in discussione. Accade talvolta che alcuni membri del kibbutz, non facenti parte dei comitati, siano altrettanto o addirittura più esperti in materia dei delegati, essendo stati eletti loro stessi rappresentanti appena ieri o due giorni prima. Questa situazione rende ancora più grave il problema quando uno o due comitati (il comitato finanziario, ad esempio, ma non raramente il segretariato) dispongono di un grado eccessivo di autorità, oppure quando e se uno dei settori di produzione (naturalmente, di solito si tratta dell'industria) si sobbarca il peso maggiore nel kibbutz e la rotazione dei dirigenti è troppo lenta. Ciò produce quel clima particolare che si può riassumere nell'affermazione: "L'Assemblea generale non decide nulla, comunque". Inoltre, non c'è dubbio che questo stato di cose genera indifferenza.
b) La crescita del kibbutz: non mi riferisco al fatto che siamo andati oltre i 300 membri (il che una volta sarebbe parso veramente mostruoso): oggi una comunità, con le sue varie generazioni e i suoi bisogni, può naturalmente aspirare ad avere tra i 300 e i 500 membri (ma non di più). La situazione a cui mi riferisco è di tutt'altro genere: la popolazione è troppo eterogenea, nel senso che si è sviluppata una vasta fascia periferica, sproporzionata al rapporto tra auto-governo e appartenenza attiva alla comunità. Conosco bene i motivi che hanno determinato la crescita e l'abbandono di ogni criterio selettivo: ultimamente non c'è stata più neppure un'"auto-selezione" dei membri che sceglievano di restare nel kibbutz (e non sempre per divenirne membri). A mio avviso, assistiamo già ora ai risultati di questo processo: essi costituiscono un tutto perfettamente omogeneo e favoriscono il proposito di alcuni "funzionari", cioè quello di agire con rapidità ed efficienza, senza troppo preoccuparsi delle "masse", cioè della base.
c) La stessa comparsa dei termini sopracitati ("funzionari", "masse") è un segno dell'indebolimento del carattere democratico ed egualitario del kibbutz. Sarebbe desiderabile invece - poiché questa è la caratteristica essenziale del kibbutz - che tutti i membri vivano la loro vita pienamente, faccia a faccia con gli altri. L'individuo, valorizzando appieno la propria personalità, vive nel kibbutz, condivide le responsabilità e le decisioni della comunità e comunica ai compagni i propri problemi. I membri dei comitati hanno una funzione limitata, parziale; non devono valicare i limiti della loro autorità, che è anch'essa parziale e delimitata come la funzione loro assegnata. Quando i membri di un qualsiasi comitato (generalmente i coordinatori) pensano di essere i sostenitori (materiali o spirituali) di tutta la comunità, esagerano la propria missione e si arrogano un'autorità che non compete loro. Non è possibile concedere a chicchessia poteri troppo vasti, poiché il kibbutz non può sopravvivere se la sovranità e l'autorità piena ed esclusiva non competono esclusivamente all'Assemblea generale dei suoi membri.

C'è poi un altro aspetto relativo alla collocazione dei comitati all'interno della democrazia del kibbutz: le strutture entro le quali ciascun membro del kibbutz apprende i fondamenti della democrazia diretta e partecipata. Nessuno deve essere responsabile della nostra educazione; è un compito che spetta esclusivamente a noi. La democrazia non fa parte della natura dell'uomo, che anzi dubita che essa rappresenti una "necessità" vitale. Naturalmente, ci sono individui aggressivi e individui pacifici, ma tutti indistintamente hanno bisogno e hanno diritto di essere educati alla democrazia, cioè alla responsabilità diretta, all'assenza (o alla rinuncia) dell'autorità, ai rapporti umani e alla solidarietà reciproca, al considerare ogni singolo essere umano come un mondo unico e particolare (in contrapposizione alla concezione computeristica, catastrofica per la vita del kibbutz, secondo la quale l'uomo non è altro che un numero).

È ancora lontano il giorno in cui si realizzerà l'ideale di una partecipazione gioiosa e avvertita come bisogno essenziale ai processi decisionali della comunità - e ciò dovrà precedere la realizzazione di una condizione reale di partecipazione e di libertà nell'ambito dei processi decisionali. Anche gli errori dovrebbero essere commessi insieme, collettivamente, perché così tutti ne patirebbero comunque le conseguenze. L'unica altra possibilità è quella esistente nella società esterna al kibbutz: l'alienazione in un ambiente istituzionalizzato.
Io non accetto la formula in voga al giorno d'oggi, secondo la quale la democrazia risulta dalla "competizione tra le élites" e secondo la quale la cosa più importante è assicurare una sorta di fair play fondato sull'accettazione di alcune regole. La democrazia come mezzo di contrattazione per raggiungere il compromesso e preservare il sistema - nel kibbutz ciò si chiama "mercanteggiare", "insudiciare". La democrazia che vogliamo, di cui abbiamo bisogno, è una democrazia socio-comunitaria (fondata sull'uguaglianza e sulla comunità), che deve essere necessariamente partecipata e diretta. A questo proposito si sono fatti, giustamente, i nomi di Rousseau e di Marx (ma io aggiungerei quelli di Cole e di M. Adler). Le decisioni democratiche a cui costoro facevano riferimento erano decisioni prese da individui legati da rapporti di amicizia, che condividevano una vita libera all'interno di una comunità, auto-sufficienti, liberi e desiderosi di decidere per proprio conto. Una comunità come questa, unita da legami culturali comuni e da comuni interessi, formata da membri che condividono ugualmente i beni di consumo, i valori umani e sociali e l'amicizia - questo è un kibbutz.