La Machnovščina
Daniel Guérin
Se la liquidazione degli anarchici delle città,
piccoli nuclei impotenti, doveva essere abbastanza facile, non fu così nel sud
dell'Ucraina; qui il contadino Nestor Machno aveva costituito una forte
organizzazione anarchica rurale, sia economica sia militare. Figlio di contadini
poveri ucraini, Machno aveva vent'anni nel 1919. Giovanissimo, aveva partecipato
alla Rivoluzione del 1905 ed era diventato anarchico. Condannato a morte dallo
zarismo, la pena era stata commutata e gli otto anni trascorsi, quasi sempre ai
ferri, nella prigione di Butirki, erano stati la sua unica scuola. Con l'aiuto
di un compagno di prigionia, Pëtr
Aršinov,
colmò, almeno in parte, le lacune della sua istruzione.
L'organizzazione
autonoma delle masse contadine di cui prese l'iniziativa subito dopo l'Ottobre,
copriva una regione popolata da sette milioni di abitanti, e formava una specie
di cerchio di 280 km di profondità per 250 di larghezza. L'estremità meridionale
toccava il mare di Azov, raggiungendo il porto di Berdiansk. II suo centro era
Gulyai-Polyé, un grosso borgo di 20-30.000 abitanti. Si trattava di una regione
tradizionalmente ribelle, che era stata, nel 1905, teatro di violenti
tumulti.
Tutto era incominciato con l'instaurazione in Ucraina di un
regime di destra, che era stato imposto dagli eserciti di occupazione tedesco e
austriaco, e si era affrettato a rendere ai vecchi proprietari le terre di cui i
contadini rivoluzionari si erano appena impadroniti. I lavoratori delle terre
difesero con le armi in pugno le loro recenti conquiste. Le difesero tanto
contro la reazione quanto contro l'intrusione intempestiva, nelle campagne, dei
commissari bolscevichi, e contro le loro requisizioni troppo pesanti. Questa
gigantesca jacquerie fu animata da un giustiziere, una specie di Robin
Hood anarchico, soprannominato dai contadini "Padre" Machno. Il suo primo fatto
d'arme fu la presa di Gulyai-Polyé, a metà settembre del 1918. Ma l'armistizio
dell'11 novembre determinò la ritirata delle forze d'occupazione austro-tedesche
mentre offriva contemporaneamente a Machno un'occasione unica di costituire
riserve d'armi e scorte.
Per la prima volta nella storia, i principi del
comunismo libertario furono applicati nell'Ucraina liberata e, nella misura in
cui le circostanze della guerra civile lo permisero, fu praticata
l'autogestione. Le terre disputate agli antichi proprietari terrieri furono
coltivate in comune dai contadini, raggruppati in "comuni" o liberi "soviet di
lavoro". I principi di fratellanza e di uguaglianza erano rispettati. Tutti,
uomini, donne, bambini dovevano lavorare secondo le loro forze. I compagni
eletti alle funzioni di gestione, a titolo temporaneo, riprendevano poi il loro
lavoro abituale a fianco degli altri membri della comune.
Ogni soviet non
era che l'esecutore della volontà dei contadini della località in cui era stato
eletto. Le unità di produzione erano federate in distretti e i distretti in
regioni. I soviet erano inseriti in un sistema economico complessivo, fondato
sull'uguaglianza sociale. Dovevano essere assolutamente indipendenti da
qualsiasi partito politico. Nessun politico vi doveva imporre la sua volontà
dietro la copertura del potere sovietico. I loro membri dovevano essere
autentici lavoratori, a servizio esclusivo degli interessi delle masse
lavoratrici.
Allorché i partigiani machnovisti penetravano in una
località, affiggevano dei manifesti, in cui si poteva leggere: "La libertà dei
contadini e degli operai appartiene a loro stessi e non può subire restrizione
alcuna. Tocca ai contadini e agli operai stessi agire, organizzarsi, intendersi
fra di loro, in tutti i campi della loro vita, come essi stessi ritengono e
desiderano (...). I machnovisti possono solo aiutarli dando loro questo o quel
parere o consiglio (...). Ma non possono, e non vogliono, in nessun caso,
governarli".
Quando, più tardi, nell'autunno del 1920, gli uomini di
Machno furono portati a concludere, da pari a pari, un effimero accordo con il
potere bolscevico, insistettero per l'adozione della seguente postilla: "Nella
regione in cui opererà l'esercito machnovista, la popolazione operaia e
contadina creerà le proprie istituzioni libere per l'autoamministrazione
economica e politica; queste istituzioni saranno autonome e collegate
federativamente - per mezzo di patti - agli organi governativi delle Repubbliche
Sovietiche". Sbalorditi, i negoziatori bolscevichi stralciarono questa postilla
dall'accordo, per riferire a Mosca, dove, naturalmente, fu giudicata
"assolutamente inammissibile".
Una delle debolezze relative del movimento
machnovista era l'insufficienza di intellettuali libertari nel suo seno. Ma,
almeno saltuariamente, fu aiutato dall'esterno. Dapprima, da Kharkov e da Kursk,
da parte degli anarchici che, sul finire del 1918, si erano fusi in un'alleanza
detta Nabat (l'Allarme), animata da Volin. Nell'aprile 1919, tennero un
congresso in cui si pronunciarono "categoricamente e definitivamente contro ogni
partecipazione ai soviet, divenuti organismi puramente politici, organizzati su
una base autoritaria, centralizzatrice, statale". Questo manifesto fu
considerato dal governo bolscevico come una dichiarazione di guerra e il
Nabat dovette cessare ogni attività. In seguito, a luglio, Volin riuscì a
raggiungere il quartier-generale di Machno ove, di concerto con Pëtr
Aršinov,
assunse l'incarico della sezione culturale ed educativa del movimento.
Presiedette uno dei congressi, quello tenuto in ottobre a Aleksandrovsk. Vi
furono adottate delle Tesi Generali, che precisavano la dottrina dei "soviet
liberi".
Il congresso riuniva delegati dei contadini e delegati dei
partigiani. In realtà, l'organizzazione civile era il prolungamento di un
esercito insurrezionale contadino, che praticava la tattica della guerriglia.
Era assai mobile, capace di percorrere fino a cento chilometri al giorno, non
solo con la sua cavalleria, ma anche grazie a una fanteria che si spostava su
leggere vetture ippotrainate, a molla. Questo esercito era organizzato sulle
basi, specificatamente libertarie, del volontariato, del principio elettivo, in
vigore per tutti i gradi, e della disciplina liberamente accettata: le regole di
quest'ultima, elaborate da commissioni di partigiani e quindi ratificate da
assemblee generali, erano rigorosamente osservate da tutti.
I corpi
franchi di Machno diedero del filo da torcere agli eserciti "bianchi"
interventisti. Quanto alle unità di guardie rosse bolsceviche, erano assai poco
efficaci. Si battevano solo lungo le strade ferrate, senza mai allontanarsi dai
loro treni blindati, ripiegando al primo insuccesso, astenendosi spesso dal
riprendersi i propri combattenti. Così ispiravano poca fiducia ai contadini che,
isolati nei loro villaggi e privi d'armi, sarebbero stati alla mercé dei
controrivoluzionari. "L'onore di avere annientato, nell'autunno del 1919, la
controrivoluzione di Denikin spetta principalmente agli insorti anarchici";
scrisse Aršinov,
il memorialista della machnovščina.
Machno
rifiutò sempre di porre la sua armata sotto il comando supremo di Trotsky, capo
dell'Armata Rossa, dopo la fusione in quest'ultima delle unità di guardie rosse.
Così il grande rivoluzionario credette di doversi accanire contro il movimento
insurrezionale. Il 4 giugno 1919, redasse un ordine, con cui proibì il prossimo
congresso dei machnovisti, accusati di levarsi contro il potere dei Soviet in
Ucraina, stigmatizzò ogni partecipazione al congresso come atto di "alto
tradimento" e ordinò l'arresto dei suoi delegati. Inaugurando una procedura che
sarà imitata, diciotto anni dopo, dagli stalinisti spagnoli contro le brigate
anarchiche, rifiutò armi ai partigiani di Machno, sottraendosi al dovere di
assisterli, per accusarli poi di "tradire" e di lasciarsi battere dal le truppe
bianche.
Tuttavia i due eserciti si trovarono d'accordo, in due
occasioni, allorché la gravità del pericolo interventista esigette una azione
comune; questo accadde, dapprima, nel marzo 1919 contro Denikin, poi durante
l'estate e l'autunno 1920, quando sorse la minaccia delle forze bianche di
Wrangel, distrutte, infine, da Machno. Ma, appena scongiurato l'estremo
pericolo, l'Armata Rossa riprendeva le operazioni militari contro i partigiani
di Machno, che restituivano puntualmente i colpi subiti.
Alla fine di
novembre del 1920, il potere non esito ad organizzare un agguato. Gli ufficiali
dell'esercito machnovista di Crimea furono invitati dai bolscevichi a
partecipare ad un consiglio militare. Furono subito arrestati dalla polizia
politica, la Ceka, e fucilati, e i loro partigiani disarmati. Nello stesso tempo
una offensiva in piena regola veniva lanciata contro Gulyai-Polyé. La lotta -
una lotta sempre più disuguale - fra libertari ed "autoritari" durò ancora nove
mesi. Ma, alla fine, messo fuori combattimento da forze molto superiori di
numero e meglio equipaggiate, Machno dovette abbandonare la
partita.
Riuscì a rifugiarsi in Romania, nell'agosto 1921, quindi a
raggiungere Parigi, dove morì, più tardi, malato e povero. Così finiva l'epopea
della machnovščina,
prototipo, secondo Pëtr
Aršinov,
di un movimento indipendente delle masse lavoratrici, e, perciò stesso, fonte di
ispirazione futura per i lavoratori del
mondo.