Prima di rispondere a Barroero, intendo approfittare di questa occasione per
ringraziare pubblicamente Pino Cacucci. Questi, dopo aver letto il mio articolo
prima che andasse in stampa, si è molto rammaricato per quanto avevo
scritto. A suo parere, il pezzo da un lato si presentava altamente offensivo
nei suoi riguardi, dall'altro stravolgeva completamente il suo pensiero. Nonostante
ciò, Cacucci si è dichiarato fin dall'inizio, e senza esitazioni,
a favore della pubblicazione dell'articolo: questo gli fa molto onore e mi conferma
nella stima che ho nei suoi confronti e che ribadisco ancor di più in
questa sede.
Vengo dunque all'articolo di Barroero, del quale intendo contestare cinque punti.
Primo. Nel film di Forman, Salieri dapprima boicotta Mozart nella sua attività
di musicista, roso dall'invidia verso il giovane genio e adirato con Dio, reo
di non avergli infuso lo stesso talento; poi ordisce un complotto: il piano
è quello di commissionare a Mozart, sotto mentite spoglie, una messa
da morto, ucciderlo (afferma esplicitamente che questo è il suo scopo),
appropriarsi infine del requiem per farlo suonare – la sua rivincita contro
Dio – al funerale del giovane salisburghese.
Nel film Salieri riesce a realizzare solo il primo punto della sua cospirazione
(commissionare a Mozart una messa da morto), dato che il salisburghese muore
di cause naturali e che la vedova mette sotto chiave la composizione.
La figura di Salieri risulta dunque altamente calunniata, in quanto nel film
si sostiene: 1) che per invidia egli abbia sabotato Mozart; 2) che abbia concepito
un piano per ucciderlo, con l'intento di appropriarsi di una sua opera; 3) che
gliela abbia effettivamente commissionata. Tutti e tre i punti sono falsi storici.
Se questa non è calunnia…
Secondo. Dire che ci siano alcuni settori politici (negli Usa e in Israele)
ai quali può tornare utile l'esistenza di gruppi terroristi o di Stati
terroristi per legittimare un certo tipo di politica imperialista è cosa
ben diversa dal dire che ci sia un preciso piano per rafforzare in tutto il
mondo questi gruppi o, peggio, che essi siano creati intenzionalmente a questo
scopo. Quest'ultima tesi è per me espressione di una mentalità
cospirazionista.
Del resto, allo stesso modo, si dice oggi, da parte di alcuni settori della
sinistra moderata italiana, che l'esistenza di alcune frange rivoluzionarie
di estrema sinistra è funzionale al mantenimento del potere da parte
del governo Berlusconi, quando non si arriva a ventilare che queste frange siano
create ad hoc e foraggiate dal governo. Quanto al fatto che alcuni dei governi
islamici siano solo “verbalmente minacciosi”, mi sembra fin troppo
facile ribattere che è risaputo in che modo e in che misura essi finanzino
i kamikaze palestinesi e i gruppi terroristici.
Terzo. Ahmadinejad. L'ho definito nazi-islamico riprendendo un'espressione,
che mi è sembrata felice, di Magdi Allam (giornalista liberal-democratico
di cultura islamica).
Non ho scritto islamico dunque nazista, pertanto non ho certo lasciato adito
al dubbio di considerare equivalente, in maniera odiosamente razzistica, l'essere
islamico e l'essere nazista.
Quanto al nazismo di Ahmadinejad, credo che una persona che: 1) nega l'olocausto;
2) afferma che esso è il frutto di un complotto degli ebrei; 3) sostiene
che Israele deve essere cancellata dalla faccia della Terra; 4) asserisce che,
nella migliore ipotesi, gli ebrei dovrebbero essere confinati in qualche regione
sperduta, lontano dai popoli mediorentali; sia equiparabile ad un nazista.
L'ideologia nazionalsocialista, tra gli altri, era costruita sui punti 2), 3),
4), in quanto: riteneva: che i mali del mondo in generale e della Germania in
particolare fossero frutto di un complotto ebraico; che gli ebrei dovessero
essere per questo sterminati; che, in alternativa, dovessero essere confinati
in qualche regione sperduta. Dopo la guerra, molti nazisti sostennero anche
il punto 1), cioè che l'olocausto era un'invenzione degli ebrei.
Ciò non significa affatto che tutti gli islamici siano antisemiti, né
che lo siano tutti gli iraniani islamici. È un fatto tuttavia difficile
da smentire che l'antisemitismo sia molto radicato in una parte della cultura
islamica, che presenta gli ebrei facendo ricorso ai più volgari clichè
antisemiti (gli ebrei sono avidi, corrotti, cospiratori, imperialisti, etc.).
Quarto. Barroero scrive che la sinistra di classe non è antisemita ma
anti-israeliana, “nel senso dell'opposizione radicale allo Stato israeliano,
alle sue politiche imperialiste e allo sfruttamento capitalista degli arabi
e dei proletari israeliani”. Allo stesso modo, e anzi ancor di più,
la sinistra di classe dovrebbe allora sostenere di essere anti-iraniana, anti-cubana,
anti-cinese e via dicendo (citando tutti gli Stati del pianeta), dal momento
che in tutti gli Stati del pianeta c'è lo sfruttamento economico di classe,
ed anzi in alcuni paesi, oltre a questo tipo di sfruttamento, c'è anche
una oppressione politica molto accentuata (mancanza di libertà di opinione,
di associazione, di stampa, etc.).
Eppure non mi pare che nei giornali e nelle iniziative della sinistra di classe
vi sia questa equidistanza, né che si brucino alle manifestazioni le
bandiere dell'Iran, della Siria, di Cuba.
Proprio qui sta il punto. A me pare che la sinistra di classe stabilisca una
strana gerarchia – e la cosa risulta molto strana, quando essa si dice
anarchica – delle forme di oppressione, tale per cui il nemico principale
viene additato nel capitalismo e dunque negli Stati che lo promuovono, e in
subordine nell'oppressione politica di Stati che non sono capitalisticamente
avanzati ma mille volte più autorititari ed oppressivi delle democrazie
liberali.
Cosicché, tanto per fare un esempio, si arriva all'assurdo che, mentre
si dedica ampio spazio allo “sfruttamento capitalista” di Israele
(unico paese al mondo, tra l'altro, dove si sia realizzato, su larga scala,
un socialismo autogestionario, libertario e non fallimentare), si tace o si
dice poco sull'oppressione politica ed economica di cui sono fatti oggetti milioni
di arabi da parte dei despoti che li vessano. Di più. Ampi settori della
sinistra di classe (non gli anarchici, ovviamente) mi pare che strizzano l'occhio
alle peggiori dittature del pianeta in quanto considerano questi paesi anticapitalisti
(Corea del Nord, Cuba, etc.).
Potrei enumerare varie iniziative al riguardo, promosse dalla sinistra antagonista
di classe. Quanto alla distinzione tra antisionismo e antisemitismo, la ritengo
sofistica. Ancora una volta: perché dirsi antisionisti e non anche antisiriani,
o antiegiziani o antiiraniani? Forse che in questi Stati non c'è sfruttamento,
o non c'è oppressione?
Quinto. Barroero scrive di rivendicare l'etichetta di antiamericano, in quanto
esso sarebbe “una specificazione esemplare” del suo “antistatalismo,
anticapitalismo, antimperialismo”, nutrendosi “della convinzione
che la famosa democrazia americana altro non sia (e sia sempre stata) che la
rappresentazione mistificata di un feroce potere di classe e che fin dalle origini
e proprio nella sua "idealità" ha semplicemente stabilito le
regole di rappresentanza degli strati economicamente dominanti”.
Pare strano che un anarchico possa fondare il suo odio antiamericano proprio
sull'antistatalismo, dal momento che gli Stati Uniti sono uno dei paesi dove
lo Stato, fin dalla sua fondazione, è stato tra i meno presenti nella
vita quotidiana delle persone. Pare strano che un anarchico sottovaluti il fatto
che alcuni degli esponenti della rivoluzione americana (penso ad esempio a Paine
o Jefferson) erano pensatori libertari (si rileggano le pagine di Rudolf Rocker,
nei Pioneri della libertà, o quelle di Murray Bookchin, che ci ha invitato
a riflettere sulla tradizione municipalista libertaria statunitense, che lo
Stato federale non è riuscito del tutto a spegnere). Basta por mano al
recente libro di Massimo Salvadori (L'Europa degli americani. Dai padri fondatori
a Roosevelt, Roma-Bari 2005) per rendersi conto che i costituenti americani
concepirono la nuova repubblica (prima democrazia moderna nella storia dell'umanità,
primo Stato a darsi una costituzione scritta limitatrice del potere politico)
proprio con l'intento di costruire una nazione immune dai vizi che ai loro occhi
contraddistinguevano la vecchia Europa (dispotismo politico e miseria economica).
Su queste basi gli statunitensi costruirono il “mito americano”,
che come tutti i miti non corrisponde (e non ha mai corrisposto completamente)
alla realtà, ma che qualcosa di vero doveva – e deve ancora –
pur averlo, se milioni di persone si sono riversate nel passato, e si riversano
tutt'oggi, in quella nazione, per sfuggire alle persecuzioni religiose, politiche
e alla miseria economica. Sono ovviamente del tutto consapevole dei limiti e
dei misfatti che hanno compiuto i vari governi degli Stati Uniti; respingo altresì
ogni visione agiografica della storia degli USA, ma ritengo che presentare la
democrazia americana come una pura mistificazione sia un errore storico e ideologico.
Ci sarebbero molte cose da dire sulla sottovalutazione, a mio parere molto grave,
compiuta da una certa parta della sinistra, delle grandi conquiste che per l'umanità
intera (e non solo per gli abitanti degli Stati che le hanno elaborate e messe
in opera) hanno costituito la limitazione del dispotismo statale per mezzo del
costituzionalismo liberale, delle dichiarazioni di diritti, del principio della
separazione tra Stato e Chiesa, della libertà di pensiero e di associazione,
dell'habeas corpus, del processo accusatorio, della partecipazione politica,
e via discorrendo. Preferisco per ora fermarmi qui, e tornarci, semmai, in altra
sede.
Francesco Berti