Autogestione e comunicazione
di Ferro Piludu e il gruppo artigiano di
ricerche visive
Per mestiere e per antica diffidenza io e il gruppo che
rappresento siamo estremamente restii a lasciarci coinvolgere in qualunque
tipo di operazione intellettuale su fatti rivoluzionari. Come René Lourau,
Cohn-Bendit e tanti altri, pensiamo che fermarsi a scrivere o a parlare di
rivoluzione - a meno di non essere poeti o cantastorie - sia già negare, in
qualche modo, la rivoluzione stessa.
Preferiamo di gran lunga vivere tutti i giorni, con quel tanto di impegno di
cui siamo capaci, i nostri piccoli, reali problemi rivoluzionari.
Abbiamo poi un vero terrore per definizioni precise, lucide e razionali
analisi, schematizzazioni, spiegazioni illuminate, certezze e verità in
genere.
Siamo insomma della gente certo poco coerente, senza sicurezze, pronta a
cambiare strada o idee e ragionevolmente allegra. Il tema di questo
intervento, per fortuna, non ci mette in grandi difficoltà.
Ci permette infatti, piuttosto che costringerci ad elaborare complesse
teorie, di riferire semplicemente e direttamente esperienze di vita e
lavoro.
La premessa iniziale ci grazia e ci evita anche una precisa strutturazione
del discorso.
Possiamo perciò rimandare ai tanti altri interventi del convegno il compito
certo non facile di definire l'"autogestione" nei suoi diversi significati e
nei suoi diversi aspetti.
Per quanto riguarda la "comunicazione" è evidente che ci interessa parlare
solo di comunicazione libera (libertaria se preferite) e non certamente di
comunicazione di potere.
Per questo, anziché riferirci ai soliti teorici ed esperti del settore, ci
sembra interessante (e in parte curioso) riportare, pari pari, quanto dice
in proposito lo Zingarelli:
- "comunicazione", f: partecipazione/mezzo di comunicare/aver
relazione/...impulso/trasmissione/passaggio/...relazione scientifica/...
- "comunicare", a: far partecipe/render comune ad altri/dividere
insieme/render noto/palesare/...partecipare/...corrispondere/conversare/far
comuni i propri sentimenti e pensieri/manifestare/nt. far vita
comune/convivere/praticare/aver contatto, relazione/...rfi. farsi
comune/darsi/distribuirsi/....
Le definizioni di un dizionario non ci aiutano in genere a capire un
granché: mancano fondamentali riferimenti verso i soggetti della
comunicazione (cioè la gente che comunica), le ragioni o gli stimoli al
comunicare e la maniera con cui si comunica o avviene la comunicazione.
Ma ci possono aiutare a cominciare un discorso.
Amedeo Bertolo ad esempio ("La gramigna sovversiva", Interrogations
n.17/18, giugno 1979) parla di "comunicazione diretta" e di "comunicazione
orizzontale" come di fatti fondamentali per l'attuazione pratica di alcuni
processi libertari (assemblee decisionali).
La "comunicazione orizzontale" è, a detta di molti teorici, il contrario o,
meglio, l'opposto della cosiddetta "comunicazione verticale" (o
comunicazione di potere) che avverrebbe, quasi sempre a senso unico,
dall'alto verso il basso, dal vertice alla massa.
Ma basta rileggere con attenzione le definizioni dello Zingarelli per
rendersi conto che la "comunicazione verticale", almeno in termini
linguistici, non esiste.
Anche noi riteniamo, per una volta d'accordo con un vocabolario, che la
"comunicazione verticale" sia tutto fuorché vera comunicazione.
Il comunicare, secondo la nostra esperienza e la nostra visione, non può che
essere un processo di tipo orizzontale. Nasce inoltre - all'interno del
gruppo o della struttura che emette comunicazione - come fatto "diretto".
Nelle successive eventuali trasformazioni "indirette" dev'essere certamente
e necessariamente organizzato con flussi pluridirezionali e mai a senso
unico.
Perché avvenga comunicazione è infatti necessario:
- che ci sia qualcuno che ha l'esigenza di comunicare (spinta e
intenzione reale al raccontare, al dire, all'informare, al dibattere).
- che ci sia qualcosa da comunicare, da dire, da far sapere
(contenuto reale della comunicazione).
- che ci sia qualcuno con cui comunicare (che sia pronto o
disponibile a ricevere e scambiare comunicazione).
- che ci sia una risposta al comunicare (rapporto tra chi
comunica).
È anche necessario, ma affronteremo questo aspetto più avanti, saper
comunicare. Possedere cioè la capacità di utilizzare i codici e i
linguaggi necessari a rendere possibile e comprensibile la comunicazione e
conoscere le tecniche proprie del mezzo di comunicazione che abbiamo deciso
di usare (o di cui abbiamo disponibilità).
Ogni momento del comunicare è evidentemente interdipendente e interagisce
sugli altri. È anche evidente che il loro insieme (che possiamo chiamare non
per definizione ma per semplicità "evento comunicativo") costituisce una
faccenda molto difficile da controllare soprattutto in termini di potere.
Per non arrestare il processo di comunicazione, e per favorirne invece il
libero sviluppo, è infatti indispensabile assicurare ad ogni momento
comunicativo decise autonomie di determinazione, gestione, operative e di
struttura.
Ogni tentativo di limitazione, controllo, manovra, ha, come risultato
immediato, un progressivo rallentamento di ogni fase del processo di
comunicazione.
È possibile quindi dire che un evento comunicativo è un evento per sua
stessa natura autogestionario come molte situazioni di tipo pedagogico,
terapeutico, estetico o economico di sopravvivenza. Sfuggendo e sottraendosi
ad ogni forma di possibile istituzionalizzazione possiede, di fatto, una
elevata carica rivoluzionaria.
Le nostre esperienze, nelle situazioni più diverse, ci hanno inoltre
convinto e confermato che ogni processo di comunicazione è necessariamente
accompagnato da un contemporaneo violento processo di crescita cognitiva di
cui l'evento comunicativo è, di volta in volta, stimolo o conseguenza.
Anche i processi di crescita cognitiva possiedono un'alta carica
rivoluzionaria e sono da molti considerati come elementi indispensabili per
la formazione di un'autonoma coscienza libertaria e autogestionaria.
È chiaro però che non è possibile innescare a volontà, né creare
artificialmente, le condizioni favorevoli allo sviluppo di eventi
comunicativi e dei paralleli processi di crescita cognitiva.
In genere un evento comunicativo si avvia a valle di una preesistente
situazione locale (politica, sociale, economica, culturale, ecc.) che ha in
sé una violenta esigenza di comunicare e una precisa intenzione di rendere
nota una propria realtà, una propria esperienza, una propria idea.
È questo il momento fondamentale di ogni processo di comunicazione.
La spinta e l'esigenza comunicative rendono possibile una rapida
appropriazione, o una nuova capacità di utilizzo, di codici, linguaggi e
tecniche comunicative.
In molti casi (come i linguisti sanno molto bene) vengono addirittura
superati i limiti delle capacità iniziali e reali di apprendimento.
Anche i risultati tecnici o di impiego possono essere superiori a quelli
normalmente ottenibili con l'uso dei mezzi di comunicazione disponibili o
prescelti.
Il prodotto comunicativo finale, il "messaggio", è sempre, in simili
condizioni, un valido prodotto culturale, espressione logica e conseguente
della realtà sociale e politica della struttura emittente.
Il "saper comunicare" non costituisce quindi tanto un problema quanto un
traguardo, una meta sempre in qualche modo raggiungibile.
È ovviamente molto difficile prevedere le dimensioni di un libero evento
comunicativo e del corrispondente processo di crescita cognitiva. Il
riferirsi ad esempi e ad eventi precedenti può servire solo a livello di
verifica.
Anche il limite temporale (la durata) di un evento comunicativo è
difficilmente prevedibile o ipotizzabile: un evento si può esaurire con il
raggiungimento dei fini precedentemente definiti e/o con l'esaurirsi della
spinta comunicativa ma può anche modificarsi con il variare delle esigenze,
delle realtà, delle situazioni.
Può persino diventare un'altra cosa.
Non è perciò indicabile alcun tipo di struttura ottimale atta ad emettere
comunicazione: né come suddivisione operativa interna né come dimensione.
A proposito di dimensione, se è vero che "piccolo è bello" (e forse più
facile) è altrettanto vero che, a volte, il processo comunicativo può
assumere dimensioni imponenti (si pensi al maggio francese.
Le strutture emittenti-riceventi comunicazione devono avere piuttosto la
capacità di adattarsi e modificarsi con il continuo variare delle diverse
situazioni politiche, sociali, economiche e culturali.
Di pari passo devono potersi modificare ed adattare le tecniche, i mezzi del
comunicare e il loro impiego.
Riteniamo di poter affermare che una struttura per libera comunicazione
debba avere caratteristiche di estrema variabilità pronta ad assumere le più
diverse necessarie configurazioni.
In termini operativi non crediamo nei miti quali l'assemblea (come unica
esemplificazione di autodeterminazione collettiva), la rotazione dei ruoli e
il mandato revocabile.
Non si pone neanche l'assurdo e un po' ridicolo problema della frattura (o
integrazione) tra lavoro intellettuale e manuale essendo (e non solo nelle
strutture comunicative) la manualità un aspetto applicativo del processo
intellettuale.
A noi è capitato di intervenire e lavorare nelle situazioni più diverse: non
ci è mai successo di incontrare due strutture impegnate nel produrre
comunicazione uguali o anche simili (con la sola eccezione delle strutture
di potere sempre identiche tra loro).
Il livello di capacità autogestionale non è mai dipeso da come le strutture
stesse erano organizzate internamente ma da quanta necessità e
intenzione verso la autodeterminazione scaturiva dalla realtà
operativa, dal lavoro di ogni giorno.
Dobbiamo anche dire che il livello di autogoverno e autogestione è sempre
risultato direttamente proporzionale al livello dei contenuti libertari
dell'evento comunicativo ed è cresciuto parallelamente ai processi di
crescita cognitiva corrispondenti.
È altrettanto vero che lo stesso livello è quasi sempre bruscamente calato
(o anche totalmente scomparso) con l'esaurirsi dell'esigenza comunicativa e
con il concludersi del processo di crescita cognitiva.
Ritornando alle strutture ed esaminandone ora la composizione dal punto di
vista di una eventuale omogeneità socio-politica di partenza, possiamo
ripetere lo stesso discorso.
Abbiamo, come già detto, lavorato in situazioni diversissime e il livello di
capacità autogestionale non è mai dipeso dalla maggiore o minore omogeneità
iniziale.
L'omogeneità iniziale ha solo reso, qualche volta, più rapide o più semplici
le fasi di lavoro iniziali.
Ma il livello dei vari momenti comunicativi è sempre dipeso dalla capacità
della struttura di trovare, momento per momento, una omogeneità operativa
dalla quale è sempre derivata una nuova e diversa omogeneità globale.
Anche questa omogeneità è molte volte scomparsa o si è modificata (secondo
noi logicamente) al termine del processo comunicativo e cognitivo.
A questo punto il discorso mi sembra, per il momento, concluso. Vorrei però
chiarire bene una cosa.
Il nostro gruppo non intende indicare negli eventi comunicativi e nella
comunicazione i soli nodi del vivere e dell'operare libertari.
La comunicazione è solo un piccolo momento di quella grande trasformazione
continua che è la rivoluzione o, se preferite, l'evoluzione verso la
libertà.
E, per finire, un piccolo accenno ad una faccenda che sembra sempre molto
preoccupare i compagni: la comunicazione di massa o con la massa.
Secondo noi la massa non esiste: è un'invenzione o una definizione di
comodo.
Siamo d'accordo comunque con David Cooper quando dice che, per provocare il
più grande evento comunicativo di tutti i tempi - la più straordinaria
comunicazione di massa - basterebbe che ognuno di noi si impegnasse a
ricercare comunione (parlando, disegnando, suonando, ballando, cantando,
ridendo) con dieci persone al giorno.