Kibbutz
di Avraham Yassour
Non è questa la prima volta che pubblichiamo materiali
sull'esperienza del kibbutz. L'ultima volta che ce ne siamo occupati è stato
nel giugno scorso ("A" 75), quando pubblicammo la relazione di Victor Garcia
alla Conferenza internazionale di studi sull'autogestione ed un
intervento di Horst Stowasser ripreso dal periodico libertario spagnolo
(edito in Germania) Impulso. Questa volta pubblichiamo due articoli
di uno che è al contempo un protagonista ed un esperto della vita
comunitaria nel kibbutz: si tratta di Avraham Yassour, docente all'Istituto
di ricerche sul kibbutz e sull'idea cooperativa dell'università di Haifa
(Israele) e membro egli stesso di un kibbutz. Il primo articolo costituisce
l'introduzione al volume, curato da Yassour stesso, Kibbutz members
analyze the kibbutz ("I membri del kibbutz analizzano il kibbutz") edito
nel 1977 a Cambridge, Mass. U.S.A.. Il secondo affronta alcuni problemi
relativi alla democrazia diretta nell'ambito della vita comunitaria del
kibbutz. Un altro saggio di Yassour, sempre di argomento affine, è apparso
sul primo numero di quest'anno della rivista anarchica Volontà.
Ci sembra importante dare spazio all'opinione di chi, come Yassour,
conosce e analizza dal di dentro l'esperienza del kibbutz,
soprattutto considerando il taglio libertario del suo approccio. Al contempo
ci preme sottolineare la necessità di un organico inquadramento della pur
multiforme esperienza del kibbutz nella più generale realtà socio-politica
israeliana, cosa, questa, che Yassour accenna in un punto ma poi non
affronta. Non si può infatti estrapolare una pur interessante esperienza
comunitaria dal contesto in cui si sviluppa, soprattutto quando questo
contesto è rappresentato da uno Stato confessionale in continua altalena tra
guerra e pace armata. Che ruolo svolgono oggi i kibbutz nella società
israeliana? Quanti e quali hanno finito con l'integrarsi perfettamente nella
macchina militarista dello Stato? Come sono stati affrontati i problemi
della convivenza con le popolazioni arabe? Qual è il loro reale grao di
autonomia dall'apparato burocratico statale? Anche a queste (e ad altre
simili domande) è necessario trovare una risposta, che vada al di là degli
slogan e delle frasi fatte, pro o contro Israele come pro o contro i
palestinesi.
Kibbutz tra passato e futuro
Che cos'è un kibbutz? È una fattoria? È una rete
economica? È le sue varie istituzioni? Il kibbutz è come i suoi membri
vivono insieme, coscientemente, la propria vita. È una esperienza di vita
unica, che non rientra nelle definizioni e nelle forme ordinarie della vita
sociale tradizionale. D'altra parte, il kibbutz è anche difficilmente
accessibile da parte dei metodi di ricerca occidentali. Vivendo nella
comunità cooperativa del kibbutz, i suoi membri lavorano e sviluppano
persino un nuovo gergo ebraico, che serve loro a descrivere a se stessi le
proprie condizioni di vita. Più che un gergo, però, gli abitanti del kibbutz
hanno sviluppato e perfezionato un loro modo di analizzare la vita
comunitaria che conducono. Ad esempio, la metapelet non è solo una
persona che si occupa dei bambini, né il coordinatore del lavoro è
semplicemente un manager. Nel kibbutz, la responsabilità in entrambi questi
settori non sono rapportate all'autorità sui bambini o sui lavoratori, come
normalmente accade nella nostra società. Neppure i compensi (e soprattutto i
compensi in denaro sotto forma di salari) sono rapportati al modo in cui la
metapelet o il coordinatore del lavoro svolgono la loro funzione. In
altre parole, quando si applicano alla gente, alle forme organizzative e
alle funzioni del kibbutz le categorie tipiche del modo di vita della
società di massa, esse risultano non sempre e non necessariamente pertinenti
ed esatte. Ecco perché è importante che siano gli stessi membri del kibbutz
ad analizzare e a descrivere la realtà in cui vivono.
Nel contempo, bisogna dire anche che il kibbutz è una delle forme
comunitarie più studiate e analizzate del mondo. Tutti i membri del kibbutz
sanno che siamo sommersi da questionari e da indagini di tipo professionale,
psicologico e sociologico. Alcuni di questi studi, redatti da ricercatori
incompetenti, provocano nel mercato accademico una vera e propria alluvione
di terminologie esoteriche, il camuffamento verbale dei non addetti ai
lavori, e una valanga di analisi rafforzate da gente che non riesce neppure
a comprendere la vita quotidiana dei membri del kibbutz, la loro lingua, le
loro gioie, i loro dolori.
Ho lasciato che altre raccolte di saggi e testimonianze riportino
l'indicazione delle ricerche sociologiche e gli elenchi di giornali e libri,
che tutti gli studenti conoscono ormai a memoria. In questa raccolta, tutti
gli scritti (o le testimonianze orali) sono opera dei membri del kibbutz, e
la raccolta stessa si rivolge ai problemi di questa gente, riporta la loro
analisi della realtà. In breve, essi esaminano l'impegno ideologico ad unire
i propri sforzi in una vita comune analizzando alcune caratteristiche
storiche, sociologiche ed educative del kibbutz, senza tralasciare né i
fallimenti, né le conquiste. Questo libro è una raccolta dei loro pensieri
su loro stessi, sulle loro speranze e sulle tensioni, sullo sviluppo di
questo importante esperimento, che ha portato a molti successi e a molte
delusioni. La vita del kibbutz è descritta con passione, non con erudizione
professionale. Tuttavia, "non con erudizione professionale" non significa
superficialmente. Significa solamente senza sfruttare il feticcio della
terminologia e della metodologia scientifiche. Ho selezionato le
testimonianze per questo libro privilegiando la profondità e l'acutezza di
analisi e la riflessione a carattere innovativo. Personalmente, non credo
affatto nella verbosità e nella metodologia conservatrice che molti usano
per descrivere la nostra società alternativa. La comunità del kibbutz è una
vita prorompente in comune, nella quale si mescolano realtà e utopia.
Detesto la tendenza a classificare schematicamente gli affetti e le
aspettative della nostra vita collettiva. Un'analisi sicura, consigli e
prescrizioni sono senz'altro necessari; tuttavia, nutriamo un sacro terrore
per i limiti del cervello a compartimenti dello scienziato!
A.D. Gordon, un vecchio idealista e membro attivo del movimento del kibbutz,
scrisse acutamente: "Se vi interessa la vita del kibbutz, o qualsiasi
altro genere di struttura, non considerate la struttura medesima come una
sorta di barile in cui la gente deve essere stivata, schiacciata come
sardine in scatola, per poi essere accuratamente selezionata ed estratta
(...) Gli esseri umani sono fatti di vita, di movimento. Dentro di loro c'è
un universo intero. Iniettate questa vitalità, questo universo nella vostra
struttura e poi forzate la struttura in ogni sfera della vita umana e in
ciascun universo. Solo allora essa sopravviverà tanto quanto la vita stessa
e l'universo.
Lo sviluppo del movimento dei kibbutz è per molti versi impressionante,
visto che 25 anni dopo la fondazione di Degania A (il primo kibbutz in
assoluto) la popolazione dei kibbutz ammontava complessivamente al 4% della
popolazione (ebraica) della Palestina. Alla vigilia della fondazione dello
stato di Israele (1947) esso ammontava al 7,5% della popolazione ebraica (in
totale 630.000 persone). Questo fu il suo massimo punto di crescita in
percentuale rispetto alla popolazione complessiva del paese. Quando grandi
ondate migratorie si riversarono entro i confini del paese dopo la
fondazione dello stato di Israele, molti dei nuovi venuti trascurarono il
kibbutz come scelta di insediamento e come luogo per costruire una nuova
vita. La percentuale degli abitanti del kibbutz rispetto alla popolazione
nazionale scese di nuovo, assestandosi sui livelli precedenti la fondazione
dello stato, cioè intorno al 3,3% (qual è tuttora). Ciò nonostante il
rapporto tra la popolazione agricola complessiva e quella dei kibbutz è
sempre di un terzo, e questo dato appare ancora più impressionante se si
analizza la produttività dei lavoratori agricoli dei kibbutz. In vent'anni
la produzione agricola dei kibbutz è aumentata del 400%, fenomeno
sconosciuto anche nei paesi con economie agricole molto sviluppate (come gli
Stati Uniti). C'è, evidentemente, un rapporto positivo tra l'età di un
kibbutz, la sua stabilità e crescita di popolazione e la misura della
crescita naturale degli abitanti per effetto della natalità. Il movimento
dei kibbutz ha uno dei tassi di natalità più alti in tutto lo stato di
Israele.
Il boom dell'industrializzazione del movimento dei kibbutz, pur con tutti i
suoi problemi, ha offerto notevoli possibilità di ampliare, consolidare e
incrementare la prosperità del movimento. Sembra, tuttavia, che il kibbutz
abbia riscosso i suoi maggiori successi nella capacità di superare
l'immanente contraddizione tra l'uguaglianza (tra esseri umani) e la
(cosiddetta) necessità funzionale di un sistema di organizzazione
gerarchico. Questo concetto è formulato nelle norme della società kibbutz,
promulgate recentemente dalla "Brith Hatnua Hakibbutzit" (Federazione dei
movimenti kibbutz): Il kibbutz è una libera associazione tra persone,
avente come scopo l'insediamento, l'assorbimento di nuovi membri e il
mantenimento di una società collettiva organizzata secondo i principi della
proprietà comune, del lavoro autonomo e individuale, dell'uguaglianza e
della cooperazione in tutti i settori della produzione, del consumo e
dell'istruzione. Il kibbutzè un insediamento (comunità) autonomo e separato,
che si considera parte integrante del movimento dei lavoratori di Israele e
pioniere del rinascimento nazionale. Esso mira ad instaurare in Israele una
società socialista, fondata sull'uguaglianza economica e sociale.
Ciononostante, non possiamo ancora sfuggire alla ben nota legge di Franz
Oppenheimer, la cosiddetta "legge di trasformazione", secondo la quale le
società comunitarie sono destinate a conformarsi alla società capitalistica
che le circonda per ciò che concerne il settore produttivo. Viviamo ancora
sottoposti all'azione di tendenze che mirano a distruggere ogni forma di
vita alternativa. Queste tendenze si manifestano come la risultante delle
forze che agiscono nella più vasta società capitalista esterna al kibbutz.
La "visione globale e comprensiva del kibbutz" rappresenta ancora la
speranza e l'obiettivo del movimento. La "comunità di opinioni" e il
consenso in tutte le decisioni assunte dai membri del kibbutz sono un sogno
utopico. Possiamo considerarci fortunati se abbiamo una democrazia che opera
sempre in modo visibile e diretto. Amiamo questa vita perché siamo padroni
del nostro destino, anche se talvolta è un destino difficile. Inoltre, la
storia del kibbutzim è la storia della costruzione di una nazione e solo in
questo contesto si può comprendere il fenomeno del kibbutz e il suo
successo.
Molti membri del kibbutz hanno preteso subito, fin dall'inizio, che la
personalità dell'individuo trovasse qui e ora una sua realizzazione. Questo
desiderio andava di pari passo con gli ideali che, in genere,
caratterizzavano la vita del kibbutz. Realizzando uno degli ideali più alti
dell'umanità, la giusta condivisione dei beni materiali e il soddisfacimento
di tutte le necessità individuali, abbiamo costruito una società che
garantisce ai nostri figli l'ambiente più consono a una educazione sicura e
comunitaria. In breve, la realizzazione qui ed ora della personalità
individuale è in un certo senso subordinata a una prospettiva futuristica e
generazionale. Il kibbutz garantisce a tutti i suoi membri una sicurezza
totale e illimitata. La comunità risponde ai bisogni di ogni singolo
componente. Le qualità essenziali che contraddistinguono la vita del kibbutz
sono l'uguaglianza, la responsabilità, la comunità, la solidarietà, la
sensibilità umana. Una comunità di membri uguali è una comunità solidale e
solo in essa l'individuo può sentirsi libero e disponibile a soddisfare ogni
suo più profondo desiderio e obiettivo.
Nella nostra ricerca della libertà potremo riuscire a crearla o a perderla
per sempre. Le riflessioni logiche sulla libertà e i nobili desideri non
mutano la qualità della vita e non portano alla rivoluzione. La rivoluzione
bisogna farla! Per questo, come lo era per A.D. Gordon e per Marx, il lavoro
è l'attività umana più importante. Un lavoro che comporti una mediazione tra
l'essere umano e la natura e tra la società e l'essere umano per la
creazione dell'ambiente circostante. L'affermazione dell'individuo e la sua
realizzazione costituiscono, per l'abitante del kibbutz, la prassi
quotidiana. Nell'attività pratica creativa realizziamo una società
armoniosa, nella quale l'individuo è coinvolto in un processo costante di
identificazione con il suo prossimo. Questa identificazione tra la
soggettività individuale e l'oggettività del mondo circostante (la comunità
del kibbutz in senso più ampio) costituisce una identificazione con il
kibbutz stesso, con la sua società e con il processo di edificazione
nazionale del quale il kibbutz è parte integrante e attiva. Si resta
stupefatti nel constatare l'enorme influenza esercitata dalle prime
esperienze dei kibbutz nel processo di rigenerazione spirituale e di
ricostruzione della società ebraica nel nostro paese.
Naturalmente, abbiamo un passato, che è il passato dei padri e delle madri
fondatori del kibbutz. Ora sono le seconde e le terze generazioni a portare
avanti l'impresa, e il movimento del kibbutz è entrato nel suo "secondo
giorno". È l'inizio di una nuova fase, legata al boom
dell'industrializzazione, che ha migliorato tutti gli standards tecnologici
e materiali della vita del kibbutz. Viviamo in una fase di transizione, di
passaggio da una società esclusivamente agraria ad una società con
un'economia industriale complessa. Questa transizione implica forse un
mutamento sostanziale dell'apparato ideologico e dell'organizzazione
sociale? Si comincia a intravedere, in effetti, il pericolo del passaggio da
una comunità egualitaria ad un'istituzione cooperativa. Il successo
economico del kibbutz porta da una economia modesta di pura sussistenza a
una società del benessere che consente i budgets individuali (1), lo
"sciovinismo settoriale" (che in diversi settori produttivi del kibbutz sta
portando al lavoro di squadra), la dipendenza dalla manodopera salariata e
l'inamovibilità dei funzionari e degli impiegati. Questi nuovi aspetti della
società del kibbutz non la definiscono come una comunità, ma anzi
rappresentano una minaccia nella misura in cui sono legati a una fase di
crescita del benessere. Dalla comunità (la comunione intima ed etica dei
primi kvutzah) alcuni kibbutzim sono passati alla funzionalità. Su
questo fenomeno ha ulteriormente influito il passaggio da una condizione di
struttura generazionale complessa, contraddistinta da forme diverse di
raggruppamento politico-culturale. Nel corso di questi processi di sviluppo,
alcuni dei principi fondamentali comunitari ed egualitari subiscono profonde
trasformazioni.
Questi segni indicano una maggiore maturità del kibbutz come forma sociale?
Il mutamento comporta un impoverimento della qualità della vita?
L'industrializzazione e il successo economico portano a un regresso nella
soddisfazione individuale nel lavoro e a una diminuzione del controllo
partecipato e della facoltà decisionale sul posto di lavoro? Sono certo che
per ogni problema tecnico esiste una soluzione soddisfacente. I veri
problemi del kibbutz sono quelli che emergono in questa nuova era del suo
sviluppo sociale ed economico. Sono problemi sociali, e per affrontarli
dobbiamo avere chiari in mente gli obiettivi futuri. Viviamo in un periodo
di transizione, e solo se saremo coscienti dei fallimenti, così come dei
successi e delle "manchevolezze" disporremo di una solida base per
affrontare questa nuova fase del nostro sviluppo.
Alcuni anni dopo aver affermato che il kibbutz è un "non-fallimento", Martin
Buber disse a un membro di un kibbutz: Non sappiamo come raggiungere
l'obiettivo della completezza, che è solo un sogno messianico per il futuro.
Diverse volte ho detto che il modo di vita del kibbutz è un presagio per
tutto il genere umano, una forma che si rifletterà persino nella vita
urbana. Ho detto che il kibbutz farà rifiorire la fratellanza, i buoni
rapporti tra gli uomini, e li unirà finalmente in tutti i paesi del mondo.
La generazione attuale vorrà cambiare questo modo di vita?
(1) Per "budget individuale" si intende qui l'introduzione, in alcuni kibbutzim, del budget globale, onnicomprensivo. Ciò significa che il singolo lavoratore riceve dal kibbutz un salario globale, che può essere impiegato per far fronte alle spese personali più varie: vacanze, acquisti vari, vestiario, hobbies, ecc. Tradizionalmente, e ancora oggi nella maggior parte dei kibbutz, il lavoratore riceveva un budget individuale separato per ogni tipo di necessità economica. In altre parole, un budget per il vestiario, un budget per le spese varie, un budget per le spese di trasporto, e così via. Il budget totale consente al membro del kibbutz di spendere grosse somme di denaro per ciò che preferisce, mentre il "budget chiuso" tradizionale rendeva impossibile utilizzare il denaro non utilizzato di una singola quota per soddisfare necessità economiche di tipo diverso.
Democrazia diretta e assemblea
Il kibbutz è una comune fondata sull'uguaglianza,
sull'amicizia e su istituzioni partecipative conformate secondo i principi
della democrazia diretta. Tutti i mezzi di produzione, le automobili, le
case, ecc. sono di proprietà comune. I compensi non sono correlati al ritmo
di produzione; i consumi sono proporzionati ai bisogni e compatibili con i
valori di solidarietà e uguaglianza sviluppati e maturati nel corso di tutta
la storia del movimento dei kibbutz. Il concetto di una democrazia diretta
partecipata presuppone che tutti i membri del kibbutz, i quali condividono
gli stessi compiti e gli stessi problemi e interagiscono su un piano di
uguaglianza nell'ambito di tutti i processi decisionali conducano una
vita attiva in seno alla comunità. L'organo principale dell'autorità e
la sua unica fonte (il termine "potere" non si confà alla nostra società) è
l'assemblea generale, che è anche oggi, come in passato, il simbolo
del bisogno costante e intensivo di comunicazione tra i componenti di una
comunità organico-democratica come la nostra.
Ora non solo gli studiosi, ma qualsiasi sbarbatello sa bene che l'Assemblea
generale del kibbutz sembra attraversare un periodo di grave crisi.
Tralasciamo per il momento il fatto che le aspettative deformano a volte la
realtà, e osserviamo il manifestarsi, in ordine di gravità, di tre fenomeni
innegabilmente inquietanti:
a) I comitati hanno troppa autorità: quando la democrazia
diretta si trasforma in democrazia rappresentativa, una serie di
implicazioni diventa inevitabile (e prima tra tutte l'indipendenza dei
rappresentanti...). La devozione all'idea e una concezione utilitaristica si
fondano nel carattere di alcuni degli eletti e la necessità di ottenere
l'approvazione per la loro gestione e le loro attività è vista come un
fastidioso ostacolo. I rappresentanti non presentano alternative, tra le
quali i membri del kibbutz abbiano, come è loro diritto, la possibilità di
scegliere con responsabilità e tenendo nel debito conto (ma nulla più che
questo) il parere di chi a volte è più esperto di loro nel problema in
discussione. Accade talvolta che alcuni membri del kibbutz, non facenti
parte dei comitati, siano altrettanto o addirittura più esperti in materia
dei delegati, essendo stati eletti loro stessi rappresentanti appena ieri o
due giorni prima. Questa situazione rende ancora più grave il problema
quando uno o due comitati (il comitato finanziario, ad esempio, ma non
raramente il segretariato) dispongono di un grado eccessivo di autorità,
oppure quando e se uno dei settori di produzione (naturalmente, di solito si
tratta dell'industria) si sobbarca il peso maggiore nel kibbutz e la
rotazione dei dirigenti è troppo lenta. Ciò produce quel clima particolare
che si può riassumere nell'affermazione: "L'Assemblea generale non decide
nulla, comunque". Inoltre, non c'è dubbio che questo stato di cose genera
indifferenza.
b) La crescita del kibbutz: non mi riferisco al fatto che siamo
andati oltre i 300 membri (il che una volta sarebbe parso veramente
mostruoso): oggi una comunità, con le sue varie generazioni e i suoi
bisogni, può naturalmente aspirare ad avere tra i 300 e i 500 membri (ma non
di più). La situazione a cui mi riferisco è di tutt'altro genere: la
popolazione è troppo eterogenea, nel senso che si è sviluppata una vasta
fascia periferica, sproporzionata al rapporto tra auto-governo e
appartenenza attiva alla comunità. Conosco bene i motivi che hanno
determinato la crescita e l'abbandono di ogni criterio selettivo:
ultimamente non c'è stata più neppure un'"auto-selezione" dei membri che
sceglievano di restare nel kibbutz (e non sempre per divenirne membri). A
mio avviso, assistiamo già ora ai risultati di questo processo: essi
costituiscono un tutto perfettamente omogeneo e favoriscono il proposito di
alcuni "funzionari", cioè quello di agire con rapidità ed efficienza, senza
troppo preoccuparsi delle "masse", cioè della base.
c) La stessa comparsa dei termini sopracitati ("funzionari",
"masse") è un segno dell'indebolimento del carattere democratico ed
egualitario del kibbutz. Sarebbe desiderabile invece - poiché questa è la
caratteristica essenziale del kibbutz - che tutti i membri vivano la loro
vita pienamente, faccia a faccia con gli altri. L'individuo, valorizzando
appieno la propria personalità, vive nel kibbutz, condivide le
responsabilità e le decisioni della comunità e comunica ai compagni i propri
problemi. I membri dei comitati hanno una funzione limitata, parziale; non
devono valicare i limiti della loro autorità, che è anch'essa parziale e
delimitata come la funzione loro assegnata. Quando i membri di un qualsiasi
comitato (generalmente i coordinatori) pensano di essere i sostenitori
(materiali o spirituali) di tutta la comunità, esagerano la propria missione
e si arrogano un'autorità che non compete loro. Non è possibile concedere a
chicchessia poteri troppo vasti, poiché il kibbutz non può sopravvivere se
la sovranità e l'autorità piena ed esclusiva non competono esclusivamente
all'Assemblea generale dei suoi membri.
C'è poi un altro aspetto relativo alla collocazione dei comitati all'interno della democrazia del kibbutz: le strutture entro le quali ciascun membro del kibbutz apprende i fondamenti della democrazia diretta e partecipata. Nessuno deve essere responsabile della nostra educazione; è un compito che spetta esclusivamente a noi. La democrazia non fa parte della natura dell'uomo, che anzi dubita che essa rappresenti una "necessità" vitale. Naturalmente, ci sono individui aggressivi e individui pacifici, ma tutti indistintamente hanno bisogno e hanno diritto di essere educati alla democrazia, cioè alla responsabilità diretta, all'assenza (o alla rinuncia) dell'autorità, ai rapporti umani e alla solidarietà reciproca, al considerare ogni singolo essere umano come un mondo unico e particolare (in contrapposizione alla concezione computeristica, catastrofica per la vita del kibbutz, secondo la quale l'uomo non è altro che un numero).
È ancora lontano il giorno in cui si realizzerà l'ideale di una
partecipazione gioiosa e avvertita come bisogno essenziale ai processi
decisionali della comunità - e ciò dovrà precedere la realizzazione di una
condizione reale di partecipazione e di libertà nell'ambito dei processi
decisionali. Anche gli errori dovrebbero essere commessi insieme,
collettivamente, perché così tutti ne patirebbero comunque le conseguenze.
L'unica altra possibilità è quella esistente nella società esterna al
kibbutz: l'alienazione in un ambiente istituzionalizzato.
Io non accetto la formula in voga al giorno d'oggi, secondo la quale la
democrazia risulta dalla "competizione tra le élites" e secondo la quale la
cosa più importante è assicurare una sorta di fair play fondato
sull'accettazione di alcune regole. La democrazia come mezzo di
contrattazione per raggiungere il compromesso e preservare il sistema - nel
kibbutz ciò si chiama "mercanteggiare", "insudiciare". La democrazia che
vogliamo, di cui abbiamo bisogno, è una democrazia socio-comunitaria
(fondata sull'uguaglianza e sulla comunità), che deve essere necessariamente
partecipata e diretta. A questo proposito si sono fatti, giustamente, i nomi
di Rousseau e di Marx (ma io aggiungerei quelli di Cole e di M. Adler). Le
decisioni democratiche a cui costoro facevano riferimento erano decisioni
prese da individui legati da rapporti di amicizia, che condividevano una
vita libera all'interno di una comunità, auto-sufficienti, liberi e
desiderosi di decidere per proprio conto. Una comunità come questa, unita da
legami culturali comuni e da comuni interessi, formata da membri che
condividono ugualmente i beni di consumo, i valori umani e sociali e
l'amicizia - questo è un kibbutz.