Strade maestre per arrivare in

Piazza Cobas

Recensione del libro di Dante Fontana: «Le strade maestre del sindacalismo» ed. Totem, Roma 1987, lire 15.000

Il testo offre una sintetica, ma esauriente panoramica delle principali direttrici storiche del sindacalismo ed ai suoi più recenti sviluppi fino ai Cobas.

Dopo aver considerato, in un'ampia introduzione, la nascita delle organizzazioni dei lavoratori nei paesi più industrializzati, l'autore passa a trattare i fondamentali indirizzi ed orientamenti, che vengono individuati nel sindacalismo rivoluzionario, nell'anarcosindacalismo, nel sindacalismo per così dire marxista, come esso si configura prima e dopo la Terza Internazionale, nel sindacalismo fascista ed in quello di matrice cattolica. Unico limite, la scarsa attenzione dedicala alla corrente tradeunionista, cui sono riservali pochi accenni.

Bisogna subito sottolineare come il libro non si limiti a fornire un approfondimento solo m senso storico, ma dia delle chiavi di lettura anche di fenomeni odierni. Non si potrebbe ad esempio capire la politica attuale della Cgil, ibrido amalgama di laburismo e terzinternazionalismo, senza risalire alle radici del sindacalismo di stampo marxista. Parallelamente non si possono intendere i fenomeni attuali di autorganizzazione, se non si ha chiara la differenza che intercorre tra l'idea di un sindacato concepito esclusivamente come cinghia di trasmissione della linea di partito, e quella di un sindacato che rifiuta ogni ingerenza e subordinazione a qualsivoglia organizzazione politica esterna, nella rivendicazione e nella gestione dei propri bisogni.

Queste due diverse, inconciliabili visioni portano anche a differenti pratiche di lotta: la prima non aliena dal compromesso, dal machiavellismo, dal porsi come supporto del partito nelle battaglie politiche e parlamentari; la seconda che, rifiutando il ruolo egemone delle avanguardie esterne, tende a prefigurare già nella propria struttura la società futura, che pratica l'azione dirette al di là di ogni «compatibilità» con un sistema che non riconosce, considerando come completamente estranea la logica della delega ed il parlamentarismo.

Se ci si accosta al sindacalismo con un'ottica strettamente di partito. non se ne comprende la natura profonda e si ha la tentazione di liquidare la componente vertenziale, principale anche se non esclusiva, come irrimediabilmente viziata di corporativismo. Al contrario la libera espressione delle esigenze specifiche, che non siano in contrasto con gli interessi generali e non si traducano nel ricercare la formalizzazione di privilegi di parte, non può essere compressa in base ad opzioni ideologiche ed è la migliore garanzia di quel legame solidaristico che supera nei fatti il corporativismo, inteso nella sua accezione peggiore. Del resto la pratica del sindacalismo può apparire poco gratificante, strettamente legata com'è al quotidiano ed aliena dal mito del «tutto subito» e del «tanto peggio, tanto meglio».

Se da una parte i sindacati ufficiali si confermano sempre più nel loro ruolo di conservazione dello «status quo» suscettibile di peggioramenti, il sindacalismo di base fonda la sua azione sul gradualismo, che non ha alcun punto di contatto con il riformismo. La differenza non è di poco conto: il gradualismo non ha abbandonato il progetto di una trasformazione globale e radicale della società, ma sa di poterlo attuare solo nel rispetto di tempi reali di crescita; il riformismo, al contrario, impastoiato nella logica del cedimento e del burocratismo, ritiene di aver già perso la partita e si limita alla politica difensiva dei piccoli aggiustamenti, senza alcuna pretesa di intaccare in profondità l'impianto generale.

La tesi che l'autore arriva dunque a dimostrare, attraverso un ricco excursus tra le vane esperienze prodottesi nella storia del movimento dei lavoratori, è che il sindacalismo o è autogestionario o nega sé stesso.

 

Stefano d'Errico

Claudia Santi