Primo maggio 1886: in tutti gli Stati Uniti si
sciopera per la giornata lavorativa di otto ore.
A Chicago le manifestazioni proseguono: il 3
maggio la polizia apre il fuoco contro gli
scioperanti, ammazzandone due, ferendone altri.
La sera dopo, i leader socialisti e anarchici
organizzano una manifestazione di protesta in
piazza Haymarket; la polizia è presente in forze
e proprio mentre sta intervenendo per disperdere
la folla pacifica che assisteva al comizio
finale, una bomba scoppia tra gli agenti: uno
muore, altri riportano ferite, che per sette
uomini saranno mortali. Il giorno dopo, vengono
arrestati otto leader anarchici, accusati di
omicidio; si trattava di Albert Parsons,
americano, di George Fielden, immigrato inglese,
di Oscar Neebe, nato in America da genitori
tedeschi, e di cinque immigrati dalla Germania:
Adolph Fischer, August Spies, Louis Lingg,
Michael Schwab e George Engel. Il processo
cominciò a luglio; malgrado gli sforzi degli
avvocati della difesa, l’accusa, appoggiata dal
giudice, portò la discussione su un livello
puramente ideologico: fu un processo
all’anarchismo, al socialismo e al movimento
operaio. Non esisteva nessuna prova del fatto
che fossero state quelle otto persone a lanciare
la bomba; tre degli imputati erano stati oratori
al comizio di Haymarket – di cui tutti
ricordavano i toni moderati; altri due non
c’erano nemmeno andati, gli ultimi tre avevano
lasciato la manifestazione prima dello scoppio
della bomba.
La sentenza fu pronunciata il 19 agosto 1886:
Neebe – uno di quelli che non era nemmeno in
piazza – fu condannato a 15 anni; Parsons,
Fielden, Fischer, Spies, Lingg, Schwab, Engel
furono condannati all’impiccagione.
Il processo e il contesto in cui si svolse – un
passaggio fondamentale nella storia del
movimento operaio internazionale, intrecciato
alla nascita della festa del Primo Maggio – sono
ora ricostruiti in un libro delle Edizioni
Spartaco da Claudia Baldoli, ricercatrice di
storia contemporanea alla Hertfordshire
University: Il nostro maggio. All’origine
della festa dei lavoratori: autobiografie e
testimonianze da Chicago (collana «Il
risveglio» 15, Edizioni Spartaco, Santa Maria
Capua Vetere 2005, pp. 144, € 12,00).
Baldoli – che nel 2004 per le Edizioni Spartaco
ha curato anche l’antologia V. Brittain-M.L.
Berneri, Il seme del caos. Scritti sui
bombardamenti di massa (1939-1945) (collana
«Il risveglio» 5, pp. 160, € 12,00) – organizza
l’esposizione dei fatti in forma di «dramma
storico», secondo un montaggio di documenti di
prima mano; presenta così per la prima volta al
pubblico italiano un’antologia degli atti del
processo, attingendo in particolare dai
resoconti dei testimoni, dagli interrogatori
degli otto imputati e dalle autobiografie che
essi scrissero in carcere in attesa del
verdetto. Sono racconti che parlano
dell’emigrazione e della vita quotidiana nel
nuovo continente, intrecciando vita personale e
motivazioni che avevano portato alla militanza
politica. La tragedia di Haymarket ha per sfondo
l’America operaia, delle prime organizzazioni
socialiste e della lotta per le otto ore. Di
fronte alla giuria del tribunale dell’Illinois,
scorrono le vicende umane di poliziotti,
giornalisti, operai, muratori, donne, artisti,
commercianti e cittadini di una città che si
stava trasformando in una delle metropoli
industriali degli Stati Uniti.
Si presentano qui in anteprima ampi brani del
penultimo capitolo del libro: La sentenza.
Filippo Benfante |
L’esultanza del mondo
“civilizzato”
Dall’autobiografia di Fischer
«C’è un fattore che ha giocato una parte esecrabile
prima, durante e dopo il processo: la stampa
capitalistica. Io oso dire che perfino i giornali nelle
dispotiche Russia e Germania non sono così ingiusti,
bugiardi e ipocriti come la stampa della “terra della
libertà e casa del coraggio”».
La sentenza fu accolta con giubilo dalla stampa
cittadina, che da mesi indicava negli «anarchici di
Haymarket» i responsabili dell’omicidio e chiedeva un
esempio di forza da parte delle autorità. Il “Chicago
Tribune” propose una raccolta di fondi per premiare i
giurati e apparve con il titolo in prima pagina:
«Chicago, la nazione e il mondo civilizzato esultano».
(…). Il 19 agosto [1886], nel giro di tre ore la giuria
aveva deciso la condanna a quindici anni di Neebe e a
morte degli altri sette imputati. La condanna di Neebe
fu una sorpresa perfino per [l’avvocato dell’accusa]
Grinnell, visto che non era stato possibile trovare
assolutamente nulla contro di lui. Seppure avesse svolto
attività sindacale, con Haymarket aveva così poco a che
fare che il giorno stesso non sapeva neppure che ci
sarebbe stato il comizio. Nel suo discorso, disse poi di
aver «scoperto in questi ultimi giorni che cosa è la
legge». Nell’udire il verdetto, la moglie di Schwab ebbe
una crisi di nervi; fu sostenuta dalla moglie di Parsons,
dalla moglie dell’avvocato Black e da altre donne. Black
non si era certo aspettato sette condanne a morte ed era
scioccato; annunciò però che avrebbe presentato una
mozione perché venisse rifatto il processo.
Era presente anche Nina Van Zandt, una giovane donna che
aveva seguito tutto il processo e si era nel frattempo
innamorata di Spies; sorprendendo la famiglia e gli
amici, Spies e Nina si erano sposati durante il
processo. Il matrimonio non fu mai consumato, ma Nina
aveva scritto un pamphlet in appassionata difesa del
marito, nell’estremo tentativo di salvarlo.
Lucy era infuriata. Si alzò e camminò al banco degli
imputati, strinse la mano di Albert Parsons. Proclamò:
«Marito mio, ti consegno alla causa della libertà. Vado
ora a prendere il tuo posto. Andrò tra gli americani ad
annunciare l’immondo omicidio che è stato ordinato qui
oggi al comando del monopolio. Aspetterò anch’io di
salire al patibolo. Sarò pronta». Lucy iniziò infatti
subito a tenere comizi. Al primo incontro, organizzato
da un’associazione di donne a Cincinnati la sera
seguente, esordì: «quando le donne si schierano contro
una grande e crudele malvagità, ci si deve aspettare una
rivoluzione – non necessariamente una rivoluzione di
sangue e distruzione, ma non necessariamente una
rivoluzione pacifica». Il comitato della difesa iniziò i
preparativi per una revisione del caso.
Il 1° ottobre il giudice Gary ascoltò le argomentazioni
della difesa per la proposta di un nuovo processo. (…).
Malgrado la dettagliata spiegazione che seguì, Gary
respinse la mozione e il 7 ottobre offrì ai condannati
la possibilità di spiegare le loro ragioni. I loro
discorsi, che si protrassero fino al 9, furono poi
raccolti e pubblicati da Lucy Parsons. Tutti e otto si
dichiararono innocenti e rivendicarono i principi in cui
credevano. Quello che si differenziò maggiormente fu
Lingg, per il contenuto favorevole alla violenza del suo
discorso. Del resto era stato l’unico a cui si poteva
imputare, se non l’utilizzo, il possesso di bombe.
Alcuni, come Schwab, parlarono brevemente. Parsons
invece si rivolse alla corte per otto ore, ripercorrendo
completamente il processo.
“La mia difesa è la
vostra accusa”
Dal discorso di August Spies
«Nel rivolgermi a questa corte parlerò come
rappresentante di una classe ai rappresentanti di
un’altra. Inizierò con le parole pronunciate 500 anni fa
(in una situazione simile) dal doge veneziano Faliero,
che rivolgendosi ai giudici, disse: «La mia difesa è la
vostra accusa, le cause del mio presunto crimine la
vostra storia!».
(…). Non c’è stata prova prodotta dallo Stato che abbia
mostrato o anche solo suggerito che io conosca l’uomo
che ha lanciato la bomba, o che io stesso abbia avuto
qualcosa a che fare con il lancio. (…). «È l’anarchia
sotto processo», ha ringhiato l’avvocato Grinnell. Se
questo è il caso, Vostro Onore, molto bene; potete
condannarmi, perché sono un anarchico. Io credo che il
sistema delle caste e delle classi (…), questa forma
barbarica di organizzazione sociale, (…) sia destinata a
morire, per fare spazio a una società libera,
volontaria, di fratellanza universale. Può pronunciare
la sentenza contro di me, onorevole giudice, ma che il
mondo sappia che nel 1886 dopo Cristo, nello Stato
dell’Illinois, otto uomini vennero condannati a morte
perché credevano in un futuro migliore; perché non
avevano perso la fiducia nella vittoria finale della
libertà e della giustizia! (…).
Chiamate i vostri boia! La verità, crocifissa in
Socrate, in Cristo, in Giordano Bruno, in Hus, in
Galileo, vive ancora – loro e moltissimi altri ci hanno
preceduto su questo sentiero. Siamo pronti a seguirli!».
Dal discorso di Michael Schwab
«Non ho molto da dire. E non direi proprio nulla se lo
stare zitto non sembrasse approvazione codarda di quello
che è appena avvenuto qui. (…). L’anarchia era sotto
processo (…); una dottrina, un’opinione ostile alla
forza bruta, ostile al nostro presente sistema criminale
di produzione e distribuzione. Sono condannato a morte
per aver scritto articoli e fatto discorsi».
Dal discorso di Oscar Neebe
«Preferirei la morte alla prigione. Sarebbe più
onorevole morire in un colpo che essere ucciso un po’
per volta. Ho una moglie e dei bambini; se sanno che il
loro padre è morto, lo seppelliranno. Poi potranno
andare alla tomba e inginocchiarsi al suo fianco; ma non
possono andare in prigione e vedere il padre rinchiuso
per un crimine con cui non aveva nulla a che fare.
Questo è tutto ciò che ho da dire. Vostro onore, mi
dispiace non essere impiccato con gli altri uomini!».
Dal discorso di Adolph Fischer
«Dirò soltanto che protesto contro la mia condanna a
morte, perché non ho commesso alcun crimine. Sono stato
processato in quest’aula per omicidio, e vengo
condannato per anarchia. Protesto contro la mia condanna
a morte, perché non hanno dimostrato che ho commesso un
omicidio. Ma, se devo morire perché sono anarchico, per
il mio amore per la libertà, l’uguaglianza e la
fraternità, allora non protesterò».
Dal discorso di Louis Lingg
«Non riconosco la vostra legge, messa su in qualche modo
da sconosciuti dei secoli passati, e non riconosco la
decisione di questa corte.
Vi dirò sinceramente che sono a favore della forza. Ho
già detto al capitano Schaack: “se usano i cannoni
contro di noi, noi useremo la dinamite contro di loro”.
(…). Voi ridete. Forse pensate, “non ne lancerai più di
bombe”; ma lasciate che vi assicuri che muoio
felicemente sulla forca, così sicuro come sono che le
centinaia e migliaia ai quali ho parlato ricorderanno le
mie parole, loro le lanceranno le bombe! Con questa
speranza vi dico: “io vi disprezzo”. Disprezzo il vostro
sistema, le vostre leggi, la vostra autorità basata
sulla forza».
Dal discorso di George Engel
«Tutto ciò che ho da dire sulla mia condanna è che non
sono per nulla sorpreso; poiché è sempre successo che
gli uomini che hanno cercato di illuminare i loro simili
sono stati sbattuti in prigione o condannati a morte».
Dal discorso di Samuel Fielden
«Oggi, mentre il bel sole d’autunno bacia con la sua
brezza balsamica la guancia di ogni uomo libero, io sono
qui sapendo che non volgerò mai più il viso ai suoi
raggi. Ho amato i miei simili come ho amato me stesso.
Ho odiato l’inganno, la disonestà e l’ingiustizia. Il
XIX secolo commette il crimine di uccidere il suo
migliore amico. Se ne pentirà. Ma, come ho detto prima,
se questo può servire, mi sacrifico volentieri».
Dal discorso di Albert Parsons
«Sono un socialista; sono uno di quelli, malgrado sia io
stesso un salariato, che credono che sia sbagliato,
sbagliato verso di me, sbagliato verso il mio vicino, e
ingiusto verso il mio simile, che io, salariato che non
sono altro, faccia la mia fuga dalla schiavitù del
salario per diventare un padrone e un possessore di
schiavi io stesso. Mi rifiuto di farlo; rifiuto nello
stesso modo di essere lo schiavo e il padrone di
schiavi…».
“Punire quelli che offendono la nostra
legge”
L’arringa del Giudice Joseph E. Gary, 9 ottobre
1886
Il giudice Gary rispose ai discorsi degli imputati con
un’arringa a conferma della loro condanna:
(…). «Sono consapevole che ciò che avete detto, sebbene
fosse rivolto a me, è stato detto al mondo, tuttavia non
è stato detto nulla che abbia potuto indebolire la
validità della prova o le conclusioni sulle quali è
stato basato il verdetto».
Uno Stato degno di quel nome – secondo Gary – aveva il
dovere di garantire «sicurezza alla proprietà privata e
ai propri cittadini rispettosi della legge»:
«E la legge è senso comune. Essa rende ogni uomo
responsabile delle naturali e logiche conseguenze del
suo agire. Stabilisce che chiunque istighi all’omicidio,
sia egli stesso colpevole dell’omicidio che viene
commesso in conseguenza della sua istigazione (…).
Il popolo di questo paese ama le proprie istituzioni,
ama le proprie case, ama le proprie proprietà. Non
permetterà mai che, con la violenza e i delitti, queste
istituzioni vengano distrutte, le sue case saccheggiate,
le sue proprietà distrutte.
E il popolo è abbastanza forte da appoggiare e tutelare
le proprie istituzioni, e da punire tutti quelli che
offendono la nostra legge (…).
Ognuno ha il pieno diritto di avere le opinioni che più
gli si confanno e di sostenerle, mediante discorsi o
materiale stampato, e di solito alla maggior parte della
gente poco importa di ciò che viene detto; ma se egli
pensa al delitto come mezzo per rafforzare la propria
opinione, egli mette la sua stessa vita in gioco. E
nessuna protesta per la libertà di parola, o per mali da
debellare, o errori da riparare, potrà proteggerlo dalle
conseguenze dei suoi crimini.
La sua libertà non è un diritto alla devastazione. La
tolleranza che egli invoca dovrebbe estenderla anche
agli altri e non arrogarsi il diritto di decidere che la
grande maggioranza è in torto, e che essa può, di
diritto, essere costretta attraverso l’uso del terrore o
eliminata con la dinamite.
Resta soltanto da dire che per il crimine che avete
commesso, e del quale siete stati giudicati colpevoli,
dopo un processo, senza precedenti per la pazienza con
cui il popolo oltraggiato ha concesso di estendervi ogni
protezione e privilegio previsti da quella stessa legge
che voi deridete e sfidate, una sentenza è già stata
emessa».
Questo sistema non
può durare a lungo
Mentre la stampa americana esultava, manifestazioni e
petizioni venivano organizzate in tutta l’America e
l’Europa in favore degli otto condannati. L’esecuzione
avvenne l’11 novembre 1887, tranne che per Schwab e
Fielden, le cui condanne a morte erano state nel
frattempo tramutate in ergastoli dal governatore
dell’Illinois Richard Oglesby. Egli era infatti l’unica
persona che avrebbe potuto commutare le sentenze, ma
solo a patto che i condannati facessero richiesta di
clemenza. Fielden e Schwab scrissero al governatore
ammettendo e rincrescendo di aver usato, in momenti di
eccitazione politica, un linguaggio violento e
irresponsabile. Aggiunsero però che non avevano mai
ucciso né avuto intenzione di uccidere, e chiesero che
la loro sentenza fosse rivista, insieme a quella dei
loro compagni. Anche Spies chiese clemenza, ma non si
dimostrò così convinto. Gli altri si rifiutarono di
farlo, certi che la scelta fosse fra la morte o il
disonore: lo stato poteva ucciderli, ma non poteva
punirli per vie legali.
Venuto a conoscenza di una petizione popolare che
chiedeva la commutazione della sua sentenza in
carcerazione, il 9 novembre Engel scrisse una lettera a
Oglesby per opporsi a tale eventualità:
«Spett.le Governatore. Io, George Engel, cittadino
degli Stati Uniti d’America e di Chicago, e condannato a
morte, apprendo che migliaia di cittadini vi hanno
indirizzato una petizione, in qualità di più alto
ufficiale dello Stato dell’Illinois, per chiedervi di
commutare la mia pena di morte in carcerazione.
Io protesto con forza contro ciò per il seguente motivo:
non sono consapevole di aver violato alcuna legge di
questo paese. Nella mia ferma fiducia nella costituzione
che i fondatori di questa repubblica hanno lasciato in
eredità a questo popolo e che è rimasta inalterata, ho
esercitato il diritto di parola, di libera stampa,
libero pensiero e libera riunione così come garantito
dalla costituzione e ho criticato l’attuale condizione
della società e ho aiutato i miei concittadini con i
miei consigli, che io ritengo diritto di ogni onesto
cittadino. Nel corso dei 15 anni durante i quali ho
vissuto in questo paese la mia esperienza circa
l’elezione e l’amministrazione dei nostri funzionari
pubblici che sono diventati totalmente corrotti, mi ha
portato a sradicare tutte le mie convinzioni
nell’esistenza di uguali diritti per i ricchi e per i
poveri e il modo di agire di pubblici ufficiali,
poliziotti e militari hanno prodotto in me la ferma
convinzione che questo sistema non può durare a lungo.
Secondo questa esperienza ho insegnato e consigliato. Io
ho fatto tutto ciò in buona fede nei diritti garantiti
dalla costituzione e, non consapevole di alcuna colpa,
dal potere che mi può uccidere ma non mi può punire
legalmente. Io protesto contro la commutazione della mia
pena e domando quindi libertà o morte. Rinuncio ad alcun
tipo di grazia.
Con rispetto
George Engel».
La notte prima dell’esecuzione, Lingg si suicidò
nella cella inghiottendo una bomba fatta a sigaro. Agli
occhi di Emma Goldman e di Alexander Berkman, i leader
della successiva generazione di anarchici americani,
Lingg fu, tra gli otto, l’eroe sublime: il suo spirito
indomabile, il suo sommo disprezzo per i suoi
accusatori, fino al punto da uccidersi pur di non
consegnarsi a loro, la sua giovanissima età, riempivano
di bellezza e romanticismo la sua tragica figura. L’11
novembre, Parsons, Engel, Fischer e Spies salirono al
patibolo. Una processione di centinaia di migliaia di
persone partecipò al loro funerale. Lucy aveva ricamato
un cuscino con scritto «nostro papà», che i bambini
appoggiarono sulla bara di Parsons. Prima della
sepoltura la folla poté vedere per l’ultima volta i
volti dei cinque uomini. Lucy vide Albert e svenne. La
folla intorno a lei iniziò a piangere.
Claudia Baldoli
Quella che segue è un’amara
considerazione sull’applicazione della
“giustizia”, fatta dal poeta
statunitense Edgar Lee Masters. Questa
poesia si intreccia, in almeno due casi,
con la storia del movimento anarchico:
la prima chiaramente riferita
all’impiccagione dei “martiri” di
Chicago; la seconda perché se ne può
leggere il testo sulla tomba, nel
cimitero di Carrara, del ferroviere
anarchico Giuseppe Pinelli “ucciso
innocente”, come recita la lapide a lui
dedicata in Piazza Fontana, nei locali
della questura di Milano il 15 dicembre
1969.
Carl Hamblin
La macchina del “Clarion” di Spoon River
venne distrutta
e io incatramato e impiumato,
per aver pubblicato questo, il giorno
che gli Anarchici furono impiccati a
Chicago:
“Io vidi una donna bellissima, con gli
occhi bendati
ritta sui gradini di un tempio marmoreo.
Una gran folla le passava dinanzi,
alzando al suo volto il volto
implorante.
Nella sinistra impugnava una spada.
Brandiva questa spada,
colpendo ora un bimbo, ora un operaio,
ora una donna che tentava ritrarsi, ora
un folle.
Nella destra teneva una bilancia;
nella bilancia venivano gettate monete
d’oro
da coloro che schivavano i colpi di
spada.
Un uomo in toga nera lesse da un
manoscritto:
‘Non guarda in faccia a nessuno’.
Poi un giovane col berretto rosso
balzò al suo fianco e le strappò la
benda.
Ed ecco, le ciglia eran tutte corrose
sulle palpebre marce;
le pupille bruciate da un muco latteo;
la follia di un’anima morente
le era scritta sul volto.
Ma la folla vide perché portava la
benda”.
Edgar Lee Masters
tratto da: Antologia di Spoon River,
traduzione di Fernanda Pivano, Einaudi,
Torino, 1971. |
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