Emiliano Zapata
di
Claudio Albertani
A differenza di molti
altri rivoluzionari del ventesimo secolo, Emiliano Zapata (1879-1919) non è
stato un intellettuale né un transfuga della classe dominante, ma un leader
popolare di origine indigena.
Nato l'8 agosto del 1879 nel villaggio di Anenecuilco, frazione di Villa de
Ayala, Stato di Morelos, Emiliano è il penultimo dei dieci figli di una
delle tante famiglie impoverite dalle haciendas, le grandi aziende agricole
divoratrici di terre che sono l'asse della modernizzazione promossa dal
dittatore Porfirio Díaz. Nel Morelos, terra di paradossi e di
contraddizioni, si scontrano allora due civiltà: quella degli imprenditori
capitalisti imbevuti di positivismo e quella degli indigeni legati alla
terra e al villaggio (pueblo) che conservano uno spirito indomito e un forte
senso della solidarietà.
Emiliano, che parla spagnolo e nahuatl, la lingua degli antichi
messicani, riceve l'istruzione elementare fino a quando, rimasto orfano
all'età di 16 anni, comincia a lavorare distinguendosi ben presto come buon
agricoltore e gran conoscitore di cavalli. Dotato di una mente inquieta e di
una natura indipendente, non tarda a conquistarsi una posizione di prestigio
all'interno della comunità, diventandone al tempo stesso la sua memoria
vivente. All'inizio del secolo, lo troviamo chino su antichi documenti
coloniali che dimostrano la legittimità delle rivendicazioni del pueblo.
Negli stessi anni, conosce due personaggi che giocheranno un ruolo
importante nella sua vita: Pablo Torres Burgos e Otilio Montaño. Entrambi
sono maestri di scuola, entrambi divoratori di letteratura incendiaria. Il
primo gli mette a disposizione la propria biblioteca dove vi può leggere
anche "Regeneración", la rivista clandestina dei fratelli Flores Magòn; il
secondo lo introduce alla letteratura libertaria e in particolare all'opera
di Kropotkin.
Il battesimo politico avviene nel febbraio 1909 quando, eletto sindaco di
Anenecuilco, Zapata appoggia il candidato a governatore dell'opposizione,
Patricio Leyva. La vittoria dell'aspirante ufficiale, Pablo Escandón,
provoca ad Anenecuilco dure rappresaglie e nuove perdite di terre. Verso la
metà del 1910, dopo un'infruttuosa intervista con il presidente Díaz e vari
tentativi di risolvere i problemi del pueblo per la via legale, Zapata e i
suoi cominciano a occupare e a distribuire terre.
Nel frattempo, il 20 novembre 1910, un gruppo di liberali democratici ostili
a Díaz, capeggiato da Francisco Madero, fa appello alla resistenza contro la
dittatura, promettendo fra l'altro la restituzione delle terre usurpate. Nel
Morelos i tempi sono maturi: passato un primo momento di esitazione, Zapata
si lancia nella lotta armata.
Dopo la morte di Torres Burgos per mano dei federales, egli diventa il capo
indiscusso della rivoluzione del sud. Appoggiato dai pueblos, riesce a
tenere in scacco le truppe governative fino alla rinuncia del dittatore nel
maggio del 1911. Il 7 giugno ha un deludente incontro con Madero il quale,
venendo meno alle promesse, si mostra insensibile alle rivendicazioni
contadine. L'inevitabile rottura si produce in novembre quando, ormai
esasperato, Zapata riprende le armi, lanciando il Plan de Ayala dove si
definisce Madero un traditore e si decreta la restituzione delle terre. La
rivoluzione del sud ha ormai una bandiera: "sono disposto a lottare contro
tutti e contro tutto" scrive Zapata a Gildardo Magaña, suo futuro
successore.
Ha inizio una guerra lunga e difficile, prima contro Madero, poi contro
Huerta e infine contro Carranza. I soldati dell'Ejército Libertador del
Sur combattono in unità mobili di due o trecento uomini comandati da un
ufficiale con il grado di "colonnello" o "generale". Applicando la tecnica
della guerriglia, colpiscono i distaccamenti militari per poi abbandonare la
carabina 30/30 e scomparire nel nulla. Invano, i federales mettono il
Morelos a ferro e fuoco: gli zapatisti sono inafferrabili.
Verso la fine del 1913, grazie anche alle spettacolari vittorie di Villa al
nord, l'antico regime traballa. Dopo la fuga di Huerta (15 luglio),
nell'autunno 1914 si celebra ad Aguascalientes una Convenzione tra le
differenti frazioni rivoluzionarie che però non riescono a trovare
l'accordo. Tra la costernazione dei presenti, il delegato zapatista, Antonio
Díaz Soto y Gama, strappa la bandiera nazionale proclamando la necessità di
"farla finita con tutte le astrazioni che opprimono il popolo".
In dicembre, in seguito alla rottura con Carranza, che rappresenta la
borghesia agraria del nord, le truppe contadine di Villa e Zapata entrano
trionfanti a Città del Messico inalberando i vessilli della vergine della
Guadalupe, patrona dei popoli indigeni. Gli abitanti della capitale hanno
paura dell'Attila del Sud, però i rivoluzionari non commettono saccheggi né
atti di violenza. In un gesto poi diventato famoso, Zapata rifiuta l'invito
a sedere sulla poltrona presidenziale: "non combatto per questo. Combatto
per le terre, perché le restituiscano". E torna nel Morelos, territorio
libero dopo la fuga dei proprietari terrieri e dei federales.
Nel 1915, prende forma quel grande esperimento di democrazia diretta che è
stato chiamato la Comune di Morelos. Affiancati da una generazione di
giovani intellettuali e studenti provenienti da Città del Messico, gli
zapatisti distribuiscono terre e promulgano leggi per restituire il potere
ai pueblos. Tuttavia il loro destino si gioca più a nord, nella regione del
Bajío, dove le strepitose vittorie di Obregón su Villa capovolgono
nuovamente la situazione. A quel punto, la rivoluzione contadina entra in
una fase di declino progressivo da cui, salvo per brevi momenti, non si
riprenderà più. Quasi invincibile sul piano militare, Zapata è attirato in
un'imboscata - lui, che aveva sempre temuto il tradimento - e assassinato il
10 aprile 1919, presso l'hacienda di Chinameca. Non ha compiuto 40 anni.
La storia non finisce qui. Ancora forti, gli zapatisti eleggono loro capo
Gildardo Magaña, giovane e abile intellettuale con doti di conciliatore.
Questi continua la lotta fino al 1920, quando aderisce al Plan de Agua
Prieta, lanciato contro Carranza da un gruppo di generali del Sonora.
Ormai stremati, i guerriglieri del Morelos accettano di deporre le armi in
cambio della promessa di una riforma agraria. La pace è fatta: sorge così un
regime che considera Zapata tra i propri fondatori accanto a coloro che lo
hanno assassinato. Tuttora i militari messicani - gli stessi che combattono
i neozapatisti del Chiapas - venerano il caudillo del sur, il cui
ritratto si può vedere in ogni caserma.
Quale può essere, oggi, il bilancio dello zapatismo? Più volte, gli storici
si sono chiesti se quella del Morelos sia stata un'autentica rivoluzione
sociale. Alla domanda molti, sia marxisti che liberali, hanno risposto di
no, etichettandola come una ribellione conservatrice, localista e perfino
reazionaria. Tuttavia, è facile osservare che il movimento andava oltre la
semplice rivendicazione delle terre. Possedeva, ad esempio, una chiara
concezione del potere e del governo. Secondo il caudillo del sur, la
nazione si doveva costruire a partire da un'organizzazione decentralizzata
di pueblos liberamente federati, sovrani ed autonomi nelle decisioni
politiche, amministrative e finanziarie. Altro aspetto importante era la
preminenza delle autorità civili su quelle militari, una concezione assai
avanzata per il Messico di quel tempo.
Al contrario di quanto sostengono i suoi detrattori, Zapata comprese anche
la necessità di non rimanere isolato. Per questo mandò rappresentanti
all'estero (tra gli altri, Octavio Paz Solorzano, padre del poeta) e aprì le
porte del Morelos a tutti coloro che erano disposti a unirsi alla sua lotta.
Nel 1913, chiamò anche Ricardo Flores Magón, allora esiliato negli USA, il
quale, per motivi mai del tutto chiariti, non poté accettare l'invito.
Combinazione contraddittoria di passato, presente e futuro, il movimento
zapatista marca l'irruzione delle civiltà indigena nel Messico
contemporaneo: la sua sconfitta ha solo rimandato il problema. A fine
secolo, Zapata cavalca di nuovo, rivendicando i diritti dei più piccoli.
Claudio Albertani
(dal bollettino n°14 del Centro Studi Libertari di Milano)