Il capitalismo e la crisi ambientale di Murray Bookchin.
Al di là del legame altamente tecnologico esistente fra capitalismo e guerra,
non vi è alcuna caratteristica specifica che accomuni o separi i due. La
scoperta dei metalli (rame, bronzo, ferro e simili) per forgiare strumenti ha
portato invariabilmente al loro uso come armi. Il capitalismo in quanto storia
della competizione ha talmente accelerato lo sviluppo dell’industria bellica che
risulta difficile credere che l’Età del Ferro sia realmente iniziata solo 5000
anni fa circa e che l’Età del Bronzo, prima ancora, sia durata solo pochi secoli
— con aumenti colossali del numero delle guerre.
Nel giro di un solo secolo, l’attuale associazione delle guerre con forme di
competizione capitalistica ha prodotto ciò che Dwight D. Eisenhower, il
presidente americano degli anni 50, in modo assolutemente calzante chiamava il
“complesso militare-industriale.” Le tecnologie della guerra e del capitalismo
sono diventate totalmente connesse. In effetti è abbastanza corretto affermare
che la guerra e la tecnologia sono totalmente connesse. Il presente conflitto in
Iraq ha generato una situazione in cui ogni passo nella sofisticazione della
tecnica carattterizza l’età in cui si realizza. Di conseguenza, oggi non abbiamo
più un’Età del Ferro, iniziata alcune migliaia di anni fa, ma un’Era atomica,
iniziata appena pochi decenni fa. Oggi le armi strategiche come i missili
possono essere sparate dalla spalla di un uomo che li regge.
Altri progressi tecnologici “futuristici” progettano l’emergere di un’Era Solare
e di un’Era dell’Idrogeno — con la prospettiva di guerre basate su questi
combustibili. L’industria capitalistica si è accaparrata tutto ciò che ha
trovato utile in una misura che solo poche generazioni fa non poteva essere
immaginata — e lo stesso ha fatto con le guerre che nessuno ormai crede possano
essere evitate fintanto che continuano a sussistere relazioni sociali di tipo
capitalistico.
Ma l’uso di una base di risorse tanto diversificata è incompatibile con
un’economia che vive di competizione — ovvero per la crescita in nome della
crescita stessa. Il capitalismo non soltanto ricostruisce se stesso
continuamente (come Karl Marx mise in evidenza nel
Capitale) ma
si ricostruisce su una base in continua espansione. E non solo espande la
propria base di risorse ma si diversifica ulteriormente ad una velocità
straordinaria. Ciò che oggi può solo essere immaginato diventerà quasi
certamente una realtà in futuro, in modo così malleabile e creativo che non si
vedono limitazioni capaci di contenere i peggiori orrori.
In una società basata sulla crescita in nome della crescita, senza costrizioni
morali che la inibiscano, il mondo intero è soggetto a essere ricostruito — e
nel peggiore dei modi. La “prima natura”, come la chiamava Cicerone (il mondo
naturale che si è evoluto senza l’intervento della mano umana) e la “seconda
natura” (la forma dell'evoluzione naturale guidata dal pensiero e dalle azioni
umane) si trovano oggi in aspra contrapposizione al livello delle forme di vita
complesse. La nostra “seconda natura” minaccia di semplificare drasticamente la
“prima natura” dalla quale noi stessi come specie e tutte le altre forme di vita
complesse siamo emersi. Eppure, ciò che è clamorosamente evidente è che nessuna
delle due forme di natura può esistere senza l’altra. È un’idiozia dei moderni
primitivisti quella secondo la quale dovremmo tornare totalmente al passato
primordiale per evitare il suicidio della specie — anche se questo non è più
possibile senza che si verifichi quello stesso suicidio che un tale ritorno
produrrebbe. Non possiamo tornare alle caverne così come non possiamo creare il
paradiso tecnocratico di Buckminster Fuller senza arrivare
all’auto-annichilimento.
Ciò di cui abbiamo bisogno oggi è una trascendenza o
Aufhebung di entrambe le nature, la
“prima” e la “seconda”, per arrivare a una fusione e a un progresso oltre queste
due in una “natura libera”, in cui gli elementi migliori delle due diano vita a
un’età guidata dalla spontaneità della “prima natura” e dalla razionalità della
“seconda.” Mi riferisco a una natura pensante
che può percepire la realtà attorno a sé e scegliere in modo ragionato le
alternative e le improvvisazioni insite nella creazione di un’evoluzione
sapiente della vita. Questa nuova natura rifiuterebbe le grandi conurbazioni che
hanno preso il posto della terra coltivabile, i rifiuti che inquinano vaste aree
degli oceani, i veleni letali che infestano la catena alimentare umana, i
cambiamenti climatici che causano il cancro della pelle e dei polmoni —
eccetera.
Lasciatemi spiegare che questa nuova natura tenterà di armonizzarsi combinando
le caratteristiche migliori e più razionali della prima e della seconda natura.
Combinerà ciò che è strettamente umano, come ad esempio le macchine, con ciò che
è strettamente non-umano, come la fotosintesi, in un sistema orientato in senso
antropo-ecologico di ecologia sociale. Sarà allo stesso tempo restaurativo e
creativo, facendoci ritornare a un tempo in cui l’umanità si trovava ancora
sulla soglia tra la biologia e l’antropologia. Sarà una cultura creata in modo
cosciente e costruita in modo spontaneo. E sarà una cultura che combina il
gioco libero della prima natura con il progetto ragionato della seconda, che
risponde ai bisogni dell’istinto e della mente, dello spirito e del pensiero,
del riconoscimento di una necessità e della conoscenza dell’universo aperto
dell’incognito e delle contraddizioni.
E inoltre, formerebbe un unico tessuto della conoscenza appena distinguibile di
un mondo remoto e del ricco discernimento di un mondo che è ancora in divenire.
Come la filosofia, sarebbe la conoscenza di ciò che è stato assieme a ciò che è
in via di realizzazione. L’umanità è sempre stata su questa soglia, ed è proprio
questo che ha reso la nostra specie tanto particolare e creativa. La parola
ecologia è essenzialmente un modo
naturalistico per dire dialettica — un continuum in cui ciò che era, ciò che è e
ciò che sarà è una presenza pulsante in mezzo a una realtà vera che è
sempre un continuum. Proprio come la
parola sociale in ecologia
sociale è un altro modo per dire
socialismo, così la parola ecologia
è un altro modo per dire sviluppo dialettico e
continuo.
Nota: I libri che meglio sposano le idee qui
espresse sono The Ecology of Freedom, From Urbanization to Cities, e The
Philosophy of Social Ecology, scritti da me. Non conosco altri libri (esclusi
quelli scritti da Janet Biehl) che presentano aspetti di ecologia sociale come
un corpo di idee praticabile e ricettivo. La scuola che meglio rappresenta le
idee qui avanzate è l’Institute for Social Ecology di Plainfield, Vermont. Vi
operano alcuni singoli insegnanti che offrono eccellenti corsi sull’argomento in
Europa e negli Stati Uniti, ma per il loro impegno nei confronti dell’Ecologia
sociale, non posso farmi garante. Al termine ecologia sociale sono stati
associati significati che non hanno alcun rapporto con quanto inteso da me. So
di molti casi in cui il concetto di “ecologia sociale” è stato utilizzato da
socialdemocratici tedeschi con i quali non ho alcun rapporto.
(trad. a cura di Giulia Beretta)