Prendere in mano il nostro destino, scuola per scuola

Conversazione con Stefano d’Errico, segretario nazionale dell’Unicobas Scuola

Siamo a poche settimane dalle elezioni per la Rappresentanza Sindacale Unitaria che vedranno impegnata ciascuna scuola della Repubblica. Cogliamo l’occasione per intervistare il segretario nazionale del primo tra i sindacati di base, l’Unicobas scuola, sesto in assoluto in Italia per iscritti. A Stefano d’Errico abbiamo chiesto di offrirci un quadro esauriente dell’impegno e delle proposte portate avanti da docenti, amministrativi, tecnici e ausiliari che fanno riferimento all’Unicobas.


 

Tutti parlano di qualità, ma la confusione è grande sotto il cielo, come uscirne?

L’attacco alla funzione docente prende le mosse da un equivoco voluto da “addetti ai lavori” e mestieranti sindacali interessati al proprio personale intervento nella cosiddetta “formazione in itinere”. In realtà non si tratta che di un controsenso. Non esiste, in quanto contraddizione in termini, la possibilità di una “formazione in servizio” effettivamente utilizzabile. Va individuata una quota percentuale per consentire a tutti la fruizione quinquennale dell’anno sabbatico in sede universitaria ed europea. Ed è comunque assurdo che si tenda a non riconoscere l’aggiornamento svolto in proprio e che non siano previsti momenti di formazione in itinere autogestiti, con esonero dal servizio, per un monte ore deciso dai Collegi dei Docenti, per percorsi in comune fra gli insegnanti di ordini di scuola contigui, onde mettere a confronto ed uniformare sulle classi di raccordo, nei limiti del possibile, l’approccio alle aree disciplinari. Occorre demolire i carrozzoni IRRSAE, i cui fondi devono essere messi direttamente a disposizione degli istituti.

Lo stato, viceversa, non si occupa affatto della formazione di base. Da qui trae avvio la vergogna del “concorsone”, riservato peraltro a docenti con almeno 10 anni di “ruolo” e quindi già utilizzati da 18 anni (la media di precariato pro-capite è di 8 anni). Dall’idea che si debba intervenire sui docenti dopo che sono stati assunti.

Occorre invece una seria selezione a monte ed una ben diversa attenzione alla preparazione del personale da assumere. Per questo, anche alla luce delle recenti vicende, siamo per l’abolizione dei concorsi, nella convinzione dell’utilità di lauree quadri-quinquennali (per tutti i docenti) direttamente abilitanti, con almeno un biennio ad indirizzo didattico, esami obbligatori di psicologia dell’età evolutiva, un anno di tirocinio pratico e tesi a carattere metodologico, che diano accesso a graduatorie provinciali per l’assunzione. Nel frattempo si assumano i precari, ma con un selettivo tutoraggio sul campo, piuttosto che con farsesche abilitazioni riservate, attuate sempre secondo la logica del corso-concorso. Le prove non possono essere estemporanee e la valutazione va consolidata in itinere. La scuola non deve assorbire chiunque aspiri ad un semplice posto di lavoro: vi si esercita una professione ove si può persino essere equivalenti ad Einstein nel campo dei saperi, ma non risultare ugualmente adatti nell’interazione didattica, che richiede adeguate capacità e competenze pedagogiche, relazionali ed empatiche.

Qual è la vostra posizione nei confronti dell’autonomia?

Occorre affrontare l’ambito specifico di una funzione che, a dispetto dell’enorme portata sociale, è stata piegata ad un trattamento ed a metri di giudizio meramente impiegatizi. Il lavoro dei docenti, sul quale, a dispetto di tutto, si regge la scuola italiana, non è facilmente “valutabile”. Standard formativi e congetture simili sono stati abbandonati da più di 15 anni negli Stati Uniti e nel Canada, perchè hanno compromesso ed omologato in basso le competenze degli studenti. Un docente non produce bulloni, nè attende a pratiche d’ufficio. Per questo non può venire giudicato secondo criteri quantitativi o metri “produttivistici”. Occorre una scuola ove l’insegnante non sia più considerato mero trasmettitore di nozioni, ma creatore e costruttore di progetti educativi, agente ed attore della ricerca culturale. Vergognoso, invero, è operare sulla confusione dei ruoli, facendo credere a genitori ed alunni di potere, con qualche profitto, sindacare nell’ambito delle materie riservate al ruolo professionale dei docenti. Invece, complici i sindacati che ci hanno impiegatizzati, queste categorie vengono esortate addirittura a dare giudizi di merito. I capi di istituto sono poi assurti al ruolo di dirigenti (l’accentramento dei poteri è il contrario dell’autonomia partecipativa). Ma nel gioco della bagarre demagogica, la truffa viene introdotta togliendo da Settembre 2000 al Collegio Docenti la titolarità a decidere in via ultimativa sull’ambito metodologico-didattico, assegnando tale potere al Consiglio di Circolo/Istituto, un organismo ove la componente docente è in minoranza (e con la riforma degli organi collegiali, lo sarà ancora di più).

Si viene abbassando il livello della scuola pubblica affinché questa diventi un surrogato di massa, e perciò di second’ordine rispetto alle scuole private, in analogia si vorrebbe che le scuole pubbliche si facessero “concorrenza” fra loro, per sedimentare istituti di prima e seconda classe.

E’ appunto l’aberrazione della scuola come servizio, già introdotta dall’omonima carta a dispregio della Costituzione (che definisce invece Scuola ed Università quali istituzioni). Nella vergognosa continua riduzione della spesa, vengono colpiti gli alunni così come i docenti: ma mentre si consente l’aumento dei costi di mense, libri e trasporti, si crea come diversivo la contrapposizione fra docenti e discenti. In un’istituzione non esistono “operatori ed utenti”: si tratta di un corpo vivo di cittadini, regolati nel nostro caso da due sole grandi norme: libertà d’insegnamento e d’apprendimento. Due capisaldi che la controparte politica e confindustriale, intende mettere a servizio di esigenze a senso unico ove dominano incontrastati arroganza e profitto, deprofessionalizzazione e negazione di ogni garanzia d’impiego: flessibilità e precarietà intesi come dato “strutturale”, l’instabilità lavorativa a vita come elemento di “progresso”. Ecco perchè fa paura il sapere critico. La scuola è sempre stata uno dei motori principali di progresso nella società civile, perciò la si vuole subordinare ed omologare. Non ne è responsabile “l’inadeguatezza” della scuola, al contrario è la sua continua depauperizzazione, in un Paese che in Europa spende meno di qualunque altro per istruzione e ricerca.

L’Unicobas rivendica l’aumento organico degli stanziamenti per la scuola, almeno sino al 5% del PIL. Siamo fortemente convinti che l’istruzione pubblica sia preziosa nel garantire un pensiero forte e plurale, anche su base multiculturale, l’unica istituzione in grado, in un momento di grande crisi ideale e riemersione di fondamentalismi religiosi e laici, di assumere i principi di un’educazione volta alla solidarietà ed alla tolleranza. Il mondo della scuola pubblica, pluralistico per definizione, sia nella qualificata componente laica, che nella forte ed attenta presenza cattolica (Don Milani docet!), è in grande maggioranza consapevole del fatto che sul valore dell’istruzione non si può trattare: la cultura non è merce! L’Unicobas ha sentito il dovere morale di denunciare il continuo degrado delle strutture, l’apertura agli sponsor privati ed il tentativo di subordinare il pubblico ad interessi di parte. Una vera autonomia scolastica è cosa ben diversa da quella sorta di “autogestione della miseria” che ci viene propinata.

A fronte di una realtà a tinte fosche, siete capaci di tratteggiare possibili orizzonti di grande respiro, ma come realizzarli ?

A fronte di tutto ciò è quanto mai necessario che la categoria prenda coscienza, afferri e corregga il proprio futuro. Non sarebbe utile sfuggire al confronto sulla questione della “qualità”. Premesso che è prioritario l’ottenimento di un salario europeo, occorre sviluppare una grande riflessione sul codice deontologico della funzione docente, rivendicando dignità di professionisti. Fra le grandi professioni non esistono le subordinazioni alle quali stanno piegando gli insegnanti. Un avvocato non viene “valutato” dal magistrato e nessuno si sognerebbe mai di costringere i medici a redigere anamnesi e terapie sotto la dettatura dei “pazienti”. Al tempo stesso, sia l’avvocato che il medico, non possono esercitare, neanche privatamente, senza aver superato l’esame di stato. Eppure si vorrebbe un ritorno sotto mentite spoglie alle note di qualifica funzionale redatte dai presidi, se non addirittura la valutazione degli studenti! Eppure chiunque - persino neo laureati e laureandi - può esercitare la professione docente, sia in proprio che nelle scuole cosiddette “paritarie”, alle quali Berlinguer ha lasciato la possibilità di assumere “al nero” un 40% di “volontari” (evidentemente non bastava la violazione dell’art. 33 della Costituzione operata con un finanziamento strutturale delle scuole private mascherata da legge di “parità”)! La definizione della deontologia avviene all’interno degli ambiti professionali. Ecco perchè l’Unicobas ha avanzato provocatoriamente la proposta della creazione di un ordine dei docenti, in un senso ben diverso da quello segnato da ordini usati come strumenti di copertura e di potere. Occorre un osservatorio della società civile sulla scuola, però quale struttura super partes e non gerarchica, comprendente tutte le componenti: è necessario discutere di come la libertà d’insegnamento si relazioni alla libertà di apprendimento, è imprescindibile il rispetto fra i ruoli e non solo dei ruoli.

Grandi impegni e grandi progetti, certo, tuttavia la situazione economica dei lavoratori della scuola ristagna. Come può essere affrontata?

La riduzione della retribuzione dei docenti italiani al livello più basso in Europa (e non solo, visto che oltre a percepire un terzo dei francesi, la metà dei tedeschi ed un 30% in meno degli spagnoli, abbiamo persino stipendi inferiori ai coreani), lo stravolgimento dello status e del ruolo, derivano dalla negazione dello specifico della funzione docente. Un lavoro atipico, estremamente concentrato (assorbente dal primo all’ultimo momento di cattedra), viene trattato alla stregua di un impegno a carattere estensivo (dilazionabile e “governabile”), come quello impiegatizio. Da questo nascono il tentativo di farci assumere maggiori carichi orari e di ridurci i periodi di astensione dal lavoro (mentre in sede di trattativa non emerge mai il lavoro sommerso). Chi con scrupolo oltre all’insegnamento svolge la funzione obiettivo riceve una retribuzione ancora più bassa di quanto prenderebbe se le due o tre ore settimanali in più che gli ha assegnato il Collegio Docenti venissero retribuite col fondo di istituto. Ecco perchè ai lavoratori della scuola è stato privatizzato il rapporto di lavoro, introducendo una visione falso-produttivistica di stampo industrialista, la cassa integrazione per “esubero”, l’eliminazione dell’assunzione di ruolo e la licenziabilità d’ufficio, mentre i dipendenti del comparto università (come successo per militari, magistrati ed altri) sono rimasti fuori dal campo di vigenza del DL.29/93 (ed ora è la volta dei dirigenti scolastici, con la loro area di contrattazione “non privatizzata”). E’ l’applicazione contrattuale della trasformazione in servizio: le altre istituzioni sono state “salvate”, la scuola no. Imponendoci i dettami del DL.29, eliminando quindi gli scatti di anzianità biennali, con il CCNL del ‘95 ci hanno dato di meno di quanto avremmo avuto se il contratto non ci fosse stato. Inutile ricordare che il prezioso regalo lo dobbiamo ai soliti sindacati, gli stessi che, mentre venivano da noi ad esortarci ai sacrifici e ad introiti dall’1.5 al 3%, andavano firmando aumenti dell’11% per i dipendenti della banca d’Italia che, bontà loro, hanno solo 16 mensilità e la pensione pari all’ultimo stipendio, neanche facendo media sugli ultimi 5 anni, come era per noi prima della controriforma che ci impone un ricalcolo sull’intero iter lavorativo per tutti gli anni dal ‘92 in poi, riservando ai più giovani lo spettro di una pensione sociale (a proposito di quiescenza, l’Unicobas si batte per il recupero dei diritti acquisiti prima della controriforma, per il riaggancio delle pensioni alle dinamiche salariali e di queste e degli stipendi ai movimenti inflattivi; infine per uno “scivolo” settennale analogo a quello concesso in ferrovia e nelle industrie parastatali). Per lo stesso motivo nell’ultimo contratto sono state fornite indennità specifiche solo a dirigenti scolastici e direttori amministrativi (ex segretari), mentre nel ‘95 hanno anche cancellato quell’indennità di funzione docente che strappammo con le lotte alla fine degli anni ‘80. Dalla medesima causa deriva la trovata del “concorso a premi”: i sei milioni annui solo per il 20% (o 30%) della parte di categoria con 10 anni di “ruolo”. Il fondo, in quest’operazione, è stato toccato proprio con l’idea, fissata a priori, che l’80% dei docenti fosse incapace di superare i quiz di Vertecchi. Ma la vergogna massima è rappresentata dal fatto che si sapeva bene di dare qualcosa a qualcuno per non dare il giusto a tutti. E si va avanti così. Lo stesso De Mauro, che ammette quotidianamente l’esiguità dello stipendio dei docenti, insiste, come già Berlinguer dopo il 17 Febbraio, a trattare con gli stessi sindacati che avevano voluto la differenziazione del 20%, come se nulla fosse stato. La nostra richiesta immediata è semplicemente quella di distribuire i 1.260 miliardi del “concorsaccio” per ricreare una prima indennità di funzione docente (naturalmente si rivendica anche una Finanziaria con stanziamenti adeguati per la già scaduta parte economica dell’ultimo CCNL, al fine di potenziare l’indennità)! La vergogna continua perchè continua è l’operazione di discredito dei docenti: infatti al concorsone vogliono sostituire altri elementi di “valutazione”. E la proposta di De Mauro, di far giudicare i docenti dai presidi è, se possibile, ancora più negativa. Ma (come al solito) i sindacati tradizionali non sono da meno: inventano, via via, “patenti didattiche” a punti (un bollino ogni corso presso gli IRRSAE, dei quali sono gli “azionisti” di maggioranza), esami “alla francese” (invece di uno solo ... uno ogni 3 anni) da sostenersi presso ispettori coadiuvati dai presidi, “valutazioni di gradimento” di genitori e studenti...

Nella scuola non ci sono solo gli insegnanti, il personale amministrativo tecnico e ausiliario è prezioso e insostituibile. Come procedere unitariamente ?

Il trattamento del personale ATA non è meno discriminatorio. L’Unicobas è il sindacato delle funzioni, e difende tutte le professionalità del personale della scuola. Per gli ATA occorre la revisione dell’art.7 della L. 426/90, che oggi impedisce le sostituzioni, una retribuzione legata al mansionario per i collaboratori amministrativi che espletano i compiti del direttore amministrativo, uno sviluppo (anche retributivo) dell’ambito (non riconosciuto) di coadiuzione educativa per ausiliari e tecnici, la riduzione d’orario a 35 ore, un adeguamento salariale generale degno dell’Europa, il rispetto dei diritti acquisiti di quanti provengono dagli Enti Locali.

Queste elezioni sindacali cosa rappresentano? E’ evidente che la partita si gioca tutta sul campo sindacale. La categoria, da questo punto di vista sino a poco tempo fa particolarmente distratta, ha finalmente capito che per cambiare la propria condizione deve togliere la rappresentanza a CGIL, CISL, UIL e SNALS. Loro inventano i noti contratti e poi garantiscono che questi “passino” sulle nostre teste. Loro dicono di essere rappresentativi del mondo della scuola, ed in assenza di un blocco di iscrizioni almeno pari al loro, lo sono, ma solo perchè insieme hanno la maggioranza di quella minoranza (35%) che è sindacalizzata. Lo sono perchè la maggioranza, che è contro di loro, pensa di combatterli non sindacalizzandosi, mentre proprio così si fa governare. Loro lo sanno, e per questo hanno rinviato le elezioni che devono definire la rappresentanza sindacale, dal Novembre 1998 al Dicembre di quest’anno.

Lo sanno, e quindi hanno fatto approvare una legge che singolarmente non si accontenta del risultato delle elezioni, ma misura la rappresentatività facendo media fra voti e percentuale di iscritti. E, appena per venire riconosciuti, occorre il 5% di media. Così un sindacato giovane come il nostro deve alzare la percentuale dei voti per compensare la carenza di iscritti, mentre loro, solo raggiungendo il 10% sul totale dei sindacalizzati, hanno il 5% garantito anche a voti zero. Poco importa se il 10 % dei voti è numericamente di molto superiore al 10 % dei sindacalizzati! Hanno fatto rinviare le elezioni, anche perchè due anni fa andavano tenute a livello provinciale, mentre oggi, con la scusa dell’autonomia, le impongono di istituto: 11.000 in Italia, anche dopo la falcidia del disgraziato piano di “dimensionamento” (che siamo comunque riusciti a contrastare in varie regioni). E bisogna presentare una lista in ogni scuola. Chi non ottiene la media nazionale è fuori da tutto: sarebbe come se i partiti che non avessero da Ragusa a Bolzano una media spuria calcolata fra voti ed iscritti (!) perdessero il diritto di acquisire seggi anche nei consigli regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, pur avendo magari vinto le corrispettive elezioni locali! Confederali ed “Autonomi” hanno sedi ovunque, garantite dai loro partiti di riferimento (anche lo SNALS, che dopo Pomicino è passato a Mastella) e dagli iscritti degli altri settori. Hanno 2.500 distaccati nel pubblico impiego che lavorano a tempo pieno mentre ancora, con la scusa della percentuale di iscritti, a chi si oppone non vengono dati neanche permessi orari.

Eppure la scuola ce la può fare, a condizione che si mostri all’altezza della situazione. Le elezioni RSU sono, nonostante tutto, uno strumento eccezionale nelle mani della categoria. Questo devono capire i colleghi. Occorre farsi parte attiva in una campagna elettorale ove vince chi presenta più liste. E le liste devono necessariamente essere presentate a livello di singolo istituto, da sostenitori e candidati in loco. Non possono “calare” da fuori. Occorre l’impegno di tutti. Se la categoria è stanca deve dimostrare il coraggio e la capacità di determinare una nuova rappresentanza sindacale. Per fare ciò dobbiamo prendere in mano il nostro destino, scuola per scuola.

Non è certo possibile affidarsi al delegato sindacale che Confederali o SNALS troveranno comunque, offrendogli permessi e favori, il quale, presentandosi come il “collega qualsiasi” chiederà firme per la sua lista, naturalmente intitolata “solo per convenienza”, se non “per caso”, ad uno dei soliti sindacati. Il gioco della delega delle responsabilità, del “ci penso io”, su cui fanno affidamento gli apparati dei firmatari di contratto, deve venire interrotto una volta per tutte. In caso contrario vincerebbero ancora loro, ma questa volta la responsabilità sarebbe collettiva.

Risparmiamo alla scuola il panorama deleterio e cialtrone di una categoria che persino dopo la firma del “concorsaccio” vota ancora una volta gli artefici della sua rovina! Risparmiamoci l’immagine squallida di un “collega medio” che bofonchia senza soluzione di continuità contro il trattamento miserabile, avendo però dato prova di non capire nulla presentando e votando la prima lista capitata “casualmente”: magari quella di CGIL, CISL, UIL, SNALS & Co.

L’indeterminatezza con la quale ancora troppi lavoratori della scuola guardano al mondo sindacale è causa di cecità nella categoria. L’idea che i sindacati siano “tutti uguali” è assolutamente assurda: la confusione che si opera fra firmatari di contratto e non, è indegna del mondo della cultura. Così come è ridicolo pensare che ai mali indotti da accordi vergognosi possano porre rimedio gli stessi che li hanno pensati e sottoscritti.

Anche il mondo eterogeneo del nuovo sindacalismo è spesso giudicato con scarsa attenzione. Non si presta ancora adeguata attenzione alla scelta sindacale operata dall’Unicobas, la struttura di base col più alto numero di iscritti, con circa dieci anni di anticipo sui Cobas. La “direzione” dei Comitati di Base impediva la sindacalizzazione, favorendo così la ripresa dei Confederali e dello SNALS che facevano valere in sede di trattativa la propria formalizzazione. Le energie della categoria venivano condotte in un vicolo cieco, proprio quando, già sul finire degli anni ‘80, sarebbe bastato raccogliere iscrizioni nella più grande manifestazione che la scuola ricordi, per costruire il più forte sindacato della scuola. A godere di tali scelte furono i sindacalisti “ufficiali” infiltrati grazie all’indeterminatezza del “movimento” o quanti già utilizzavano i Comitati per brillanti carriere nel mondo dei partiti.

La strada intrapresa dall’Unicobas è quella di un sindacato senza pregiudizi, attento all’evoluzione della società civile, lontano da logiche di partito, costruito dal basso ma organicamente capace di tener testa alle grandi organizzazioni della svendita consociativa; solidale, ma capace di difendere in modo appropriato ognuna delle professionalità della scuola, a partire dallo sviluppo e dalla rivalutazione delle funzioni.

L’Unicobas propone e cerca di costruire, con un nuovo scatto d’orgoglio, un’aperta rivendicazione della dignità professionale. Non si può vincere con confusioni e strumentalizzazioni politiche, si deve coniugare la lotta per la salvaguardia della scuola pubblica con quella per il riconoscimento della sua centralità sociale e professionale.