Premessa
Il principale sforzo sostenuto da coloro che la praticano è fornire
ragionevoli motivazioni alla guerra; spiegando colpevoli
e punitori, rischi del presente e sicurezza di un futuro
migliore.
Ma non vi è ragionevolezza nelle guerre.
In primo luogo perché picchiare, seppur duramente, non
conduce agli obiettivi dichiarati.
L’inquisizione cattolica ha massacrato gli eretici ma
questi continuano ad esserci, gli statunitensi e gli
spagnoli si sono adoperati per l’eliminazione delle
popolazioni indigene dell’America ma esse continuano ad
essere riferimento sociale e culturale per l’umanità, i
nazisti si sono impegnati a sterminare gli ebrei che
oggi hanno uno stato armato e incidono sulla politica
degli stati più potenti.
In secondo luogo perché le effettive e non dichiarate
motivazioni, connesse ad obiettivi circoscritti e
temporalmente limitati che portano vantaggio ad un
numero esiguo di individui, nulla hanno a che vedere con
le dichiarate ragioni della guerra. Per cui gli
inquisitori di ieri sono riusciti a governare bruciando
e torturando in cento anni cinquantamila persone, spesso
oppositori; gli statunitensi si sono appropriati della
terra altrui uccidendo circa un milione di indiani, gli
spagnoli hanno trafugato migliaia di tonnellate di oro e
di argento ammazzando decine di milioni di indios; i
nazisti hanno distrutto un popolo e dato un obiettivo ad
un altro uccidendo sei milioni di ebrei e oppositori.
In terzo luogo perché le guerre, e gli stermini
connessi, sono generati e condotti da persone che si
divertono. Ma tanto. Si divertono a giocare, a pensare
come vincere, provano ebbrezza nel comandare,
soddisfazione nel rischiare e più nel far rischiare,
orgasmo nel vincere. A questi si aggiungono quelli che,
sulle stesse solide basi su cui poggia l’azione dei
belligeranti, uniscono un incontenibile soddisfazione
nella prevaricazione e nella sofferenza degli altri.
Spesso un desiderio di vendetta sostenuto da religioni,
rancori, faide; spesso una indifferente e maniacale
passione, coltivata individualmente e che nella guerra
si può liberare.
L’insieme di questi tre condizioni fa sì che le guerre
siano scatenate indipendentemente dagli interessi delle
comunità, senza cercare soluzioni alternative, per il
piacere e per il proprio tornaconto e quindi senza
“ragionevolezza”.
È dunque profondamente errato affrontare questo tema
entrando nello specifico delle ragioni apparenti ma è
necessario portare la discussione da un lato su livelli
di patologia dei partecipanti, e in questo la
testimonianza del dottor Stranamore è emblematica, e
dall’altro sull’evidenziazione di una consapevolezza
della volontà di guerra che è fondata su centinaia di
milioni di soldati, su centinaia di milioni di armamenti
leggeri, sulle migliaia di testate nucleari,
sull’enormità del budget mondiale dedicato agli eserciti
e alle armi.
Questo elaborato non vuole essere esaustivo di un tema,
la guerra, che per le implicazioni politiche, morali,
umane e che per le innumerevoli connessione con la
struttura economica, religiosa e sociale delle nazioni
non è possibile trattare completamente in questa sede.
Sono di seguito presentate riflessioni, informazioni e
spunti non seguendo priorità d’importanza, con il
desiderio che essi possano contribuire all’ulteriore
consolidarsi di una cultura critica nei confronti di una
condizione che di fatto annulla ogni nostra dignità di
individui e società.
La guerra non va pensata con ragionevolezza.
Alcuni dati
Nel decennio degli anni novanta mediamente erano
circa 40 i conflitti in corso ogni anno. Dei 103
conflitti scoppiati tra il 1989 e il 1997 solo 6
sono stati di dimensioni internazionali [1].
Nel ventesimo secolo sono morti circa
110.000.000 milioni di persone nei conflitti.
Circa 26 milioni (il 50% civile) nella prima
guerra mondiale, 53.549.000 nella seconda (60%
civile) e il resto negli altri conflitti.
I rifugiati assistiti dall’ONU sono stati nel
1998 22,4 milioni.
Conflitti in corso: Aceh-Nord Sumatra, dal 1976
(50.000 morti); Afghanistan, dal 1991; Algeria,
dal 1992 (100.000 morti); Angola, dal 1975,
attualmente sospesa, (1 milione di morti);
Burundi, dal 1962 – attualmente sospesa –
(800.000 morti); Cecenia, dal 1991 (100.000
morti); Colombia, dalla fine degli anni ’60;
Congo, dal 1997 (3 milioni di morti); Costa
D’Avorio, dal 2002; Eritrea-Etiopia, dagli anni
’70, attualmente sospesa (40.000 morti);
Filippine, dal 1971 (150.000 morti); Abkhazia,
regione della Georgia, dal 1991 (centinaia di
morti); Kashmir, regione dell’India, dal 1948
(70.000 morti); Kurdistan, regione
Iran-Iraq-Turchia (150.000 morti); Liberia, dal
1989 (250.000 morti); Macedonia, dal 2001;
Nepal, dal 1996 (almeno 1800 morti); Senegal,
migliaia di morti; Sierra Leone, dal 1991,
attualmente sospesa (100.000 morti, 30.000
mutilati); Sri Lanka (70.000 morti, 800.000
profughi; Sudan (1 milione e mezzo di morti);
Uganda, dagli anni ’80 (10.000 morti).
Nel mondo vivono oltre 23 milioni di rifugiati,
circa 7,5 milioni in Africa, 7,5 in Europa, 7,5
in Asia, 1,2 in America del Nord, 0,1 in America
Latina, 0,07 in Oceania. [2]
I primi dieci paesi del mondo per numero di
soldati arruolati hanno circa 11 milioni di
soldati e circa 20 milioni di riserve. [3]
|
Le
motivazioni di una guerra continua
Le ragioni inespresse delle guerre vanno ricercate
nell’interesse.
Un interesse economico di rubare risorse di altri; gli
stati o le grandi compagnie d’affari ritengono molto più
conveniente spendere cifre solitamente esuberanti di
soldi in spese militari e in guerre piuttosto che pagare
alla comunità insediata l’uso delle risorse locali che
si ritiene utile alla propria economia. Quest’ultimo
percorso sarebbe più economico ma più contrattuale e
quindi porrebbe limiti al potere del più forte che
limiti invece non vuole avere.
Un interesse economico nel produrre, vendere e consumare
armi e attrezzature. Vi sono stati che sono governati
dall’apparato militare e industriale-militare. E
sicuramente la guerra è il sistema migliore per spendere
soldi pubblici incondizionatamente e arricchire i
produttori illimitatamente.
Un interesse economico nello svolgere la guerra. La
guerra la pagano gli sconfitti o gli alleati poveri dei
potenti che mettono a disposizione gli eserciti e gli
armamenti a fronte della copertura dei costi. Dalle
guerre ci si può guadagnare anche molto.
Ma questo non basta per fare un guerra, questo interesse
non sarebbe in grado di muovere un atto così estraneo
alla natura umana quale la guerra.
La guerra si può fare perché vi è una lunga azione di
preparazione che si svolge ogni giorno e che passa per
le azioni quotidiane apparentemente innocue e per la
stretta relazione esistente tra politica ed economia
militare, tra cultura e militarismo, tra alterazione
delle società locali e creazione di disequilibri,
dipendenza, violenza.
Rapporti tra decisioni di guerra e interessi
Carriere politiche
L’assistente segretario dell’Air Force, Peter
Teets, è stato amministratore delegato della
Lockeed; il ministro della marina da guerra,
Gordon England, è stato presidente della
Lockeed; l’amministratore dei programmi di
difesa del dipartimento energia, Everet Beckner,
è stato vicepresidente della Lockeed; il
ministro dei trasporti Norman Mineta, è stato
vicepresidente della Lockeed e ne risulta ancora
oggi uno dei maggiori azionisti; Lynn Cheney,
moglie del vicepresidente degli USA, è un alto
dirigente della Lockeed; il ministro dellAir
Force, James Roche, è stato presidente della
Northrop; il vicesegretario della difesa, col
compito di capo della contabilità, Dov Zakheim,
è stato consulente della Northrop; il
viceministro della difesa per la policy, Douglas
Feith, è presidente dell’ufficio legale Feith
and Zell, che si interessa di import-export di
armi con Israele, e ha fra i propri clienti la
Northrop; il numero due del Pentagono, Paul
Wolfowitz, è stato consulente della Northrop; il
vicesegretario di Stato e segretario del
Pentagono dal ’75, Richard Armitage, è ancora
consulente della Boeing e della Raytheon; l’Alto
Consigliere del presidente, Karl Rove, è
azionista della Boeing; il vicedirettore
dell’ufficio di gestione budget, l’ufficio che
gestisce la Borsa pubblica, Sean O’ Keefe, è
stato consulente della Raytheon. [4]
Attentati e armamenti
Il giorno della riapertura della Borsa dopo l’11
settembre le uniche azioni che hanno registrato
un rialzo sono state quelle dei fornitori delle
forze armate (il valore del titolo della
Lockheed Martin è cresciuto del 30%).
Dopo sei settimane dall’11 settembre è stato
commissionato alla Lockheed Martin il più grande
ordine militare della storia: un contratto da
200 miliardi di dollari per sviluppare studi per
un nuovo caccia.
Anche l’industria bellica inglese ha avuto un
boom; ad esempio la Bea Sistems ha venduto un
sistema di difesa aerea del valore di 40 milioni
di dollari alla Tanzania (la Tanzania è uno dei
paesi più poveri del mondo, il reddito pro
capite è di 250 dollari l’anno, metà della
popolazione non dispone di acqua corrente
potabile e un bambino su quattro muore prima di
aver raggiunto il quinto anno d’età). Nello
stesso periodo Tony Blair rilasciava
dichiarazioni in cui affermava che la povertà
dell’Africa era “uno sfregio sulla coscienza del
mondo”. [5].
Rapporti tra guerra e risorse
II rapporto tra guerra e prelievo di risorse è
strettissimo. Dei 49 conflitti armati che hanno
interessato il pianeta nel 2000 gran parte è
sostanziata dalla volontà di acquisire il
controllo di risorse.
In un sistema che consuma tanto, e che produce
sempre nuove merci, le risorse, salvo alcune la
cui necessità permane nel tempo, possono
cambiare con grande rapidità. Un esempio recente
è il coltan, fanghiglia granulosa e nerastra
ignorata fino a quando il tantalio da esso
ricavabile è divenuto materiale fondamentale
nella produzione di condensatori. Nelle aree
dell'Africa centrale dove sono stati individuati
giacimenti di coltan sono in corso feroci
conflitti locali.
Oggi la guerra è contro coloro i quali vogliono
esercitare un controllo delle risorse locali
fuori dal mercato globale (ovvero del mercato
controllato all'80% da duecento multinazionali);
a volte la guerra è contro gli stati, più
frequentemente è con gli stati contro le
comunità e gli individui. |
Amici
e nemici
Uno degli elementi fondamentali delle guerre è avere
un nemico. Tendenzialmente i nemici non vi sono, nel
senso che si creano in ragione di un comportamento
derivato da un interesse. Quando non vi sono vanno
creati con qualunque pretesto per legittimare, ancorché
paradossalmente, l’intervento bellico.
E così, durante la guerra fredda, gli Stati Uniti
crearono il nemico sovietico, unendo, contrariamente ai
patti da poco stipulati, le tre parti della Germania e
creando di fatto il blocco occidentale. L’unione
sovietica accettò il ruolo mostrando i propri muscoli ma
senza intelligenza.
Ma si può fare di più. Saddam Hussein è stato e forse è
il più grande amico degli Stati Uniti. Ha venduto per
anni il petrolio sottocosto alle compagnie americane e
ha comprato per anni armamenti dalle industrie
americane; ha condotto per anni una guerra costata
milioni di morti contro l’Iran per ordine e interesse
statunitense e poi ha compiuto il suo capolavoro
permettendo, con l’insensata occupazione del Kuwait,
agli anglo americani di non pagare più il petrolio e di
occupare militarmente tutta l’area.
Sostenuto dagli inglesi nello sterminio dei curdi e
nella gestione della dittatura interna, consumava gas
comprati a caro prezzo dagli americani, usava aerei
inglesi e otteneva dagli inglesi stessi finanziamenti
significativi.
Ma l’amico è rimasto tale anche dopo la guerra del
Golfo. Quando, subito dopo la guerra, vi fu un
sollevamento popolare contro il governo nella zona di
Bassora, questo non fu appoggiato dagli Stati Uniti
anche se era prossimo al rovesciamento del dittatore,
così come nel nord del paese la rivolta quasi
contemporanea di curdi e oppositori fu repressa nel
sangue dalle guardie repubblicane fedeli a Saddam e
miracolosamente sopravvissute ai bombardamenti. E tutto
questo in aree di controllo aereo anglo americano, aree
in cui nei diciotto mesi prima, tra 1998 e ’99, sono
state compiute 24.000 missioni di combattimento, e sono
state sganciate da parte dell’aviazione anglo americana
1800 bombe e colpiti 450 obiettivi.
Ma nei giorni della repressione gli aerei tornarono
indietro senza interferire con la pulizia e meno che mai
sostenendo, anche poco, i rivoltosi.
Allora? Il governo che si vuole, evidentemente, è un
governo militare, fantoccio capace di fornire
gratuitamente il petrolio, ovvero si vuole non il
rovesciamento del dittatore ma l’occupazione militare
delle risorse.
Saddam è quello che lo consente e quindi è un amico in
quanto non fa nulla contro gli Stati Uniti e
l’Inghilterra, e avrebbe potuto (guerriglia, attentati,
intervento contro gli israeliani, creazione di uno stato
curdo che metterebbe in significative difficoltà la
Turchia, alleanza con l’Iran che metterebbe in
difficoltà gli USA). E invece sta lì solo, senza alcuna
politica di alleanze, a sostenere il suo ruolo di servo
nell’eseguire esattamente ciò che agli angloamericani
conviene.
Un nemico cattivo che sembra veramente fare parte della
stessa compagnia di teatranti.
E tutto questo senza voler parlare di Bin Laden.
Il
rischio
Il mondo vive in una situazione di insopportabile
rischio. Questa condizione dipende dall’enorme quantità
di armi esistenti e pronte all’uso e per l’assoluta
inaffidabilità delle persone che le gestiscono.
Ancora oggi esistono circa 36.000 testate nucleari
attive (sono state ridotte dalle 70.000 esistenti alla
fine degli anni ottanta) Il potenziale è equivalente a 8
miliardi di tonnellate di tritolo [1] circa 1,30
tonnellate di tritolo a testa (il peso di un uomo medio
è 0,07 tonnellate e per ucciderlo basta molto meno di un
decimillesimo di tonnellata di tritolo).
Gli USA continuano a mantenere più di duemila testate
nucleari strategiche costantemente in stato d’allerta,
puntate sui bersagli “nemici”. [6]
Questo arsenale è in condizione di distruggere tutti gli
uomini parecchie decine di volte ma è in condizione,
quando parzialmente utilizzato, di contaminare interi
paesi e di lasciare tracce indelebili sulla salute di
intere popolazioni per generazioni e di alterare
perennemente interi ecosistemi.
A questo vanno aggiunte tutte le armi chimiche,
batteriologiche e convenzionali. Il mondo è una
polveriera di dimensioni inusitate su cui gli uomini
vivono costantemente a rischio.
E se la quantità degli armamenti è sconsiderata, le
persone che li gestiscono sono terrificanti. Posseduti
da ragionamenti maniacali vedono il mondo come un
continuo e inevitabile scontro di persone, popoli, paesi
nazioni, comunità in cui solo il consolidamento della
propria forza attraverso il possesso delle armi consente
di vivere tranquillamente. Ma ancora di più vedono la
necessità di non fidarsi di nessuno e di trovarsi sempre
in condizioni di vantaggio. Una vita di strategie in cui
tutto è subordinato ai principi delle strategie
militari.
E questo non dà alcuna garanzia. Il mondo vive in una
situazione di insopportabile rischio. Questa condizione
dipende dall’enorme quantità di armi esistenti e pronte
all’uso e per l’assoluta inaffidabilità delle persone
che le gestiscono.
Ancora oggi esistono circa 36.000 testate nucleari
attive (sono state ridotte dalle 70.000 esistenti alla
fine degli anni ottanta) Il potenziale è equivalente a 8
miliardi di tonnellate di tritolo [1] circa 1,30
tonnellate di tritolo a testa (il peso di un uomo medio
è 0,07 tonnellate e per ucciderlo basta molto meno di un
decimillesimo di tonnellata di tritolo).
Gli USA continuano a mantenere più di duemila testate
nucleari strategiche costantemente in stato d’allerta,
puntate sui bersagli “nemici”. [6]
Questo arsenale è in condizione di distruggere tutti gli
uomini parecchie decine di volte ma è in condizione,
quando parzialmente utilizzato, di contaminare interi
paesi e di lasciare tracce indelebili sulla salute di
intere popolazioni per generazioni e di alterare
perennemente interi ecosistemi.
A questo vanno aggiunte tutte le armi chimiche,
batteriologiche e convenzionali. Il mondo è una
polveriera di dimensioni inusitate su cui gli uomini
vivono costantemente a rischio.
E se la quantità degli armamenti è sconsiderata, le
persone che li gestiscono sono terrificanti. Posseduti
da ragionamenti maniacali vedono il mondo come un
continuo e inevitabile scontro di persone, popoli, paesi
nazioni, comunità in cui solo il consolidamento della
propria forza attraverso il possesso delle armi consente
di vivere tranquillamente. Ma ancora di più vedono la
necessità di non fidarsi di nessuno e di trovarsi sempre
in condizioni di vantaggio. Una vita di strategie in cui
tutto è subordinato ai principi delle strategie
militari.
E questo non dà alcuna garanzia.
Salute
Nella guerra del Golfo morirono meno di duecento
soldati angloamericani. I reduci del Golfo, a
tutt’oggi, lamentano disturbi fissi, quali
amnesie, insonnia, emicrania, problemi
articolari, difficoltà di movimento. Questi
problemi si sono propagati a mogli e parenti più
vicini, e in particolar modo a figli concepiti
al ritorno dalla missione bellica. Dei 700.000
soldati impiegati nel Golfo, circa 50.000
accusano disturbi (uno su 14); nel 77% dei casi
anche le mogli sono state “infettate”. Secondo
alcune stime, a causa della sindrome del Golfo
sono morti tra i 5.000 e i 10.000 reduci dalla
fine della campagna. Le cause sono imputabili ad
armamenti utilizzati dagli americani e dagli
effluvi tossici liberati dalle fabbriche
chimiche bombardate. [7]
Nella città di Bassora le analisi effettuate
sulla popolazione indicano che dal 40 al 48%
della popolazione prenderà il cancro a partire
dai prossimi cinque anni in seguito agli effetti
dei bombardamenti. [5]
È stato calcolato che durante la guerra del
golfo sono state esplose molto più di trecento
tonnellate di uranio impoverito (ogni colpo di
un aereo Warthog A-10 contiene trecento grammi
di uranio solido 238 e per ogni attacco quest’aereo
tirava oltre 900.000 colpi; ogni colpo sparato
da un carro armato mette in giro 4.500 grammi di
uranio solido). [5]
Nel 1991 l’Ente per l’Energia Atomica inglese ha
calcolato che se solo l’8% dell’uranio
impoverito esploso nella guerra del Golfo fosse
stato inalato avrebbe potuto causare
potenzialmente 500.000 morti. [5]
Nel Laos, a distanza di trent’anni dall’uso, le
bombe a grappolo inesplose continuano ad
uccidere e a mutilare un numero stimato in
20.000 persone l’anno (il Laos non è mai stato
in guerra con gli USA). [5]
Il 70% delle 880.500 sganciate in Iraq e Kuwait
mancarono completamente il loro bersaglio e
molte caddero in zone abitate. [5] |
Guadagnare
con la guerra
Oltre che l’appropriazione di risorse la guerra
consente altri guadagni.
È nota la sudditanza politica nei confronti dei
vincitori per quei paesi che abbiano perduto dei
conflitti: l’Italia è un esempio, come altri paesi che
per anni hanno pagato gli aiuti ricevuti per la
ricostruzione e le spese di guerra dei vincitori e che
pagano anche nel lungo periodo.
Le spese di guerra si scaricano sugli sconfitti e quindi
il solo fare la guerra porta ad un vantaggio per chi la
vince.
Non solo, quando la guerra o l’azione di guerra viene
operata da più soggetti, quelli che svolgono gran parte
delle azioni militari sono rimborsati generosamente
delle spese sostenute, e quindi traggono dei vantaggi
significativi.
Esempio palese di questo criterio è la Nato. L’asse
militare della Nato è composto dall’esercito americano e
dal supporto della Gran Bretagna. I paesi che aderiscono
alla Nato sono numerosi, ma non tutti partecipano alle
azioni militari e comunque non partecipano mai come
principali esecutori. Ciò vuol dire che gli Stati Uniti,
ogni qual volta intervengono con la Nato, sono
rimborsati da altri paesi delle spese militari
sostenute.
Ed è anche per questo che l’ONU è boicottata dagli Stati
Uniti. L’azione dell’ONU viene compiuta da paesi che non
sono direttamente interessati al conflitto quindi anche
paesi piccoli sono impegnati nell’azione ONU; non vi
sono eserciti privilegiati nello svolgere gli
interventi, ma tutti i paesi partecipano abbastanza
equamente. I contributi all’ONU vengono invece erogati
dai paesi in ragione della loro potenza e possibilità.
Ciò vuol dire che gli Stati Uniti ci rimettono in ogni
azione in quanto pagano eserciti di altri.
Non solo, ma l’azione militare dell’ONU è solitamente
finalizzata alla riduzione della conflittualità,
l’esercito ONU non interviene direttamente, cerca di
dirimere e di non aumentare il livello di scontro. Per
questo è un esercito che non consuma bombe né carri
armati né munizioni. Un esercito che quindi non
interessa i produttori di armamenti, un esercito di pace
che non interessa nemmeno i generali.
E gli Stati Uniti, che sono il maggiore contribuente
dell’ONU, sono anche il loro maggiore debitore con 313
milioni di dollari, ovvero il 76% dei mancati incassi
delle Nazioni Unite, e sono l’unico membro delle Nazioni
Unite che trattiene il denaro con motivazioni di
politica interna [1].
Ancora più grave l’azione di indebolimento delle Nazioni
Unite attuata per quanto riguarda le missioni di pace,
che sono osteggiate palesemente sia con
l’indisponibilità di stanziare risorse e personale da
parte di alcuni membri sia attraverso i veti ad attuare
nuove azioni. Oltre che l’appropriazione di risorse la
guerra consente altri guadagni.
È nota la sudditanza politica nei confronti dei
vincitori per quei paesi che abbiano perduto dei
conflitti: l’Italia è un esempio, come altri paesi che
per anni hanno pagato gli aiuti ricevuti per la
ricostruzione e le spese di guerra dei vincitori e che
pagano anche nel lungo periodo.
Le spese di guerra si scaricano sugli sconfitti e quindi
il solo fare la guerra porta ad un vantaggio per chi la
vince.
Non solo, quando la guerra o l’azione di guerra viene
operata da più soggetti, quelli che svolgono gran parte
delle azioni militari sono rimborsati generosamente
delle spese sostenute, e quindi traggono dei vantaggi
significativi.
Esempio palese di questo criterio è la Nato. L’asse
militare della Nato è composto dall’esercito americano e
dal supporto della Gran Bretagna. I paesi che aderiscono
alla Nato sono numerosi, ma non tutti partecipano alle
azioni militari e comunque non partecipano mai come
principali esecutori. Ciò vuol dire che gli Stati Uniti,
ogni qual volta intervengono con la Nato, sono
rimborsati da altri paesi delle spese militari
sostenute.
Ed è anche per questo che l’ONU è boicottata dagli Stati
Uniti. L’azione dell’ONU viene compiuta da paesi che non
sono direttamente interessati al conflitto quindi anche
paesi piccoli sono impegnati nell’azione ONU; non vi
sono eserciti privilegiati nello svolgere gli
interventi, ma tutti i paesi partecipano abbastanza
equamente. I contributi all’ONU vengono invece erogati
dai paesi in ragione della loro potenza e possibilità.
Ciò vuol dire che gli Stati Uniti ci rimettono in ogni
azione in quanto pagano eserciti di altri.
Non solo, ma l’azione militare dell’ONU è solitamente
finalizzata alla riduzione della conflittualità,
l’esercito ONU non interviene direttamente, cerca di
dirimere e di non aumentare il livello di scontro. Per
questo è un esercito che non consuma bombe né carri
armati né munizioni. Un esercito che quindi non
interessa i produttori di armamenti, un esercito di pace
che non interessa nemmeno i generali.
E gli Stati Uniti, che sono il maggiore contribuente
dell’ONU, sono anche il loro maggiore debitore con 313
milioni di dollari, ovvero il 76% dei mancati incassi
delle Nazioni Unite, e sono l’unico membro delle Nazioni
Unite che trattiene il denaro con motivazioni di
politica interna [1].
Ancora più grave l’azione di indebolimento delle Nazioni
Unite attuata per quanto riguarda le missioni di pace,
che sono osteggiate palesemente sia con
l’indisponibilità di stanziare risorse e personale da
parte di alcuni membri sia attraverso i veti ad attuare
nuove azioni.
I dati del business
In un documento ripreso da Internet, elaborato
da uno studente del Politecnico di Milano, è
stato fatto un bilancio sui costi e i ricavi
della guerra dell’Iraq, appaiono dei dati che,
ancorché indicativi, denunciano quanto la guerra
sia un affare. I costi della guerra del Golfo
sono ammontati a 40 miliardi di dollari; il 25%
dei costi è stato coperto dagli USA, il 75% dai
Paesi Arabi; il prezzo del petrolio, nel corso
della guerra, è lievitato da 15 dollari a barile
fino a 42 dollari a barile, generando un
guadagno aggiuntivo stimabile in circa 60
miliardi di dollari; il 50% di questo guadagno è
andato al governo locale, il 50% alla
multinazionale che controlla il giacimento (30
miliardi di dollari ciascuno); le compagnie che
controllano le estrazioni in Medio Oriente sono
sette, tutte americane, di cui cinque statali;
da ciò si evince che i Paesi Arabi hanno
sostenuto un costo di 30 miliardi di dollari per
spese di guerra ricavando altrettanto dal
rincaro del petrolio. Il Governo USA ha
sostenuto costi per spese di guerra pari a 10
miliardi di dollari e ha guadagnato 21 miliardi
di dollari per il rincaro del petrolio con un
ricavo di 11 miliardi di dollari; le Compagnie
private USA hanno ricavato 9 miliardi di
dollari. A questi dati va aggiunto che i 45
miliardi di dollari di spese di guerra, essendo
costituiti per gran parte di costi relativi ad
attrezzature e strumentazioni prodotte
dall’industria bellica americana, sono diventati
il guadagno per queste stesse imprese americane.
Infine, i 60 miliardi di dollari che hanno
costituito il guadagno derivato dal rincaro del
petrolio sono stati pagati dagli utilizzatori
del petrolio, e quindi anche direttamente da
noi. Solo l’attuale minaccia della guerra nel
Golfo ha fatto salire quasi del 30% il prezzo
del petrolio tra gennaio e febbraio del 2003.
[8] In un documento ripreso da Internet,
elaborato da uno studente del Politecnico di
Milano, è stato fatto un bilancio sui costi e i
ricavi della guerra dell’Iraq, appaiono dei dati
che, ancorché indicativi, denunciano quanto la
guerra sia un affare. I costi della guerra del
Golfo sono ammontati a 40 miliardi di dollari;
il 25% dei costi è stato coperto dagli USA, il
75% dai Paesi Arabi; il prezzo del petrolio, nel
corso della guerra, è lievitato da 15 dollari a
barile fino a 42 dollari a barile, generando un
guadagno aggiuntivo stimabile in circa 60
miliardi di dollari; il 50% di questo guadagno è
andato al governo locale, il 50% alla
multinazionale che controlla il giacimento (30
miliardi di dollari ciascuno); le compagnie che
controllano le estrazioni in Medio Oriente sono
sette, tutte americane, di cui cinque statali;
da ciò si evince che i Paesi Arabi hanno
sostenuto un costo di 30 miliardi di dollari per
spese di guerra ricavando altrettanto dal
rincaro del petrolio. Il Governo USA ha
sostenuto costi per spese di guerra pari a 10
miliardi di dollari e ha guadagnato 21 miliardi
di dollari per il rincaro del petrolio con un
ricavo di 11 miliardi di dollari; le Compagnie
private USA hanno ricavato 9 miliardi di
dollari. A questi dati va aggiunto che i 45
miliardi di dollari di spese di guerra, essendo
costituiti per gran parte di costi relativi ad
attrezzature e strumentazioni prodotte
dall’industria bellica americana, sono diventati
il guadagno per queste stesse imprese americane.
Infine, i 60 miliardi di dollari che hanno
costituito il guadagno derivato dal rincaro del
petrolio sono stati pagati dagli utilizzatori
del petrolio, e quindi anche direttamente da
noi. Solo l’attuale minaccia della guerra nel
Golfo ha fatto salire quasi del 30% il prezzo
del petrolio tra gennaio e febbraio del 2003.
[8] |
Il
costo degli armamenti
Le spese militari annue sono pari a circa 1.200
miliardi di dollari; esse superano la spesa annuale
della seconda guerra mondiale ed equivalgono alla spesa
totale della prima [1].
Ogni anno circa 50 miliardi di dollari di armi
convenzionali costituiscono il mercato di armi
tradizionali [1].
Il commercio internazionale delle armi dal 1960 è pari a
circa 1.500 miliardi di dollari. I due terzi di questa
produzione sono diretti verso paesi in via di sviluppo.
Tra il 1984 e il 1995 i paesi in via di sviluppo hanno
ricevuto circa 15.000 carri armati, 34.000 pezzi di
artiglieria, 27.000 veicoli blindati; quasi 1.000 tra
navi da guerra e sommergibili, 4.200 aerei da
combattimento, più di 3.000 elicotteri, circa 48.000
missili e milioni di armi di piccolo calibro [1].
Questa vendita è molto efficace per diversi ordini di
motivi. In primo luogo aumenta il debito estero del
paese e quindi ne aumenta la dipendenza nei confronti di
coloro con cui ha contratto il debito; in secondo luogo
indirizza i finanziamenti verso consumi improduttivi
come gli armamenti che riducono la possibilità di una
autonomia economica e sociale del paese interessato; in
terzo luogo potenziano nel paese quei soggetti più
vicini culturalmente e politicamente ai fornitori e
dunque più legati all’apparato produttivo militare e ai
militari stessi del paese esportatore.
Attraverso questo ultimo punto si riesce a controllare
l’evoluzione politica del paese importatore e attraverso
il potenziamento di un sistema aberrante quale quello
militare si contribuisce al tentativo di soffocare
scenari differenti.
Armi e profitti
Negli ultimi venti anni si calcola che siano
stati immessi sul mercato ogni anno 6 milioni di
armi leggere e che oggi vi siano in circolazione
circa 550 milioni di armi da fuoco. Nel solo
2000 sono stati prodotti almeno 15 miliardi di
munizioni [9]
Durante la seconda guerra mondiale gli eserciti
schierati raggiunsero il numero di 69 milioni di
soldati e nelle fabbriche di armamenti
lavoravano 45 milioni di persone [1].
Immaginiamoci quali siano stati i profitti
ottenuti con l’uso di questa enorme massa di
manodopera, spesso sottoretribuita in ragione
delle ristrettezze economiche della guerra, e
con prezzi di prodotto elevate in ragione
dell’indispensabilità dell’approvvigionamento.
La Boeing, la Northrop Grumann, la Raytheon, la
Lockeed Martin e le quattro principali ditte
interessate alla costruzione e vendita di aerei
e missili, hanno sostenuto la campagna
elettorale di numerosi politici sia repubblicani
sia democratici (il 40% dei proventi annuali
della Boeing sono per la vendita di armamenti).
[4]
La Alliant Techosystems, che è l’impresa
maggiore fornitrice di munizioni per le forze
armate americane, nel 2000 ha speso 460.000
dollari per azioni di lobbying e nel 2001 ha
versato contributi elettorali per 136.000
dollari. [4]
L’aumento delle spese militari ha interessato,
tra il ’98 e il 2001, anche l’Africa (31%),
l’Europa (28%), Asia del Sud (26%), Medio
Oriente (25%). [10]
Gli USA hanno avviato il più massiccio
riarmamento della loro storia: il bilancio
militare è salito dai 250 miliardi di dollari
del 1999 agli attuali 379; questa cifra è pari
al 40% della spesa militare di tutto il pianeta,
è superiore alla somma delle spese militari
delle 14 maggiori potenze militari, è pari a
poco meno del totale del PIL dell’India, a metà
di quello del Brasile, ad un terzo di quello
italiano. [6]
Secondo conti operati dalla Casa Bianca
relativamente alla questione irachena, in caso
di attacco via terra dovrebbero essere impegnati
270.000 militari professionisti, 100.000
riservisti, 1500 aerei, 800 elicotteri, 800
carri armati, almeno 60 navi da guerra, per un
costo di 12,5 miliardi di dollari per lo
schieramento, 9,2 miliardi di dollari per il
primo mese di guerra, 7,5 miliardi di dollari
per ciascuno dei mesi successivi, 7,3 miliardi
di dollari per lo smantellamento
dell’operazione. Come risulta evidente, con
queste cifre si potrebbe eliminare ogni problema
relativo alla fame nel mondo. [11]
Il missile da crociera Tomahawk BGM-109,
prodotto dalla Raytheon, costa due milioni di
dollari; sull’Iraq contano di lanciarne circa
3000 nelle prime ore. [4]
Un F16 costa circa 100 milioni di dollari, un
carro armato M1 costa circa 5,9 milioni di
dollari. [12]
Le spese militari su scala mondiale ammontano a
circa 240 miliardi di dollari. La quota degli
Usa equivale a circa il 20% del PIL mondiale. Un
solo missile del tipo di quelli lanciati in
Kossovo o in Afghanistan costa 2 milioni di
dollari, somma con cui si potrebbero vaccinare
tutti i bambini del pianeta. [13]
Mediamente negli ultimi anni sono
commercializzati 38 miliardi di dollari di armi;
negli anni ’90 circa il 70% degli ordinativi
mondiali relativi alle armi è relativo ai paesi
del Terzo Mondo. Tra il 1995 e il 2000 gli Usa
hanno coperto il 47,3% del mercato degli
armamenti, la Russia il 15,4%, la Francia il
9,4%, la Gran Bretagna il 6,7%, la Germania il
5,8%. Ad eccezione dell’India, tutti i primi
dieci importatori di armamenti hanno quale
fornitore principale gli Stati Uniti. (Il fatto
che il valore medio annuo delle armi sia tra i
35 e 45 miliardi di dollari, circa l’1% del
commercio mondiale, non spiega il potere
condizionante di questo settore nella vita
economica e politica dei singoli paesi). [12]
Tra i più grandi importatori, nel biennio
1999-2000, c’è Taiwan (10,9%), Arabia Saudita
(7,6%), Turchia (5,7%), Corea del Sud (5,6%). I
primi 15 acquirenti di armamenti nel mondo
assorbono il 64,1% della domanda globale,
quattro di essi (Israele, Turchia, India e
Pakistan) sono coinvolti in conflitti di lunga
durata, e nove (Taiwan, Arabia Saudita, Corea
del Sud, Cina, Grecia, Egitto, UAE, Kuwait e
Malaysia) si trovano in aree instabili da
decenni. [12] Negli ultimi venti anni si calcola
che siano stati immessi sul mercato ogni anno 6
milioni di armi leggere e che oggi vi siano in
circolazione circa 550 milioni di armi da fuoco.
Nel solo 2000 sono stati prodotti almeno 15
miliardi di munizioni [9]
Durante la seconda guerra mondiale gli eserciti
schierati raggiunsero il numero di 69 milioni di
soldati e nelle fabbriche di armamenti
lavoravano 45 milioni di persone [1].
Immaginiamoci quali siano stati i profitti
ottenuti con l’uso di questa enorme massa di
manodopera, spesso sottoretribuita in ragione
delle ristrettezze economiche della guerra, e
con prezzi di prodotto elevate in ragione
dell’indispensabilità dell’approvvigionamento.
La Boeing, la Northrop Grumann, la Raytheon, la
Lockeed Martin e le quattro principali ditte
interessate alla costruzione e vendita di aerei
e missili, hanno sostenuto la campagna
elettorale di numerosi politici sia repubblicani
sia democratici (il 40% dei proventi annuali
della Boeing sono per la vendita di armamenti).
[4]
La Alliant Techosystems, che è l’impresa
maggiore fornitrice di munizioni per le forze
armate americane, nel 2000 ha speso 460.000
dollari per azioni di lobbying e nel 2001 ha
versato contributi elettorali per 136.000
dollari. [4]
L’aumento delle spese militari ha interessato,
tra il ’98 e il 2001, anche l’Africa (31%),
l’Europa (28%), Asia del Sud (26%), Medio
Oriente (25%). [10]
Gli USA hanno avviato il più massiccio
riarmamento della loro storia: il bilancio
militare è salito dai 250 miliardi di dollari
del 1999 agli attuali 379; questa cifra è pari
al 40% della spesa militare di tutto il pianeta,
è superiore alla somma delle spese militari
delle 14 maggiori potenze militari, è pari a
poco meno del totale del PIL dell’India, a metà
di quello del Brasile, ad un terzo di quello
italiano. [6]
Secondo conti operati dalla Casa Bianca
relativamente alla questione irachena, in caso
di attacco via terra dovrebbero essere impegnati
270.000 militari professionisti, 100.000
riservisti, 1500 aerei, 800 elicotteri, 800
carri armati, almeno 60 navi da guerra, per un
costo di 12,5 miliardi di dollari per lo
schieramento, 9,2 miliardi di dollari per il
primo mese di guerra, 7,5 miliardi di dollari
per ciascuno dei mesi successivi, 7,3 miliardi
di dollari per lo smantellamento
dell’operazione. Come risulta evidente, con
queste cifre si potrebbe eliminare ogni problema
relativo alla fame nel mondo. [11]
Il missile da crociera Tomahawk BGM-109,
prodotto dalla Raytheon, costa due milioni di
dollari; sull’Iraq contano di lanciarne circa
3000 nelle prime ore. [4]
Un F16 costa circa 100 milioni di dollari, un
carro armato M1 costa circa 5,9 milioni di
dollari. [12]
Le spese militari su scala mondiale ammontano a
circa 240 miliardi di dollari. La quota degli
Usa equivale a circa il 20% del PIL mondiale. Un
solo missile del tipo di quelli lanciati in
Kossovo o in Afghanistan costa 2 milioni di
dollari, somma con cui si potrebbero vaccinare
tutti i bambini del pianeta. [13]
Mediamente negli ultimi anni sono
commercializzati 38 miliardi di dollari di armi;
negli anni ’90 circa il 70% degli ordinativi
mondiali relativi alle armi è relativo ai paesi
del Terzo Mondo. Tra il 1995 e il 2000 gli Usa
hanno coperto il 47,3% del mercato degli
armamenti, la Russia il 15,4%, la Francia il
9,4%, la Gran Bretagna il 6,7%, la Germania il
5,8%. Ad eccezione dell’India, tutti i primi
dieci importatori di armamenti hanno quale
fornitore principale gli Stati Uniti. (Il fatto
che il valore medio annuo delle armi sia tra i
35 e 45 miliardi di dollari, circa l’1% del
commercio mondiale, non spiega il potere
condizionante di questo settore nella vita
economica e politica dei singoli paesi). [12]
Tra i più grandi importatori, nel biennio
1999-2000, c’è Taiwan (10,9%), Arabia Saudita
(7,6%), Turchia (5,7%), Corea del Sud (5,6%). I
primi 15 acquirenti di armamenti nel mondo
assorbono il 64,1% della domanda globale,
quattro di essi (Israele, Turchia, India e
Pakistan) sono coinvolti in conflitti di lunga
durata, e nove (Taiwan, Arabia Saudita, Corea
del Sud, Cina, Grecia, Egitto, UAE, Kuwait e
Malaysia) si trovano in aree instabili da
decenni. [12] |
La
scuola di preparazione alla guerra
La preparazione alla guerra si attua tutti i giorni
in quasi tutte le società del mondo; un’educazione
costante puntigliosa che passa anche per atti
apparentemente normali.
Al mondo vi sono circa 22 milioni di militari. [1] Se a
questi aggiungiamo tutti quelli che lo sono stati, i
riservisti, ecc., si comprende l’incidenza all’interno
delle società di una mentalità che per quanto l’esercito
possa essere democratico è strutturata sull’uso della
forza.
Vi è l’educazione al parossismo all’intransigenza al
confronto immotivato e semplicistico che viene
effettuata attraverso il bieco tifo calcistico in cui
uno trova soddisfazione nella sconfitta dell’altro, in
cui si abituano le persone a dedicarsi integralmente ad
una passione, basata sulla differenza dei colori di
magliette, che diventa scelta di vita immotivata come la
guerra e la sua dinamica.
Ma l’allenamento al nemico alla forza alla capacità di
eliminarlo passa ogni giorno attraverso i videogiochi o
i film di violenza.
I film negli ultimi dieci anni: almeno sei film che
trattavano di guerra, per gran parte in maniera
acritica, hanno ricevuto degli oscar. Nella settimana
dal 29/12/02 al 4/1/03 le sette reti principali in
Italia hanno trasmesso dieci film, esclusi quelli della
notte, aventi per oggetto la guerra. A questi, volendo,
possono essere aggiunti tutti quelli: polizieschi,
thriller, dove vi è comunque un uso della violenza,
armata e gratuita, che costituiscono almeno un terzo
della programmazione televisiva, incluse le piccole
reti, costantemente lungo il corso dell’anno.
Dei circa 18.000 film censiti dal catalogo Morandini
circa 2.000 hanno come oggetto o come principale luogo
di azione la guerra (a questi vanno uniti tutti i
polizieschi, investigativi, fantascientifici, horror
dove comunque vi è un uso della violenza armata e
gratuita).
Ma questo non è casuale. È un progetto educativo visto
che la produzione dei videogiochi afferisce a pochi
produttori e che l’ottanta per cento di questi film è
prodotto negli Stati Uniti. Non è un caso che in
prossimità delle guerre vincano gli oscar film che
trattano di guerra e non è un caso che l’oscar l’abbia
vinto “Cercate il soldato Ryan” e non “La sottile linea
rossa” film di guerra ma profondamente critico.
In questo promuovere la stampa è altro strumento di
supporto.
La stampa si è dedicata a sostenere la preparazione
della guerra. Ciò non è avvenuto solamente con la
dichiarazione di appoggio alle politiche belliciste ma
con azione di supporto indiretto e camuffato come ad
esempio il sostegno alla centralità dell’esercito senza
parlare di guerra. Tra gli altri “La carica dei Rambo”
di Alexander Hamilton, con sottotitolo “Duri e spietati,
capaci di mangiare serpenti o stare immobili per giorni
in una gabbia, sono pronti a tutto, naturalmente anche a
morire”, più decine di foto di “veri uomini” armati,
rilassati, umani, efficienti (pubblicato in “D di
Repubblica”, 14 dicembre 2002).
Per avere una informazione effettiva di cosa stesse
succedendo in Afghanistan Marc Herold, professore
universitario statunitense, ha ricostruito il numero
totale delle vittime civili dal 7 ottobre 2001 al 18
gennaio 2002 attraverso le informazioni pubblicate su
dieci diversi quotidiani americani. Nessun giornale
infatti comunicava che ogni giorno morivano mediamente
più di 40 civili sotto l’azione dell’esercito americano.
L’informazione è asservita e il dato significante passa
parcellizzato e minimizzato. [14] La preparazione alla
guerra si attua tutti i giorni in quasi tutte le società
del mondo; un’educazione costante puntigliosa che passa
anche per atti apparentemente normali.
Al mondo vi sono circa 22 milioni di militari. [1] Se a
questi aggiungiamo tutti quelli che lo sono stati, i
riservisti, ecc., si comprende l’incidenza all’interno
delle società di una mentalità che per quanto l’esercito
possa essere democratico è strutturata sull’uso della
forza.
Vi è l’educazione al parossismo all’intransigenza al
confronto immotivato e semplicistico che viene
effettuata attraverso il bieco tifo calcistico in cui
uno trova soddisfazione nella sconfitta dell’altro, in
cui si abituano le persone a dedicarsi integralmente ad
una passione, basata sulla differenza dei colori di
magliette, che diventa scelta di vita immotivata come la
guerra e la sua dinamica.
Ma l’allenamento al nemico alla forza alla capacità di
eliminarlo passa ogni giorno attraverso i videogiochi o
i film di violenza.
I film negli ultimi dieci anni: almeno sei film che
trattavano di guerra, per gran parte in maniera
acritica, hanno ricevuto degli oscar. Nella settimana
dal 29/12/02 al 4/1/03 le sette reti principali in
Italia hanno trasmesso dieci film, esclusi quelli della
notte, aventi per oggetto la guerra. A questi, volendo,
possono essere aggiunti tutti quelli: polizieschi,
thriller, dove vi è comunque un uso della violenza,
armata e gratuita, che costituiscono almeno un terzo
della programmazione televisiva, incluse le piccole
reti, costantemente lungo il corso dell’anno.
Dei circa 18.000 film censiti dal catalogo Morandini
circa 2.000 hanno come oggetto o come principale luogo
di azione la guerra (a questi vanno uniti tutti i
polizieschi, investigativi, fantascientifici, horror
dove comunque vi è un uso della violenza armata e
gratuita).
Ma questo non è casuale. È un progetto educativo visto
che la produzione dei videogiochi afferisce a pochi
produttori e che l’ottanta per cento di questi film è
prodotto negli Stati Uniti. Non è un caso che in
prossimità delle guerre vincano gli oscar film che
trattano di guerra e non è un caso che l’oscar l’abbia
vinto “Cercate il soldato Ryan” e non “La sottile linea
rossa” film di guerra ma profondamente critico.
In questo promuovere la stampa è altro strumento di
supporto.
La stampa si è dedicata a sostenere la preparazione
della guerra. Ciò non è avvenuto solamente con la
dichiarazione di appoggio alle politiche belliciste ma
con azione di supporto indiretto e camuffato come ad
esempio il sostegno alla centralità dell’esercito senza
parlare di guerra. Tra gli altri “La carica dei Rambo”
di Alexander Hamilton, con sottotitolo “Duri e spietati,
capaci di mangiare serpenti o stare immobili per giorni
in una gabbia, sono pronti a tutto, naturalmente anche a
morire”, più decine di foto di “veri uomini” armati,
rilassati, umani, efficienti (pubblicato in “D di
Repubblica”, 14 dicembre 2002).
Per avere una informazione effettiva di cosa stesse
succedendo in Afghanistan Marc Herold, professore
universitario statunitense, ha ricostruito il numero
totale delle vittime civili dal 7 ottobre 2001 al 18
gennaio 2002 attraverso le informazioni pubblicate su
dieci diversi quotidiani americani. Nessun giornale
infatti comunicava che ogni giorno morivano mediamente
più di 40 civili sotto l’azione dell’esercito americano.
L’informazione è asservita e il dato significante passa
parcellizzato e minimizzato. [14]
Gli
uomini
Le guerre contemporanee sono il massimo della
diversificazione degli uomini in caste. I sodati
angloamericani morti nella Prima guerra del Golfo sono
stati circa centocinquanta, in parte ammazzati dagli
stessi commilitoni o morti in incidenti. I militari
iracheni morti sono stati circa centomila, i civili
cinquecentomila incluso l’embargo.
In Serbia tremila morti civili contro meno di dieci
morti militari.
Le caste dei combattenti sono protette. La casta dei
vincitori garantisce di non morire, di giocare con le
vite degli altri, di avere gloria e medaglie ma di non
morire con dolore, di avere il minimo di contatto con
gli sconfitti per non essere eventualmente turbati. Alla
casta degli alleati locali garantisce potere sui civili,
massacri e violenze, incluse quelle sessuali, resa dei
conti con faide antiche, il minimo del rischio
possibile. Alla casta dei militari sconfitti garantisce
stipendio, mangiare, qualche massacro non punito,
violenze, ma non la vita. Alla casta dei civili perdenti
non garantisce nulla. Alla casta dei civili locali
qualche piccola soddisfazione. Alla casta dei civili
vincitori garantisce di non essere disturbati.
Sabotare
la pace
La massima fatica dell’apparato militare non è quella
di fare una guerra. Lì ci si diverte: aerei che volano,
bombe, morti, assalti, eroi, armamenti spaziali. La
gente guarda attonita, allibita, eccitata, sgomenta. Ma
a quel punto è fatta: sono convinti che sia necessaria e
se dura poco, come deve durare poco, non c’è tempo per
capire bene che cosa stia avvenendo, e dopo è fatta.
La massima fatica dell’apparato è quella di preparare le
condizioni della guerra ovvero sabotare la pace.
Un lavoro in ombra, fatto da piccole azioni che mettono
zizzania, creano tensioni, complicano il quadro delle
relazioni, allontanano, quando si manifestasse, la
risoluzione dei problemi in modo pacifico.
Piccoli eserciti che combattono per un dio, una fede,
una terra, un popolo, una nazione, una tribù ma
all’interno di una strategia, ovvero finanziati,
sostenuti, educati alla guerra, di cui non conoscono
obiettivi e non capiscono il ruolo che svolgono.
Una quantità enorme di finanziamenti va a queste
attività.
Uno dei maggiori esempi è la questione palestinese.
La
rivincita degli ignoranti
In guerra hanno massimo spazio le semplificazioni.
Semplificazioni di ragionamenti e di comportamenti: la
salvezza, la paura, la soddisfazione delle vittoria.
Cercare di mangiare, di bere, di sopravvivere.
In questa semplificazione, ridotta alla dinamica
elementare amico-nemico, passa una logica utilitaristica
al raggiungimento dell’esito finale, qualunque cosa può
essere fatta se aiuta al raggiungimento del fine. Ogni
atto, anche il più barbaro, è legittimo, basta che
comporti nocumento all’avversario e vantaggio all’amico:
sentimenti, gusto, bellezza, natura non hanno più senso,
non vengono nemmeno considerati come elementi di scelta.
Tutto è consentito. E la guerra è in questo la rivincita
degli ignoranti, di coloro che ignorano le infinite
relazioni tra gli uomini, tra l’uomo e il suo ambiente,
la cultura, i caratteri dei luoghi e delle comunità.
Nella seconda guerra mondiale la distruzione di Dresda
fu attuata attraverso un bombardamento alleato pochi
giorni prima della capitolazione, con le truppe
sovietiche già a pochi chilometri dalla città, nella
consapevolezza che in essa non si rintanava una armata
tedesca ma circa duecentomila rifugiati dai territori
limitrofi nella speranza che l’unica città d’arte della
Germania non ancora distrutta fosse risparmiata. Questa
azione non portava nessun vantaggio militare ma un
ulteriore onere per la popolazione tedesca e uno
svantaggio per il futuro blocco dell’est che aveva
un’altra ferita da rimarginare: il tutto con “solo”
trecentomila morti, il più grande massacro da
bombardamento, superiore alla sperimentazione delle
incendiarie su Amburgo, con i suoi circa
centocinquantamila morti, superiore a Nagasaki e
Hiroshima messi insieme.
La
giustizia di guerra
È una giustizia molto chiara, forse la più chiara e
palese di tutte le forme di giustizia applicate dagli
stati: chi vince ha ragione. Così al termine della
seconda guerra mondiale vengono processati i criminali
nazisti, ma solo alcuni, perché altri sono lasciati
scappare per mantenere quella rete anticomunista che era
la fissazione degli occidentali, o per utilizzarli come
funzionari delle nuove polizie ad est e ovest
indifferentemente. Per gli alleati che hanno bombardato
intere popolazioni civili non succede nulla, ma non
succede nulla nemmeno per i militari tedeschi che hanno
sterminato intere popolazioni civili nei paesi occupati.
A distanza di anni ancora oggi si chiede giustizia per
assassini che hanno vissuto tranquillamente la loro
esistenza.
Così Milosevic è processato non perché sia un assassino,
ve ne sono altrettanti da quest’altra parte, ma perché
ha perso e non è divenuto servo dei vincitori, o perché
non è funzionale al loro progetto.
La giustizia di guerra è bella. Riesce anche ad avere le
assoluzioni da parte delle religioni.
Piccole
guerre private e grandi manovre
Gli eserciti nazionali di molti paesi sono stati
finanziati e gestiti in ragione della loro appartenenza
ad uno dei blocchi su cui si inscenava la guerra fredda.
Al cambiamento delle condizioni strategiche complessive
questi eserciti, quando non si trovavano in aree di
crisi, non hanno più goduto di finanziamenti.
Ciò ha comportato che si sono riorganizzati su basi di
potere locali; molto meno efficienti a scala più vasta,
con armi di scarto delle potenze che li finanziavano,
hanno avuto mano libera alla conflittualità locale,
tacitata precedentemente in ragione di un interesse di
ordine superiore.
Questi eserciti si sono dedicati a massacri e
carneficine locali con esiti solitamente molto efficaci
in termini di aumento di dipendenza dall’esterno e di
riduzione dell’autonomia nel controllo delle risorse.
Questo lasciare fare, o meglio stimolare i belligeranti
locali che comunque garantiscono il flusso di risorse e
di profitti voluti, ha peggiorato significativamente la
qualità della vita in tutto il pianeta. La violenza
esercitata da queste bande impedisce il raggiungimento
dei valori minimi di convivenza, rappresenta una
minaccia quotidiana per chi volesse vivere
autonomamente, non da servo, la propria esistenza, rende
impossibile la diffusione di quei comportamenti civili
che sono alla base della ricostruzione di quelle
comunità sociali che questo modello e gli interessi
coloniali precedenti hanno distrutto.
Queste bande armate, questi conflitti servono a
continuare lo sfruttamento, a rendere impossibile
qualsiasi altra soluzione, a negare rispetto alle
persone, a renderle insicure, affannate, terrorizzate in
un clima continuo di olocausto, di incertezza, di
impossibilità di modificare le proprie condizioni di
esistenza.
E queste condizioni di guerra continua sono funzionali
all’attuale assetto del mercato, all’attuale sistema
produttivo, all’attuale dinamica di potere.
Piccoli eserciti
Le multinazionali petrolifere e minerarie, che
operano nello sfruttamento delle risorse in
paesi in via di sviluppo, solitamente si dotano
di piccoli eserciti di protezione dei campi di
sfruttamento. In alcuni casi, come l’Occidental
Petroleum in Colombia, la Shell in Nigeria, la
ExxonMobile in Indonesia, questi eserciti hanno
svolto un ruolo di addestratori dell’esercito
nazionale. [9] Questa condizione è diffusamente
riscontrabile in Centro America, con i
produttori di banane e gli eserciti che
controllano i campi e obbligano i lavoratori a
modalità di lavoro e di vita insostenibili. Vi
sono società che mettono a disposizione
mercenari, solitamente militari, professionisti
in cerca di occupazione o maggiori guadagni. Le
società che reclutano e distribuiscono mercenari
sono quotate in borsa a Wall Street, e godono
ottima salute. |
Gli
scenari futuri
Lo sfruttamento di risorse avviene a ritmi superiori
a quelli consentiti dagli ecosistemi. La quantità di
risorse prelevata, nonostante sia superiore alle
capacità dei sistemi, è molto inferiore alle richieste
del mercato. In questo si evidenzia un ambito di
pericolosità estrema. Ovvero il prezzo delle risorse
potrebbe aumentare, direttamente connesso alla loro
indispensabilità per la produzione di merci, e quindi
aumenterebbe l’interesse al loro controllo.
Aumentare i prezzi di vendita e ridurre i costi di
produzione. Per fare questo lo strumento più utilizzato
è quello di mettere in stato di necessità il venditore
della materia prima. Ciò avviene in tutta l’Africa
centrale, ad esempio in Sierra Leone o in Angola, dove i
lunghi periodi di guerra hanno permesso il prelievo di
risorse e la loro vendita ad un prezzo bassissimo. Nel
modello applicato le compagnie che gestiscono l’acquisto
delle risorse pagano pochissimo ma lo pagano
direttamente all’esercito che controlla le risorse
stesse e, attraverso quei soldi, si arricchisce e si
potenzia così da poter esercitare un maggiore controllo
sull’area; avendo però necessità assoluta di soldi e
armi abbassa il prezzo e svende la risorsa di cui
dispone.
Attraverso le guerre locali i grandi imprenditori
occidentali hanno tratto un cospicuo vantaggio.
Lo scenario, che si rilegge abbastanza chiaramente in
quanto praticato su larga scala, è quello di una estesa
destabilizzazione, la più estesa possibile e non solo
nei paesi in via di sviluppo ma in tutti quelli in cui
vi siano risorse; questo consente di ottenere la caduta
dei prezzi delle risorse, la creazione di stati di
necessità attraverso piccole guerre locali, che, nel
caso convenga, possono essere anche estese ad altre
aree. Nessun interesse per il controllo dello stato ma
solo dell’area in cui vi sono le risorse. Bande di
armati, eserciti privati, piccoli eserciti finanziati
per mantenere questo stato di alterazione che consente
di eliminare l’autonomia delle comunità.
Questo modello è oggi palese per il mercato dei
diamanti, per le foreste, per alcuni materiali
fondamentali per la produzione industriale più avanzata,
ma è destinato ad estendersi anche a risorse che sono di
uso più diffuso e attualmente di maggiore accessibilità.
Prima tra tutti l’acqua.
Nei territori fuori mura desertici, abbandonati,
distrutti gli individui vagano dispersi e impauriti nei
territori dentro le mura illuminati, convulsi allusivi
gli individui tessono nevrotici le reti del potere.
I
paranoici
Non si può sottovalutare che nel mondo vi siano dei
malati che, ahinoi, stanno spesso al potere. Non è una
combinazione che la scalata al potere richieda di essere
paranoici (immaginatevi una vita “a fare scarpe agli
altri” ed evitare il contrario, una vita di accordi da
smentire alla prima occasione, di interessi da celare,
di piaceri da fare, di discussioni infinite, di parole
vuote…) in quanto esso stesso è paranoico.
Che si può dire ad uno che afferma che: “con i suoi
cento milioni di abitanti e un arco di cinquecento
chilometri di isole contenenti la riserva di risorse
naturali più ricca della regione, l’Indonesia è il più
ambito trofeo del sud est asiatico”, specialmente se
questi è R. Nixon? E siamo nel 1967, subito dopo una
delle più grandi carneficine di disarmati voluta,
finanziata, sostenuta dagli Stati Uniti, a proposito
della quale, nello stesso anno, H. Holt, primo ministro
australiano, ebbe modo di dichiarare: “Ora che da
500.000 a un milione di simpatizzanti comunisti sono
fuori dai piedi credo sia sensato ritenere che sia in
atto un riorientamento”.
Del resto la visione indifferente è il fondamento della
guerra: “Essi sanno che il loro paese è nostro…che
dettiamo noi il modo in cui loro vivono e parlano. E
questa è la cosa importante dell’America, ora. È una
buona cosa, specialmente se là c’è un sacco di petrolio
che serve a noi” W. Looney, comandante dei bombardamenti
in Iraq. Quando fu domandato a M. Albright, ambasciatore
degli Stati Uniti alle NU, se la morte, attestata
dall’UNICEF dal 1991 al 1998, in Iraq di cinquecentomila
bambini dipesa dalle sanzioni imposte dai vincitori,
anche sulle medicine, fosse il prezzo da pagare dichiarò
“riteniamo che il prezzo ne valga la pena”.
Una cronista si rivolse al ministero della difesa
inglese al più alto funzionario connesso alla questione
Iraq nel 1999 dopo che aveva assistito ad un
bombardamento nelle zone di non sorvolo che aveva
colpito un povero e inerme villaggio uccidendo civili e
greggi: “sono appena tornata da Mosul –disse – dove voi
state bombardando pecore, e mi chiedevo se avete
qualcosa da dire a riguardo”, “ci riserviamo il diritto
di intraprendere azioni di forza – rispose il
funzionario – se minacciati”.
Guerre totali, mancanza di dialogo, dichiarazioni
esagitate sono alla base della contemporanea
comunicazione Cheney, vicepresidente americano, nella
quale sostiene che la guerra “potrebbe non esaurirsi
nello spazio delle nostre vite”, e T. Blair, primo
ministro inglese, a proposito di quei pezzenti e già
stipendiati fissi angloamericani dei talebani dichiara:
“nessun compromesso è possibile con questa gente…
abbiamo solo una scelta: sconfiggerli o farci
sconfiggere”.
Illuminanti sono le dichiarazioni, lontane nel tempo ma
vicine nella continuità, di Lord Curzon, viceré delle
Indie, nel 1898: “Confesso che per me [i paesi] sono
pezzi di una scacchiera sulla quale si sta giocando un
grande gioco per il dominio del mondo”, e di G. Kennan,
pianificatore strategico degli Stati Uniti, nel 1948:
“Abbiamo il 50% del benessere mondiale ma solo il 6,3%
della sua popolazione. In questa situazione, il nostro
vero compito nel prossimo periodo… sarà di mantenere
questa posizione di disparità. Per far ciò, dovremmo
fare a meno di ogni sentimentalismo… smetterla di
pensare ai diritti umani, al miglioramento degli
standard di vita e alla democratizzazione”.
E infine T. Friedman, giornalista del NY Times, svela le
relazioni tra mercato e controllo militare: “McDonald’s
non potrà mai funzionare senza la McDonnel Douglas che
ha progettato l’F-15. E il pugno nascosto che mantiene
il mondo sicuro per le tecnologie di Silicon Valley si
chiama Esercito, Aviazione, Marina e corpo dei marines
americani”.
Sono questi gli attuali vincitori ed è possibile, ma né
auspicato né desiderato, che in futuro ve ne siano
altri.
Questa forma di paranoia è un modo di intendere la vita
e le cose del mondo che non è propria di uno stato, ma
forse è propria degli stati.
“Non capisco questo clamore intorno all’uso del gas.
Personalmente sono fortemente a favore dell’uso contro
le tribù non civilizzate”, Winston Churchill, segretario
di Stato, Ufficio della guerra Britannico, autorizzando
l’uso di armi chimiche contro la rivolta irachena.
La fantasia applicata
Gli Usa progettano minibombe atomiche (testo
pubblicato sul sito del Los Alamos Study Group).
Negli Usa è allo studio una nuova generazione di
testate nucleari di piccola potenza (low-yeld)
capaci di penetrare profondamente nel terreno
(300 metri di granito) prima di esplodere; in
Russia sono allo studio piccole testate nucleari
(mini-nukes) di 0,4 kilotoni da utilizzare sul
campo di battaglia (il tentativo è quello di
cancellare la distinzione tra armi nucleari e
convenzionali legittimandone l’uso in un
conflitto convenzionale o abbassando la soglia
d’un conflitto nucleare).[6] L’Amministrazione
Bush sta lavorando per una difesa “a strati”
(layered defence) consistente in molti tipi
complementari di difesa antimissili (previsione
dei costi sottostimata: 115 miliardi di
dollari). La Russia ha condotto un test su
missili balistici intercontinentali a tre stadi
più un veicolo “post-boost” contenente una
testata nucleare che vola ad alta velocità
nell’atmosfera per superare le difese
antimissili; sono già in produzione missili
intercontinentali con più di sei testate
nucleari. Nella Prima guerra del Golfo è
possibile che gli USA abbiano fatto uso di
aggressivi allucinogeni; recentemente sono in
corso esperimenti nel Nevada di produzione di
agenti biologici letali usando l’ingegneria
genetica. Durante la guerra dei Balcani gli Usa
lanciarono un’offensiva “cyber-combat”
disturbando la rete di comando e controllo
dell’esercito iugoslavo, azzerando i computer,
inserendo messaggi ingannevoli, disturbando la
rete telefonica. [6] È in via di sperimentazione
una bomba che esplode in quota in condizione di
generare un campo magnetico di 200 milioni di
watt, in grado di “oscurare” tutte le
apparecchiature elettroniche ed elettriche. [15]
Gas nervini, agenti vescicanti (tra cui
“mostarda azotata”), agenti asfissianti, agenti
tossici per il sangue, sono alcune delle armi
chimiche largamente diffuse in molti eserciti
del mondo; sono considerate armi biologiche
virus e batteri che provocano epidemie, tra gli
altri: antrace, brucellosi, encefalite, tifo,
tubercolosi, vaiolo, colera, peste, ecc. Le armi
biochimiche sono considerate “le più efficaci”;
per ottenere lo stesso numero di morti a miglio
quadrato servono, ad esempio, 32 tonnellate di
bombe a grappolo, 5 chili di materiale fissile
nucleare, 8 grammi di spore di antrace. [16]
Le industrie sviluppano la ricerca in stretta
connessione con gli apparati militari e
frequentemente producono soluzioni tecnologiche
avanzate che o vengono utilizzate esclusivamente
dai militari o da essi controllate.
È il caso questo dei rilevamenti satellitari o
di Internet, ma avviene anche che alcune
soluzioni tecniche vengano mantenute
strettamente in ambito militare per avere un
vantaggio in termini strategici. È il caso
questo, ad esempio, delle auto ad idrogeno che
mentre stentano ad entrare nel mercato civile,
rimanendo a livelli di prototipo, sono state già
inserite all’interno delle dotazioni
dell’esercito statunitense (30.000 unità entro
il 2010). [17]
Se tutta questa capacità creativa fosse
applicata al benessere delle persone…
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Alcune
riflessioni sui comportamenti
Anche il comportamento dei singoli individui può
condizionare pesantemente le scelte dei governi e dei
soggetti promotori delle guerre.
Ridurre al minimo il consumo di benzina, gli spostamenti
con mezzi, il consumo energetico (in particolare per
quanto attiene le guerre legate al petrolio, ma comunque
il prezzo del petrolio è il maggiore sistema di
finanziamento di alcuni dei principali conflitti).
Boicottare le merci dei paesi belligeranti e in
particolare degli aggressori rendendo manifeste le
proprie posizioni.
Criticare qualunque comportamento che sostenga il
confronto belligerante come sistema risolutivo delle
questioni tra stati.
Boicottare le banche che finanziano il mercato delle
armi.
Denunciare gli interessi che sostengono le guerre.
Bibliografia
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mondo, Fandango Libri, Roma
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[8] Tratto da una lezione del corso di
Modellistica e gestione delle risorse naturali 1
del Politecnico di Milano ripreso da Internet,
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[11] Il costo della guerra, i conti della
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[12] Ludovisi A. (2002), Guerra globale e
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[15] de Sandoval P. (2003), Irak quederà a
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[16] Farioli L. (2003), Chi può cambiare un
futuro annunciato e terribile, in Venerdì di
Repubblica
[17] Borgomeo V. (2003), L’auto a idrogeno va
come una bomba (solo per i militari), in Il
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www.warnews.it Il sito di WarNews Notizie
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www.mercatiesplosivi.com/guerrepace Il sito
della Rivista Guerra & Pace, sono scaricabili
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www.un.org Il sito delle Nazioni Unite
www.zabriskypoint.org/guerra.htlm Sito con
informazioni ed elaborazioni contro la guerra
www.iacenter.org Il sito dell’International
Action Center
www.lunaria.org/sbilanciamoci Il sito di
Sbilanciamoci! Come usare la spesa pubblica per
la società, l’ambiente, la pace |
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