Stefano
d’Errico – Anarchismo e politica – Mimesis
Editore pp. 752, prezzo € 48,00.
Da: Rivista di Epistemologia e Didattica numero 3 e 4 anno 2007.
L’itinerario
critico-filologico, proposto da Stefano d’Errico nella stesura del suo ultimo
lavoro (relativo al tema del rapporto tra anarchismo e politica), ricostruisce
la storia letteraria e politica di Camillo Berneri, intellettuale atipico e
militante politico del primo Novecento.
Quella
di Berneri è una vicenda del tutto singolare, non soltanto per il suo impegno a
favore della causa dell’anarchismo ma anche per la sua variegata e complessa
riflessione intellettuale, finalizzata alla riconquista del confronto tra i
valori della tradizione anarchica e la prassi. Se sulla sua opera e sulla sua
figura sono calati il silenzio e l’oblio, questo non è dovuto alla
insufficienza teorica delle sue riflessioni, né tanto meno al bagaglio
culturale (sempre filologicamente curato ed intelligentemente orientato) ma a
motivi contingenti, dettati dall’opportunismo di una parte della sinistra
italiana.
Perseguitato
dal regime fascista, peregrino in tutta Europa, egli partecipò con entusiasmo
ed abnegazione alla rivoluzione spagnola. Nonostante le ristrettezze economiche
e le persecuzioni subite, riuscì comunque a configurare il quadro teorico entro
il quale il movimento anarchico avrebbe potuto indirizzare l’azione politica.
Come
Antonio Gramsci, anche Berneri è
dell’avviso che dove si sbaglia nell’analisi si procede maldestramente anche
nella prassi politica. Dell’intellettuale sardo, il militante anarchico non
solo condivide le passioni e l’avvertita esigenza di un serrato confronto con
la tradizione culturale dominante, ma anche e soprattutto il bisogno di
ripensare la rivoluzione d’ottobre e di rivalutare quindi l’esperienza dei
soviet. A differenza di Gramsci, però, l’anarchico di Lodi restituisce ai
consigli operai la primogenitura politica ed imbastisce l’immagine del nuovo
mondo nella prospettiva antistatale, ma non apolitica, che individua nel
sindacato, nelle associazioni e nel cooperativismo i soggetti che promuoveranno
l’autonomia della società civile rispetto allo Stato, come luogo di
organizzazione del dominio – e dello sfruttamento - di una classe sulle altre.
Alla
tradizione culturale marxista, il professore di Lodi rimproverava soprattutto
la mostruosità di pensare al processo di emancipazione dell’umanità attraverso
la dittatura del proletariato, all’intellettuale sardo di restare impigliato
nei miti dell’industralismo e della “operaiolatria”. Significativi in proposito
sono anche le valutazioni di Berneri sul ruolo sociale e sull’importanza nevralgica della figura del tecnico. Mentre,
per il nascente partito comunista, gli
ingegneri rappresentano il nuovo modello
di intellettuale (calato ed operante nella fabbrica e perciò aperto e sensibile
ai bisogni delle masse, capace quindi di elaborare un nuovo progetto
politico), nuove “stecche del busto”
dell’organigramma culturale, che trova
nel centralismo democratico il proprio apice e la propria sintesi, per il
movimento anarchico il progetto politico va materializzato in una dimensione
non verticale ma orizzontale. Anche i tecnici quindi rispondono ai consigli di
fabbrica e alle realtà cooperative autogestite e non ai funzionari di partito.
Il filosofo di Lodi, infatti, mette in discussione il concetto di egemonia di
matrice gramsciana e ribalta la dialettica tra etica e politica. Per lui, la
tradizione hegelo-marxsista va confinata tra le anticaglie della storia,
all’insegna del primato dell’etica, “stella polare” della prassi politica.
Questo
atteggiamento di Camillo Berneri riporterebbe le sue riflessioni sulla sponda
della tradizione liberale, ma se a
Gramsci l’anarchico rimproverava l’incomprensione e la distanza verso le realtà
sociali non riconducibili alla classe operaia (in particolare sono
significative le considerazioni del filosofo
marxista sulla classe media e sulla piccola proprietà contadina), a
Benedetto Croce il militante anarchico certo non può perdonare l’idea che
l’etica sia inscritta nella forma della politica. Il movimento libertario per
il lodigiano è l’epigono più radicale della tradizione liberaldemocratica. In
questa prospettiva, la libertà di coscienza diventa il momento valoriale in una
prassi collettiva sempre più partecipata ed autogestita, che individua le sue
forme di attuazione nelle istituzioni della società civile. Alle spalle di
Berneri è possibile intravedere Sorel, Salvemini e Cattaneo. Al primo è
debitore della mistica dell’azione popolare, agli altri due della convinzione
che la realtà italiana si inscrive spontaneamente in un processo storico fatto
da autonomie locali e cominità
autogestite, relate in forma di confederazione.
Il
“programma minimo” dei libertari, infatti, intende rimuovere ogni forma di
autoritarismo; la prassi sociale, organizzata nei consigli di fabbrica, di
cascina, nelle cooperative di consumo, nelle strutture autogestite della
sanità, della scuola, dei trasporti, in
esperienze sempre più sodali, tende sempre di più a fondare il politico nel
sociale, l’autorità nella libertà. Il rovesciamento quindi dell’attualismo
gentiliano, che ha dedicato più di una pagina (in particolare Strutture e genesi della società – 1944)
alla dialettica libertà-autorità, anche se da un punto di vista diametralmente
opposto. In proposito sono molto interessanti le note di Camillo Berneri,
finalizzate all’emancipazione culturale delle masse. Sulla scorta delle lezioni
di Kropotkin, il filosofo di Lodi rivaluta la formazione professionale. I
progressi della scienza seguono sempre i successi e i risultati delle tecniche,
la teoria spiega ed enuclea nella legalità le soluzioni pratiche di problemi
che nascono nella prassi. Non è un caso che il lavoro teorico di geni come
Leonardo da Vinci fosse strettamente collegato al mondo delle officine. Prassi
economiche e lavoro scientifico sono dialetticamente coinvolti. Il ruolo della
formazione professionale, quindi, ha un valore educativo non inferiore rispetto
a quello della tradizione umanistica. Queste osservazioni di Berneri ci guidano
alla idea dell’educazione dell’uomo integrale, che non rispecchia più la
frattura tra lavoro manuale ed intellettuale e restituisce alla prassi
economica la sua dignità in quanto gioco armonico di tutte le facoltà umane.
La
sensibilità culturale del militante e dell’intellettuale si incontrano anche in
altri lavori teorici, dedicati alla definizione dell’orientamento critico, che
il movimento libertario deve adottare nella prassi politica. In particolare va
messo in evidenza quanto Berneri fosse ostile ad ogni verità precostituita.
Lettore di Poincarè , il lodigiano ipotizza un’epistemologia politica,
orientata alla comprensione ed alla governabilità del contingente, consapevole
della fallacità di ogni ipotesi precostituita, considerata appunto la complessità
del reale.
Note
critiche, appunti, saggi brevi, articoli consegnati a giornali e riviste
testimoniano l’eclettismo culturale e l’assenza di ogni pregiudizio nel lavoro
del professore di Lodi. Unico criterio saldamento costituito è il primato
dell’etica, che non infiacchisce comunque il duro confronto con la politica,
all’insegna del realismo, ovvero dell’attenzione alle cose.
Realista
e romantico, il messaggio libertario di Berneri rappresenta una delle ultime
immagini eretiche della tradizione kantiana nel ventesimo secolo.
Prof.
Matteo De Cesare