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I nostri maestri
s'erano dimenticati di dirci che gli Etiopici erano migliori di noi.
Che andavamo a bruciare le loro capanne con dentro le loro donne e i
loro bambini mentre loro non ci avevano fatto nulla.
Quella scuola vile, consciamente o inconsciamente non so, preparava
gli orrori di tre anni dopo. Preparava milioni di soldati
obbedienti. Obbedienti agli ordini di Mussolini. Anzi, per essere
più precisi, obbedienti agli ordini di Hitler. Cinquanta milioni di
morti." Tra i morti, 6.OOO.OOO di ebrei. I coniugi Milani,
nonostante avessero verso le religioni un comportamento agnostico,
il 29 giugno 1933, sposati solo civilmente, celebreranno il
matrimonio in chiesa e battezzeranno i tre figli. In questo modo si
difenderanno dalle leggi razziali e dalla persecuzione contro gli
ebrei che era iniziata in Germania, con la presa del potere da parte
di Hitler.
La giornata che Lorenzo racconta nelle sue lettere, datate in quel
periodo, era piena di svaghi. Andava al campo, a tirar di scherma e
di palla corda oppure tornava da scuola pattinando. Parlando dei
compagni di liceo, dirà in Esperienze Pastorali: "Quei ragazzoni
lisci, con la pelle che si strappa al primo pruno, con quel sorriso
a dentifricio, con quegli occhi vivaci sprizzanti salute, vitamine,
divertimento, vacuità d'anima ..." Lui invece era fragile di
bronchi, assai emotivo e non soffriva scene di violenza. Aspetti
della personalità che lo accompagneranno tutta la vita.
Solo per tradizione, nel '37, Lorenzo si iscrive alla prima
ginnasio. Lo stesso anno, durante le vacanze, chiede, tra lo stupore
della famiglia, di ricevere la prima comunione.
LORENZO PITTORE
Il 21 maggio '41, a causa della
guerra le scuole chiudono, Lorenzo viene dichiarato maturo. In quel
momento, esprime il desiderio di cimentarsi nella pittura. Vive per
un anno intero a Firenze e frequenta assiduamente il pittore
H.J.Staude. Il padre la ritiene "una bambinata", avrebbe dovuto
intraprender una rapida quanto fortunata carriera da intellettuale
universitario: "Noi ci si aspettava che prendesse la via accademica,
che seguisse la tradizione di famiglia" dirà la madre, "invece, dopo
il liceo, volle studiare pittura a Brera." Lorenzo, a causa del suo
anticonformismo, non rinununcia al fascino di una vita "spesierata",
ma l'esperienza diretta a contatto con la gente comune sostituisce,
con i suoi messaggi "duri", le raffinatezze delle discussioni
salottiere a cui era abituato.
Era un ragazzo dalla bella figura slanciata, simpatico, cortese.
Aveva l'aria tipica del giovane di famiglia benestante quando, in
una parentesi fiorentina mentre faceva merenda in un vicolo, seduto
accanto al suo cavalletto, fu fortemente scosso dalla frase di una
donna: "Non si mangia il pane bianco nelle strade dei poveri!"
Questo episodio raccontato da lui stesso a Adele Corradi, gli fa
confidare: "Mi sono accorto di essere odiato e che me ne importava"
La professoressa Corradi, per anni insegnante alla Scuola di
Barbiana, prosegue con questa testimonianza: "Un senso di colpa
tremendo che aveva già provato quando l'autista di famiglia lo
accompagnava a scuola. Voleva lo scendesse prima, perché si
vergognava farsi vedere dai compagni".
Lorenzo Milani Comparetti, un ragazzo ebreo che mangiava il pane
bianco dei ricchi, aveva presto preso coscienza dello stato di
privilegio in cui viveva, condizionato dal peso della guerra,
dall'altrui fame e dalla violenza delle discriminazioni razziali.
Due anni prima, Edoardo Weiss, il cugino materno, era fuggito in
America.
Sarà un periodo burrascoso e di sofferente transizione che gli farà
abbandonare le "mollezze" e il tipo di linguaggio acquisito in
famiglia. "Lorenzino Dio tuo", firmerà così, una lettera disperata a
un compagno di liceo: "(....) se mi ammazzassi o impazzissi del
tutto quando lo vieni a sapere fai una sghignazzata (...)Dicevo a
Dio che doveva mandarmi un pittore della mia età. Dicevo:
"Fratellino se non me lo mandi sei una vacca. Beh insomma se non me
lo mandi almeno fammi piangere". (....) ciao Oreste io son Lorenzino
Dio tuo." (vedi: Lettere a Del Buono) Con la pittura, inizia la
stravagante vita d'artista "bohémien". E' ancora un giovane che non
si è completamente liberato dalle forme di onnipotenza dovute anche
all'età. In questo periodo di "decadentismo agnostico", è fortemente
influenzato dal "bello e funzionale" di Le Corbusier e dal "lavoro
collettivo" nell'architettura di Michelucci. Legge Claudel e si
accende d'interesse per la pittura religiosa.
E' proprio attraverso una ricerca sui colori, usati nella liturgia
cattolica che Lorenzo si avvicina in qualche modo alla Chiesa.
L'esperienza pittorica lo porta a cercare i significati profondi che
stanno dietro l'immagine. Sono proprio questi significati che, una
volta compresi, gli faranno superare i valori della cultura
ereditata. Nel settembre del '42 s'iscrive all'Accademia di Belle
Arti a Brera. La famiglia, pur non condividendo l'idea, lo aiuta ad
aprire uno studio in quella città, ma nel novembre dello stesso anno
si trasferisce nuovamente a Firenze. In questo modo, la madre di
Lorenzo ricorda tale periodo, scosso dai bombardamenti
anglo-americani:
"Erano gli anni della guerra. Presto si dovette sfollare da Milano,
e ritirarci nella nostra villa di Montespertoli, vicino a Firenze.
Lui intanto aveva incominciato ad interessarsi di architettura,
oltre che di pittura.""(4)
Ma la pittura, arte solitaria, era insufficiente al suo bisogno di
comunicare: "Non ho mai creduto, neanche per un momento, che la
pittura fosse la strada di Lorenzo Milani.... . Si vedeva che stava
volentieri in mezzo ai giovani, e che c'era in lui questo desiderio
di vivere in una comunità (...) dichiarerà in un'intervista a Neera
Fallaci, con assoluta convinzione, Hans Joachim Staude che era stato
il suo maestro di Pittura, nell'estate del '41, e che continuerà a
frequentarlo sia a San Donato che a Barbiana.
Il 12 giugno del '43 il giovane Milani, ormai convertito, riceve la
cresima dal cardinale Elia Dalla Costa, in forma privata e nella
cappella del Arcivescovado dedicata a S.Salvatore. Una conversione
secondo la madre nata per gradi, anche se sboccerà improvvisamente:
"Nacque per gradi. E nacque da un senso di vuoto, d'insoddisfazione
(....) Poi, non so come, si ritrovò in mano un libro sulla liturgia
cattolica. Lorenzo se ne entusiasmò, ma tutti, lì per lì, si pensò
che fosse l'entusiasmo di un esteta. Invece era accaduto, o stava
per accadere in lui qualcosa di assolutamente diverso. Di lì a pochi
mesi,.... entrò in seminario."(4)
LORENZO INCONTRA DON BENSI
Una mattina d'estate, siamo nel
'43, il giovane Milani entra nella sacrestia di Santa Maria
Visdomini nel cuore di Firenze: " (...) per salvare l'anima venne da
me", dirà in una delle poche testimonianze lasciate mons. Raffaello
Bensi, padre spirituale di Lorenzo seminarista: "Da quel giorno
d'agosto fino all'autunno, si ingozzò letteralmente di Vangelo e di
Cristo. Quel ragazzo partì subito per l'assoluto, senza vie di
mezzo. Voleva salvarsi e salvare, ad ogni costo. Trasparente e duro
come un diamante, doveva subito ferirsi e ferire. E così fu".
Questo desiderio d'assoluto era pane quotidiano per il vecchio
sacerdote che credeva fra l'altro nelle vocazioni elitarie. Questo
rapporto lo porterà a ricevere, insieme ad un affetto viscerale,
molti "grattacapi": "(....) mi chiamava "il su' babbo" e "il su'
nonno", e anche quando pareva che fosse venuto senza scopo, bastava
quel certo modo di guardarmi perché capissi che dovevo far qualcosa
per aiutarlo. Ho sempre fatto tutto quello che ho potuto, anche se
lui, benedetto testone, si cacciava subito in guai peggiori(....) "
(vedi: Don Bensi Intervista di Nazzareno Fabbretti)
IL SEMINARIO
All'età di 20 anni, l'8
novembre 1943, abbandona il colto mondo borghese a cui apparteneva e
entra nel seminario di Cestello in Oltrarno dove, pur nei contrasti
col rettore e i superiori, accetta le dure regole. Da allora sarà
obbediente e ribelle a una Chiesa nella quale lui si sentirà
inserito e che lo avvicinerà agli strati più poveri della società:
"Eppure un giorno che s'era intasato un gabinetto del seminario e
c'era due servitori a rimediare, sentii per caso il
discorso del più giovane di loro: "I signori bisogna servirli tutti:
da cima.... fino in fondo". Un mio compagno che è nato ricco ed era
entrato in seminario tutto gonfio di pio orgoglio di starsi facendo
povero coi poveri, restò come pugnalato da questa frase. E sì che a
quei giorni in seminario si pativa letteralmente la fame né v'era
riscaldamento di sorta." vedi: Opere - Esperienze pastorali)
L'eliminazione del soggettivismo del signorino e l'onnipotenza di
Lorenzino Dio e Pittore, grazie all'aiuto del vecchio sacerdote, lo
porteranno a una maggiore predisposizione all'ascolto e all'
"attesa" della verità che viene dall'alto. L'azione della fede lo
porterà a spogliarsi di ogni privilegio: "E pensare che mi son fatto
cristiano e prete solo per spogliarmi d'ogni privilegio!" (5)
Sarà una scelta che farà soffrire. I genitori non saranno presenti
alla cerimonia della tonsura, atto di rinuncia al mondo per poter
entrare nello stato ecclesiastico. La scelta sacerdotale lo
costringerà a diversi piani di relazione. Scopre che non sempre si
può comunicare e che esiste un livello che funge da soglia. La
soglia della coscienza, dove risiede la parola, non era
raggiungibile dal popolo.
Il montanaro di Barbiana aveva bisogno di un tramite e di una
proposta unificante: la scuola...
Da sacerdote non amerà rivolgersi ai borghesi e agli studenti. Gli
intellettuali, secondo lui, vivono un mondo sterile e fatto di
dettagli: " (...) io parlo, e scrivo, non per farmi incensare dai
borghesi come uno di loro"(....).
AUTOBIOGRAFIA
In
"Università e pecore ", mettendo a confronto i mondi
dell'infanzia in famiglia e della maturità tra i contadini di
Barbiana, il priore si racconta. (Vedi: archivio fotografico
Carmagnini). Parla di due mondi separati da confini invalicabili
della cultura e che lui, passando da un mondo all'altro, riusciva a
vedere entrambi con l'occhio curioso e attento del convertito. E'
impressionato dai processi culturali per cui una parte dell'umanità,
obbligata ad estraniarsi dalla propria coscienza, si identifica e
diventa strumento passivo della realtà materiale che la circonda: le
mode. Combattere l'alienazione per trasformare i metodi e i criteri
di un sistema consumistico, diventato regime, sarà il suo modo di
aderire alla realtà, sia come uomo che come credente. Un' aderenza
che lo porterà a vedere nella mancanza di parola la miseria del
popolo che gli era stato affidato. Un popolo che non si era ancora
intimamente corrotto e nel quale, dietro alla maschera, vede
innocenza e candore. Ancora sono lontani i tempi in cui il potere
del consumismo volgare ci omologherà tutti e ci porterà, come dirà
Pasolini, alla perdita del sacro.
"Università e pecore" è un'opera che il priore ha tenuto in archivio
per tutta la vita e che non ha mai gettato nemmeno quando, prima di
lasciare Barbiana e sapendo di andare a morire, distrusse tutto
quello che non voleva fosse pubblicato. Ciò convaliderebbe una lunga
e attenta verifica da parte dell'autore. In questa opera, scritta a
un amico magistrato, il sacerdote, descrive, in un episodio reale e
crudo, la vita dei pecorai, Adolfo e Adriano, e del signorino:
"(....) così Adolfo ha passato la sua infanzia colle pecore e ora è
grande e lavora invece il podere e colle pecore manda Adriano. E
Adriano ha già 10 anni ma è analfabeta come il suo babbo solo perché
non può andare a scuola perché ha da badare le pecore che hanno da
fare la lana e gli agnelli e il cacio. E poi si vende la lana e gli
agnelli e il cacio e la metà d'Adolfo basta solo per campare mentre
la metà del signorino messa insieme a altre metà di altri poderi
basta bene per andare a scuola fino ai 35 anni e far l'assistente
universitario volontario cioè non pagato e vivere nei laboratori e
nelle biblioteche là dove l'uomo somiglia davvero a colui che l'ha
creato che è sola mente e solo sapere".
Lottando per la liberazione del povero dall'alienazione della
materia, cioè dal solo lavoro, il Priore consente a una cultura muta
il diritto alla parola: " (.... ) la povertà dei poveri non si
misura a pane, a casa, a caldo, ma si misura sul grado di cultura e
sulla funzione sociale (....)". (6)
Un diritto che difenderà sempre, con rigoroso anticonformismo. Non
sarà "occasionale" o "ideologica" la scelta dei poveri, ma
determinata dal senso di colpa, dall'amore e dalla concretezza dei
rapporti che instaurerà con i suoi popolani. Il suo desiderio di
giustizia mette a fuoco l'indifferenza della gente, una indifferenza
che lui definirà cieca e assassina: " Ma domani, quando i contadini
impugneranno il forcone e sommergeranno nel sangue insieme a tanto
male anche grandi valori di bene accumulati dalle famiglie
universitarie nelle loro menti e nelle loro specializzazioni,
ricordati quel giorno di non fare ingiustizie nella valutazione
storica di quegli avvenimenti.
Ricordati di non piangere il danno della Chiesa e della scienza, del
pensiero o dell'arte per lo scempio di tante teste di pensatori e di
scienziati e di poeti e di sacerdoti.
La testa di Marconi non vale un centesimo di più della testa di
Adolfo davanti all'unico Giudice cui ci dovremo presentare.
Se quel Giudice quel giorno griderà: "Via da me nel fuoco eterno"
per ciò che Adolfo ha fatto colla punta del suo forcone, che dirà di
quel che il signorino ha fatto colla punta della sua stilografica?
E se di due assassini uno ne vorrà assolvere, a quale dei due dovrà
riconoscere l'aggravante della provocazione? " (vedi: Università e
pecore)
La vita e gli eventi quotidiani diventano memoria storica di soprusi
e angherie che avvengono davanti ai suoi occhi e dentro il suo
popolo. La sua figura ha rappresentato, in questo secolo, un momento
di riflessione dell'uomo su se stesso, completa delle esperienze
vissute sia nella condizione di ricco che in quella di povero. I
valori e il potere della lingua, appresa e assimilata dentro una
"scuola del reale" , quale fu per lui l'ambiente familiare, lo portò
a credere che solo la parità culturale avrebbe dato dignità
all'uomo, per natura artista e creativo. Un messaggio profetico, non
moralistico e che educa al rifiuto di una vita ripetitiva. Le novità
per il priore rappresentavano la gioia di vivere, di combattere e di
conoscere: "(....) il maestro deve essere per quanto può profeta,
scrutare i "segni dei tempi", indovinare negli occhi dei ragazzi le
cose belle che essi vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in
confuso (....)".
Nell'assoluta mancanza di riferimenti, non siamo capaci di spiegare
il suo comportamento così anticonformista verso il "piacere
materiale", il "disimpegno" e il "privato". Le famose tre M: moglie,
macchina e mestiere. Vede il Parlamento completamente dominato dal
"Partito Italiano Laureati". Il suo pensiero, fuori da ogni schema e
sofferto, parla direttamente all'anima.
Lorenzo Milani contrappone alla ricerca del benessere economico,
della riuscita scolastica o professionale quello che per lui sarà il
massimo delle aspirazioni: il piacere di sapere per non essere
subalterni. Liberandosi, con l'insegnamento, dalle colpe
materialiste e atee dei signori, libera i poveri dall'analfabetismo.
L'intercapedine dura che separa l'uomo dal messaggio evangelico.
LA TESTIMONIANZA
Agire dentro la Storia ha, per
lui come per papa Giovanni, valenza di fede. E' la fede di San
Francesco, un santo che non proviene dalla gerarchia. Va subito
detto che, per il priore, la Chiesa rappresenta l'emancipazione e
liberazione del popolo di Dio. E' un Dio immanente, quello in cui
Lorenzo crede. Un Dio che interagisce con la storia delle sue
creature. Un Dio che soffre, rinasce e è trino. E' la fede che
risponde a un grande santo a lui caro, l'apostolo Paolo, che scuote
il cristiano convertito dicendo: "Abbiate in voi gli stessi
sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di
natura divina non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con
Dio. Ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e
divenendo simile agli uomini. Apparso in forma umana, umiliò se
stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce".
Una fede che ha riscoperto il grande valore delle culture
"subalterne" e che, volendo conservare Dio all'interno delle proprie
tradizioni, non vuole assimilare la cultura materialista e atea
della classe dominante. Nella futura società, quella della
manipolazione genetica e delle nuove tecnologie della comunicazione,
bisognerà ricredere in ciò che è essenziale alla vita per poter
condividere le risorse e per salvare noi e il pianeta: ...
altrimenti, il Dio motore della storia se né andrà portandosi dietro
tutti i suoi santi, Lorenzo compreso, e chissà per quanto tempo.
Barbiana
" cattedra della Povertà"
Nel dicembre del 1954 Don Milani viene nominato priore della
chiesa di S.Andrea a Barbiana, una piccolissima parrocchia
sul monte Giovi, nel territorio del comune di Vicchio del
Mugello. La chiesa del '300 e la canonica, situate a 475
metri di altitudine sopra il vasto paesaggio della valle
della Sieve, erano, e lo sono ancora, circondate da poche
case e dal minuscolo cimitero.
Racconta Gina Carotti, amica e popolana: " Barbiana era una
parrocchia di montagna con pochi abitanti, sprovvista di
luce e di acqua. Di sera e nel mese di dicembre che faceva
buio presto, era piuttosto triste ". Era una località
irraggiungibile da automezzi perché non vi era ancora la
strada ed era abitata solo da cento contadini che
resistevano all'esodo verso la città. Da tempo, il vecchio
parroco don Mugnaini aveva annunciato la chiusura.
Per la curia fiorentina, isolare don Lorenzo Milani era la
giusta punizione da dare a un sacerdote che non amava le
processioni, le feste, che privilegiava i più poveri e più
umili e che aveva creato una scuola dove erano ammessi gli
operai comunisti. Un uomo che vede nel consumismo, e nelle
sue attrattive alienanti, la causa dell'allontanamento del
povero dalla Chiesa e dai valori cristiani. In questo modo
il vescovo pensò di riconciliarsi con i cattolici
benpensanti e anticomunisti di Calenzano che erano andati da
lui a lamentarsi. Morto don Pugi, il vecchio parroco,
bisognava mandarlo via da San Donato.
E fu così che don Lorenzo Milani giunse a Barbiana quel
lunedì del 6 dicembre 1954: " un'esperienza così intima e
sofferta che non è tutta traducibile in parole, qualcosa che
parla alla coscienza prima ancora che all'intelligenza "
(Gaetano Arfè').
Quei 7 chilometri tagliavano fuori dal mondo! Le lettere
bisognava andarle a prendere a Vicchio. Ancora oggi, la
stanza e il pergolato, nella quale e sotto il quale si
svolgevano le lezioni, restano ancora là. A testimonianza di
questo prete. Posto dalla Provvidenza in un angolo sperduto.
L'unico che potesse accoglierlo.
Il giorno dopo il suo arrivo, aveva raggruppato i ragazzi
delle famiglie attorno a sé e in una scuola. Li liberò
subito dalla passività e li rese responsabili. In questa
scelta si fonderannono la pedagogia e la pastorale, il prete
e la scuola.
Nel 1965 è portato in tribunale, accusato per apologia di
reato, per la "lettera ai cappellani militari" in congedo.
La sua autodifesa, la "lettera ai giudici", sono tra le
pagine più belle della sua letteratura. L'impatto con la
cultura contadina e l'analfabetismo di noi montanari
maturerà e radicalizzerà in lui la necessità di dare più
centralità alla scuola. Ed è proprio qui, nell'isolamento
più totale, che emerge la figura del maestro.
Dopo l'esperienza a san Donato capisce che non si può amare,
concretamente, che un numero limitato di creature. Per pochi
ragazzi, semianalfabeti, figli di pecorai e contadini oppure
orfani, apre una scuola che inizia all'8 del mattino e
termina a buio. Una scuola che non conosce vacanze e che
rifiuta le metodologie e le tecniche d'insegnamento
nozionistico e trasmissivo.
" Lettera a una professoressa " è il risultato di un anno di
attività a Barbiana, con un maestro ormai nel pieno della
sua maturità. Il maestro Milani trasforma il giornale in
materia scolastica. Trasforma, in ricerca e produzione di
materiale didattico, il lavoro d'équipe, da lui diretto,
svolto con i ragazzi, gli abitanti e i numerosi visitatori.
Una grande rivoluzione culturale, didattica e pedagogica che
rifiuta l'indifferenza, la passività negativa e motiva
fortemente l'allievo. Un libro, che pur essendo all'interno
della premessa di quel grande movimento trasformativo quale
fu il '68 italiano, andava oltre e avrà validità fino a che
esisteranno sacche di povertà e selezione. Un libro che
crede nell'evolversi della storia e obbliga l'educatore a
usare un metodo formativo aderendo al mondo dell'allievo. il
maestro " dà al ragazzo tutto quello che crede, ama, spera.
Il ragazzo crescendo ci aggiunge qualcosa e così l'umanità
va avanti ".
Don
Lorenzo Milani fu un educatore esigentissimo. L'esperienza
di Barbiana, non è ripetibile, infatti più che una scuola,
lui aveva creato una comunità. Francuccio direbbe: una
famiglia. Povero tra i poveri, tenne gli occhi sgranati su
una realtà, all'interno della quale, visse con coerenza
feroce. Tutti i suoi scritti, nel periodo in cui abitò
Barbiana, nacquero per motivi pedagogici.
Nel dicembre del '60 si manifestano i sintomi del
linfogranuloma e della leucemia.
Muore in casa della
madre il 24 giugno 1967 all'età di 44 anni.
PENSIERO PEDAGOGICO
Invece a Barbiana i ragazzi
siederanno attorno ai tavoli.
Saranno eliminati pulpiti e cattedre.
La scuola, nata il giorno stesso dell’arrivo del Priore,
prenderà lentamente una forma sempre più circolare.
aderenza
In uno spirito cooperativo e di ricerca
l’intera Comunità lavorerà su progetti d’utilità comune,
quali la formazione, l’acquedotto, la strada, i
laboratori ecc..
Le prime lezioni del Priore consentiranno agli adulti
del nuovo popolo di prendere la patente della moto e di
liberarsi dall’isolamento.
Solo successivamente istituirà un doposcuola di supporto
alla scuola elementare di Padulivo, aggregato di case a
1 km dalla chiesa. Era una pluriclasse con un’unica
insegnante per tutti i bambini.
Più tardi, dopo la stesura d’Esperienze Pastorali,
fonderà una scuola d’avviamento professionale, a tempo
pieno, che con la riforma del ’62 diventerà Media
Unificata. Le lezioni inizieranno la mattina all’otto e
termineranno alle 20. Non era raro che proseguissero
anche il dopocena. Di certo, nel periodo in cui fu
scritta e pensata Lettera a una professoressa, si
trattava di una scuola superiore.
La freschezza intellettuale e la ricchezza culturale del
maestro sapranno aderire alle necessità e alle risorse
umane e materiali già presenti su quel territorio.
I rumori erano allegri e la scuola divertente, si deduce
anche dai racconti che fa alla madre: “Oggi abbiamo
costruito una grande giara di legno e tela di sacco e
stasera andiamo alle Casacce col trattore a prendere un
carico di legname da muratori gentilmente offerto dal
mio intimo amico Mayer per costruire il palcoscenico. Lo
montiamo sull’aia e l’Ammannati tornerà domenica con la
macchina da presa per riprendere a colori la Giara più
realisticamente sceneggiata che sia mai stata fatta. Gli
attori sono gli allievi di don Palombo ”.
In realtà la scuola ebbe un’evoluzione propria che non
teneva conto di nessuna denominazione istituzionale. Era
soltanto tesa a formare l’uomo e lo faceva organizzando
vere e proprie lezioni di vita.
Il 13 agosto del ’59 scrive, sempre alla madre, a
proposito di un pastore valdese di Torre Pelice, Roberto
Nisbet che era stato in visita a Barbiana il giorno
precedente: “Gli ho fatto fare scuola dalla mattina alla
sera e era commosso e entusiasta”.
La sera dello stesso giorno riprendendo la lettera
interrotta, stanco morto per le nuove visite e lezioni:
“Stamani due preti a cui ho fatto far lezioni di canto.
E stasera un giovane fotografo che ci ha insegnato lo
sviluppo e la stampa. Abbiamo finito in questo momento e
sono già le 9, tutti i ragazzi han provato a fotografare
e poi sviluppare e fissare le loro foto. Tutti
contentissimi naturalmente …”. In un’altra lettera
sempre alla madre dirà: “Ti ho detto che abbiamo
ammazzato una vipera qui sulla strada nel fosso dei
tigli ? Là dove stiamo a scuola d’estate. Prima di
ammazzarla abbiamo avuto il tempo di studiarla tutti ben
bene tenendola ferma sotto un bastone. Abbiamo
confrontato tutti i libri che abbiamo e non c’è dubbio.
E’ uno degli effetti dello spopolamento …”.
In questo modo, il Priore esprimeva un amore
d’intelligenza rara che diventava coinvolgimento totale
tra il maestro e l’allievo, tra il prete e il suo
popolo.
Tra l’uomo e i suoi amici. Un “vero e proprio patto di
fiducia-alleanza - come ricorda Aldo Bozzolini, uno dei
primi allievi - tra lui e le famiglie ”. Le quali non lo
abbandoneranno mai. I babbi diventeranno dei pendolari,
preferiranno allungare la loro giornata di fatiche pur
di lasciare i figlioli alla scuola del prete. A cena i
ragazzi raccontavano tutto ai loro genitori. Il popolo
di Barbiana sparirà pochi giorni dopo la sua morte.
Abbiamo chiamato questo modo d’insegnare e apprendere
direttamente dalla realtà: pedagogia dell'aderenza.
Partendo dall’ambiente in cui vive, l'allievo organizza
e costruisce la propria conoscenza. Il docente, nel
costruire il significato, struttura, con il discente, un
ambiente d'apprendimento di partenza. Dal particolare
all'universale. Dalla moto alla scuola di servizio
sociale: dove furono formati prevalentemente
sindacalisti e insegnanti.
Allievo e maestro pattuiscono le regole comuni.
Mi ci volle un anno per comprendere ed accettare di
restare.
metodologie didattiche
E’ vero, quando parliamo di
metodologie didattiche oggi usiamo un linguaggio molto
raffinato: didattica per obiettivi, ricerca/azione,
cooperative learning, didattica per concetti, sfondo
integratore, ossia l'involucro, il contenitore che
determina l'unità del percorso educativo, la percezione
dei nessi, il senso della continuità che collega le
molte attività didattiche che altrimenti resterebbero
disperse e frantumate.
Per Lorenzo Milani tale sfondo era sia relazionale sia
istituzionale, consonante con la sua metodologia.
arte dello scrivere
Pur essendo cosciente che non è la tecnica l’anima
dell’insegnamento, ci spiegherà che l’arte dello
scrivere si può apprendere ed insegnare.
Nella lettera alla signora Lovato scritta il 16 marzo
1966, Lorenzo difende il suo metodo. Rifiuta, nella
scrittura, qualsiasi segno di personalizzazione.
Prima di continuare proviamo ad immedesimarci in quel
luogo e tempo, se vogliamo capire lo spirito con il
quale praticava pastorale e insegnamento: “Cara signora,
da qualche mese in qua la posta che riceviamo è tanta
che facciamo appena in tempo a leggerla. Io poi sono
malato e da molto tempo non prendo in mano la penna. Un
ragazzo o due a turno sbrigano tutta la corrispondenza,
mi sottopongono solo le lettere che giudicano più
private. Così accade che rispondo a lei.
Mi ricordo che nel '58 quando uscì il mio libro
“Esperienze pastorali” (non ne ho scritti altri, quello
sull'Obiezione della Locusta è una pubblicazione
illegale. Ho diffidato l'editore dal seguitare a
venderla, ma quell'onesto farabutto non se n'è dato per
inteso) mi scrisse e poi venne a trovarmi un anziano
signor Lovato vegetariano e veronese, se non sbaglio
leggermente zoppo. Era un uomo simpaticissimo e i
ragazzi più grandi serbano ancora il ricordo di alcune
sue curiose motivazioni sul vegetarianesimo. Cos'è di
lei. Me lo saluti e gli dia una copia dell'edizione mia
che le accludo e che è l'unica che approviamo.
Rispondo ora a lei. Grazie della sua lettera. Spero di
vederla un giorno quassù. Sto disfacendo la scuola. Ho
mandato i più grandi a lavorare. Non prendo più ragazzi
nuovi. Ho ancora una decina di ragazzi a cui faccio
scuola qui in camera. Oppure quando son stanco si fanno
scuola l'un l'altro nell'aula che comunica con questa
camera. Allora la mia attività pedagogica consiste solo
in qualche urlaccio per tenerli buoni. Ho una leucemia e
non voglio morire stupidamente sulla breccia con ragazzi
immaturi mezzo educati e mezzo no. Così sto organizzando
da un anno un ragionevole e riposante tramonto. Mi godo
i figlioli riusciti e i loro bambini. Ricevo con
commozione i prodighi che tornano. Tengo lontani i
prodighi che non tornano. Insomma vivo come un nonno
amato e mi godo questa vita. Abbiamo scritto la lettera
ai giudici come un'opera d'arte. Purtroppo nelle
centinaia di lettere che ci arrivano dall'Italia e
dall'estero ci accorgiamo che pochissimi se ne sono
accorti. Tutti pensano che abbiamo delle bellissime
idee. Pochi, forse due o tre persone in tutto, si sono
accorti che per schiarire le idee così a noi stessi e
agli altri bisogna mettersi a lavorare tutti insieme per
mesi su poche pagine. Allora tutti sapranno scrivere
come noi e non ci sarà più bisogno di rivolgersi a noi
con venerazione come se fossimo toccati dalla grazia.
Chiunque se vuole può avere la grazia di misurare le
parole, riordinarle, eliminare le ripetizioni, le
contraddizioni, le cose inutili, scegliere il vocabolo
più vero, più logico, più efficace, rifiutare ogni
considerazione di tatto, di interesse, di educazione
borghese, di convenienze, chieder consiglio a molta
gente (sull'efficacia non sulla convenienza). Alla fine
la cosa diventa chiara per chi la scrive e per chi la
legge. La lettera ai giudici è stato un dono che abbiamo
ricevuto e abbiamo fatto. Prima di scriverla né io né i
ragazzi sapevamo quelle cose. Le intuivamo né più né
meno di quello che lei ha detto di se stessa: “Ero
arrivata a capire da sola molte delle cose....”
Mi scusi, mi son distratto, le stavo dando una lezione
dell'arte dello scrivere che lei non mi aveva chiesto.
Ma è che l'arte dello scrivere è la religione.
Il desiderio d'esprimere il nostro pensiero e di capire
il pensiero altrui è l'amore. E il tentativo di
esprimere le verità che solo s'intuiscono le fa trovare
a noi e agli altri. Per cui esser maestro, esser
sacerdote, essere cristiano, essere artista e essere
amante e essere amato sono in pratica la stessa cosa”.
diatriba Piaget e Vygoskij
E’ con quest’unità
d’intenti che a Barbiana, l'approccio alla conoscenza
trova una pratica d'insegnamento che tiene conto dei
principi causali della biologia e della storia.
E’ il tempo passato sui libri e a dialogare sui
significati a creare le competenze. E’ il tempo in più
della scuola che ricomporrà la falsa diatriba Piaget e
Vygoskij.
Un metodo costruttivo che accetta i contributi di chi
privilegia il mondo esterno, ma mai a scapito
dell'esperienza individuale.
Bruner
Tale pratica c’invita a capire “alla luce dei
processi interpretativi implicati nel fare significato.
Non tener conto delle limitazioni biologiche del
funzionamento umano è peccare di superbia. Sottovalutare
il potere della cultura di plasmare la mente umana e
rinunciare ad assumere il controllo di questo potere è
commettere suicidio morale ”.
regista
e portatore di strumenti
E’ a Barbiana che il profilo dell’educatore si
trasformerà in: regista e portatore di strumenti. Per
questo motivo la sua esperienza anticipatrice è
conducibile, con un po' di “provocazione”, alla scuola
di domani, ossia a una scuola “post-attiva”.
IL “LABORATORIO
MASSIMO” DELLA SCUOLA DI BARBIANA
la parola
Siamo così giunti ad una delle questioni
principali che stanno all’origine del nostro lavoro: il
valore degli strumenti per don Milani, dei quali la
parola è il primo.
Oggi lo strumento per apprendere, è raggiungibile solo
per mezzo di un'idea: il laboratorio massimo.
libro di testo
A Barbiana non esisteva il libro di testo. Nel
nostro centro redazionale, la fruizione del libro, lo
strumento didattico, coincideva spesso con la produzione
dello stesso.
i vocabolari
Il supporto concreto alla didattica erano i
vocabolari. Li avevamo tutti. Un altro supporto erano la
Treccani e la biblioteca che a ferro di cavallo
circondava la stanza principale della canonica.
Era comune interrompere la lezione per correre dietro
alle origini, alle etimologie delle parole più astruse e
sconosciute.
la realtà
La realtà, introdotta principalmente dal
giornale e dalla corrispondenza, rappresentava la base e
il fondamento d’ogni disciplina. Il materiale didattico
prodotto si sviluppava sempre per argomenti.
la storia
Lo schema storico non era di tipo
consequenziale, ma si costruiva spesso andando a
ritroso. Cercando i significati e le origini di un
termine casualmente letto o citato. Mettendo in risalto
gli aspetti che più ci avevano impressionato tingevamo,
per esempio, di colore nero la cartina dell'Europa ad
indicare le invasioni della Germania nazista e
dell'Italia fascista. Così la Storia si legava alla
Geografia in un unico schema spazio temporale.
la geografia
Sui tavoli della scuola costruivamo le nostre
cartine geografiche, accompagnate da schede indicative.
Ognuna illustrava una caratteristica, linguistica,
economica o politica.
La monografia rappresentata consentiva con un solo
sguardo di individuare i momenti chiave dei processi di
decolonizzazione dell’Africa.
tasse
Due alberi disegnati su un supporto di
compensato, uno grande e uno piccolo, rappresentavano
rispettivamente e in scala, la tassazione indiretta e
diretta.
Esprimevano in un colpo d'occhio l'ingiustizia sociale.
astronomia
“Uno strumento, costruito a proposito nei
nostri laboratori — ci racconta sempre Aldo — con dei
tubi ricavati dalle colate delle docce, consentirà di
fotografare e sviluppare, in negativo su carta
fotografica in bianco e nero, le fasi di un’eclissi di
sole.
trigonometria
Ci divertivamo a misurare le distanze tra il
campanile di San Martino e la stazione di Vicchio con un
teodolite che avevamo costruito noi, uguale a quello con
il quale i geometri rilevano i punti cospicui per
costruire le strade oppure fare rilevazioni topografiche
”.
le lingue
Le lingue, imparate direttamente all'estero,
erano insegnate in lingua madre, anche ascoltando le
canzoni dei cantautori stranieri: Bob Dylan e Brassens
con vecchi registratori a nastro e tanti dischi.
Chi arrivava presto la mattina era solito trovare il
Priore che preparava i materiali oppure registrava dalla
radio le lezioni d’inglese, francese, tedesco o
spagnolo.
i laboratori
Altri strumenti importanti erano il telescopio,
il laboratorio fotografico, l'officina e la
falegnameria.
elettricità
Nel 1965, insieme all'elettricità, arriveranno
le macchine calcolatrici dell'Olivetti e il
cineproiettore portato da mio cognato Luigi Lattuada.
nuove tecnologie
Oggi, con le nuove tecnologie della
comunicazione, la scuola non può che dare centralità ad
un metodo che pone nella “cassetta degli attrezzi ”, la
Stazione Multimediale, con tutte le periferiche e
collegata in rete telematica.
astrattismo
Oggi rischiamo di passare dall’astrattismo di ieri
all’incapacità di trasmettere le competenze necessarie
per usare i nuovi strumenti della comunicazione, i quali
da soli integrano la scuola alla vita e al mondo del
lavoro.
IL METODO
Alla scuola di
Barbiana noi, figli di montanari, trovavamo la nostra
identità e gli strumenti che ci rendevano capaci di
esprimere la nostra cultura. Eravamo protagonisti attivi
(Self help e tutoraggio).
profilo dell’educatore
In tale intelaiatura, l'educatore si
trasformava da trasmettitore delle conoscenze in
costruttore di schemi logici e di contesti flessibili,
un intreccio d’idee e di fatti idonei a produrre
apprendimento.
Il nostro maestro, privilegiando l’approccio globale,
non rispetterà gli orari o la progressione lineare delle
singole discipline, non disgiungerà mai la cultura
umanistica da quella scientifica.
Quando il professor Agostino Ammannati veniva a trovarci
il priore gli cedeva volentieri il posto per insegnare i
Promessi sposi e la Divina Commedia, dimostrando umiltà
e rispetto per le singole competenze.
tempo e luogo
A Barbiana che era un vero e proprio centro
editoriale, il tempo e il luogo della fruizione dello
strumento didattico coincidevano con il momento e il
luogo della produzione.
Gli strumenti che mancavano si potevano inventare come
racconta lui stesso in una lettera: “Abbiamo fatto fare
un microfilm della partitura dell’allegretto della VII
(sinfonia di Ludwig van Beethoven) e lo proiettiamo
sullo schermo nel tempo che gira il disco. S’è fatto e
rifatto tante volte quanto è bastato al più duro dei
ragazzi a imparare a seguirla tutta colla canna voce per
voce. Insomma una soddisfazione immensa …”
articolo
Andiamo per gradi e vediamo come da un
dettaglio, un articolo di giornale, sia stato possibile
produrre la Lettera ai giudici.
In questo caso non c’è stato un vero e proprio uso del
Notes e dei fogliolini. Non c’è stato il tempo per una
vera e propria Scrittura collettiva. Eppure la stesura
di questa lettera rappresenta il periodo più ricco della
scuola.
regia
Riassumo sinteticamente le fasi dell'itinerario
di quella regia e lavoro di gruppo il cui input fu dato
dall'articolo della Nazione, che mi pare fosse stato
portato dall’Ammannati e da Ferrero Facchini, amici cari
a Lorenzo. Siamo nel ’65.
Tutti i pomeriggi, subito dopo mangiato, leggevamo la
corrispondenza e il giornale.
In quell’occasione il comunicato dei cappellani fu messo
in evidenza. Tutta la rete di relazioni che ruotava
attorno alla Comunità di Barbiana fu mobilitata.
Il Priore scrive quasi di getto la Lettera ai Cappellani
Militari. Lo scritto letto e riletto è sottoposto a
revisione.
Molte sono le matrici battute a macchina dai ragazzi e
ciclostilate mentre la forbice e la colla scomponevano e
ricomponevano i paragrafi cercando logiche
d’aggregazione dei contenuti. Nascevano i capitoli che
si collocavano su di uno schema che cambiava
continuamente. Giuristi come Gianpaolo Meucci furono
costretti a riflettere ignorando il rischio. Bisognava
cercare verità oggettive.
La legge doveva cambiare.
La lettera viene incriminata.
Lettura collettiva della denuncia, degli articoli dei
giornali e discussione.
La corrispondenza di quei giorni è ricca d’elementi per
capire il laboratorio di Barbiana e l’intensità delle
relazioni diventate ormai internazionali. Anche Erich
Fromm si interesserà a don Milani.
Il Priore elabora uno schema di partenza. Produce un
percorso monografico di ricerca sulla storia, a partire
dalle guerre risorgimentali fino a giungere
all’unificazione d’Italia. Lo fa principalmente mettendo
a confronto testi come il Saitta e Mck Smith. Il primo
ci viene presentato come la voce ufficiale della scuola
di stato e subito se ne deduce il punto di vista. Il
secondo è libero e spregiudicato. Lo si capisce subito,
perché don Lorenzo lo predilige anche se ci avverte che
è un inglese.
Più affidabile per alcuni motivi, inaffidabile per
altri. Affidabilissimo per il giudizio dato su Garibaldi
o Nino Bixio, sterminatore di contadini.
Interi concetti vengono estrapolati, discussi e
sviluppati, in interminabili giornate di lavoro.
Coinvolgimento degli esperti esterni: gli storici. Anche
i contadini che hanno fatto la guerra montano in
cattedra. Sono proprio loro a valorizzare il punto di
vista di chi è stato manipolato e a svalutare il
pensiero comune incapace di critica.
Verifica del testo a tutti i livelli.
Attivazione di centri editoriali esterni: giornali e
riviste.
Correzione delle bozze.
Analisi dei Media e loro uso.
Per mesi la scuola sembrava svolgere solo una
disciplina: la storia. Dentro tale metodo, invece, si
ricomponevano tutte le materie. Il prodotto finito era
sempre una lettera: un tema d’italiano che si legava
automaticamente al rapporto fra chi scrive e chi legge.
Mario Lodi
Per capire più nel dettaglio questa metodologia e
viverla attraverso un’esperienza anche didattica, ossia
non mediata da influenze esterne o di comodo, v’invito a
rileggere, se l'avete dimenticata, la corrispondenza tra
Barbiana e Mario Lodi (vedi Cd allegato).
In tali lettere si parla di vocabolario attivo. Le
parole usate.
E di quello passivo. Le parole conosciute.
La scrittura collettiva, dice il Priore, attraverso il
dialogo con il maestro e l'interazione tra gli allievi,
consente di trasferire le idee, dal livello
dell'orecchio, a quello della bocca e della penna,
arricchendo in modo esponenziale il linguaggio personale
e collettivo.
mappe concettuali
I titoli al bordo d'ogni paragrafo delle
scritture collettive non sono altro che piccole mappe
concettuali, la sintesi dei famosi fogliolini.
tecniche dello scrivere
Con la Lettera a una professoressa il metodo si
perfeziona. Infatti, a pagina 126, proponiamo una vera e
propria tecnica di apprendimento delle regole dello
scrivere: “Noi dunque si fa così: Per prima cosa ognuno
tiene in tasca un notes. Ogni volta che gli viene
un'idea ne prende appunto. Ogni idea su un foglietto
separato e scritto da una parte sola.
Un giorno si mettono insieme tutti i foglietti su un
grande tavolo. Si passano a uno a uno per scartare i
doppioni. Poi si riuniscono i foglietti imparentati in
grandi monti e son capitoli. Ogni capitolo si divide in
monticini e son paragrafi.
Ora si prova a dare un nome a ogni paragrafo. Se non si
riesce vuol dire che non contiene nulla o che contiene
troppe cose. Qualche paragrafo sparisce. Qualcuno
diventa due.
Coi nomi dei paragrafi si discute l'ordine logico finché
nasce uno schema. Con lo schema si riordinano i
monticini.
Si prende il primo monticino, si stendono sul tavolo i
suoi foglietti e se ne trova l'ordine. Ora si butta giù
il testo come viene viene.
Si ciclostila per averlo davanti tutti eguale. Poi
forbici, colla e matite colorate. Si butta tutto
all'aria. Si aggiungono foglietti nuovi. Si ciclostila
un'altra volta.
Comincia la gara a chi scopre parole da levare,
aggettivi di troppo, ripetizioni, bugie, parole
difficili, frasi troppo lunghe, due concetti in una
frase sola.
Si chiama un estraneo dopo l'altro. Si bada che non
siano stati troppo a scuola. Gli si fa leggere a alta
voce. Si guarda se hanno inteso quello che volevamo
dire.
Si accettano i loro consigli purché siano per la
chiarezza. Si rifiutano i consigli di prudenza.
Dopo che s'è fatta tutta questa fatica, seguendo regole
che valgono per tutti, si trova sempre l'intellettuale
cretino che sentenzia: “Questa lettera ha uno stile
personalissimo”.
Dite piuttosto che non sapete che cosa è l'arte. L'arte
è il contrario di pigrizia.
Anche lei, non dica che le mancano le ore. Basta uno
scritto solo in tutto l'anno, ma fatto tutti insieme”.
Accettare quest’ultima considerazione che ci costringe
alla riduzione del tanto a favore della motivazione e
della qualità degli argomenti, è indispensabile per
aprire un varco al modo d’insegnare di Lorenzo.
Il fatto che la tecnica di scrittura abbia consentito al
Priore un'autodifesa e che lui abbia fortemente
influenzato i contenuti di tale lavoro di gruppo
(insegnanti, ragazzi, visitatori, popolo, esperti, ecc.)
non significa che ciò possa diminuire il valore del
metodo da lui adottato e insegnato.
LORENZO MILANI
L’UOMO, IL MAESTRO E IL PRETE
il progetto
Ho cercato di dimostrare che il Progetto
educativo di Lorenzo Milani dà priorità alla Lingua, ma
produce anche Metodi e Tecniche raffinate.
Le abbiamo estrapolate.
Analizzate insieme.
il maestro
Evidenziare il primo Milani di "esperienze
pastorali" quando scrive: " non chiedetemi la tecnica,
ma piuttosto come si deve essere per fare scuola" resta
valido, ma suona sempre più mistificante.
Rifiuto l'interpretazione di chi vede solo nel prete di
San Donato la rappresentazione vera del vissuto del
nostro Maestro. Secondo tali interpretazioni l'esilio e
la malattia inaridiranno il suo apostolato. Per noi, al
contrario, rappresentano due cardini, punti di svolta
capaci di produrre percorsi e approfondimenti utili ad
una più articolata comprensione del pensiero di un uomo
che è stato capace di valorizzare il dubbio, di vivere e
superare il proprio tempo.
I suoi “ceffoni” bruciano ancora.
Ci fanno vergognare.
Ci fanno riconoscere complici, deboli e colpevoli dei
processi degenerativi. Della vacuità delle idee e la
perdita di valori di questa società.
due scuole
Mettere allo stesso livello, dal punto di vista
didattico sia ben inteso, l'esperienza di San Donato,
rivolta solo agli adulti e saltuaria, con quella di
Barbiana, dove Lorenzo raggiungerà una maturità
educativa, è semplicemente assurdo.
l'amore
Lorenzo, avuta la grazia o la disgrazia
d'innamorarsi personalmente di poche decine di montanari
che affogavano in problemi d’ordine sociale ed
economico, inizia il suo apostolato con la grammatica in
mano.
La molla che lo muove è l'amore. Affermiamo, però, che
il nostro maestro, per quanto esperto giocoliere, non è
stato uno spontaneista.
buon selvaggio
La suggestiva teoria del “buon selvaggio ” è
stata da lui definita ipocrita, prima ancora che
sbagliata. La sua strategia si basava sui bisogni veri
della gente, le influenze ambientali e le motivazioni al
sapere.
supporto
In una conferenza ai direttori didattici tenuta
nel '62 su invito di Fioretta Mazzei e di cui, nel Cd,
riportiamo il testo integrale, Lorenzo parla del suo
progetto educativo.
Dice che il suo metodo è estratto direttamente dalla
cultura contadina, “austera e non permissiva ”.
I contadini sono, per don Milani, gli unici capaci di
educare con serietà.
In tale dibattito, però, lui stesso c’invita a non farci
fuorviare dal parlato dei contadini toscani, ricco
d’idiomi danteschi, ma incapace di afferrare le metafore
e i simboli del linguaggio.
Un conto è usare la parola, altro possederla.
Nelle mie riflessioni che avete potuto leggere, ho
tenuto conto del fatto che oggi questo retroterra
familiare e culturale di supporto alla scuola non esiste
più.
Non esiste più un’unica zona a rischio.
Nei numerosi incontri avvenuti con gli educatori, d’ogni
ordine e grado, d’ogni regione d’Italia, emerge che il
disagio, l'abbandono scolastico o la dispersione si
spandono ormai a macchie di leopardo.
Gianni e Pierino oggi
Purtroppo, Gianni, il ragazzo sempre bocciato
della “Lettera a una professoressa”, è finito per
diventare ciò che il Priore temeva: un tragico
burattino. Solo più elegante nei suoi vestiti di marca e
alla moda.
Come dice Giorgio Pecorini, nel suo bel libro: “Don
Milani. Chi era costui?”, Gianni non ha più le pezze al
culo, non sta più con il cappello in mano davanti al
farmacista.
Ride davanti alla TV che trasmette dai luoghi delle
stragi e della distruzione. Una TV che si propone ad un
pubblico che è solo spettatore, assente al dolore.
Se Gianni è cambiato, Pierino del dottore si è
“in-giannato”, nel senso che assistiamo a un vero e
proprio calo di Cultura.
Sparito Gianni è sparito anche il signorino!
Ecco che oggi, se vogliamo esportare i principi
formativi barbianesi dobbiamo inserire nella nostra
analisi uno scenario e dei personaggi diversi.
permissivismo
Dobbiamo fortemente invertire la logica del
permissivismo borghese (vedi nel Cd la ricerca
etimologica sulla parola borghese — lettera dei ragazzi
di Barbiana agli allievi di Mario Lodi), ma anche quella
degli schematismi ideologici e della frantumazione.
Solo in questo modo potremo modificare i dati allarmanti
emersi dalle statistiche sulla dispersione e
l'abbandono.
Ricordiamoci di un'altra provocazione paradossale di
Lorenzo, e così forte da fare fremere i tanti asettici e
freddi insegnanti, di certa fede sessantottina: “La
scuola per fare cittadini sovrani deve essere
Monarchica”. Quest’enunciato, così pesante, va
interpretato.
identità del maestro
L'insegnante non deve rinunciare al suo ruolo
d’esperto. Dovrebbe comportarsi come Lorenzo e diventare
egli stesso strumento e tramite. Essere regista
significa, come diceva Bowlby, essere un comandante
della nave.
Solo così sarà possibile invertire l’orribile e violento
classismo di cultura, difeso ormai solo dall'antiquata e
famosa professoressa della “lettera”. La quale rinuncia
al suo ruolo, quando candidamente dice:
“ ... scrittori si nasce”.
applicabilità
Comunque la testardaggine con cui Lorenzo
Milani sostiene in tante lettere l'esistenza di un'arte
e una tecnica dello scrivere, ci libera da ogni dubbio
sull’esistenza e sull'applicabilità del suo metodo.
Per fortuna la nostra convinzione è in buona compagnia.
Finite le mistificazioni, il sacerdote di Sant'Andrea a
Barbiana diventa finalmente strumento per i Riformisti
della scuola che trovano in lui un'identità forte, non
certo l'unica, per dignitosamente esprimersi all'interno
del progetto educativo europeo e mondiale.
Non è il metodo che dobbiamo modificare, ma,
nell'applicarlo, sarà necessario individuare strumenti e
bisogni nuovi.
Non è vero che il progetto di Lorenzo era basato solo
sulle qualità personali di chi insegna.
Se è vera la frase, rivolta a chi voleva esportare il
modello barbianese: “Non resta che spararvi!” è
altrettanto vera quell'altra frase: “A Barbiana verranno
tutti a imparare il metodo: dall'ultimo bidello al primo
ministro ”.
A parte i paradossi di cui il linguaggio del nostro
maestro è ricco, chi crede nella geniale intuizione
della scrittura collettiva, nell'importanza della
Comunicazione e dei suoi Strumenti, può anche non
spararsi, perché l'esperienza ci ha insegnato che:
“si può diventare scrittori ”.
Esistono valide tecniche e metodi da importare ed
esportare, se vogliamo integrare ed espandere il
pensiero di Lorenzo.
cittadini sovrani
L'acquisizione del sapere coincide con la ricerca
dell’oggettività e richiede un confronto con il mondo
circostante, per essere verificata.
Una scuola che forma i cittadini, non si può sottrarre
al compito di preparare anche alla politica e alla vita
sociale: “ … io non sono un sognatore sociale e
politico: io sono un educatore di ragazzi vivi, e educo
i miei ragazzi vivi a essere buoni figlioli,
responsabili delle loro azioni, cittadini sovrani ”
(L.Milani — Strumenti e condizionamenti
dell’informazione — Giorgio Pecorini).
trent’anni
Perché abbiamo atteso trenta anni si domanda e
mi chiede il prof. Johannes Drumbl, prima d'essere
capaci di digerire, sperimentare e trasformare in
tecniche e metodi la pratica d'insegnamento di Lorenzo
Milani? Pudore? Modestia? Timidezza interiore o
fariseismo? Un tempo che, in ogni caso, ho rispettato
anch’io.
epistemologia
La "voce più originale della Pedagogia Italiana
del '900”, resta muta. Improponibile nei metodi.
Ancora non esiste un'epistemologia del Pensiero
pedagogico del nostro Maestro e, di questo vuoto, ci
sentiamo responsabili anche noi che siamo stati allievi
nel periodo più fecondo della sua scuola.
Mi convinco sempre più che il tempo d'attesa era forse
necessario per liberarci dalle passionalità e lasciare
il posto ad una ricerca più rigorosa, vera e
scientifica.
costruttivismo
Il costruttivismo di Lorenzo è contemporaneo,
anche se parallelo, a quello di Bruner e d’altri
pensatori che concordano sul fatto che il processo di
crescita del soggetto risiede nell'interiorizzare modi
di agire, di immaginare e simbolizzare che esistono
nella sua cultura.
I significati prendono forma nell'incessante interazione
allievo - maestro - ambiente.
coerenza
Se don Lorenzo fosse stato solo un “buon”
sacerdote, probabilmente avrebbe obbedito e nessuno dei
superiori lo avrebbe gravato di punizioni estreme, come
ripopolare Barbiana.
Non è “l’indemoniato” Florit, come ironicamente lo
appellava il Priore, ad allontanarlo, ma un vescovo
coraggioso e antifascista, Elia Dalla Costa.
Il conflitto, tra don Milani e le istituzioni religiose,
politiche e scolastiche, non è conducibile solo ad un
problema d'autoritarismi o gerarchie.
Il popolo di Calenzano era diviso.
Non sarà il caso che lo avvicinerà agli ultimi, che gli
farà produrre una nuova scuola e pastorale, ma piuttosto
la coerenza tra i suoi comportamenti e il suo modo di
pensare.
Quella coerenza di cui il legislatore sembra oggi
incapace.
bontà
Ciò che ci ha fatto restare alla sua scuola non
era quella bontà che potevamo ricevere anche da pessimi
insegnanti. Ci ha trattenuto il fascino e il piacere che
si provava a stare accanto ad un uomo così intelligente.
La bontà, quando è sola, produce persone eroiche o
castrate, ma non educatori.
L'allievo si rivolge al maestro non perché è cattolico,
giudeo o mussulmano oppure, semplicemente, perché è
buono.
L'allievo si avvicina al maestro per imparare senza
perdere la propria identità.
Un rapporto concordato su regole comuni.
la scuola elitaria
e la scuola pubblica
Quando mi sono rivolto al Priore ho conosciuto
il silenzio, ma anche il diritto di parola. Ho avuto
subito una cameretta tutta per me, pasti assicurati,
lingue, falegnameria, officina, studio fotografico,
audiovisivo, libro, quaderno e una comunità educante.
Dopo la sua morte, mi sono rivolto al padre spirituale
di Lorenzo quando era in Seminario. Don Raffaele Bensi
mi ha messo un libro in mano. Ricordo ancora il titolo e
l’autore: “Sotto la ruota ” di Hermann Hesse. Bisognava
comprendere il libro, per andare oltre e comunicare. Un
esame che credo di aver superato perché sono riuscito a
costruire un rapporto, quello con don Bensi, che mi ha
dato tanto, in anni difficili della mia vita. Meno male
che nel mio patrimonio genetico c'era un po'
d'intelligenza.
Questi due insegnamenti sono stati, per me,
complementari. Non sarebbero stati così importanti l’uno
senza l’altro. E' Lorenzo, a fare da tramite tra il mio
vecchio mondo muto e coloro che parlavano troppo.
Il comportamento di don Bensi non avrebbe modificato
sostanzialmente la struttura della Piramide che troviamo
nelle statistiche sulla dispersione di Lettera a una
professoressa e che ancora oggi sussiste. La sua era una
scuola elitaria.
Il Priore, viceversa, avrebbe ridotto gli analfabeti ad
un fenomeno marginale.
Bensi e Milani.
Dobbiamo riconoscere che entrambi erano scevri
d'ipocrisia nel trasmettere i valori. I loro, erano
sistemi netti e spesso conflittuali, ma tale dialettica
elevava il livello culturale.
La piramide era una realtà, nemmeno il '68 l'ha
modificata. La piramide odierna dopo tante
pseudo/riforme, mi riferisco ai bisogni culturali
d'oggi, ha fortemente allargato i fianchi e abbassato il
capo.
il prete
Frutto di una realtà storico-religiosa, il
pensiero di Lorenzo Milani è ben radicato nella Chiesa
di Firenze di don Giulio Facibeni, dedito totalmente
agli orfani, di La Pira, il sindaco che ricordiamo per
l’impegno verso gli oppressi, e della sinistra cattolica
di Nicola Pistelli.
Da un punto di vista sacerdotale, vedo don Lorenzo ben
collocato tra i padri non violenti della Teologia della
Liberazione. A differenza del pensiero comune ai
marxisti e ai cattolici, non credeva nell'intellettuale
o nell'avanguardia di ieri, tanto meno avrebbe creduto
nei leader o nei manager d'oggi.
il vescovo
Proprio a Pistelli, direttore di “Politica “
settimanale della sinistra cattolica fiorentina di
allora, scrive una lettera che sembra dedicata
esclusivamente al ruolo e al rapporto che doveva avere
il cattolico con il proprio vescovo. Il testo che doveva
essere pubblicato con il titolo: “Un muro di foglio e
d’incenso ” diventa a poco a poco un esame di coscienza,
fa capire i rapporti sempre tesi tra il Priore e la
gerarchia ecclesiastica. La data è 8 agosto 1959, quando
ancora la Spagna era franchista.
Lo spunto a scrivere tale articolo è dato dal cardinale
di Palermo Ernesto Ruffini che in un’intervista a La
Stampa avrebbe dichiarato: “Voi giornalisti, parlate
pochissimo della Spagna. Direi che vogliate ignorarla di
proposito. Eppure averla amica potrebbe esserci di
validissimo aiuto contro il comunismo“.
Chi corregge o prova a parlar francamente al vescovo
colto in fallo, troppo pieno di sé, saputello, superbo,
ignorante?
E' giusto coprire la sua vuotezza? Si domanda don
Lorenzo Milani.
La risposta la da lui stesso, denunciando un isolamento
dalla realtà che cresce, per gerarchia o vicinanza.
Il cattolico comunica col giovane cappellano. Comunica
meno col suo parroco di campagna. Per nulla col
monsignore. Mai col suo vescovo che vede ogni cinque
anni, mai da solo, dopo molta anticamera, in una sala
imponente, imponente lui stesso per età, per carica, per
grazia.
Compito d’ogni cristiano è dunque quello di informare il
proprio vescovo che sbaglia, anche a costo di essere
perseguitato oppure esiliato in vetta al monte Giovi. Se
è Dio che la disegna, dobbiamo imparare la lezione
direttamente dalla Storia, se vogliamo ravvederci: “…
Quando si sente il cardinal Ruffini lodare il regime
spagnolo, verrebbe voglia di dirgli che un dittatore
sanguinario o un governante incapace fa più male alla
Chiesa quando la protegge che quando la combatte.
Ma invece non ci deve essere bisogno di dire queste cose
al cardinale. I principi li sa, il Vangelo lo conosce.
Non è di idee giuste che occorre rifornirlo. Le avrebbe
inventate da sé senza che nessuno gliele avesse
suggerite se solo avesse visto certi fatti. Oppure se li
avesse saputi con tanta precisione e insistenza da esser
come se li avesse visti. Di fronte al bisogno ogni uomo
diventa inventore come Robinson nell'isola. E il bisogno
di una soluzione ideologica soddisfacente lo crea il
cuore quando ha visto la sofferenza.
Un cardinale (fino a prova contraria) lo presumi in
buona fede, onesto, buono e inorridito del sangue. Se la
sua mente non cerca quali siano gli errori di fondo del
regime spagnolo è segno che i suoi occhi non erano
presenti a qualcuno di quei fatti disumani che visti da
vicino bastano a schierare un cuore per sempre.
Nell'austero silenzio della biblioteca di un convento
domenicano dove non entra né pianto di spose né allegria
di bambini, si può ben disquisire sulla liceità della
pena di morte, sui diritti del principe e sulla
preminenza del bene comune.
Ma nel cortile di un carcere spagnolo quando il forte il
vincitore uccide il debole il vinto, quando solo a
guardarla in viso la vittima si rivela non un comune
delinquente ma creatura alta che ha preposto il bene del
suo prossimo al proprio tornaconto. Oppure fuori dei
cancelli dove l'urlio di madri, spose, figlioli
trasforma anche il comune delinquente in figlio, marito,
babbo, in qualche cosa cioè che vorremmo far vivere e
non morire, allora le conclusioni di biblioteca si
vorrebbe tornassero in altro modo, allora si ritorna sui
testi con un altro desiderio in cuore e nel giro di
un'ora il meccanismo dei sillogismi ha bell'e sfornato
la soluzione giusta.
Questo saprebbe fare anzi correrebbe a fare anche il
cardinal Ruffini, ne son sicuro. Ma il cardinale, nel
cortile del carcere di Barcellona nel giorno del
Congresso Eucaristico non c'era. E non c'era neanche
l'inviato speciale del muro di carta che lo circonda.
L'inviato era pochi passi più in là in quella stessa
Barcellona in quello stesso giorno. Era a fotografare il
generale Franco genuflesso su un faldistorio di velluto
rosso dinanzi a centomila fedeli sudditi, mentre leggeva
la consacrazione della Spagna al Sacro Cuore.
Il generale Franco non ha ascoltato neanche il
telegramma del Papa per gli undici sindacalisti di
Barcellona e li ha uccisi a sfida nel giorno stesso del
Congresso ”.
Dal libro
PEDAGOGIA DELL’ADERENZA
di Edoardo Martinelli
Per
capire il senso profetico di "esperienze
pastorali", bisogna tenere conto della
provenienza dell'autore. Senza esperienze
religiose nell'infanzia, don Lorenzo Milani, era
entrato subito in seminario, passando
dall'agnosticismo più totale alla vita
sacerdotale.
Il clima
interno alla diocesi fiorentina, pensiamo solo a
don Facibeni, al Bensi e a La Pira, consentivano
di non allinearsi. Il comportamento inconsueto e
il loro rigore, anche formale, gli fece
accettare subito le dure regole della vita
sacerdotale, esprimendo una vocazione
particolare. L'acutezza, con cui individuava le
linee di tendenza, nelle mode e nella cultura,
gli consentirà di godere il privilegio della
preveggenza e gli farà assumere un linguaggio
diverso dall'usuale. La cartina della Palestina
collocata sul muro della Chiesa, per dar valenza
storica al messaggio evangelico attraverso il
normale insegnamento, era molto più che la Messa
in italiano. Giudicato come rivoluzionario, nel
senso tradizionale e d'incerta dottrina, il suo
libro "esperienze pastorali", edito nel '58,
tratta della "pastorale" del cappellano di S.
Donato:
la più
originale e significativa esperienza religiosa
di questo secolo, in Occidente.
Non è
possibile, per chiunque, oggi, studi pastorale e
teologia morale, prescindere da questo libro e
dai metodi utilizzati. Infatti, non volendo
accettare acriticamente verità precostituite,
don Lorenzo Milani, imposta l'analisi
conoscitiva delle cause che determinano il
distacco della Chiesa istituzionale dai
credenti, attraverso un metodo scientifico che
produrrà le statistiche inquietanti che
conosciamo. "esperienze pastorali" costituirà
un'originalissima ricerca sociologica.
Per
prevenire critiche e attacchi previsti cercò una
prefazione "autorevole". Dapprima pensò a
monsignor Montini ma poi finì per preferire
monsignor Giuseppe D'Avack, arcivescovo di
Camerino, lo scrive a Gianni Meucci il 12.12.56,
un anno e mezzo prima che il libro venisse dato
alla stampa:
(....)
ieri ho consegnato il libro a don Bensi perché
lo desse a La Pira perché La Pira ci aggiungesse
una lettera di accompagnamento e lo mandasse al
vescovo di Camerino per chiedergli possibilmente
due righe di prefazione oppure almeno la
permissione ecclesiastica per stamparlo a
Camerino (edizione Fiorentina tipografia
Camerino).
Questa
complicata manovra è quella che mi avete
consigliato te e padre David e che io ho
modificato solo nel senso di affidarmi a don
Bensi di cui stimo molto il giudizio,
l'esperienza e la conoscenza dei miei personali
problemi in rapporto alla curia fiorentina."
Dopo il
rumore provocato dalla stampa, nonostante il
"nibil obstat" del revisore ecclesiastico, padre
Reginaldo Santilli, l'imprimatur del cardinale
Dalla Costa e la prefazione dell'arcivescovo di
Camerino, "Esperienze pastorali" sarà ritirato
dal commercio il 18 dicembre del 1958 perché
dichiarato "inopportuno" con decreto del Santo
Offizio.
La Civiltà cattolica, con l'articolo di p.
Perego, stroncò Esperienze pastorali. La nota de
"L'Osservatore Romano" motiva tale decisione
dicendo che "nella concessione dell'approvazione
ecclesiastica è intervenuta una serie di
equivoci, ai quali è completamente estranea
l'autorità diocesana" e che considerate le
"severe critiche della migliore stampa
cattolica" e i consensi "accordati da certa
stampa comunista" conveniva ritirare il libro.
L'estraneità dell'autorità diocesana, dopo che
l'ortodossia del libro era stata sottoposta al
vaglio di ben due vescovi e di un revisore
ecclesiastico è alquanto assurda.
I giornali e i periodici cattolici favorevoli
furono numerosi: "L'Italia", "L'Avvenire
d'Italia", "Il Popolo", "I1 Giornale del
Mattino" "I1 focolare" di don Facibeni, "Adesso"
di don Mazzolari, "Politica" di Pistelli, "La
SS. Annunziata" di padre Turoldo, "Questitalia"
di Dorigo, e altri ancora. Don Lorenzo vive i
suoi attimi di entusiasmo e solidarietà
sacerdotale:
"Dopo
avermi lasciato dedicare un numero intero del
suo meraviglioso giornaletto ("Il focolare", 1
giugno 1958 con recensione tutta favorevole di
don Rosadoni) e dopo aver detto a uno dei suoi
collaboratori che voleva recensirmi anche di suo
pugno ("Padre, si comprometterà". "Si e
compromesso il cardinale, posso compromettermi
io", rispose col suo riso sereno e felice), è
morto il giorno dopo lasciando il mio libro
aperto sul tavolo di lavoro".
Con poco
entusiasmo, "povere voci", e molto realismo, don
Primo Mazzolari scrive invece:
"Non
mancheranno i lettori scandalizzati, reclutabili
facilmente tra quelli che non hanno mai fatto
cura di anime e tra quelli che di solito
giudicano senza leggere o con le consuete
pregiudiziali verso coloro che osano scrivere
senza un titolo accademico. In genere, gli
scritti dei parroci rurali fanno paura per la
loro poco educazione nel dire le cose che
vedono. Però, se qualche volta quel mondo poco
commendevole della cosiddetta cultura pastorale
cattolica badasse anche a queste povere voci,
forse il problema della "cura d'anime nel mondo
moderno" avrebbe camminato un po' più verso
qualche soluzione meno inconsistente e balorda".
Don
Lorenzo, a S. Donato di Calenzano, si trovò
dinnanzi agli occhi un campione "privilegiato"
per comprendere la grande tragedia storica della
Chiesa cattolica che rischiava di rimanere
culturalmente e sociologicamente tagliata fuori
dai ritmi di una civiltà industriale. Era un
campione che esprimeva bene i mutamenti
etico-culturali degli anni '50. In
collaborazione con contadini, disoccupati,
giovani tessitori, casalinghe, muratori e
zitelle, dirà parlando della religiosità
trovata:
"...
una religione così non vale quanto la piega dei
pantaloni"
Gli
episodi rigorosamente storici, le statistiche e
i grafici prodotti, faranno dichiarare a
monsignor D'Avack: " ... le conclusioni sono
d'accordo col vero spirito della Chiesa ... ".
Sarà un
punto di vista completamente innovativo rispetto
alla pastorale tradizionale. Un'autocritica
sugli atteggiamenti, i metodi, le cause che
hanno impedito al prete di essere con il suo
popolo. Parla della storia della parrocchia,dei
metodi catechistici, dei Sacramenti, della
frequenza nel riceverli, e della terapia (i
brani sono tratti da "esperienze pastorali"):
La
processione:
"
Passa il Signore. Serenata di fiori, veli
bianchi, festa di paese. Trionfo della fede? "
" Ma
il gruppo d'uomini che segue il signore non è la
parrocchia, è solo una chiesuola senza peso. La
parrocchia si gode lo spettacolo e si tiene a
dovuta distanza.
Proposto: Perdonali perché non sono qui con te.
Cappellano: Perdonaci perché non siamo là con
loro ".
Fede e
Sacramenti
"
Tentiamo di riassumere ora il quadro delle idee
base sulla religione che può farsi un nostro
ragazzo non appena cominci a sgranare gli occhi
sulla vita dei suoi genitori, dei vicini di casa
della chiesa parrocchiale.
La
religione è roba da ragazzi; la religione è roba
da donne; il peccato originale sull'anima fa
meno male d'una infreddatura; la Confessione
serve per fare la Comunione; lo stare in grazia
di Dio non è dunque un problema quotidiano; o
meglio: non è il problema quotidiano
fondamentale del cristiano; la Comunione non è
un dono, ma un obbligo; la Comunione serve per
celebrare le feste; la Presenza del Salvatore
nell'Eucaristia non è dunque reale, se no
nessuno aspetterebbe le feste per assicurarsi
coll'Eucaristia la salvezza; la religione è solo
adempimento di rito e non importa con se impegni
di vita o di ideologia; la religione è nel suo
complesso fatto di insignificante portata: non
vale quanto la piega dei pantaloni, quanto una
buona dormita, quanto l'opinione degli altri su
di noi, quanto il denaro o il divertimento; l
'Olio Santo è un Sacramento spaventoso, il buon
figliolo cura che i genitori non s'accorgano di
riceverlo...
Il rimedio è semplicissimo perché il
ragionamento che abbiamo fatto fila. Basta
dunque prender a petto questi uomini e dir loro
queste cose. Non potranno che riconoscere
l'illogicità del loro modo d'esser cristiani e
decidersi a una scelta coraggiosa e coerente...
Qui ricorderemo due rimedi provvisori e che si
riferiscono più direttamente all'argomento del
presente capitolo.
1. -
Risanare con due o tre energici tagli ciò che è
catechisticamente negativo nelle funzioni
tradizionali (feste, processioni, ecc.). Su ciò
che è catechismo positivo (prediche, catechismi,
ecc.) non abbiamo riforme da proporre perché
consideriamo tutto inutile finché perdura questo
stato di inferiorità culturale negli uditori.
2. -
Di fronte all'eccesso di esteriorità e
collettivismo che caratterizza le attuali usanze
parrocchiali, insistere provvisoriamente
sull'aspetto interiore e personale della
religione. A tesi estrema, antitesi estrema".
La
ricreazione
Anno
scolastico 1952-53, dopo aver "superato ogni
interiore esitazione: la scuola è il bene della
classe operaia, la ricreazione è la rovina della
classe operaia. Con le buone o con le cattive
bisogna dunque che tutti i giovani operai
capiscano questo contrasto e si schierino dalla
parte giusta".
" Mi
perdoni dunque il lettore se non sono più capace
di tornare indietro e se mi sono preclusa così
anche la possibilità di formarmi un giudizio
sereno sulla ricreazione "
L'istruzione civile
L'ignoranza impedisce la formazione religiosa
del cristiano. Di qui la celebre scelta di don
Milani:
" ...
mi pare di poter dire che la scuola, in questo
popolo e in questo momento, non è uno dei tanti
metodi possibili, ma mezzo necessario e
passaggio obbligato né più né meno di quel che
non lo sia la parola per i missionari
dell'Istituto Gualandi (istituto di sordomuti -
n.d.r.) o la lingua per i missionari in Cina.
Domani invece, quando la scuola avrà riportato
alla luce quel volto umano e quella immagine
divina che oggi è seppellita sotto secoli di
chiusura ermetica, quando saranno miei fratelli
non per un rettorico senso di solidarietà umana,
ma per una reale comunanza d'interessi e di
linguaggio, allora smetterò di far scuola e darò
loro solo Dottrina e Sacramenti.
Per ora questa attività direttamente sacerdotale
mi e preclusa dall'abisso di dislivello umano e
perciò non mi sento parroco che nel far scuola
".
" Non è esagerazione sostenere che l'operaio
d'oggi col suo diploma di quinta elementare è in
stato di maggior minorazione sociale che non il
bracciante analfabeta del 1841 "
" La libertà di stampa è un immenso bene. Ma
quando s'è fatto solo la quinta non se ne gode
piu in Italia che in Russia. Che meraviglia se
il povero non vorrà battersi per ciò che non ha
mai goduto? "
L'indirizzo politico
Don
Milani ha un atteggiamento che si discosta, nel
metodo applicato alla sua pastorale, dalle
direttive della gerarchia ecclesiastica e dagli
altri preti. Mentre tutte le forze dei
confratelli erano concentrate sulle
organizzazioni cattoliche (ACI, Comitati Civici,
DC, CIF, ACLI, ecc. ) a difesa del Governo e
della DC, il cappellano esprime contrarietà per
ogni genere di associazionismo e concentra le
proprie energie solo nella scuola serale e
aconfessionale. Nella sua scuola denigra governo
e partito cattolico. Proibisce solo ai
cattolici, perché contro l'ideologia cristiana,
una certa stampa!
Il voto è un dovere di coscienza per i suoi
effetti interiori, non si preoccupa di ottenere
una "amministrazione e un governo cristiani".
Considera sporca e contro i poveri l' alleanza
con i marxisti democratici e con i liberali.
Consiglia di votare solo per i candidati
democristiani e di cancellare i nominativi degli
alleati, l'unica cosa a cui è interessato è che
gli elettori nel votare agiscano da cristiani:
" Ai cattolici: voto DC con preferenza ai tre
sindacalisti. Ai non cattolici: criteri
strettamente classisti "
Negli ultimi tre capitoli: "L'esodo e i suoi
preliminari", "Le case", e "Il lavoro" esprime
il suo punto di vista sociale, politico e
religioso mettendo in risalto il fallimento
della pastorale cattolica in un paese che era
cristiano ormai solo d'anagrafe.
Dopo aver trattato il fenomeno dello
spopolamento della montagna e della campagna,
conclude:
"E' con
angoscia che vediamo partire i nostri infelici
figlioli verso la città dove sappiamo che i
metodi di evangelizzazione sono ancora più
arretrati che qui e dove la separazione del
sacerdote dall'ambiente operaio è totale e lo
sarà forse ancora per secoli... Il 99% dei suoi
parrocchiani non sa nemmeno il suo nome. "
Sottolinea lo stacco tra la gerarchia e i
cristiani:
"Se lo cercano è come si cerca un funzionario.
Se per disgrazia non capita loro di averne
bisogno le loro vite non si incrociano mai con
la sua. Quei pochi che vanno in chiesa lo
sentono parlare. Ma che cosa serve sentire delle
parole quando non si sa se la bocca che le dice
appartenga a una persona viva che vive quello
che dice oppure a un anonimo incaricato? Non
sono più tempi in cui la gente credeva alla
parola solo perché la sentiva infocata e rotta
dal pianto. Nessuno si fida più di nulla che non
sia vissuto prima che detto.
Ed è giusto. E Gesù stesso ha molto più vissuto
che parlato. E molto più insegnato col nascere
in una stalla e col morire su una croce che col
parlare di povertà e di sacrificio".
In Don
Lorenzo Milani esisteva sempre "uno spiraglio di
consolazione" di tipo provvidenziale:
" Certo Dio che ha guidato gli uomini verso la
città non negherà a situazione nuova la grazia
di nuovi preti e nuovi metodi. Per ora ci si
vede molto buio e non si può assistere a queste
partenze senza un brivido...
Una popolazione come la nostra, di cui una parte
si dice cristiana pur mostrando, come abbiamo
visto, la più assoluta indifferenza per la
Grazia e un'altra grossa parte si dice comunista
e non è riuscita ancora a esprimere neanche un
trasporto civile, è malata innanzi tutto di
incoerenza. La città le potrà dunque far bene.
Come il formalismo incoerente dei montanari s'è
attenuato qui a S. Donato così sparirà del tutto
a contatto del mondo aperto e generoso degli
operai cittadini.
Quando le loro menti saranno aperte sarà più
facile riparlar loro del Signore.
Da un lato dunque vanno verso la mancanza di
sacerdote, dall'altro vanno verso l'apertura
interiore.
Guai a chi si rallegra, guai a chi si dispera.
Signore perdonaci per l'occasione che abbiamo
sprecata".
L'ultima
pagina della trattazione si chiude con una
visione di sangue: si scatena l'ira dei poveri
contro un clero e una Chiesa che non ha capito e
soprattutto non ha praticato: la povertà e lo
spirito del Vangelo:
"LETTERA DALL’ OLTRETOMBA"
Riservata e segretissima ai missionari cinesi
CARI E
VENERATI FRATELLI,
VOI CERTO NON Vl SAPRETE CAPACITARE COME PRIMA
Dl CADERE NOI NON ABBIAMO MESSA LA SCURE ALLA
RADICE DELL' INGIUSTIZIA SOCIALE.
E' STATO L' AMORE DELL "ORDINE" CHE Cl HA
ACCECATO.
SULLA SOGLIA DEL DISORDINE ESTREMO MANDIAMO A
VOI QUEST'ULTIMA NOSTRA DEBOLE SCUSA
SUPPLICANDOVI Dl CREDERE NELLA NOSTRA
INVEROSIMILE BUONA FEDE.
(MA SE NON AVETE COME NOI PROVATO A SUCCHIARE
COL LATTE ERRORI SECOLARI NON Cl POTRETE
CAPIRE).
NON ABBIAMO ODIATO I POVERI COME LA STORIA DIRA'
Dl NOI.
ABBIAMO SOLO DORMITO.
E' NEL DORMIVEGLIA CHE ABBIAMO FORNICATO COL
LIBERALISMO Dl DE GASPERI, COI CONGRESSI
EUCARISTICI Dl FRANCO. Cl PAREVA CHE LA LORO
PRUDENZA Cl POTESSE SALVARE.
VEDETE DUNQUE CHE C' E' MANCATA LA PIENA
AVVERTENZA E LA DELIBERATA VOLONTA'.
QUANDO Cl SIAMO SVEGLIATI ERA TROPPO TARDI. I
POVERI ERANO GIA' PARTITI SENZA Dl NOI.
INVANO AVREMMO BUSSATO ALLA PORTA DELLA SALA DEL
CONVITO.
INSEGNANDO AI PICCOLI CATECUMENI BIANCHI LA
STORIA DEL LONTANO 2000 NON PARLATE LORO DUNQUE
DEL NOSTRO MARTIRIO.
DITE LORO SOLO CHE SIAMO MORTI E CHE NE
RINGRAZINO DIO.
TROPPE ESTRANEE CAUSE CON QUELLA DEL CRISTO
ABBIAMO MESCOLATO.
ESSERE UCCISI DAI POVERI NON E' UN GLORIOSO
MARTIRIO. SAPRA' IL CRISTO RIMEDIARE ALLA NOSTRA
INETTITUDINE.
E' LUI CHE HA POSTO NEL CUORE DEI POVERI LA SETE
DELLA GIUSTIZIA.
LUI DUNQUE DOVRANNO BEN RITROVARE INSIEME CON
LEI QUANDO AVRANNO DISTRUTTO I SUOI TEMPLI,
SBUGIARDATI SUOI ASSONNATI SACERDOTI .
A VOI MISSIONARI CINESI FIGLIOLI DEI MARTIRI IL
NOSTRO AUGURIO AFFETTUOSO.
UN POVERO SACERDOTE BIANCO
DELLA FINE DEL II° MILLENNIO "
Il
provvedimento contro "Esperienze Pastorali" fu
emanato durante il pontificato di Giovanni XXIII,
don Lorenzo, in una intervista del 1965, così
commenta:
"Giovanni
XXIII per prima cosa dette l'autonomia ai
vescovi e i1 cardinale Ottaviani condannò il mio
libro, però Giovanni XXIII non permise che fosse
messo all'Indice perché a lui gli andava molto
bene".
Il decreto è del 15 dicembre, ma che la
decisione era attesa lo si deduce dalla lettera
del 10 ottobre scritta dal Priore di Barbiana al
padre domenicano Santilli:
" Mi metto
nei suoi panni e capisco la sua preoccupazione e
le sono vicino sia per la gratitudine che le
devo sia perché so che lei ha qualcosa di caro
in pericolo."
Il giovane sacerdote, neofita e convertito,
aveva rischiato tutto, lo dice lui stesso, per
amore di poche creature:
"Io ci avevo
rischiato tutto, non parlo di trasferimenti
perché sono già quattro anni che mi hanno
trasferito dalle 1200 anime di San Donato a
queste 85 anime qui in vetta al Monte Giovi e
siccome sto buono e non do noia a nessuno,
nessuno, per grazia di Dio, mi potrà più levare
di qui, ma parlo del rischio di trovarmi di
fronte a una condanna del libro e questa sarebbe
una tragedia, non tanto per me, che sono pronto
a cedere in tutto, quanto per i miei infelici
giovani di San Donato."
Lettera del 7 settembre 1958 ad Arturo Carlo
Jemolo
Del resto, questa, era la posizione
dell'episcopato del tempo. Nella lettera del 19
dicembre 1958, il card. Ermenegildo Florit
scrive a don Milani per avvertirlo del ritiro
del libro:
" Molto Rev.do e caro don Milani, da Roma sono
stato incaricato di comunicarLe quanto segue:
La S.Sacra Congregazione del S. Offizio ha
disposto, dopo aver sottoposto ad accurato esame
la sua recente pubblicazione "Esperienze
Pastorali" che essa venga ritirata dal
commercio". Ho già avvisato l'Editore a mettere
ciò in esecuzione.
Quanto sopra potrà recarLe qualche amarezza.
Sono tuttavia sicuro che la sua pietà
sacerdotale l'aiuterà ad accettare con docilità
filiale la disposizione della Santa Sede. Il
Signore non mancherà di venirLe incontro con i
suoi Lumi e la sua grazia confortatrice.
Augurandole un santo Natale, le invio paterni
saluti, benedicendoLa".
Suo rev.mo nel Signore
Ermenegildo
Florit Arciv. Coad.
La motivazione del provvedimento, come abbiamo
già detto, non fu teologica, ma solo di
opportunità politica. Papa Roncalli, pontifice
da pochi mesi, non aveva ancora espresso la sua
linea pastorale, nella quale, distingueva tra l'
"errore" da condannare e l'"errante" con cui
dialogare. Le encicliche Mater et magistra e
Pacem in terris verranno enunciate alcuni anni
dopo. La profonda passione per l'uomo che don
Lorenzo aveva lo metteva in contrasto con gli
ordinamenti della società e della Chiesa mentre
per lui la riforma sociale era un mezzo, uno
strumento per elevare l'uomo e renderlo libero,
perciò vicino a Dio.
Questa dimensione profonda e impostata
sull'elevazione dell'uomo diventa una modalità
educativa della scuola popolare di San Donato e
di Barbiana al punto che non doveva:
" ...
richiedere nemmeno un'adesione preventiva al
cattolicesimo, né ai suoi ragazzi né agli ospiti
della Scuola popolare".
Gaetano Arfè Pubblico Dibattito
16/17 dicembre 1988 Calenzano
Queste
riflessioni fanno capire la serie di anacronismi
che lo metteranno in contrasto con la mentalità
del suo tempo. Il libro pur inquadrato e
collocato storicamente dovrebbe essere, dalla
Chiesa di oggi, restituito a quella dignità che
deve a don Milani per averla così ben servita.
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