Esperanto perché si
di Franco Melandri / Giovanni Zambon
L'Esperanto è sempre stato ghettizzato. Mantenuto in vita
da pochi sognatori - spesso scherniti non solo dal potere ma anche da quasi
tutta l'intellighenzia di sinistra - nonostante tutto continua a riproporsi
come tentativo di comprensione fra tutti i popoli. Questo mentre si tenta di
trasformarlo - soprattutto da parte della Chiesa, il papa in testa, e di
quasi tutti gli stati "socialisti" - da strumento di liberazione dalle
pastoie linguistiche (così infatti è stato pensato) in strumento di
rimbambimento o di "gioco" per pochi addetti al pari del collezionismo di
francobolli o di monete. Unitamente a questo assistiamo alla sempre maggiore
diffusione dell'inglese come lingua, di fatto, internazionale.
Ma allora perché interessarsi all'Esperanto? Per rispondere a questa domanda
occorre innanzitutto aver presente che ogni lingua non è un mezzo neutro per
esprimersi, ma è soprattutto una maniera di interpretare e raffigurare il
mondo. È chiaro quindi che servirsi di un'altra lingua e usare dei simboli
che esprimono una visione del mondo che ci è estranea (non a caso per
imparare bene una lingua straniera occorre recarsi "in loco" e viverci per
un po'), è aderire, o comunque servirsi, di un sistema di simboli, e quindi
di valori, che possono non essere quelli in cui uno crede. Va inoltre tenuto
presente che la diffusione a livello internazionale di una lingua nazionale
è strettamente collegata al peso - culturale, economico e soprattutto
militare - internazionale assunto da una nazione. Ed è così che con
l'espansione dell'impero romano prima e della Chiesa poi si usò il latino;
in seguito si passò, parallelamente alla supremazia napoleonica, al francese
e da oltre un secolo si usa l'inglese, specchio fedele della supremazia
dell'impero britannico prima e di quello americano ora. Questo mentre nei
paesi dell'est europeo la lingua straniera insegnata è il russo: lingua di
una minoranza dominante anche all'interno dell'Unione Sovietica.
Di fronte a tutto questo riproporre l'Esperanto (che, va ricordato, vuole
essere la seconda lingua senza voler sopprimere, anzi esaltandole,
le diverse lingue nazionali) è un tentativo di praticare, anche sul piano
"minimale" della lingua usata nei rapporti fra militanti di diversa
nazionalità, una visione internazionalista del mondo. Un internazionalismo
libertario in cui non vi siano paesi o culture egemoni ed in cui ogni
singola nazionalità ed ogni cultura possa esprimersi senza dover accantonare
anche per un solo momento il proprio patrimonio culturale. In questa visione
l'esperanto diviene realmente una lingua viva e cessa di essere un "gioco" o
un pretesto per fare dell'accademia, per diventare uno strumento di lotta e
di pratica quotidiana al fine di costruire un mondo più libero ed umano.
Franco Melandri
Sin dalle sue origini l'Esperanto si rivolse, per espressa scelta del suo
ideatore, a coloro i quali desideravano operare attivamente per superare gli
ostacoli che l'esistenza di lingue diverse poneva sulla strada
dell'internazionalismo e della fratellanza universale. Si può certo accusare
di idealismo utopistico chi ritenesse sufficiente la nascita di una lingua
neutrale come l'esperanto per por fine ai flagelli nazionalistici che, come
ben sappiamo, sono dovuti a cause di natura più tangibile, ed in ultima
analisi economica.
Purtuttavia sarebbe errato da parte dei compagni sottovalutare l'importanza
di uno strumento come l'esperanto che ognuno di noi può facilmente far
proprio nella pratica quotidiana della lotta e dell'impegno politico. La
lingua internazionale esperanto non soltanto - proprio perché artificiale -
è di estrema facilità e razionalità (possiede soltanto 16 regole
fondamentali senza eccezioni e riduce, grazie ad un ingegnoso sistema di
suffissi e prefissi mutuato dalle lingue orientali, di alcune decine di
volte lo sforzo mnemonico per l'acquisizione del vocabolario) ma è
anche una lingua davvero neutrale che si propone legittimamente come veicolo
di comunicazione fra singole organizzazioni e compagni di paesi diversi
senza che essi debbano passare attraverso l'intermediazione del compagno
intellettuale di turno e senza che i compagni del paese soggetto,
contraddicendo nei fatti alle proprie aspirazioni di uguaglianza, siano
costretti a biascicare i propri concetti nella lingua del paese dominante.
Ma l'esperanto non è soltanto la difesa di una posizione di principio, esso
è già ora e subito in centinaia e centinaia di situazioni diverse uno
strumento praticamente funzionante di internazionalismo.
Non esiste infatti una grossa città d'Europa nella quale il movimento
esperantista non sia presente. Una fitta rete di "delegitoj" è a
disposizione di quanti siano nelle condizioni di aver bisogno di
informazioni e collaborazione nel paese di cui è ospite. Anche nei paesi del
terzo mondo, malgrado la situazione di soggezione culturale alla potenza
coloniale abbia praticamente resa impossibile la penetrazione dell'esperanto
sino ad oggi, si nota un promettente progresso nella diffusione della
lingua.
Tuttavia scarso è oggi il successo dell'esperanto fra i compagni italiani.
Questo fatto trova una serie di spiegazioni: da un lato la facile ricerca
dell'esotico d'importazione ed il culto del cosmopolitismo indotto, hanno
sempre giocato un grosso ruolo nella fantasia di una certa "sinistra",
dall'altra il movimento esperantista ufficiale ha fatto di tutto per
allontanare da sé il sospetto di essere "implicato" in complicità
ideologiche con la sinistra. Nel movimento esperantista ufficiale abbondano
anzi numerosi babbei i quali affermano di essere esperantisti per poter
collezionare più facilmente francobolli e sono talmente privi del più
elementare senso politico tanto da aver proclamato tempo fa il boia spagnolo
Francisco Franco "presidente onorario" di uno dei loro congressi
internazionali svoltosi a Madrid.
Ma l'esperanto è una cosa troppo utile e seria per lasciarla nelle mani
della borghesia. Contestiamo nei fatti il monopolio che i borghesi
pretendono di esercitare sull'esperanto per screditare e castrare quello che
sin d'ora è un utile strumento di lotta internazionalista. Appropriamocene e
si dimostrerà di notevole utilità nel nostro lavoro politico.
Giovanni Zambon