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Sul Metro (che a Washington è ancora nuovo e mantenuto bene, si ha
quasi la sensazione di viaggiare "con stile") c’era una bella
combinazione di impiegati che andavano al lavoro (nonostante fosse
sabato), turisti, e gente mista che andava alla manifestazione. Io
stavo schiacciato nel mezzo di un gruppo di 14-15enni di famiglie
perbene, tutti vestiti "alla peacenik anni 60" cioè magliette
bianche con le firme degli amici e brevi scritte di solidarietà.
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La folla riempiva tutto "The Ellipse", il grande parco fra la Casa
Bianca e l'obelisco del Washington Monument. Atmosfera rilassata
allegra, seduti per terra gruppetti di radicali organizzati che già
s'incoraggiavano usando altoparlanti a pila gracchianti, anche
quando erano solo in dieci. Una cosa notevole però della folla era
che c'era tante gente non affiliata con nessuna
organizzazione sindacale o partitica, moltissimi cartelli scritti a
mano, relativamente pochi che sfilavano dietro bandieroni
d'associazione, cioè molte famiglie, sia giovani che non c'erano
all'epoca del Vietnam, sia molte facce di "pacifisti-da-sempre" che
conoscevano le lotte contro "la guerra" (del Vietnam) e per i
diritti civili, e sembravano molto felici di vedere la forza di
questa nuova generazione. C'erano sì cartelli immensi con le scritte
volgari (“Bush is a motherfucker”), qualche bandiera rossa,
ma l'effetto più forte veniva dalle migliaia di cartelli piccoli che
esprimevano pensieri individuali.
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Ad un certo punto, mentre ancora continuavano gli interventi dal
palco, la massa ha cominciato a muoversi in direzione della 15esima
Strada e Constitution Avenue, dove sarebbe iniziato il corteo. Poi
la folla ha cominciato a sfilare in direzione della Casa Bianca.
Poche filastrocche organizzate in coro. Ho passato un gruppo di
cinque uomini al lato del marciapiede che alzavano cartelli contro
la manifestazione. Erano per lo più circondati da gente che gli
urlava, faceva il verso, cercava di organizzare canti in coro di
"Vergogna! Vergogna!", ecc. Sono riuscito ad avvicinare uno che
teneva un cartello con lo scritto “Osama bin Laden vi ringrazia”,
cercavo di spiegargli che Bush è stato il migliore amico di Osama e
che la guerra in Iraq aveva prodotto migliaia di nuovi terroristi.
Prima il tipo si è rifiutato di rispondermi. La sua espressione si è
ammorbidita un po' quando ha capito che non volevo insultarlo e che
lo prendevo sul serio, però dato tutto il chiasso attorno non era il
momento per una discussione. Poi la folla mi ha tirato verso la Casa
Bianca.
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Passata la Casa Bianca una prima volta, il corteo ha fatto un lungo
giro del Lafayette Park. Ad un certo punto mi sono trovato fra un
gruppo di No-Global che forse erano a Washington per contestare la
riunione del Fondo Monetario Internazionale, che si teneva in quei
giorni. Erano ben più organizzati e più militanti degli altri, in
gran parte vestiti di nero, alcuni con i passamontagna alla Black
Block, enormi cartelli fatti artisticamente e una specie di carro
rotante con tanti tamburi sopra che faceva un fortissimo ritmo. Lì
al centro di quel gruppo si stava proprio bene, sembravano più
arrabbiati e feroci della manifestazione attorno, si battevano le
mani, si saltava, c'era un'atmosfera un po' estatica e una
sensazione di gente disposta a fare il prossimo passo.
Thomas Simpson
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