Viva la libertà
di Felix Garcia
(traduzione di Andrea Chersi dalla rivista "Bicicleta")
Se si potesse definire l'anarchismo col minor numero di parole, sicuramente ne useremmo sempre una: libertà. La difesa della libertà, la lotta per una maggiore libertà e la denuncia di ogni genere di oppressione, ed in particolare del potere politico, sono le due facce della stessa medaglia. Una ribellione profonda contro tutto ciò che comporta un'imposizione, contro ogni autorità che pretende di erigersi a padrona e signora della vita altrui; come Don Chisciotte che liberava i galeotti semplicemente perché erano mandati in un posto in cui essi non volevano andare, gli anarchici hanno sempre difeso energicamente il diritto di ognuno d'esser padrone della propria vita. La loro opposizione al comunismo marxista, e, a monte, a tutto il pensiero razionalista ed idealista che da Spinoza arriva fino a Hegel, parte dalla denuncia di questo comunismo in quanto autoritario, come annientatore delle persone all'interno di una collettività. Indipendentemente dal fatto se avesse ragione Bakunin a criticare l'autoritarismo di Marx e dei suoi seguaci (e secondo noi aveva ragione), il fatto è che fin dai tempi della Prima Internazionale l'anarchismo si definisce come comunismo libertario in contrapposizione al comunismo autoritario, ponendo proprio sul termine "libertario" l'accento sostanzialmente distintivo del suo apporto al pensiero socialista. Nonostante la sua importanza, sembra non ci sia molta chiarezza su quel che s'intende per libertà, cosa che ha contribuito in gran misura a confondere l'anarchismo con ogni difesa della libertà o con ogni attacco all'autorità. Per questo non appare superfluo tentare ancora una volta di precisare il significato della libertà nella tradizione anarchica.
Libertà significa, innanzitutto, autonomia. L'anarchismo assorbe così tutta un'eredità insigne di lotta strenua contro la tirannia, contro il dominio dispotico dell'autorità civile o religiosa che soffocava qualsiasi manifestazione dell'individuo. Kant, la vetta del pensiero colto, insisterà sulla morale autonoma, quella che ci si crea da soli, in contrapposizione alla morale eteronoma, quella che ci viene imposta dall'esterno. Una lunga storia che inizia da Ocknam e termina con Kant riafferma sempre più la sovranità dell'individuo, padrone e signore del proprio destino e la conseguente libertà; un lungo cammino che coincide con l'irresistibile ascesa della borghesia, che inizia coi primi scontri con il papato e sbocca nella proclamazione dei diritti del cittadino, con la proclamazione di libertà, uguaglianza e fratellanza. Gli anarchici si considerano gli eredi di questa tradizione, non essendo mai disposti a rinunciare alla loro difesa dell'individuo di fronte ai canti di sirena dell'idealismo hegeliano. Lottare contro ogni genere di oppressione diverrà la bandiera anarchica, pur correndo il rischio di esser tacciati di piccolo-borghesi dai comunisti, pur correndo il rischio che aderiscano al movimento effettivamente piccolo-borghesi che cercano solo di difendere la loro individualità innanzitutto, come molti intellettuali della fine del sec. XIX che si dichiararono anarchici, come uno Stirner o un Ferrer Guardia. La libertà, e il suo completamento, la denuncia del potere, non sono negoziabili ne frammentabili, non sono preconcetti piccolo-borghesi, come dirà Lenin in un infelice momento.
Libertà significa, in secondo luogo, accettazione delle leggi della
natura. Ancora una volta, gli anarchici si dimostrano eredi di tutta la
tradizione intellettuale dell'Occidente, pagando pure un eccessivo tributo
allo scientificismo dominante nel sec. XIX. Fin dal tempo dei greci s'è
andato affermando che le cose sono come devono essere e non avvengono in
modo arbitrario, bensì conforme a leggi necessarie che guidano l'universo.
La ragione si univa così alla necessità e la libertà consisteva
nell'accettazione di questa necessità; gli stoici e Spinoza saranno i
rappresentanti più significativi. Allo stesso modo, si afferma che il bene è
qualcosa di oggettivo e una volta che lo conosciamo, siamo costretti a
farlo; l'intelligenza, conoscendo ciò che è buono, sapendo come son le cose
e quali sono le leggi della natura, obbliga la volontà a seguirla. Chi fa
qualcosa di male lo fa per ignoranza, non per espresso desiderio di fare il
male; per questo non deve essere punito, ma educato perché ritrovi la verità
ed il bene. Anche se sarebbe molto interessante continuare ad esporre le
implicazioni presenti in questa identificazione della ragione con la
necessità e in questo intellettualismo morale, è preferibile rinunciarvi e
concentrarci di più sulla forma che assunse l'anarchismo inserendosi in
questa tradizione.
Sarà questa l'impostazione di Bakunin, che però fece alcune osservazioni di
notevole importanza. La prima sarà il riconoscimento al quale ci
costringeranno le leggi di natura; ma le leggi sociali, le leggi che guidano
la società non son leggi di questo tipo, ma leggi imposte dai potenti per
conservare il loro privilegio. Indubbiamente esistono delle leggi anche per
guidare la comunità umana e per molti anarchici la missione della sociologia
consisterà nello scoprire queste leggi per ottenere una società più giusta.
Tuttavia, queste leggi sono storiche e, quindi, non son valide
indefinitivamente; d'altronde, la realizzazione di una società retta da
leggi giuste, da leggi che si adattino alla natura umana, è qualcosa da
conquistare, come vedremo più avanti, non è qualcosa di già dato. Kropotkin,
il più scientifico tra tutti gli anarchici, cercherà di dimostrare che la
solidarietà è la legge che deve reggere la società umana, ma è chiaro che la
società borghese non è una società basata sulla solidarietà, e infatti le
sue leggi sono dispotiche e repressive ed è pure chiaro che sarà necessario
un lungo e continuo sforzo per ottenere questa società solidale che ci si
pone come meta. Ma, più importante di tutto, non è ammissibile che qualcuno
mi imponga queste leggi naturali; sono io stesso che devo scoprirle, con
l'aiuto di altri, ovviamente, in un lungo processo di apprendistato.
Se malvagio e dispotico è il potere detenuto dalla borghesia, molto peggiore
e molto dispotico sarà il potere detenuto dalla casta degli scienziati che,
dato che conoscono le leggi naturali, si riterranno in dovere di
costringerci tutti a seguirle. Nessuno possiede il privilegio di decidere
che cosa è bene e che cosa è male, anche se cerca di far passare la sua
decisione sotto le vesti della scienza. Le maggiori dittature son proprio
quelle di coloro che si considerano tanto privilegiati da decidere per gli
altri e da imporci quel che dobbiamo fare. Le leggi non son dispotiche
perché non si adeguano alle leggi della natura, ma perché sono imposte
contro la nostra volontà. Come diceva Bakunin, gli scienziati son posseduti
dalla sovranità del loro sapere e dal disprezzo per il popolo. La verità
dev'essere scoperta e diffusa, mai imposta; non è più verità nel momento in
cui ci viene imposta.
In terzo luogo, la libertà è immaginazione e capacità innovativa. La
storia dell'umanità non è un processo necessario in cui tutto ciò che deve
avvenire avverrà; il futuro non è qualcosa di predeterminato dal passato e
dal presente, ma qualcosa di aperto alla capacità innovatrice delle persone.
Malatesta, il più deciso in questo senso, affermava chiaramente, con ciò
contrapponendosi a Kropotkin, che il socialismo non verrà necessariamente
come fase successiva al capitalismo; il comunismo libertario è un desiderio
degli uomini, ma un desiderio il cui compimento dipende dalla loro volontà
di realizzarlo. Se gli uomini non vogliono, il socialismo non verrà mai.
Viene affermato in modo netto il volontarismo rivoluzionario, contro le
correnti socialiste della fine del secolo che ritenevano che il socialismo
sarebbe caduto come frutta matura, per cui non era necessario affrettare gli
avvenimenti. Solo se teniamo presente questo, potremo comprendere la base
profonda di tattiche come l'insurrezionalismo così assiduamente messo in
pratica dagli anarchici in molte fasi della loro storia; il volontarismo
rivoluzionario era uno dei pochi punti su cui si potrebbe trovare una
coincidenza tra le impostazioni leniniste e quelle libertarie.
Non solo il socialismo futuro deve dipendere dalla nostra volontà, ma non è
possibile in nessun caso prevedere in ogni dettaglio come sarà la società
futura. La rivoluzione è il libero svolgersi delle idee e delle cose; è
lasciare che l'azione spontanea del popolo produca le differenti strutture
sociali che appaiano più convenienti. La libertà che si vuole conquistare
consiste in gran parte nell'abbattere tutti gli ostacoli che impediscono il
pieno sviluppo di tutte le nostre possibilità; dinanzi alla necessità
imposta dalla miseria della società capitalista, occorre aprire un'ampia
gamma di possibilità d'azione perché solo così si potrà dare sbocco alla
diversità esistente tra le persone: la libertà si associa così
all'immaginazione rifiutandosi di accettare la routine quotidiana, lo scarso
margine d'azione che ci permette ciò che è stabilito, la politica non è più
la scienza del possibile, frase dietro cui si nasconde la paura del diverso,
la paura di cambiare radicalmente e di affrontare il sistema costituito. Se
cominciassimo a tener conto delle limitazioni che questo sistema c'impone,
non ci muoveremmo mai; la politica non è la scienza del possibile, ma il
desiderio di ottenere l'impossibile. Siamo realisti, esigiamo
l'impossibile, diventa una delle più fortunate frasi del maggio
francese, l'immaginazione al potere, perché solo così distruggeremo il
potere, una delle cui fondamentali caratteristiche è un disperato
attaccamento al già esistente, al sistema di privilegi consacrato dalla
consuetudine. Non ci abituiamo agli avanzi, quando è possibile sederci alla
tavola e godere di tutte le leccornie. La libertà comincia proprio quando ci
rifiutiamo di accettare che le cose siano come sono e non possano essere
altrimenti, quando ci rifiutiamo di essere "realisti" e lottiamo per
ottenere molto di più, sempre di più, quando rinunciamo alla sicurezza del
prevedibile ed accettiamo il rischio dell'imprevedibile. Tutte le utopie che
tanto hanno proliferato nella letteratura libertaria non volevano fissare
rigidamente quale doveva essere il futuro ordinamento della società, ma
mostrare la possibilità di una vita radicalmente diversa.
La libertà è, in quarto luogo, solidarietà. Siamo liberi solo nella
misura in cui anche tutti quelli che ci circondano sono liberi, perché,
perché la mia libertà, per essere tale, ha bisogno di esser riconosciuta e
rispettata da altri esseri liberi. Finché continueranno ad esserci schiavi,
finché continueranno ad esserci sfruttati ed oppressi, io sarò un oppressore
o un oppresso, ma non potrò rimanere al di fuori del conflitto. La libertà
non si raggiunge individualmente, anche se la difesa dell'individuo e della
sua autonomia è una delle componenti decisive di questa libertà. È questa la
grande differenza esistente tra l'anarchismo e i suoi antecedenti liberali,
così come la grande differenza tra gli anarchici e gli intellettuali e i
seguaci di Nietzsche che s'avvicinano all'anarchismo nella crisi del
movimento libertario alla fine del sec. XIX; ed è ancora qui la grande
differenza tra la libertà difesa da tutta la tradizione anarchica e molti
pseudo-anarchici odierni che sono tornati a dimenticare, com'è normale in
tempi di crisi, che la libertà individuale passa per la libertà collettiva.
Contro il motto borghese per cui "la mia libertà comincia dove termina la
libertà degli altri", l'anarchismo sostiene che "la mia libertà comincia
dove comincia la libertà degli altri". Come molto giustamente dirà poi Paulo
Freire, anche se non fu anarchico, nessuno libera nessuno, ma siamo noi
persone a liberarci in comune. L'equilibrio tra la difesa della libertà come
autonomia e la difesa della libertà come solidarietà, non è semplice: è un
equilibrio teso che ha bisogno di esser sempre corretto, ma è un equilibrio
essenziale. L'anarchismo attaccò duramente il pensiero liberale-borghese
proprio perché in esso veniva accentuata la libertà individuale e si
dimenticava quella comunitaria, trasformando questo mondo in una dura e
spietata lotta per la vita in cui solo i più forti, cioè i potenti,
vincevano. Ma criticò il comunismo autoritario anche perché vi vedeva un
pericoloso annientamento della libertà individuale senza la quale la società
comunista si trasforma in dittatura del proletariato, cioè dittatura del
partito. La libertà ottenuta a costo di dimenticare i milioni di esseri
umani che sono oppressi e sfruttati, non è libertà: è piuttosto un
pregiudizio piccolo-borghese.
Infine, la libertà non è qualcosa di già dato e neppure un obiettivo
raggiungibile nel breve periodo, ma un lungo cammino da percorrere ed una
lontana meta da conquistare. Non basta proclamare la libertà, è
indispensabile creare le condizioni materiali in cui l'esercizio di questa
libertà sia possibile. Le grandi dichiarazioni a favore della libertà, come
a favore dei diritti umani, di solito non servono assolutamente a niente.
L'importante è denunciare quelle condizioni che in modo concreto e diretto
ci impediscono di esser liberi. In gran parte, tutta la storia delle
discussioni sulla libertà o non-libertà delle persone è condannata al
fallimento, a diventare una sterile accademia, se non punta a discutere, in
ogni momento storico, quali sono gli ostacoli reali che rendono impossibile
l'esercizio della libertà e quali sono le situazioni su cui possiamo basarci
per rendere effettiva questa libertà che si ricerca come obiettivo. In
questo senso, la riflessione sulla libertà è parallela alla riflessione
sull'autogestione di tutte le sfere della vita comunitaria, sulla creazione
di condizioni materiali di benessere adeguate, ecc.. Allo stesso modo, a
nulla serve ribellarsi contro il potere, contro lo Stato, se ciò non è
accompagnato da una critica dei meccanismi concreti attraverso i quali il
potere e lo Stato prendon corpo e sono reali; quel che occorre analizzare
sono i meccanismi concreti utilizzati dai politici per opprimere tutti i
cittadini, i meccanismi utilizzati dall'uomo per opprimere la donna, dal
maestro per opprimere i suoi allievi, ecc.. In definitiva occorre scoprire,
analizzare, denunciare i meccanismi di potere del sistema, che come ben
sappiamo è oppressore fino al midollo.
Che la libertà sia un obiettivo da raggiungere si deduce facilmente dalle
diverse caratteristiche che abbiamo esaminato per spiegare in che cosa
consiste quella che la tradizione libertaria intende per libertà. Le
condizioni di vita in cui attualmente ci muoviamo sono molto lontane
dall'essere le più idonee per questa libertà. La libertà però non è solo una
conquista, ma un percorso e ancora una volta ci poniamo in qualcosa di
specificamente anarchico. Solo la libertà ci porterà alla libertà che
cerchiamo. Non si può mai far ricorso, sotto il pretesto che non esistono
queste condizioni materiali, ad utilizzare procedimenti autoritari, ad
utilizzare il potere. La costruzione del socialismo non passerà mai per la
dittatura del proletariato, per quante giustificazioni si possano dare al
riguardo. Non otterremo mai una società libera se impieghiamo metodi
autoritari; il fine non giustifica i mezzi, proprio perché ci son mezzi che
non portano al fine proposto. Per raggiungere la libertà, occorre cominciare
a metterla in pratica fin da ora, pur riconoscendo tutti i limiti della
società attuale; la libertà s'insegna solamente mediante la libertà, come
giustamente diceva Bakunin. E come diceva Bakunin, e non son semplici frasi
per adornare l'articolo, i problemi risolti con la forza rimangono problemi.
Che la rivoluzione sia un atto autoritario, come diceva Engels, è indubbio;
che sia necessario ricorrere alla forza più che in un momento solo appare
pure evidente, o quanto meno così ha dimostrato la pratica anarchica. In
questo senso si dovrebbe superare una certa ingenuità nella critica al
potere come era fatta nell'anarchismo classico, anche se ora possiamo solo
accennarvi senza svilupparlo. Ma quel che è chiaro è che col potere non si
può giocare, così come non si può giocare colla libertà; ci sono cose nella
vita che non sono negoziabili né frammentabili, e sarà sempre necessario
essere vigili perché non si riproducano meccanismi autoritari, per non
ricorrere alla facile ma inutile via del potere.
Quando si fa ricorso al potere per ottenere la libertà, incredibile ma
abituale contraddizione, si incorre in un grave errore. Si dimentica quella
che per noi è l'ultima e più importante caratteristica della libertà: la
fiducia negli altri. Solo chi si fida degli altri, chi non si considera un
messia salvatore di nessuno, chi accetta l'altro così com'è e non pretende
che sia come a lui piacerebbe che fosse, cioè solo chi ha fiducia negli
altri, contribuirà a creare un mondo libero e solidale.
Terminiamo qui, non perché abbiamo esaurito gli argomenti né perché
riteniamo che quelli che rimangono non siano importanti, ma perché è sempre
necessario terminare da qualche parte, anche solo per non stancare il
lettore. Ci piacerebbe ricordare soltanto che la ricostruzione di un
pensiero e di una pratica libertaria passa necessariamente per il recupero
delle nostre stesse radici. Nella crisi attuale, l'anarchismo può e deve
svolgere un ruolo importante; purtroppo, se occorre un anarchismo per la
crisi, esiste contemporaneamente una profonda crisi dell'anarchismo, anche
se è alla portata di tutti uscirne.
Non volevamo affatto offrire delle ricette di ortodossia libertaria;
comunque, non dubitiamo affatto che gran parte di quel che oggi è fatto
passare come anarchismo non può esser chiamato, con un minimo di rigore,
anarchismo. Che la tradizione anarchica sia passata di moda e non sia utile
in questo momento? È possibile, anche se penso di no. Nonostante tutto, non
si deve far confusione ed è sempre stato più prudente chiamare le cose col
loro nome: la confusione ci aiuterà solo ad allontanare indefinitamente la
possibilità di ottenere una vita diversa.