di Stefano Lonzar
Molteplici sono i problemi che attanagliano il sistema scuola, di questi spesso si dibatte e da più parti si propongono soluzioni, la maggior parte delle quali, però, appaiono d'ordine strutturale ed organizzativo/economico. Si pensi, ad esempio, alla smania riformistica che ha travolto i nostri governanti negli ultimi tempi, con la quale si vuole trattare tutto ciò che riguarda il mondo della scuola, tralasciando, però, proprio i protagonisti del fare educativo, gli alunni e gli insegnanti.
Da sempre il discorso pedagogico è apparso più spostato sul versante della ricerca del benessere degli alunni e degli studenti, forse perché considerati, e non a torto, il polo più debole nel rapporto educativo, soprattutto quello di stampo tradizionale.
Da un po' di tempo a questa parte, quando si parla di scuola, ci si pone il problema anche del grave disagio diffuso tra i docenti, che si manifesta in particolar modo attraverso la cosiddetta "sindrome del burnout".
Una sindrome relativamente recente: si è cominciato a studiarla a livello internazionale da circa vent'anni, colpisce numerose categorie di lavoratori (le cosiddette helping professions che comportano relazioni interpersonali intense e prolungate con popolazioni "difficili"), ricorrendo più frequentemente proprio tra gli insegnanti.
Tale condizione è caratterizzata da affaticamento fisico ed emotivo, atteggiamento distaccato e apatico nei confronti di studenti, colleghi e nei rapporti interpersonali, sentimento di frustrazione dovuto alla mancata realizzazione delle proprie aspettative e perdita della capacità di controllo dei propri impulsi.
Sintomi che condizionano fortemente la professionalità di coloro che li manifestano e possono turbare non poco la vita scolastica incidendo, evidentemente, in maniera negativa nel dialogo educativo.
A determinare questo logoramento psico-fisico (che secondo gli studi più attenti può trasformarsi in una vera e propria patologia psichiatrica, qualora fosse trascurata), concorrono svariati fattori: da una predisposizione personale, alle condizioni professionali e culturali nelle quali si trovano ad operare i docenti, come la retribuzione insoddisfacente, le risorse carenti, la precarietà del posto di lavoro e, non ultima, la scarsa considerazione dell'opinione pubblica poco e scorrettamente informata dai mezzi di comunicazione di massa; ma soprattutto, nella società contemporanea, c'è il dirompente problema del mandato sociale della scuola e di conseguenza dell'identità degli insegnanti.
Non è certo la prima volta che su queste pagine affermiamo come la professione docente non ottenga sufficienti riconoscimenti, sia sul piano economico (fenomeno particolarmente evidente nello scenario scolastico italiano), sia sul piano simbolico e ciò contribuisce a creare un diffuso senso di avvilimento nell'intero corpo docente, una sorta di "pessimismo culturale" che certamente cozza con i presupposti di un corretto discorso educativo.
Le ricerche effettuate in questi ultimi anni in Italia hanno documentato solo i casi più eclatanti e più gravi di questo fenomeno che appare, purtroppo, in espansione.
Per affrontare questo problema è necessario, quindi, allargare le indagini, anche perché ciò che si è potuto documentare fino ad oggi è solo la punta di un iceberg, affiancandole con interventi volti a contrastare la sindrome.
Soprattutto è indispensabile avviare un dibattito, il più ampio possibile, che partendo dai diretti interessati, gli insegnanti, coinvolga le associazioni di categoria, i sindacati, le istituzioni, gli studenti, le famiglie e la società tutta, per rompere quel muro di indifferenza, se non di vera e propria ostilità, che avvolge generalmente il mondo della scuola, percepito dai più come fonte di problemi piuttosto che luogo delle opportunità.
Un dibattito che, secondo me, deve puntare al giusto riconoscimento e alla valorizzazione dell'impegno professionale della categoria docente e, nel contempo, evitare che la stessa categoria cada nel facile errore dell'autoreferenzialità, poiché come afferma Massimo Piermarini "senza la compresenza dei soggetti, senza la cooperazione che nasce dalla solidarietà morale e sociale…non ci può essere scuola, né democrazia, né diritto in un paese".