Questo libro di Ernesto Rossi, Abolire la
miseria , che è uscito ora da Laterza
(pagine 239, euro 15), ha avuto una vita
complicata. Fu scritto al confino di
Ventotene dove Ernesto Rossi era arrivato
nel 1939 dopo quasi dieci anni di carcere.
In quello stesso periodo lavorava
nell’isola, con Eugenio Colorni e Altiero
Spinelli, al «Manifesto di Ventotene», il
documento del federalismo democratico.
Abolire la m iseria fu pubblicato nel
1946, ma - scrisse poi il suo autore -
«risultò stampato così male e su carta tanto
brutta che mi vergognavo anche di mandarlo
in omaggio; preferii, perciò, ritirarlo
dalla circolazione e passare al macero quasi
tutte le copie». Ernesto Rossi aveva in
mente di rimettere le mani in quel libro che
gli stava a cuore, di «tener conto degli
studi comparsi negli ultimi anni e delle
esperienze compiute, nei Paesi del mondo
capitalistico, dopo la Seconda guerra
mondiale». Non fece quel che si
riprometteva, lavorò febbrilmente fino alla
morte, nel 1967, doveva colmare tutti quegli
anni passati nelle prigioni fasciste.
Scrisse le sue famose Lettere scarlatte
sul «Mondo» di Mario Pannunzio, il
giornale amato, scrisse molte delle sue
opere giacobine, Settimo: non rubare
, Lo stato industriale, Il malgoverno, I
padroni del vapore, Aria fritta, Borse e
borsaioli, Elettricità senza baroni , nella
collana inventata nel 1951 da Vito Laterza,
i «Libri del tempo» (Jemolo, Calamandrei,
Salvemini, Peretti Griva, Antonio Cederna,
Danilo Dolci) che segnano con intelligenza e
coraggio la presenza polemica di un’Italia
civile che esprime un possibile modello di
cultura delle riforme in un cupo momento di
restaurazione politica.
Abolire la miseria uscì da Laterza
nel 1977 presentato da Paolo Sylos Labini
che di Ernesto Rossi era stato a lungo amico
e che aveva avuto in comune con lui uno dei
maestri, Gaetano Salvemini. Ora lo
ripresenta con un’introduzione rivista e
aggiornata. Il libro è ancora oggi ricco di
stimoli e di vitalità. Come scrive Sylos
Labini, Abolire la miseria «considera
problemi tuttora largamente e
appassionatamente discussi: il problema
della miseria, il problema della crisi
finanziaria dello stato assistenziale, i
rapporti tra riforma della scuola e
prospettive dell’occupazione».
Ernesto Rossi era soprattutto un economista.
Luigi Einaudi lo considerava come il suo
migliore allievo, Piero Sraffa ne aveva
grande stima. Per Ernesto Rossi economia,
politiche economiche e problemi politici si
fondevano tra loro: «Ogni forza economica è
sempre anche una forza politica», sosteneva.
Ma non confondeva saperi e comportamenti, fu
uno studioso rigoroso. I suoi scritti,
secondo Sylos Labini possono essere
raggruppati in cinque distinte categorie:
gli scritti sulla finanza pubblica e sul
mercato del lavoro; gli scritti critici
delle costituzioni economiche; gli scritti
sulla federazione europea; gli scritti sul
fascismo; gli scritti sulle «partite passive
che abbiamo ereditato dal regime» e sui
problemi dell’attualità.
Se si volesse sintetizzare lo spirito che
anima l’opera di Ernesto Rossi economista
bisognerebbe prendere a prestito
l’espressione che usa in uno dei suoi
scritti ( Critica al capitalismo ):
«La libera concorrenza non porta
necessariamente a un massimo di benessere
economico. Le critiche al capitalismo non
significano giudizio favorevole al
comunismo».
Ernesto Rossi è un liberale («in opposizione
alla parola "servile"»), è anticomunista, ma
sente viva la questione sociale e lo si
capisce assai bene dalle pagine di
Abolire la miseria . È un positivista,
un anticlericale, un anticrociano, un
europeista convinto. In una sua lettera, del
1966, a Gennaro Barbarisi - la si può
leggere nella biografia di Giuseppe Fiori,
Una storia italiana , (Einaudi, 1977)
- fa il conto delle persone che nella vita
sono state per lui il «sale della terra»:
con Salvemini, tra gli altri, i Rosselli,
Gobetti, Giovanni Amendola, Parri, Bauer,
Tarchiani, De Viti De Marco, Einaudi,
Augusto Monti, Spinelli, Colorni,
Calamandrei, Enriques Agnoletti, Giorgio
Agosti, Galante Garrone, Garosci, Franco
Venturi, Vittorio Foa.
Con Foa, Massimo Mila e Riccardo Bauer -
tutti di «Giustizia e libertà» - Ernesto
Rossi passò anni nella stessa cella a Regina
Coeli. Racconta Foa nel suo Lettera dalla
giovinezza (Einaudi, 1998) che Ernesto è
un capo naturale, che non dà tregua nelle
letture dell’università carceraria. È un
uomo ironico, un burlone, anche, disegna
pupazzetti tremendi. Legge con lui testi di
economia e di finanza, leggono tutti insieme
libri di storia, di filosofia, di
letteratura, con grandi litigi sul Croce
rifiutato da Ernesto, venerato dagli altri
tre.
Ernesto Rossi è un realista, ma è anche un
utopista: per correggere il suo pessimismo.
Abolire la miseria è un testo
certamente invecchiato, ma di grande
interesse perché resta un modello del
pensiero riformista. Ernesto Rossi è
estremamente razionale nell’informare,
criticare, discutere. Non è mai noioso, è in
costante contraddizione, anche con se
stesso. I suoi capitoli sulla carità privata
e sulla carità legale, sulle assicurazioni
sociali, sul diritto al lavoro, sui servizi
pubblici sono ancora attuali.
Che cosa sarebbe oggi Ernesto Rossi? Domanda
illegittima, ma stuzzicante. Scrive Paolo
Sylos Labini nella sua introduzione ricca di
passione: «Le battaglie di Ernesto erano già
contro quella che poi è stata chiamata
Tangentopoli: Tangentopoli l’aveva
individuata lui molti anni prima. Quanto
vorrei poter leggere quello che Rossi
scriverebbe adesso nei riguardi di
Berlusconi liberista!»
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