Coerenza e
rivoluzione
di Felix
Garcia (traduzione di Andrea Chersi dalla rivista "Bicicleta")
Il termine rivoluzione è abbastanza recente nella storia
dell'umanità. Nell'epoca contemporanea appare dopo la Rivoluzione Francese,
prima di una serie di rivoluzioni che seguiranno e, allo stesso tempo,
modello di ogni rivoluzione. Da allora, sono almeno tre le idee implicite
nel modo d'intendere la rivoluzione: l'umanità progredisce verso un regno di
felicità in cui scompariranno l'ignoranza e la disuguaglianza e in cui tutti
saranno fratelli e potranno soddisfare le loro necessità; questo progresso è
ostacolato da una serie di difficoltà, fondamentalmente gli interessi delle
classi privilegiate, che non son disposte a rinunciare ai privilegi derivati
dallo sfruttamento e dalla oppressione in cui tengono sottomesso il resto
della società; infine, la rivoluzione implica la possibilità di spazzar via
questi ostacoli rapidamente grazie ad una sollevazione lenta volta a mettere
il potere politico ed economico nelle mani di tutta la società. Se tutta la
storia del pensiero aveva contribuito a consolidare questa fede nel
progresso umano e nell'esistenza di ostacoli superabili, la Rivoluzione
Francese sarà la conferma che, in effetti, è possibile quest'atto
rivoluzionario puntuale e rapido, instauratore della libertà,
dell'uguaglianza e della fraternità. Tuttavia, questa stessa Rivoluzione
Francese implica una trasformazione, insistendo sulla presa del potere
politico come meta di ogni rivoluzione, cosa che comporta una limitazione
del significato di rivoluzione, la sconnessione tra il processo precedente e
successivo al momento rivoluzionario e l'esaltazione di un momento
privilegiato nella storia a partire dal quale tutto comincerebbe ad andare
bene. Ebbene, gli anarchici, riprendendo gran parte dell'idea di rivoluzione
così come era stata impostata nel sec. XVIII, spezzeranno chiaramente questa
deformazione giacobina di cui è stata vittima la maggior parte dei movimenti
politici dei secoli XIX e XX.
La critica fondamentale va diretta contro la rivoluzione precisa e
catastrofica. È assurdo pensare, ripete la tradizione anarchica, che possa
esistere questo momento privilegiato in cui, grazie ad una sommossa di
piazza, si riesca ad ottenere una trasformazione radicale della società.
Quelli che ritengono sia possibile questa profonda trasformazione nel breve
spazio si qualche settimana, di qualche mese o persino di pochi anni,
ignorano i fattori più elementari forniti dagli studi sull'uomo e la
società; è completamente assurdo che le cose possano mutare dalla notte al
dì, che ci si possa coricare in una società capitalista e risvegliare il
giorno dopo in una società socialista. Ma più grave di questa concezione è
il fatto che concepire in questo modo la rivoluzione significa
un'esaltazione della violenza e della lotta come strumenti esclusivi
dell'attività rivoluzionaria, dimenticando che la violenza è uno strumento
molto pericoloso che normalmente rende peggiori le persone e dimenticando
che la rivoluzione non si fa solo con le armi. Allo stesso modo, in questa
concezione è implicito un inammissibile svilimento; la rivoluzione non
consiste solamente nella presa del potere politico o nell'occupazione di
fabbriche, prima di tutto perché non si tratta di conquistare il potere
politico, bensì di distruggerlo, e in secondo luogo non basta socializzare
l'economia, ma è necessario instaurare nuovi rapporti sociali basati
sull'uguaglianza, la libertà e la fratellanza, il che presuppone che il
processo rivoluzionario deve toccare tutti gli aspetti della vita umana e
deve comportare una trasformazione personale e collettiva.
Gli anarchici devono spingere oltre la loro critica a questa concezione
puntuale e giacobina della rivoluzione. Coloro che sperano in questo tipo di
rivoluzioni di solito disprezzano tutta una serie di azioni che, senza
contribuire direttamente all'espropriazione economica e politica delle
classi dominanti, sono fondamentali per poter realizzare quella società
comunista che ci si propone come scopo. I rivoluzionari giacobini son soliti
affermare che, finché si manterranno i rapporti sociali tipici della società
capitalista, qualsiasi mutamento verrà assorbito dal sistema costituito, per
cui occorre rimandare a dopo la conquista del potere la trasformazione dei
rapporti sociali e personali; allora ci si potrà occupare della
trasformazione della cultura, della famiglia, delle relazioni
interpersonali, ecc.. Ma così facendo l'idea stessa della rivoluzione viene
ridotta e impoverita e, abituando la gente ad aspettare quest'immediata
trasformazione sociale, si semina una passività che inesorabilmente porta a
far sì che la rivoluzione abbia come conseguenza la istituzione di un'altra
dittatura; in fondo, i giacobini sono i diretti eredi dei despoti famosi del
sec. XVIII, quelli che difendevano tutto in nome del popolo, ma senza il
popolo. S'altra parte, questo momento privilegiato della rivoluzione che
divide la storia in due periodi, quello anteriore alla rivoluzione in cui
tutto era cattivo, e quello successivo alla rivoluzione in cui tutto è
buono, considera il periodo rivoluzionario come un periodo di transizione.
Essendo transitorio, si suppone che non abbia valore in sé, ma che abbia
valore solamente nella misura in cui è diretto verso questa nuova società;
tutto ciò che vien fatto nella società di transizione viene giustificato in
quanto utile allo sviluppo della nuova società. Ma questa concezione ha
riprodotto la scissione tra il fine che si vuole ottenere e i mezzi che
s'impiegano; tutto è permesso se serve alla rivoluzione; il fine giustifica
i mezzi. La società di transizione s'è trasformata in società di oppressione
spietata e la rivoluzione è caduta vittima dei suoi stessi deliri di
grandezza.
A questa concezione della rivoluzione, gli anarchici oppongono una
concezione sostanzialmente diversa, sia a livello teorico che pratico. Due
sono le idee fondamentali sulle quali si articola la proposta anarchica: la
rivoluzione dev'essere integrale e permanente. Integrale significa che deve
toccare tutte le dimensioni della vita sociale e individuale. Non è
sufficiente distruggere il potere politico organizzando una società
federalistica ed autogestita, sebbene ciò sia imprescindibile e sia anche la
cosa più importante; non basta nemmeno sopprimere la proprietà privata dei
mezzi di produzione e restituire la gestione collettiva della produzione a
quelli direttamente interessati, anche se senza questa socializzazione non
ci sarà rivoluzione. Le persone non cambiano solamente perché cambiano le
strutture sociali, anche se, senza cambiare queste strutture, non sarà
possibile instaurare una società fraterna. Per costruire una società diversa
occorrono individui diversi: troppo forti sono le tendenze egoiste ed
autoritarie degli individui per pensare che scompariranno rapidamente.
Oppressi e sfruttati per secoli, mantenendo a fatica i rapporti basati sul
mutuo appoggio nell'uguaglianza, la costruzione del comunismo libertario
esige un profondo sforzo pedagogico nel quale noi tutti, liberamente e
solidalmente, impariamo a vivere in comunità, a superare i disaccordi
facendo in modo che scompaia qualsiasi oppressione e sfruttamento. Solamente
da questa concezione integrale della rivoluzione si può comprendere
l'importanza data dagli anarchici a temi trascurati da altri rivoluzionari,
quali possono essere la famiglia, l'educazione, i rapporti sessuali, ecc..
Se si volesse solo ottenere lo sviluppo delle forze produttive ostacolato
dagli interessi della borghesia sfruttatrice, forse tutto sarebbe più
semplice; invece, il progetto è più ambizioso e quel che si vuole è un
cambiamento radicale nella scala di valori che regge la società. Ancora una
volta ripetiamo che se si valutano le collettivizzazioni del 1936-37 secondo
il parametro della produttività economica sostenendo o dimostrando, secondo
i casi, la loro efficacia economica, non si avrà compreso assolutamente
niente di ciò che significa l'anarchismo.
Rivoluzione, dunque, integrale, ma anche rivoluzione permanente. La
rivoluzione comporta, indubbiamente un colpo di mano rapido in cui si
riescano ad eliminare in poco tempo una serie di ostacoli, di forze
reazionarie che impediscono l'avanzare verso una società libertaria. Ma
questo è solo un momento all'interno di un lungo processo evolutivo
dell'umanità, evoluzione che ha i suoi tempi rapidi e i suoi tempi lenti ed
anche i suoi momenti di regresso. Solo quando esistono determinate
circostanze è possibile l'avanzare rapido cui solitamente si riduce la
rivoluzione, ma si dev'esser ben ciechi per non rendersi conto che questo è
stato preceduto da un lento accumularsi di piccoli passi avanti, alcuni dei
quali persino apparentemente sconnessi rispetto agli obiettivi prioritari
della rivoluzione. Allo stesso modo si dovrebbe essere molto ignoranti
oppure considerarsi l'ombelico dell'universo per non rendersi conto che
occorrerà un lungo impegno successivo di consolidamento e di avanzamento, di
lotta contro nuove forme di sfruttamento e di oppressione che potranno
comparire, o contro vecchie forme non del tutto superate. Evoluzione e
rivoluzione non sono, pertanto, due processi contraddittorii, bensì
complementari, che si differenziano solamente per il diverso ritmo che li
caratterizza. Allo stesso tempo, se vogliamo rendere giustizia al
significato della parola e cogliere la ampiezza di sfumature che contiene,
dobbiamo intendere per rivoluzione sia il necessario moto rivoluzionario
nella sua accezione più classica, sia tutti i piccoli progressi, i passi
avanti dell'umanità che nei diversi campi contribuiscono allo sforzo di
liberazione delle persone, e dobbiamo intendere anche, per rivoluzione,
l'ineludibile e indifferibile confronto quotidiano con tutto ciò che incarna
l'oppressione e lo sfruttamento, come pure la quotidiana pratica di
relazioni comunitarie non autoritarie. Per questo gli anarchici
parteciparono a diversi moti rivoluzionari, per questo divulgarono sulla
loro stampa le scoperte della scienza, dell'evoluzione o della psicanalisi e
per questo si sforzarono di articolare le loro stesse organizzazioni in
accordo coi valori che dovranno reggere la società futura.
Rivoluzione permanente significa anche che aspiriamo ad una trasformazione
radicale che non sarà mai conclusa. Non c'è nulla di altrettanto assurdo
quanto pensare che sia possibile giungere ad una società in cui siano
scomparse tutte le contraddizioni ed in cui si sia raggiunta un'armonia
completa tra tutti i membri della società. Superate determinate
contraddizioni, eliminate determinate forme di sfruttamento o di
oppressione, ne compariranno altre e continuerà ad essere necessario lottare
per una libertà ed una solidarietà che torneranno ad esser minacciate. Sono
troppi i secoli in cui l'umanità ha continuato a lottare per la libertà,
anche se in ogni momento in modo diverso, per pensare che la meta sia
vicina. Noi dobbiamo superare le contraddizioni che ora ci colpiscono come
quelli che ci precedettero risolsero le loro e quelli che seguiranno
dovranno risolverne altre che ora non possiamo neppure immaginare. Non siamo
tanto presuntuosi da pensare che le generazioni passate non abbiano
apportato nulla e che le generazioni future non avranno niente da fare, ma
siamo sufficientemente presuntuosi da non dimenticare che qui e ora ci sono
oppressioni e sfruttamenti molto concreti che è necessario denunciare e
distruggere, e che solamente noi siamo in grado di portare a termine
quest'impegno. Ciò ci permette di essere esenti da un ingenuo ottimismo che
ritenga immediata la definitiva liberazione dell'umanità, ingenuo ottimismo
nel quale è caduto anche il movimento anarchico e che tante disillusioni ha
provocato, ma dobbiamo essere esenti, ancor di più, da quel diffuso
pessimismo che ritiene impossibile una trasformazione radicale, od anche
trasformazioni parziali, pessimismo che oggi è più intenso e che tanti
impareggiabili servizi rende al potere costituito. Non dovremmo mai
abbandonare la speranza che le cose possano e debbano essere diverse.
Se può risultare estremamente interessante ciò che abbiamo appena detto per
differenziare la proposta anarchica da altre, rimane comunque ugualmente
interessante rilevare alcune conseguenze che se ne traggono, conseguenze che
elenchiamo brevemente, seppure senza esaurirle. In primo luogo sarebbe
necessario esaminare in modo diverso le differenze tra riforma e
rivoluzione. Tradizionalmente è stata utilizzato l'aggettivo riformista per
condannare quelli che non contribuivano al sacro compito rivoluzionario.
Inoltre, con questa nefasta mania di dividere il mondo tra i
buoni-buonissimi e i cattivi-cattivissimi, son state boicottate conquiste,
grandi e piccole, proprio perché erano solo i buoni-buonissimi quelli che
ponevano il dilemma del tutto o niente, e optavano per il niente, dato che
il tutto era in quei momenti irraggiungibile. Se è corretto il concetto di
rivoluzione che abbiamo abbozzato, comprenderemo facilmente che esistono
obiettivi parziali che possono essere articolati all'interno di un processo
rivoluzionario, e, ancor di più, che non si può impostare una rivoluzione
senza contare su piccoli e progressivi cambiamenti. L'importante è
articolare questi obiettivi parziali all'interno di un progetto globale;
fare attenzione a quei momenti in cui è possibile avanzare di più e più in
fretta, rischiando e chiedendo di più di ciò che all'inizio sembra possibile
(solo i conservatori definiscono la politica come l'arte del possibile);
lottare per tutto ciò che realmente ci avvicina alla società che vogliamo
raggiungere, rimanendo sempre molto coerenti nella correlazione tra i fini
che vogliamo e i mezzi che utilizziamo. Non sono le piccole riforme che fan
sì che un gruppo politico sia riformista, ma l'opposto: è il riformismo di
un partito quello che rende totalmente inutili i piccoli cambiamenti che si
ottengono con le lotte di ogni giorno.
In secondo luogo, dobbiamo abbandonare definitivamente il mito della società
di transizione nella quale sarebbe necessaria una dittatura del proletariato
che garantisca le conquiste rivoluzionarie ed ottenga la definitiva
estinzione dello Stato. Non esiste questa società di transizione in cui,
come dicevamo all'inizio, tutto verrebbe giustificato, e non esiste
semplicemente perché siamo sempre in una società di transizione. Cioè
l'importanza di ogni momento storico non dipende dal momento precedente né
dal momento seguente, ma solo da de stesso. Dobbiamo affrontare i problemi
che ora ci interessano, essi sono gli unici realmente importanti. Il passato
ci servirà solo per comprendere meglio quel che ora accade e il futuro potrà
solo essere una guida approssimativa che ci aiuterà a non intraprendere
strade per cambiarle il giorno seguente. I fanatici sono soliti rifiutarsi
di risolvere piccoli o grandi problemi della vita quotidiana argomento che
in tal modo si rimanda il momento della grande e definitiva liberazione. I
dittatori sono soliti imporre le più aspre repressioni e miserie nel
presente affermando che sono imprescindibili per raggiungere i meravigliosi
paradisi dell'avvenire. In tutt'e due i casi, anche se in modo diverso,
avviene questa sottovalutazione del presente, proprio in quanto è
transitorio, e in tutt'e due i casi, sebbene in modo diverso, diventa
impossibile avanzare verso una società libera e fraterna.
In terzo luogo, la rivoluzione non può essere lasciata per domani: occorre
cominciare fin da ora. Se aspettiamo che avvenga una profonda trasformazione
politica ed economica per cominciare a mettere in pratica i rapporti di
solidarietà e di libertà, la rivoluzione non giungerà mai. Fin da oggi è
possibile contrastare direttamente il potere dello stato laddove si
manifesta in concreto, passando sopra a parlamenti e altri pollai politici;
è possibile e d'importanza fondamentale impostare la lotta nelle fabbriche
impedendo lo sfruttamento cui ci vediamo sottoposti; è possibile creare reti
sempre più autogestite nelle nostre stesse organizzazioni, nelle scuole, nei
quartieri, ecc.; è possibile e necessario farla finita coll'autoritarismo
familiare, con l'oppressione della donna, con la repressione sessuale, colle
carceri e le torture, con la spietata e progressiva degradazione
dell'ambiente. Tutto ciò è possibile, e molte più cose ancora; di più, non
solo son possibili ma se non si fanno diventeremo umili servitori del
sistema, totalmente incapaci di esprimere la benché minima lagnanza. Oggi
stesso occorre cominciare a superare il nostro egoismo ed autoritarismo,
creando forme di vita più solidali e libere, poiché solo così potremo
costruire questa società diversa. Non si deve far caso a quelli che ci
dicono che si deve aspettare che sia avvenuta la "rivoluzione", una specie
di rivoluzione panacea che ci libererà tutti per magia. Non si deve neppure
far caso a quelli che ci chiedono pazienza e accordo sociale perché la crisi
economica è forte e la destra è in agguato; ciò sarebbe valido se noi
chiedessimo più denaro, ma noi chiediamo autogestione, libertà, solidarietà,
federalismo, lavoro creativo, soddisfazione delle nostre necessità...
In quarto luogo, non basta ribellarsi contro il sistema per preparare
l'avvento di una società più umana e più giusta; chiunque può essere
ribelle, chiunque può elaborare dei discorsi ciarlando contro lo Stato o il
Capitale, termini astratti coi quali si vuol nascondere il vuoto più
assoluto, discorsi che oggi sono fin troppo frequenti e che trovano
l'applauso appassionato di coloro che non possono o non sanno opporsi al
sistema. La ribellione non basta; sopra di essa si deve costruire tutto un
progetto sociale ed economico ben elaborato, fondato su una solida
conoscenza sia degli errori dell'attuale sistema sia sulle caratteristiche
che dovrà possedere quello che ci proponiamo. La ribellione deve articolarsi
in un progetto comunitario di lotta sociale, in cui solidamente tutti ci
opponiamo contro l'oppressione dominante e costruiamo qualcosa di nuovo. Un
progetto che non potrà mai essere chiuso e definitivo, poiché dovrà esser
dominato dalla libertà, dal desiderio di creare le condizioni in cui questa
libertà possa esser qualcosa di reale ed effettivo. Noi non vogliamo solo
costruire l'esistente, ma vogliamo distruggere solo per costruire qualcosa
di diverso ed è la nostra capacità costruttiva, molto più di quella
distruttiva, che deve ispirare i nostri sforzi.
Infine, in tutta la nostra pratica rivoluzionaria dovremo aver sempre ben
presente la correlazione tra i fini e i mezzi. Per noi il fine non
giustificherà mai i mezzi, tra l'altro perché ci sono mezzi che non portano
mai al fine proposto. Se vogliamo una società libera e comunitaria,
autogestita e federalista, dovremo agire sempre in libertà ed in comunità,
dovremo essere realmente autogestiti e federalisti, poiché solo con questa
pratica potremo rendere reale la nostra alternativa sociale. Non importa che
il cammino in questo modo sia più lungo, per lo meno sapremo che stiamo
avanzando; la tentazione di utilizzare mezzi che sembrino portarci più
rapidamente dev'essere assolutamente respinta. Colui che impiega la
violenza, sarà sempre un violento; colui che utilizza l'autorità e il
potere, sarà sempre un despota. Nessuno dubita che la violenza giungerà ad
esser necessaria, ma è un'arma tanto pericolosa che può distruggere anche
noi. Il nostro non è un atto di vendetta, non esigiamo responsabilità per
gettare la gente in nuove carceri; il nostro è un atto di giustizia sociale,
un desiderio di libertà che ha come centro dell'attenzione le persone reali
e concrete. Pace agli uomini e guerra alle istituzioni, diceva il motto
della I Internazionale; rispetta la dignità umana anche nei tuoi nemici,
diceva Bakunin. Solo così spezzeremo radicalmente il legame colla miseria
della vita; solo così dimostreremo che portiamo un mondo nuovo nei nostri
cuori.
Collettività contadine e operaie durante la rivoluzione
spagnola, di Felix García, Jaka Book, Milano 1980, pagg.
227, lire 4.500.
"Il governo di Madrid arriva addirittura a non fare richiesta alla Catalogna di tessuti indispensabili per le uniformi dell'esercito, pur di non favorire le industrie collettivizzate". All'estremo opposto la popolazione di Membrilla dichiara di "non aver potuto socializzare la ricchezza, ma di aver dovuto socializzare la povertà", per cui, "forse Membrilla è il paese più povero della Spagna, ma certo anche il più giusto.". Tra queste due realtà. Tra quella degli uomini che si erano decisi a mettere tutto in comune, a costruire il senso della vita comunitaria e della solidarietà umana, a non praticare più l'antagonismo concorrenziale e lo sfruttamento dell'uomo, e quella del boicottaggio dell'esperimento collettivista da parte sia della sopravvissuta borghesia sia degli esponenti del riformismo e del burocratismo socialista (e a volte anche anarchico), si svolge e si consuma nell'arco di nove mesi (luglio 1936-maggio 1937) l'affascinante e tragica storia della Spagna rivoluzionaria e delle sue realizzazioni sociali ed economiche che, nelle regioni in cui più fu consistente ed incisiva la presenza anarchica, furono la traduzione in pratica non solo delle teorie di grandi pensatori anarchici (ad es. Kropotkin del "Mutuo appoggio" o Ferrer della "Escuela moderna"), ma anche permisero il confronto, attraverso la verifica della praticabilità delle "proposte" anarchiche in campo economico. È così possibile, leggendo il libro di F. García, assistere ad esperimenti di collettivizzazione, con la messa in comune dei mezzi di produzione e la appropriazione individuale dei risultati del lavoro, e ad esperimenti di consumismo con la applicazione del principio "da ciascuno secondo le sue capacità a ciascuno secondo i suoi bisogni", ad esperimenti di abolizione completa o di uso limitato della moneta, ad esperimenti di autogestione delle fabbriche e dei servizi o a pratiche di controllo della produzione da parte degli operai. E passando dal campo economico a quello sociale, secondo una fitta divisione di campi di indagine che è di pura comodità, dal libro di García ricaviamo una veloce visione panoramica delle iniziative della rivoluzione per quanto riguarda la difesa militare, la giustizia, l'insegnamento, la medicina, i servizi in genere. Abbiamo messo l'accento sull'aggettivo "veloce": forse un limite del libro è quello di voler dare, in un numero di pagine contenuto, una notevole massa di informazioni e ciò, a nostro parere, a scapito della chiarezza, cioè della possibilità del lettore poco informato (al quale d'altronde il libro sembra volersi in particolare rivolgere) di affermare immediatamente e di porre nella giusta connessione gli innumerevoli e spesso contraddittori aspetti di quella emozionante avventura umana che è stata la Rivoluzione Spagnola. Il libro di García è come un aperitivo: fa venir voglia di saperne di più, fa venir fame di anarchia. |