Maurizio Garino - scrive Marco Revelli - era nato a Ploaghe (provincia di
Sassari) il primo novembre 1892. Aveva quindi 82 anni nella primavera del 1975,
quando gli feci una lunghissima intervista (12 ore circa di registrazione,
divise in quattro incontri) sulla sua storia di anarchico a Torino. Vi
raccontava gli anni cruciali della sua vita, quelli che vanno dal 1909 - l'anno
della grande mobilitazione operaia contro la condanna a morte, in Spagna,
dell'anarchico Francisco Ferrer - al 1922, l'anno della conquista del potere da
parte del fascismo e della strage di Torino, nel dicembre, quando gli squadristi
di Brandimarte assassinarono il segretario della Camera del lavoro, Pietro
Ferrero, e altri militanti operai. In mezzo, tutte le tappe storiche di quel
ciclo sociale: la lotta contro la guerra di Libia, i grandi scioperi autonomi
degli operai dell'auto nel 1911, la settimana rossa, la guerra mondiale e
l'insurrezione del 1917, l'occupazione delle fabbriche, quando Garino collaborò
con Antonio Gramsci e con Giovanni Parodi nella direzione del movimento. E
naturalmente la Scuola Moderna, fondata a Torino nel 1910, sul modello
tracciato, appunto, da Francisco Ferrer, e diventata (come si racconta nel brano
qui riprodotto) il centro motore della formazione culturale e umana del folto
gruppo di lavoratori che fu protagonista di quel tratto, decisivo, di storia del
movimento operaio che ebbe Torino epicentro. Essa costituisce un significativo
esempio di socializzazione autonoma e antagonistica, realizzato attraverso la
costruzione di uno spazio pubblico non statuale da parte di un soggetto
collettivo - l'operaio di mestiere, ancora oscillante tra le proprie origini
artigianali e il proprio destino industriale -, che intendeva esercitare così il
controllo sulla propria formazione non solo professionale, ma umana e politica
nel senso più ampio, contendendo il terreno all'altro grande modello culturale
allora egemone, quello cattolico. L'accelerato processo di nazionalizzazione
delle masse innescato dal fascismo, e il parallelo processo di statizzazione
dell'educazione realizzato col monopolio culturale della scuola pubblica,
assorbiranno e cancelleranno quell'esperienza, ponendo fine alla "kulturkampf" -
chiamiamola così: al conflitto culturale per l'egemonia formativa - tra
socialisti e cattolici. Il terreno della "scuola" risulterà per questa via
"neutralizzato" rispetto alle consolidate identità di classe, inaugurando
l'epoca in cui dimensione pubblica e dimensione statale dei processi educativi
finiscono per coincidere. Il che farà guadagnare, non c'è dubbio, in
universalità, ma determinerà una brusca caduta sul piano delle autonomie
sociali. Gli uomini come Garino, che abitavano con dignità, orgoglio e
indipendenza le barriere operaie, i grandi quartieri della periferia torinese,
come si abita una "patria", diventeranno sempre più rari.