Vento di terra di Vincenzo Marra
La prepotente forza espressiva, comunicativa, degli sguardi e dei silenzi. La
difficoltà della vita per milioni di italiani che vivono nelle periferie, di
Roma, di Milano, di Napoli, un’umanità, una parte di italiani, che rappresenta,
ad esempio, nel suo insieme ben più dei cinque milioni di uruguayani, come
ricorda il regista Vincenzo Marra, tutte riassunte nei volti di una famiglia di
Secondigliano. La dura asprezza delle scelte
dopo la scomparsa del padre, la fabbrica per la figlia, piccoli lavori di
sartoria in casa per la madre e l’alternativa tra criminalità e forze
dell’ordine per il figlio. In Vento di terra ogni immagine è carica di domande,
si porta il pesante fardello di un’ipocrita società dei consumi. Toglie il fiato
osservare l’assurda e violenta bestialità autoritaria dell’addestramento
militare, lascia sgomenti vedere ragazzi che scelgono la divisa solo per
garantirsi il pane. Straordinario Marra nel restituirci la precarietà della vita
contemporanea e al contempo il dramma ammutolito degli
esclusi da una società che zittisce. Il giovane Vincenzo Pacilli, protagonista
del film, raccoglie in silenzio le ferite infertegli dalla società, ma nulla
potrà quando, di ritorno dal Kossovo, il male lo divorerà a causa dell’uranio
impoverito utilizzato dalle forze NATO nella guerra. Cinema e denuncia sociale
si accompagnano al livello più alto, per le indubbie capacità registiche di
cogliere con profondità l’essenza umana e calarsi nel mondo senza forzature, ma
con il semplice e autentico coraggio di chi osserva sulla soglia del baratro
senza tesi preconfezionate o precostituite.
Lo sguardo indaga intorno a noi, in una realtà che, pur celataci dal turbinio
della pseudoinformazione, esiste e ci circonda, meritando di essere
raccontata.