IL CASO DE
MAURO
Mercoledi 16
settembre 1970. Sono da poco passate le 21.Mauro De Mauro é un
cronista del quotidiano l'Ora di Palermo. Sta lavorando da mesi alla
sceneggiatura del film "Il caso Mattei" del regista Francesco Rosi.
De Mauro sta per rientrare nella sua abitazione di via delle
Magnolie, in un quartiere residenziale del capoluogo siciliano. Una
delle sue figlie vede tre uomini salire sulla Bmw del giornalista.
Il guidatore accelera in modo brusco, poi si allontana ad alta
velocità.
A un chilometro da via delle Magnolie viene ritrovata la vettura di
Mauro De Mauro. Gli investigatori frugano nella Bmw e in uno
scomparto interno recuperano degli appunti relativi ad una
speculazione edilizia. Ora le inchieste e i servizi di Mauro
attraggono l'attenzione degli investigatori. Nel tentativo di
trovare la pista giusta che porti al suoi rapitori, si ricostruisce
la sua personalità.
Qualcosa di grosso. Poco prima di sparire, Mauro De Mauro indaga
sugli ultimi due giorni di vita del Presidente dell'Eni Enrico
Mattei. Lo riferisce all'editore e libraio Fausto Fiaccovio, lo
confida a un'amica, ne accenna alla figlia Junia, ne parla con il
collega dell'Ansa Lucio Galluzzo a cui dice che si sta occupando "di
un soggetto per un film di Francesco Rosi". E poi aggiunge: "E' roba
da far tremare l'Italia".
Elda De Mauro, la moglie di Mauro intanto non si da pace. Mauro non
ritorna a casa e a diciassette giorni dal suo rapimento ricorda un
fatto lontano nel tempo, un particolare mai rivelato.....
Alle indagini si interessano tre investigatori, tutti uccisi tra il
1979 e il 1982: il capitano dei carabinieri Giuseppe Russo, il
commissario della mobile Boris Giuliano e il comandante della
legione dell'Arma Carlo Alberto dalla Chiesa. Le piste sono comunque
divergenti. Secondo i carabinieri, De Mauro avrebbe scoperto un
traffico di droga internazionale e per questo sarebbe stato
eliminato dalla mafia. L'ipotesi viene sostenuta dal pentito Gaspare
Mutolo, secondo cui De Mauro venne strangolato da killer di Stefano
Bontate, il capo della "mafia perdente",
La polizia punta dritta alla "pista Mattei". Il cassetto della sua
scrivania nella redazione dell'Ora di Palermo risulta forzato. Non
si trovano più nastri magnetici, dal bloc-notes con gli appunti sono
state strappate due pagine e mancano anche altri fogli più recenti
che riguardano gli incontri avuti nella preparazione della
sceneggiatura del film "Il caso Mattei" di Francesco Rosi. C'è un
sospetto forte, un'ipotesi che non sarà mai approfondita. In quel
nastro e in quei fogli potrebbe esserci la soluzione di due gialli:
la morte di Enrico Mattei e la scomparsa di Mauro De Mauro.
Il caso De Mauro non è ancora chiuso. Il pubblico ministero di
Palermo Giusto Sciacchitano propone l'archiviazione dell'inchiesta
ma il giudice istruttore dello stesso tribunale, Giacomo Conte, l'8
aprile 1991, chiede alla Procura un supplemento di indagine:vuole
appurare "il ruolo della mafia e i suoi collegamenti con i poteri
occulti, l'estremismo di destra, i servizi segreti e la massoneria".
Secondo il giudice palermitano, "ci sono elementi di prova che
portano a Giuseppe Di Cristina e Giuseppe Calderone quali autori del
sequestro De Mauro nell'ipotesi che il sequestro sia stato fatto da
qualcuno per bloccare l'inchiesta dei giornalista sulla fine di
Mattei".
Sul "caso De Mauro" il pentito Tommaso Buscetta si rivolge al
giudice Giovanni Falcone: "Della morte dei giornalista Mauro De
Mauro non so nulla. Non è faccenda di mafia. Quando ne parlavo con i
miei interlocutori, questi sembravano stupiti. Ho sentito dire in
giro che la sua scomparsa è legata alla morte di un noto politico
italiano, credo che si chiamasse Enrico Mattei".
Il punto centrale della morte di Mauro De Mauro resta l'incarico che
il regista Francesco Rosi gli offre: la sceneggiatura del film "Il
Caso Mattei". E' lì che si concentra il buco nero della sua
sparizione. Cosa poteva avere scoperto De Mauro sugli ultimi giorni
di vita del Presidente dell'Eni, Enrico Mattei?
a cura
di Daniele Biacchessi
Palermo, chiusa l'inchiesta sull'omicidio del cronista
Ma molti colpevoli sono morti: solo Riina a giudizio
De Mauro ucciso per
uno scoop
scoprì il patto tra boss e golpisti
L'accordo col
principe Borghese: i clan avrebbero occupato la Rai
nel capoluogo e le prefetture dell'isola. La verità dopo 35 anni
di ATTILIO BOLZONI
Mauro De Mauro
PALERMO - In redazione l'aveva confidato a più di un collega:
"Ho uno scoop che farà tremare l'Italia". Era venuto a sapere che il
principe Junio Valerio Borghese stava preparando un golpe. E che
Cosa Nostra complottava con i generali. Mauro De Mauro però fece le
domande giuste alle persone sbagliate. Prima lo rapirono e lo
"interrogarono", poi lo strangolarono.
Il suo cadavere fu seppellito in campagna, tra la borgata di
Villagrazia e la foce del fiume Oreto. Trentacinque anni dopo si
chiude l'inchiesta sul primo delitto eccellente di Palermo.
È la "pista nera" che puzza di mafia. È la sola, l'unica che resiste
a più di tre decenni di aggrovigliate investigazioni. I fascisti
progettavano di fare il colpo di stato alleandosi in Sicilia con i
boss, fu la scoperta di quel patto la condanna a morte di Mauro De
Mauro, reporter del quotidiano della sera L'Ora, corrispondente
dall'isola de Il Giorno e della Reuters, giornalista famoso e dal
burrascoso passato repubblichino nella Decima Mas. Ucciso nel
settembre 1970 per una notizia che gli avevano soffiato amici
frequentati in gioventù, compagni d'armi e camerati. Mandanti
dell'omicidio i capi della Cupola Stefano Bontate, Gaetano
Badalamenti e Salvatore Riina. Ordinarono il suo rapimento dopo un
incontro a Roma con il principe Borghese e due alti ufficiali del
Sid, il servizio segreto militare di allora. Il golpe era previsto
per dicembre, nella notte tra il 7 e l'8, nome in codice del piano
insurrezionale "Tora Tora". Fu un omicidio "preventivo", sostengono
i magistrati nella loro ultima ricostruzione sul sequestro del
giornalista.
A soffocarlo furono Mimmo Teresi, Emanuele D'Agostino e Stefano
Giaconia, picciotti di Santa Maria di Gesù, tutti e tre assassinati
nella guerra di mafia degli anni 80. Con loro ci sarebbe stato anche
Bernardo Provenzano. Nei prossimi giorni, l'inchiesta giudiziaria
sarà ufficialmente definita dai sostituti procuratori Gioacchino
Natoli e Antonio Ingroia. Già decisa una richiesta di rinvio a
giudizio per Totò Riina, gli altri due mandanti sono ormai morti.
Incerta ancora la posizione di Provenzano. Ad accusarlo c'è solo il
pentito Francesco Di Carlo, non ci sono altre "chiamate" o riscontri
alle sue dichiarazioni.
Sta finendo in archivio così il caso De Mauro, il più misterioso dei
gialli palermitani, una trama che si è intrecciata con tanti altri
affaire italiani, primo tra tutti l'attentato di Bascapè del 27
ottobre del 1962, l'aereo del presidente dell'Eni Enrico Mattei che
decollò da Catania e precipitò a pochi chilometri da Linate.
L'inchiesta sulla morte del giornalista è stata ripescata l'ultima
volta 10 anni fa, dopo che un magistrato di Pavia - Vincenzo Calia,
quello che aveva riaperto le indagini su Mattei - chiese e inviò
carte a Palermo. Uno scambio di documenti che ha dato spinta
all'istruttoria siciliana. Praticamente è ricominciata daccapo.
Tanti i testimoni mai ascoltati, gli indizi mai approfonditi, gli
interrogatori mai verbalizzati. Un depistaggio dopo l'altro. Trovata
traccia anche di un colloquio riservato dell'allora capo della
omicidi della squadra mobile Boris Giuliano con Ugo Saito, il
giudice titolare della prima inchiesta: il commissario lo avvertiva
che "c'era qualcuno al ministero a Roma che non voleva andare a
fondo alla morte di De Mauro".
Scartate tutte le altre ipotesi sul sequestro - quella che portava
al traffico di stupefacenti seguita precipitosamente dal colonnello
dei carabinieri Carlo Alberto dalla Chiesa, e quella che conduceva
alle esattorie dei cugini Salvo inutilmente battuta dai poliziotti -
la procura di Palermo 35 anni dopo ha ricostruito il movente del
delitto.
Il giornalista era già tempo sorvegliato dai mafiosi. Avevano paura
che scoprisse qualcosa sull'"incidente" al presidente dell'Eni, lui
lavorava alla sceneggiatura del film che Francesco Rosi stava
girando proprio sull'attentato di Bascapè. Ma De Mauro non custodiva
segreti su Mattei. Si era invece imbattuto in quell'altra storia, il
colpo di stato, il golpe che il "principe nero" voleva far scattare
da lì a tre mesi coinvolgendo anche Cosa Nostra. I mafiosi avrebbero
dovuto occupare la sede Rai di Palermo, le prefetture e le questure
delle città siciliane.
Erano quasi le 9 di sera del 16 settembre quando sparì proprio sotto
casa sua, in via delle Magnolie, la Palermo del sacco edilizio.
Mauro uscì dalla redazione de L'Ora e fermò la sua Bmw davanti a un
bar, comprò due etti di caffè macinato, due pacchetti di Nazionali
senza filtro e una bottiglia di bourbon. Stava posteggiando l'auto
quando sua figlia Franca - la ragazza si sarebbe dovuta sposare la
mattina dopo - dalla finestra vide il padre "che parlava con due o
tre uomini". Poi la Bmw all'improvviso ripartì. Fu ritrovata la
mattina dopo dall'altra parte della città. Aveva ancora le chiavi
inserite nel cruscotto. A Palermo è il rituale della lupara bianca.
Così Mauro scomparve per sempre.
Per più di vent'anni solo silenzio. Dopo le stragi del 1992
cominciarono a parlare i pentiti. Il primo fu Gaspare Mutolo. Svelò
due nomi: "Lo strangolarono Stefano Giaconia ed Emanuele
D'Agostino". Poi arrivò Buscetta. E poi ancora Antonino Calderone,
Francesco Marino Mannoia, Gaetano Grado. Tranne don Masino che è
morto, gli altri sono stati tutti riascoltati dai magistrati. E
tutti hanno indicato la "pista nera". Per ultimo Francesco Di Carlo
ha ricordato di summit a Roma tra capimafia e generali. E ha
spiegato: "De Mauro non fu nemmeno trascinato via a forza quella
sera..". Conosceva bene una di quelle "due o tre persone" che sua
figlia Franca intravide dalla finestra di casa. Era Emanuele
D'Agostino, l'autista di Bontate. De Mauro si fidava in qualche modo
di D'Agostino. E forse proprio da lui stava cercando di avere quel
pezzo mancante per il suo scoop. Lo portarono in un casolare e fu
Mimmo Teresi a interrogarlo, a tirargli fuori quello che sapeva sul
colpo di stato. Poi lo uccisero. Nessuno dei pentiti sa dove sia
esattamente la sua tomba, tutti dicono che è "sicuramente
sotterrato" a Villagrazia, sul letto di quello che una volta era il
fiume Oreto.
Il resto di questa storia italiana è confinato
tra le pieghe di un'inchiesta che è stata dimenticata per anni,
insabbiata. I magistrati di Palermo dopo tanto tempo hanno voluto
interrogare ancora Vittorio Nisticò, il direttore de L'Ora, il
giornale dell'altra Palermo. E per la prima volta da quel lontano
1970 hanno ascoltato Bruno Carbone, un collega che lavorava nella
stessa stanza con De Mauro. Carbone ci aveva confessato nel 2001:
"Mauro mi disse che aveva per le mani un colpo straordinario, io
sono stato testimone della sua vita eppure non c'è mai stato un
poliziotto o un magistrato che abbia sentito il dovere di chiedermi
qualcosa". E aveva aggiunto: "Pochi giorni prima di sparire avevo
suggerito a Mauro di parlare con il procuratore Pietro Scaglione.
Lui ci andò. Dopo pochi mesi uccisero anche Scaglione".
(18 giugno 2005)
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